Per ogni tua carezza: Harmony Collezione
Di Kate Hewitt
5/5
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Info su questo ebook
Abbandonata la prima notte di nozze, Noelle Ducasse si è costruita una nuova, prestigiosa vita per mascherare il dispiacere della solitudine. Fino al ritorno di Ammar...
Ammar Tannous non ha mai dimenticato l'espressione innocente di Noelle. Lei può anche provare a respingerlo in eterno, ma lui non si lascerà cacciar via. Impiegherà ogni singolo momento di ogni singola notte per provarle che, per quanto si sforzi di negarlo, desidera sciogliersi sotto le abili e raffinate carezze di suo marito.
Kate Hewitt
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Per ogni tua carezza - Kate Hewitt
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Husband She Never Knew
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Kate Hewitt
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-075-2
1
Ammar Tannous scrutò con fredda indifferenza l’affollato salone dell’hotel a Parigi. In mezzo a quella calca, sua moglie aspettava. Aspettava, ammise a se stesso, in realtà non è la parola adatta. Noelle non sa che mi trovo qui. Forse ignora che sono ancora vivo.
Puntò lo sguardo facendosi largo tra la folla, e notò che al suo passaggio le conversazioni si interrompevano, per riaccendersi subito dopo in bisbigli di curiosità.
Due mesi prima i giornali, Ammar lo sapeva, avevano riportato la storia della sua miracolosa salvezza dopo lo schianto in elicottero, anche se non in prima pagina. Aveva sempre mantenuto un basso profilo. Lavorando alla Tannous Enterprises gli era necessaria la massima privacy. Eppure, qualcuno lo aveva riconosciuto.
«Signor Tannous...» Un uomo sottile gli si avvicinò con aria nervosa, addirittura impaurita. Ammar cercò di ricordare chi fosse, ma aveva fatto affari con troppa gente per rammentare chiunque avesse assaggiato il pugno di ferro della Tannous Enterprises. «Vo... volevo prendere un... un appuntamento» balbettò l’uomo, agitando le mani per scusarsi. «Una volta sentita la notizia...»
La notizia della mia miracolosa sopravvivenza. Una notizia non buona per molta gente.
All’improvviso riconobbe l’uomo, anche se ancora gliene sfuggiva il nome. Aveva una piccola fabbrica di abbigliamento appena fuori Parigi e il padre di Ammar si era aggiudicato il controllo dell’ipoteca sulla fabbrica.
Aveva concluso l’affare poco prima della sua morte, nello stesso incidente in cui Ammar si era salvato. Voleva far fallire quella fabbrica e bloccare la sua concorrenza con la Tannous Enterprises.
«Non sono qui per quello» replicò subito Ammar, di fretta. «Se vuole un appuntamento, chiami il mio ufficio.»
«Sì certo... naturalmente...»
Senza aggiungere altro, Ammar lo superò. Avrebbe potuto rassicurarlo, rivelandogli di non voler completare ciò che il padre aveva iniziato, ma le parole gli erano rimaste in gola.
Lui voleva solo trovare Noelle.
Era stato il ricordo del suo viso, del suo sorriso a consentirgli di sopravvivere. Quando stava per morire di fame e di sete, ferito e febbricitante, aveva pensato a lei. Anche se non la vedeva da dieci anni, se l’aveva respinta dopo pochi mesi dal matrimonio, aveva deciso di ritrovarla, e di averla di nuovo come moglie.
Con espressione torva, Ammar avanzò tra la folla.
«Un uomo con un aspetto piuttosto feroce ti sta cercando.»
Sentendo la voce della sua amica Amelie, Noelle Ducasse si voltò e sorrise, il bicchiere di champagne stretto in mano. «Dovrei cominciare a tremare?»
«Forse.» Amelie bevve un sorso dal bicchiere, esaminando la folla. «Sarà alto quasi un metro e novanta, ha la testa rasata e una profonda cicatrice sul viso. In realtà nel complesso è un tipo piuttosto sexy, ma fa un po’ paura.» Amelie inarcò le sopracciglia perfettamente rifinite, evidentemente incuriosita. «La descrizione ti ricorda qualcuno?»
«No.» Noelle le rivolse un’occhiata perplessa. «Da come ne parli sembrerebbe un ex galeotto.»
«Chissà. Il suo smoking però è super.»
«Intrigante.» La società parigina presentava sempre situazioni insolite. «I piedi mi fanno dannare» commentò posando il bicchiere ancora mezzo pieno sul vassoio di uno dei tanti camerieri di passaggio. «Mi sa che me ne vado a casa.»
«Sapevo che quei tacchi ti avrebbero rovinato» la punzecchiò Amelie soddisfatta. Avrebbe voluto indossare lei le scarpe argentate con i tacchi a spillo, visti in passerella alla settimana della moda tenuta a Parigi nel mese di marzo. Arche, la boutique di alta moda dove lavoravano entrambe come assistenti addette agli acquisti, le avrebbe messe in vendita in esclusiva l’autunno seguente.
Noelle scrollò le spalle. «Fa parte del lavoro.» Arche desiderava che le assistenti alla vendita più giovani, sempre attive sulla scena mondana di Parigi, sfoggiassero i capi più interessanti. Dopo cinque anni, Noelle si era stancata di recitare la parte della bambola, ma in quel modo si manteneva. Nel giro di pochi mesi sarebbe diventata addetta alla moda dell’abbigliamento femminile, e non si sarebbe più dovuta concentrare solo su scarpe e accessori.
«Ma non puoi andartene adesso» protestò Amelie. «Sono solo le undici.»
«Domani devo lavorare. Come te, del resto.»
«E che cosa mi dici del tuo ammiratore?»
«Dovrà ammirarmi da lontano.» Anche se una certa curiosità si era insinuata dentro di lei. Un uomo con la testa rasata e una cicatrice sul volto? In mezzo a quella calca di gente elegante sembrava impossibile.
Comunque adesso ho solo voglia di andare a letto con una bella tisana calda. E un buon libro. Il mio adoratore dovrà sopportare la delusione.
Salutò Amelie con la mano, ma l’amica era già passata al gruppo vicino. In mezzo alla folla, Noelle provò un improvviso senso di solitudine, che si era impedita di provare nei dieci anni trascorsi dalla fine del suo matrimonio e dall’inizio di una nuova vita. Una vita che si era scelta, benché diversa da quella che si era immaginata. Amelie e gli altri amici le piacevano, tuttavia non erano spiriti affini al suo. Ma ho abbandonato l’idea di incontrarne uno tanto tempo fa...
Sospirando, respinse quei pensieri e il fastidioso attacco di solitudine. Voglio solo andare a casa. Una volta a letto con un bel libro e una tisana calda mi sentirò meglio. Se non altro potrò finalmente togliermi queste ridicole scarpe...
Impiegò un quarto d’ora per attraversare la folla, non potendo fare a meno di fermarsi a scambiare due parole o un sorriso con i vari ospiti. Aveva appena raggiunto il foyer deserto quando udì una voce alle spalle.
«Quasi non ti riconoscevo.»
Noelle si sentì gelare. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere a chi apparteneva quella voce, così simile a un ruggito, una voce che non udiva da dieci anni. Si esprimeva ancora con la cautela di un uomo che sceglie le parole e comunque parla poco.
Si voltò lentamente e si trovò davanti l’ex marito. Nel foyer poco illuminato, quella vista la fece sussultare. Aveva i capelli rasati praticamente a zero e una cicatrice livida gli tagliava la guancia destra, dalla tempia fino alla mascella. Dunque era lui il misterioso ammiratore di cui aveva parlato Amelie. Ammar. Avrei dovuto pensarci, anche se non mi aspettavo che venisse a cercarmi. Non era mai successo prima.
«E io quasi non riconosco te» replicò in tono secco, anche se sentiva le ginocchia cedere. Sembrava ancora più alto, scuro e imponente di prima. Probabilmente, però, doveva trattarsi di un’illusione.
Aveva dimenticato l’effetto che aveva sempre avuto su di lei... il suo modo di restare immobile, come stringeva le labbra fino a ridurle a una linea sottile, come socchiudeva gli occhi. Era molto diverso dall’uomo che pensava di conoscere e del quale si era innamorata. Cercò di guardarlo con distacco. «Che cosa vuoi, Ammar?»
«Te.»
La conseguenza di quella semplice affermazione fu che il cuore le batté con più forza nel petto. Già un’altra volta gli aveva chiesto che cosa volesse, se la volesse. Allora la risposta era stato un devastante no. Persino in quel momento, dieci anni dopo, il ricordo la faceva bruciare di dolorosa umiliazione.
«Interessante» commentò con distacco. «Soprattutto sapendo che non ci sentiamo da dieci anni.»
«Devo parlarti, Noelle.»
Lei scosse la testa, insofferente al suo tono autoritario. «Non abbiamo niente da dirci.»
Ammar mantenne lo sguardo fisso su di lei. «Devo dirti delle cose.»
Fu sopraffatta dall’emozione, che le fece salire le lacrime agli occhi. Lo aveva amato così tanto... e non sopportava che qualcosa di quell’amore vivesse ancora.
Qualunque cosa voglia dirmi, non la voglio ascoltare. Mi sono già aperta una volta con lui, non ripeterò lo stesso errore.
Si avvicinò e Noelle si accorse di quanto fosse dimagrito, pur mantenendo la sua struttura muscolosa.
«Hai saputo del mio incidente.» Lei si rese conto di essere rimasta a fissarlo, come ipnotizzata.
«L’ho saputo da mio padre, che mi ha raccontato anche del fatto che ti sia miracolosamente salvato.»
«Non ne sembri contenta.»
«Ti sbagli, ne sono stata molto felice. Qualunque cosa sia successa tra di noi, non ti ho mai augurato del male.» Per troppo tempo aveva desiderato che tornasse da lei... «Mi dispiace per la morte di tuo padre» proseguì senza spontaneità.
Ammar si limitò a stringersi nelle spalle.
Lo studiò. Due mesi prima suo padre l’aveva chiamata per informarla che Ammar era morto nello schianto del suo elicottero insieme al genitore. Non aveva voluto che lei lo scoprisse dai giornali e Noelle gliene era stata grata. Era stata incapace di provare una qualunque emozione, né rabbia né dolore.
Dieci anni prima il loro matrimonio era stato annullato ed era trascorso ancora più tempo dall’ultima volta che lo aveva visto, ma il dolore per il fallimento della loro relazione l’aveva fatta soffrire per molti anni.
Si era sentita come intorpidita, però con il passare dei giorni e sotto quell’apparente indifferenza aveva scoperto un profondo rimpianto, la sensazione di aver perso quello che aveva creduto di poter costruire con lui, la felicità che le era stata strappata con improvvisa crudeltà.
Poi di nuovo suo padre, qualche settimana prima, le aveva detto che Ammar era ancora vivo, recuperato su un’isola deserta da alcuni pescatori, già pronto a prendere il posto del genitore a capo della sua società, la Tannous Enterprises. Il rimpianto con cui Noelle stava cominciando a venire a patti all’improvviso si era tramutato nella rabbia ancora viva che aveva covato dentro per tutto quel tempo. Al diavolo Ammar, al diavolo che le avesse spezzato il cuore respingendola tanti anni prima, e ancora di più per essere tornato a resuscitare il dolore che credeva di aver seppellito per sempre.
Richiudendo dentro di sé tutte quelle emozioni gli rivolse un’occhiata gelida. «Come ho già detto, non abbiamo niente da dirci.» A testa alta gli passò davanti.
Ammar l’afferrò per un braccio, stringendo le dita attorno al polso, e il suo calore le bruciò la pelle. Noelle si irrigidì, sapendo che era troppo più forte di lei per cercare di sottrarsi.
«Aspetta.»
«Direi che non posso far altro.»
Ammar sospirò. «Voglio solo parlare.»
«Allora comincia, perché hai trenta secondi prima che mi metta a gridare.» Con lo sguardo fisso sulle dita che ancora le stringevano il polso continuò: «E preferirei non avere lividi».
Ammar la liberò con uno scatto che le fece ricadere pesantemente il braccio lungo il corpo. Aveva l’impressione che le sarebbe rimasto il segno, ma in realtà non c’era niente. «Ci vorrà ben più di trenta secondi» l’avvertì. «E non ho intenzione di fare questa conversazione nel foyer dell’albergo.»
«E io non ho intenzione di venire via con te.»
Ammar si limitò a studiarla, la testa leggermente inclinata, con lo sguardo attento di quegli occhi colore dell’ambra. «Sei arrabbiata» concluse e lei sbottò in una risata amara.
L’ultima volta che si erano visti Noelle se ne stava accovacciata sul letto nella sua camera d’albergo, con addosso soltanto la biancheria intima, cercando di trattenere i singhiozzi. Lui le aveva appena intimato di allontanarsi. Quel ricordo la faceva ancora fremere e lo allontanò subito. Acqua passata. Non sono arrabbiata, o almeno non dovrei esserlo. Non dovrei più provare amarezza né dolore.
Quello che dovrei fare è comportarmi con fredda indifferenza, magari anche in modo amichevole. Dovrei comportarmi come si fa con una vecchia conoscenza, non come con l’uomo che mi ha spezzato il cuore e poi lo ha calpestato. Non avrei mai dovuto lasciargli credere che è ancora importante per me.
Perché non è vero.