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Massime di saggezza
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E-book89 pagine36 minuti

Massime di saggezza

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A cura di Paolo Santangelo

Da più di due millenni la dottrina di Confucio rappresenta un modello e un’ispirazione per milioni, miliardi di donne e uomini.
Mentre in India predicavano Buddha e Mahavira e in Iran Zarathustra, mentre a Gerusalemme fioriva il profetismo ebraico e in Grecia operavano i primi grandi filosofi, Confucio diffondeva la sua concezione morale − in cui si fondono un ideale di armonia interiore ed esteriore e la volontà di un costante impegno sociale. E per i suoi insegnamenti sceglieva un linguaggio semplice, diretto e concreto, la forma di brevi battute, lo humor di un epigramma, l’allusività di un apologo, perché un sistema organico e una teoria articolata avrebbero impoverito e travisato l’infinita ricchezza della verità. Un messaggio in grado di generare una profonda eco nel cuore del lettore ancora ai giorni nostri.

Confucio
visse tra il 551 e il 479 a.C. Costretto nel 496 a lasciare il proprio paese, il principato di Lu, perché in contrasto con i governanti, iniziò a peregrinare alla ricerca di un signore che fosse disposto ad accettare le sue teorie; ma nel 483 ritornò nel suo paese natale, per dedicarsi all’insegnamento. Soltanto nei secoli successivi la sua opera avrebbe rivelato al mondo il suo pensiero.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2014
ISBN9788854169579
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    Massime di saggezza - Confucio

    493

    Prima edizione ebook: aprile 2014

    © 1995, 2010, 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-6957-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Confucio

    Massime di saggezza

    A cura di Paolo Santangelo

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Il nome di Confucio ricorda subito, per associazione di idee, la cultura cinese nel suo complesso e, al tempo stesso, la saggezza. Non si può parlare della Cina senza menzionare questo suo grande pensatore, la cui dottrina è rimasta alla base della morale dei popoli estremorientali, compresi la Corea, il Giappone e il Vietnam. Eppure il suo messaggio, che ha improntato il comportamento di un quarto dell’umanità sino ad oggi, può avere un significato anche per l’occidentale contemporaneo. Fu un’epoca di grandi trasformazioni e di incertezze non soltanto nella lontana Cina, quella in cui visse Confucio (551-479 a.C.)¹. Quasi contemporanei predicarono in India Buddha e Mahavira, in Iran Zarathustra, a Gerusalemme fioriva il profetismo ebraico, e in Grecia operavano i primi grandi filosofi e tragediografi. La parola di questi giganti dell’umanità è rimasta ancora attuale.

    Confucio è stato accostato a Platone, il sommo pensatore greco vissuto oltre un secolo dopo di lui. Entrambi concorsero a dare un imprint, ciascuno nell’ambito della propria civiltà, plasmandone, per così dire, l’impostazione: il primo lasciò un’eredità basata sui concreti rapporti sociali e sul comportamento quotidiano, mentre il secondo indirizzò l’interesse verso campi più astratti, l’utopia e la contemplazione. Confucio, come Platone, promuoveva l’idea di uno stato etico, e il saggio sovrano non era lontano dal re-filosofo, in quanto oltre a governare doveva educare i sudditi. Una notevole differenza fra i due grandi pensatori, tuttavia, sta nel fatto che mentre per Platone il re-filosofo considerava la conoscenza al di sopra di tutto e si serviva di questa per il governo, per Confucio il re-educatore era un moralista innanzi tutto, che ricorreva alla virtù per trasformare il popolo.

    Comunque, in vari aspetti il primato morale confuciano si distingue dalla concezione etica occidentale. È stato notato in un provocatorio studio sui Dialoghi (Lunyu) di Confucio che la morale confuciana è focalizzata sul comportamento e sulle relazioni sociali, mentre tende ad ignorare tutti quegli aspetti psicologici che riguardano «il potere finale dell’individuo di selezionare da una serie di alternative genuine per creare il proprio destino spirituale», e tende ad essere estranea al senso di colpa e al pentimento². Chad Hansen³, d’altra parte, contrappone alla normatività dei sistemi etici occidentali la descrittività di quello confuciano che si basa sull’insegnamento di esempi morali e sull’identificazione e l’emulazione di modelli, per cui, essendo interiorizzati dei campioni anziché delle norme, sarebbero risultate superflue le dottrine sulla responsabilità morale e le teorie sulla giustificazione (relative alla libertà e alla consapevolezza), ed al loro posto si sarebbe sviluppata la concezione della rettificazione dei nomi. Imputabile all’individuo non sarebbe più quindi la singola trasgressione, quanto piuttosto la mancanza di autocoltivazione e di educazione delle persone a lui legate da un vincolo di dipendenza.

    Quel che è indubbio comunque è che Confucio, come altri pensatori cinesi, non ha costruito alcuna teoria, né si è posto il problema di spiegare che cosa fosse il Dao (la Via); il mezzo di comunicazione preferito era infatti il ricorso a brevi battute, lo humour di un epigramma, l’allusività di un apologo. Se fosse stato possibile, egli avrebbe persino evitato di parlare, seguendo il linguaggio del cielo, che si esprime attraverso il susseguirsi delle stagioni e il continuo trasformarsi della natura. La frammentarietà del suo discorso deriva quindi non soltanto dalla natura antologica del testo (su cui torneremo) ma dal suo metodo di insegnamento e dalla convinzione che la verità si può cogliere concretamente e in singole situazioni, ma che ogni tentativo di elaborare un quadro completo non fa che impoverirne o travisarne l’infinita ricchezza.

    In particolare i pensieri a lui attribuiti nei Dialoghi (Lunyu) – da cui sono tratti gli aforismi che qui presentiamo – sono divenuti dei proverbi riconosciuti, delle frasi celebri e massime di saggezza a tutti noti in Cina. Il linguaggio che Confucio usa, come quello di Gesù e di Buddha, è semplice, diretto e concreto. Non c’è alcuna ambizione di definire concetti o di elaborare princìpi e teorie: spesso il Maestro si limita a ricorrere al modello analogico, associando un esempio antico ad un episodio presente, o limitandosi a brevi, lapidarie osservazioni concrete.

    Differente dalle concezioni occidentali è anche il contesto cosmologico su cui si sviluppa il confucianesimo, un universo non creato, ma in eterna auto-creazione, un «organismo» le cui polarità sono strettamente interdipendenti e in continua correlazione. Da questa concezione ontologica derivano varie conseguenze, fra cui la «complementarità inseparabile» di polarità come autocoltivazione-impegno politico, interno-esterno, conoscenza-azione, e la diversa percezione dell’individuo. Basti pensare alla distinzione aristotelica fra una dimensione pubblica e una dimensione privata che a sua volta è connessa con la distinzione fra attività teoretiche e attività

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