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L eredità del passato
L eredità del passato
L eredità del passato
E-book165 pagine2 ore

L eredità del passato

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Info su questo ebook

Angelo Corretti ha un unico amore, la vendetta. Bello e tenebroso, sexy e senza scrupoli, ha accumulato una fortuna con un solo obiettivo: distruggere i Corretti, la famiglia che lo ha rifiutato e umiliato. Ora, ricco e potente, Angelo è però costretto a ripercorrere la dolorosa strada dei ricordi.
Tanti anni prima, anche se per una sola notte, una ragazza gli ha regalato tutto ciò di cui lui aveva davvero bisogno, ma quello non gli ha impedito di abbandonarla al sorgere del sole. Lucia è innamorata di lui da sempre e adesso che Angelo è di nuovo lì davanti a lei e la loro attrazione intatta, i due dovranno capire se riusciranno a dimenticare il passato, oppure sarà ancora quello a dividerli.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519305
L eredità del passato
Autore

Kate Hewitt

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    L eredità del passato - Kate Hewitt

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    An Inheritance of Shame

    Mb Sicilian Scandals

    © 2013 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Velia De Magistris

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-930-5

    1

    Era suo. Tutto suo. Quasi suo, poiché l’indomani avrebbe dovuto firmare i documenti per trasferire la proprietà dell’Hotel Corretti di Palermo dalla Corretti Enterprises alla Corretti International. Un sorriso amaro incurvò le labbra di Angelo Corretti. Da un Corretti all’altro... Più o meno.

    Con passo lento attraversò l’atrio dell’albergo seguito dallo sguardo attento dei facchini. La donna di mezza età dietro al banco della reception gli lanciò un’occhiata ansiosa, chiaramente pronta a scattare a un suo gesto. Non era ancora stato formalmente presentato ai dipendenti, ma era certo che sapessero chi fosse. Durante i giorni scorsi era stato innumerevoli volte negli uffici situati al penultimo piano per incontrarsi con i principali azionisti, i quali alla fine non avevano avuto altra scelta se non cedergli il controllo del fiore all’occhiello della catena alberghiera Corretti, a causa della quota azionaria di maggioranza che lui possedeva e della prolungata assenza dell’amministratore delegato in carica.

    In fondo era stato molto facile. Era bastato concedere il tempo necessario. I Corretti non potevano fare a meno di sbranarsi l’un l’altro.

    «Signor... Corretti?»

    L’impiegata della reception si stava finalmente avvicinando a lui, l’andatura incerta. Non gli era sfuggita l’esitazione della donna quando aveva pronunciato il suo nome. I Corretti erano la famiglia più potente e immorale della Sicilia e di tutta l’Italia meridionale.

    Lui non era uno di loro.

    Però lo era.

    Angelo avvertì la familiare e bruciante rabbia pervaderlo. Era un Corretti, ma non era mai stato riconosciuto come tale, anche se le circostanze della sua nascita erano note. Anche se tutti nel piccolo paese dove era cresciuto sapevano che lui era il bastardo di Carlo Corretti, e per quello gli avevano reso la vita un inferno sin da quando era solo un bambino che non capiva il motivo di quella persecuzione.

    Incollò un sorriso alle labbra. «Sì?»

    «C’è qualcosa che posso fare per lei?»

    Angelo lesse l’ansia nei suoi occhi, forse dettata dal timore di essere sul punto di perdere il posto di lavoro. In realtà era stato tentato di dare una bella ripulita a quel posto. Ogni singola persona che lavorava lì aveva manifestato lealtà alla famiglia che invece lui disprezzava e che era determinato a distruggere. Per quale motivo non avrebbe dovuto licenziare tutti, e assumere personale di sua fiducia? Lesse il nome della donna sulla targhetta di metallo appuntata sulla giacca dell’uniforme. «No, grazie, Natalia. Stavo andando in camera.»

    Avrebbe passato la notte nella suite presidenziale, la sua intenzione era quella di assaporare il lusso del migliore appartamento del migliore albergo del suo nemico. La suite, infatti, era a uso esclusivo di Matteo Corretti, soltanto che dal fallimento del matrimonio Corretti Battaglia nessuno lo aveva più visto. E comunque, a partire dal giorno seguente, Matteo non avrebbe potuto metterci piede nemmeno se fosse ricomparso all’improvviso.

    Nessun Corretti, tranne lui ovviamente, avrebbe più alloggiato in quella suite.

    «Certo, signor Corretti.»

    Questa volta la donna aveva pronunciato il suo nome con maggiore convinzione, ma ad Angelo non sembrò una vittoria. Era nato Corretti, aveva preteso il cognome contro la volontà del suo stesso padre. Anche se usare quel cognome gli aveva provocato più occhi neri e nasi sanguinanti di quanti ricordasse. Perché, dannazione, quel cognome era suo, e se lo era meritato.

    Aveva meritato tutto.

    Rivolse un ultimo, freddo sorriso a Natalia, poi entrò in uno degli ascensori e pigiò il pulsante dell’attico. Era quasi mezzanotte, tuttavia, mentre l’ascensore cominciava la sua salita, capì che la tensione e l’inquietudine gli avrebbero impedito di dormire. Il sonno, nel più positivo dei casi, per lui era difficile. Riusciva al massimo a riposare due, tre ore, poi lavorava o si allenava fino all’alba, aggrappandosi a qualsiasi espediente per mantenere cervello e corpo in movimento.

    Le porte della cabina si aprirono direttamente nella suite che occupava per intero l’ultimo piano. Mosse qualche passo, osservando con attenzione i dettagli. Il pavimento di marmo, i lampadari di cristallo, i quadri alle pareti, le costose opere d’arte. La camera padronale era quasi completamente occupata da un enorme letto tappezzato di damasco blu.

    Appoggiò la chiave magnetica sul comodino, allentò il nodo della cravatta, si tolse la giacca. Avvertì i primi sintomi del mal di testa, le fitte alle tempie che preannunciavano l’imminente scatenarsi di un’emicrania. Le emicranie e l’insonnia erano solo parte del prezzo che aveva dovuto pagare per il costante stress lavorativo cui si sottoponeva, ma non si lamentava. Era stato disposto a tutto pur di arrivare alla posizione in cui adesso era. Per diventare chi era, un uomo di successo, potente, in grado di far finire i Corretti con la faccia nella polvere.

    La penombra in cui era immersa la suite era interrotta solo dal riverbero delle luci della città, ben visibili attraverso le alte finestre. Entrò nel salone, notando l’eleganza dell’ambiente, per quanto un po’ troppo pomposo per i suoi gusti. Per prima cosa avrebbe cambiato lo stile di tutto l’albergo, decise mentre prendeva un chicco d’uva da una ciotola adornata da foglie dorate. Via quel fasto che sapeva di tempi passati, porte aperte a un arredamento moderno ed essenziale.

    Mentre le fitte alle tempie aumentavano di intensità, continuò la sua perlustrazione. In ogni caso non aveva sonno, e nemmeno voglia di sedersi alla scrivania per lavorare. Dopotutto, quella notte era la vigilia del suo trionfo. Avrebbe dovuto festeggiare.

    Festeggiare da solo... Non aveva amici in Sicilia. Nemici sì, e molti.

    Però non era quella la completa verità, pensò. Un amico lo aveva. Anzi, un’amica.

    Lucia. Cercava di non pensare a lei, perché pensare a lei significava ricordare, e ricordare lo spingeva a interrogarsi. A desiderare. Ad avere rimpianti.

    E lui non aveva mai rimpianti. Non rimpiangeva quell’unica notte che aveva trascorso fra le sue braccia, perdendosi nella sua dolcezza al punto da dimenticare chi fosse, o chi non fosse.

    Per poche, gloriose ore Lucia Anturri, la figlia dei suoi vicini di casa, con quei grandi occhi blu in cui si rifletteva il suo cuore, era riuscita a cancellare tutta la sua rabbia, il suo dolore e la sua solitudine.

    Poi era andato via di soppiatto, mentre lei ancora dormiva, ed era tornato alla sua vita di New York.

    Era tornato a essere l’uomo ambizioso e determinato che era sempre stato perché, onestamente, non voleva dimenticare. Nemmeno per una notte.

    Sempre più inquieto, si sbottonò la camicia. Avrebbe fatto una lunga doccia calda, decise, a volte era un buon rimedio per il mal di testa.

    In procinto di sfilarsi la camicia, rientrò in camera. Si fermò di scatto. Accanto al letto ora c’erano un secchiello di argento, nel quale si raffreddava una bottiglia di champagne, e una donna.

    Lucia, tre asciugamani appena stirati stretti al petto, raggelò alla vista dell’uomo mezzo nudo.

    Angelo.

    Aveva sempre saputo che lo avrebbe incontrato di nuovo, e tante volte aveva concepito fantasie romantiche e un po’ ridicole su come quell’incontro si sarebbe svolto. Stupidi sogni da adolescente. Tuttavia, da anni ormai aveva smesso di sognare, e sicuramente non aveva mai ipotizzato una situazione simile.

    Imbattersi in lui all’improvviso, assolutamente impreparata all’occasione.

    Le bastò lanciargli uno sguardo per capire che non l’aveva riconosciuta. Invece lei, nello spazio di pochi secondi, stava rivivendo ogni splendido attimo trascorso fra le sue braccia una notte di sette anni prima, tanto che le sembrò di sentire di nuovo il sapore dei suoi baci, la sensazione della sua pelle morbida e calda sotto le dita.

    Chiaramente quei pensieri erano anche quelli più lontani dalla mente di lui. Aveva gli occhi socchiusi, le labbra strette in una linea sottile, l’aria arrabbiata. Un atteggiamento che lei aveva imparato a conoscere bene durante gli anni difficili della loro adolescenza. Tuttavia persino arrabbiato era bellissimo. L’uomo più bello che avesse mai visto. E amato.

    Respinse quella riflessione che non poteva esserle di nessun aiuto. Non vedeva Angelo da sette anni. Non lo amava più, ed era assolutamente sicura che lui non l’avesse mai amata.

    Una consapevolezza che non avrebbe dovuto ferirla dopo tutto quel tempo. Tuttavia, mentre guardava il torace ampio e muscoloso rivelato dalla camicia aperta, capì che ne soffriva ancora, e molto.

    Angelo inarcò un sopracciglio, ovviamente seccato. Aspettava... Cosa? Delle scuse? Che lei interpretasse al meglio il ruolo della cameriera e scappasse via?

    Provò la voglia di dirgli esattamente cosa pensava di lui per essere sgattaiolato via dal suo letto sette anni prima. Purtroppo non aveva idee molto chiare al riguardo, perché pensava ad Angelo in molti modi diversi. Con desiderio e disperazione. Con speranza e odio. Con amore e senso di perdita.

    In ogni caso, l’istinto le consigliò di uscire dalla suite prima che avesse luogo un’imbarazzante scena. Forse erano stati amici d’infanzia, forse lui era stato il suo primo e unico amante, ma lei non contava nulla per Angelo, nulla, un’avvilente realtà con cui preferiva non confrontarsi proprio quella sera.

    «Mi perdoni» esordì, chinando appena la testa in modo che i capelli le ricadessero sul volto. «Stavo preparando la camera per la notte, ma tolgo subito il disturbo.» Si accinse a oltrepassarlo, il capo ancora basso, odiando quella fitta di dolore che le pungolava il cuore.

    Era un dolore con cui conviveva da talmente tanto tempo da aver imparato infine a gestirlo, ad accettarlo. Eppure, in quel momento, tornò in superficie con violenza, portandole lacrime agli occhi.

    Era quasi arrivata alla porta della camera quando una mano le afferrò un braccio.

    «Aspetta.»

    Lucia si immobilizzò, trattenne il fiato. Angelo la lasciò e si avvicinò al letto.

    «Sai, sto festeggiando» dichiarò.

    Dal tono della sua voce non sembrava, pensò Lucia. Era lo stesso tono sarcastico e cinico di sempre. Rimase ferma al suo posto.

    «Perché non mi fai compagnia.»

    Era un ordine, e non una richiesta. Era quello l’uomo che era diventato?, si chiese Lucia. Un uomo che sollecitava i favori di una cameriera?

    «Solo un drink» precisò lui, questa volta freddamente divertito mentre stappava la bottiglia che non mancava mai nella suite. «Poiché non c’è nessun altro nei paraggi.»

    Lentamente Lucia si girò. Non aveva idea di cosa fare, di cosa dire. Non poteva continuare a fingere di essere un’estranea, tuttavia... Tuttavia, forse era esattamente quello per lui adesso. Un’estranea.

    Angelo stava versando lo champagne in due calici di cristallo. L’espressione remota del suo viso rinnovò il suo dolore. Perché aveva avuto la stessa espressione quando, sette anni prima, si era presentato alla sua porta, rammentò Lucia.

    È morto, aveva esordito. E io non provo nulla.

    Lei non aveva replicato. Semplicemente, lo aveva preso per mano e portato nel piccolo salone della casa dove era cresciuta e dove a quel tempo ormai abitava da sola. Dando così inizio a qualcosa – a una notte – che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.

    Si costrinse a puntare il mento in avanti, a guardarlo negli occhi. Lo vide irrigidirsi, vide le lunghe dita abbronzate serrarsi sullo stelo del calice.

    «D’accordo, Angelo» affermò, e per fortuna la voce non

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