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L'inaspettata eredità dell'ispettore Chopra
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E-book300 pagine4 ore

L'inaspettata eredità dell'ispettore Chopra

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Info su questo ebook

Il primo caso dell’agenzia investigativa Baby Ganesh

Un esordio scintillante
Una trama ritmata, una serie di personaggi inimitabili

Il giorno in cui è costretto ad andare in pensione per colpa del suo cuore malato, l’ispettore Ashwin Chopra eredita due misteri del tutto inaspettati. Il primo è il caso di un ragazzo annegato, una morte avvenuta in circostanze sospette che nessuno sembra voler chiarire. Il secondo riguarda l’affidamento di un cucciolo di elefante, ma è davvero difficile scoprire chi possa avergli lasciato un’eredità tanto bizzarra e… ingombrante! La ricerca di indizi lo porta di vicolo in vicolo per la brulicante città di Mumbai, dai lussuosi grattacieli fino ai bassifondi, e Chopra comincia a sospettare che tutto quello che ha creduto fino a quel momento sulla colorata città indiana non sia che una pallida imitazione della verità. Chopra, nonostante la sua aria stralunata e il piccolo elefante sempre tra i piedi, imparerà che quando il gioco si fa duro rimanere un uomo tutto d’un pezzo non è poi così semplice… 

«È davvero divertente questo ispettore Chopra, anche mentre lotta contro corruzione e criminalità. Speriamo che sia il primo di una lunga serie.» 
Sunday Times

«Chopra, detective fuori dal comune, è coscienzioso e incorruttibile. Semplicemente adorabile, come sua moglie Poppy. E l’elefante Ganesha, dopo aver rallegrato tutti si rivelerà un assistente fondamentale. Assolutamente imperdibile!»
Guardian

«Delizioso.»
The Bookseller

«Che piacere leggere le avventure di questo cast di personaggi così intriganti! Ma la forza più grande della storia è la brulicante città di Mumbai, che colora e profuma ogni pagina di questo divertente e stravagante racconto.»
Daily Express

«Un misterioso e bizzarro omicidio… una storia ricca di personaggi vivaci e molto umani.»
Irish Examiner

«La migliore recensione per questo libro sarebbe una lunga lista di aggettivi: divertente, emozionante, folle, affascinante, brillante, spiritoso… I personaggi, l’ambientazione e la trama sono adorabili.»
Goodreads

«Un esordio elettrizzante con una storia divertente e dei personaggi indimenticabili.»
The Lady

«Incantevole.»
Woman & Home
Vaseem Khan
è nato a Londra nel 1973 e ha ottenuto la laurea in Economia e Finanza presso la London School of Economics. Ha trascorso una decina di anni in India per lavoro, è tornato nel Regno Unito nel 2006 e da allora ha lavorato presso l’University College di Londra per il Dipartimento di Sicurezza e Scienze criminologiche. Gli elefanti sono al terzo posto nella lista delle sue passioni: prima e seconda sono la grande letteratura e il cricket, non sempre in quest’ordine. L’inaspettata eredità dell’ispettore Chopra, suo esordio poliziesco, è stato salutato dalla critica e dai lettori come un piccolo miracolo narrativo. È appena uscito il secondo libro della serie e l’autore sta lavorando al terzo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2016
ISBN9788854194175
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    Anteprima del libro

    L'inaspettata eredità dell'ispettore Chopra - Vaseem Khan

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    1231

    Titolo originale: The Unexpected Inheritance of Inspector Chopra

    Copyright © Vaseem Khan 2015

    The right of Vaseem Khan to be identified as the Author

    of the Work has been asserted by him in accordance with the

    Copyright, Designs and Patents Act 1988

    All rights reserved

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,

    memorizzata su un qualsiasi supporto o trasmessa in qualsiasi forma e

    tramite qualsiasi mezzo senza un esplicito consenso da parte dell’editore

    Questa è un’opera di finzione. I nomi, i personaggi, i luoghi, le organizzazioni, gli eventi e gli avvenimenti

    sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio

    Impaginazione e traduzione dall’inglese di Sandro Ristori

    Prima edizione ebook: giugno 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9417-5

    www.newtoncompton.com

    Vaseem Khan

    L’inaspettata eredità

    dell’ispettore Chopra

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    Questo libro è dedicato alla mia famiglia.

    A mia madre Naweeda, che ora non c’è più: le tue parole sono ancora fonte di ispirazione per me.

    A mio padre, Mohammed.

    Alle mie sorelle Shabana, Rihana, Irram e a mio fratello Addeel.

    E a Nirupama Khan, che per prima mi ha fatto vedere la sua Mumbai.

    L’ispettore Chopra si ritira

    elefantenero.png

    Nell’ultimo giorno prima della pensione, l’ispettore Ashwin Chopra scoprì di aver ereditato un elefante.

    «In che senso mi manda un elefante?», chiese, distogliendo stupefatto lo sguardo dallo specchio – si stava aggiustando il colletto dell’uniforme – per interrogare sua moglie Archana, o Poppy, come la chiamavano amici e familiari, che se ne stava in ansiosa attesa sul ciglio della porta.

    «Ecco, leggi», disse Poppy, passandogli la lettera. Ma Chopra non aveva tempo per faccende come quella. Era il suo ultimo giorno in ufficio e il sotto-ispettore Rangwalla lo aspettava giù, con la jeep della polizia. Sapeva che i ragazzi alla stazione gli avevano organizzato una piccola festa di addio: dato che non voleva rovinare la sorpresa, per tutta la settimana aveva continuato a fingersi all’oscuro dei preparativi che fervevano intorno a lui.

    Chopra si ficcò la lettera nella tasca dei pantaloni cachi, poi si diresse alla porta, con Poppy alle calcagna, il visino a forma di cuore corrugato in una smorfia imbronciata. Poppy se l’era presa. Suo marito non si era neppure accorto che per quel giorno speciale aveva indossato un nuovo sari di seta, che fiori di loto freschi le incorniciavano i morbidi capelli neri raccolti sulla nuca e che aveva applicato generose dosi di kajal sotto gli occhi marroni, allungati, quasi a mandorla. E adesso sopra il nasino si era scavata una ruga accigliata e due macchie di colore scintillavano sulle guance rotonde e piene da contadinella. Ma i pensieri di Chopra correvano già alla stazione di polizia.

    Ciò che non poteva sapere era che quella giornata aveva in serbo per lui un’altra sorpresa, del tutto imprevista. Un caso di omicidio, l’ultimo della sua lunga e illustre carriera. Un caso che avrebbe scosso dalle fondamenta la città di Mumbai e sancito la nascita della sua agenzia investigativa – un’agenzia decisamente unica nel suo genere.

    elefantebianco.png

    «Ci saranno quaranta gradi oggi», sottolineò Rangwalla mentre procedevano tra sobbalzi e scossoni sulla via accidentata che portava fuori dalla Colonia della Forza Aerea, il complesso in cui viveva Chopra. L’ispettore non faceva fatica a crederci. Già sentiva la maglietta incollarsi alla schiena, e un rivolo di sudore gli colava da sotto il berretto inzuppandogli il naso.

    Era l’estate più calda a Mumbai da oltre vent’anni. E per il secondo anno di fila i monsoni non erano arrivati nel periodo previsto.

    Come al solito, la strada per la stazione di polizia era completamente intasata dal traffico. Tuk tuk ronzavano nel fumoso labirinto urbano, una minaccia vagante per gli uomini come per le bestie. Una bassa nube di smog intrappolava il calore, le polveri assaltavano senza pietà le narici di Chopra mentre si sporgeva fuori dalla vettura e strizzava gli occhi per mettere a fuoco gli innumerevoli, giganteschi cantieri che erano spuntati qui e là come funghi all’avvicinarsi delle elezioni. Un operaio con dei pantaloncini e una tunica macchiata, in equilibrio precario su una trave sospesa di bambù, disegnava dei baffoni sul volto di un ben noto politico.

    Chopra si tirò indietro mentre il mercato locale scivolava via ai lati e l’aria, gonfia di spezie, era impregnata dell’odore di verdure che marcivano. Una fila di venditori di cibo ambulanti aggiungeva altro miasma all’atmosfera irrespirabile: operai edili dallo stomaco di ferro si mettevano in coda per le loro razioni mattutine di porcherie, che friggevano su giganteschi fornelli alimentati da bombole di butano.

    Più giù lungo la strada, videro un elefante che caracollava in avanti, con un mahout appollaiato sulla schiena. L’uomo aveva un cappello da sole di bambù ben calcato sulle orecchie. Chopra osservò la bestia che si allontanava piano. «Un elefante!», mormorò tra sé e sé, ricordando la precedente conversazione con Poppy. Di certo doveva esserci un errore!

    elefantebianco.png

    Una folla si era radunata nel cortile della stazione. Dapprima Chopra pensò che si trattasse della sorpresa che i ragazzi gli avevano preparato… e poi notò che era una massa di cittadini sudati, una di quelle che parevano materializzarsi come per magia ogni volta che per le strade non asfaltate di Mumbai scoppiava un litigio.

    Una voce profonda emerse dai recessi della calca bovina di corpi.

    Nel bel mezzo della folla, Chopra vide una figura grassoccia e madida di sudore: il giovane agente Surat veniva rumorosamente aggredito da una donna bassa e tarchiata con un sari marrone-grigio.

    «Mio figlio è morto e questi non alzano un dito!», stava urlando la donna. «Pensano solo a servire i loro ricchi padroni! Ma io non glielo permetterò!».

    Un certo numero di cloni della donna, tutte con la stessa espressione indignata, mormorava incoraggiamenti ai bordi del cerchio umano.

    Chopra notò immediatamente che la donna aveva occhi rossi e gonfi, come se avesse pianto. Ciocche di capelli grigi sfuggivano dall’acconciatura e si incollavano alla fronte sudata, sulla quale era sceso un bindi rosso che aggiungeva un ulteriore tocco di trascuratezza. Di fronte all’uniforme di Chopra, e alla sua espressione severa, la donna per un attimo smise di urlare.

    Chopra sapeva bene di essere una figura autoritaria. Era un uomo alto, con le spalle ampie, bei lineamenti e una folta chioma di capelli corvini, ed era invecchiato bene. La pelle scura era ancora priva di rughe; occhi neri, profondi ed espressivi, sotto sopracciglia decise, gli conferivano un’aria di serietà. Il naso, come gli giurava sua moglie, aveva carattere. In privato, Chopra era molto orgoglioso dei baffi, che si rizzavano fieri e curatissimi come un saluto militare.

    «Che succede, signora?», le domandò Chopra con voce severa.

    «Perché non lo chiede a lui?». Indicò Rangwalla, che distolse lo sguardo dal dito puntato della donna e fissò Chopra.

    «Guardate!», gridò la donna alla folla di curiosi. «Non l’ha neppure detto all’ispettore sahib! Se fossi venuta qui con una grande Mercedes bianca, mi sarebbero saltati intorno come cagnolini! Ma per una povera donna e il suo povero figlio non c’è giustizia!».

    «Basta!», latrò Chopra. Con soddisfazione vide che tutti fecero immediatamente silenzio, compresa la donna. «Rangwalla, spiegami che cosa sta succedendo».

    «Che cosa potrà mai spiegare?», esplose la donna. «Glielo spiego io! Mio figlio, il mio prezioso ragazzo, è stato ammazzato! Il suo corpo riposa nella vostra stazione di polizia sin dalla scorsa notte. Finora, neppure un solo agente, nemmeno uno, si è degnato di venire a casa mia per fare un rapporto. Tutta la notte ho aspettato, piangendo il mio caro figlio».

    «Rangwalla, è vero?»

    «È vero che abbiamo un corpo, signore».

    «Dov’è?»

    «Sul retro, signore».

    «Signora, devo chiederle di attendere qui. Rangwalla, vieni con me».

    Rangwalla seguì Chopra sul retro della stazione di polizia, dove si trovavano le celle e i depositi. Dietro le sbarre, una masnada di ubriaconi dormiva beatamente. Un ladro locale, che Chopra conosceva bene, lo salutò cerimoniosamente.

    In magazzino, su una pila di casse di banane, giaceva il corpo.

    Chopra tirò via il lenzuolo bianco che lo copriva e studiò il volto gonfio, cereo. Il ragazzo era stato molto bello, da vivo.

    «Perché non me lo hai detto?»

    «È il suo ultimo giorno. E il ragazzo ormai è morto. Un chiaro caso di annegamento».

    «Il mondo non si ferma solo perché è l’ultimo giorno di lavoro dell’ispettore Chopra», replicò severamente prima di aggiungere: «Dove è stato ritrovato?»

    «A Marol, allo sbocco delle tubature. Deve essere caduto nel canale di scolo. A giudicare da quanto puzzava, poi…».

    «Ma il canale dovrebbe essere quasi asciutto», disse Chopra, perplesso. «Non piove da mesi».

    «Sembra che fosse ubriaco. Accanto al corpo è stata rinvenuta una bottiglia di whisky».

    «Chi lo ha trovato?»

    «A dare l’allarme è stato un uomo del posto. Hanno mandato un ragazzo ad avvertirci. Ho fatto portare qui il corpo, e ho spedito Surat a fare qualche domanda, ma nessuno ha visto niente».

    Buffo, pensò Chopra: in una città di venti milioni di abitanti, in cui era virtualmente impossibile godersi un attimo di privacy, i suoi buoni concittadini riuscivano molto spesso a non vedere proprio nulla.

    «Perché il corpo è stato portato qui?». Era inusuale che un cadavere finisse alla stazione di polizia. Di solito venivano trasportati direttamente all’ospedale locale.

    «Abbiamo contattato l’ospedale, ma a quanto pare avevano dei problemi. Credo che un qualche folle abbia messo su un blocco stradale e assaltato i veicoli di passaggio. Ho pensato che fosse meglio prendere in carico il corpo e tenerlo in custodia fino al mattino».

    Chopra aveva capito tutto. Le imminenti elezioni avevano surriscaldato gli animi. In tutto il Paese, la gente comune – i folli cui si riferiva Rangwalla – faceva sentire la propria voce. Era un periodo particolarmente pieno per gli agenti di polizia di Mumbai. Gli indiani, in generale, non credevano nelle dimostrazioni tranquille.

    «Hai un panchnama

    «Sì». Il panchnama veniva stilato dal primo agente sulla scena del crimine e controfirmato da due persone di elevata caratura morale, le quali confermavano che era stato rinvenuto un corpo e che la polizia era stata debitamente convocata. Rangwalla si era comportato bene. In molte aree di Mumbai, trovare due cittadini di elevata caratura morale era più difficile che trovare l’assassino, si era spesso detto Chopra.

    «Come è stato identificato?»

    «Il ragazzo aveva la patente. Ci siamo messi in contatto con la famiglia. Ieri sera è arrivata la madre e ha confermato la sua identità. Ha fatto una bella scenata. Sono stato costretto a rimandarla a casa».

    Perdere un figlio… Che terribile shock! Non c’era da stupirsi che la donna fosse fuori dai gangheri.

    «Senta, signore, non la prenda nel modo sbagliato ma… presto questo sarà un problema dell’ispettore Suryavansh. Lasci che se ne occupi lui».

    Suryavansh era il suo successore. Chopra esitò, ma ben presto si rese conto che Rangwalla aveva assolutamente ragione. Era una questione di protocollo, in fin dei conti. Da lì a poche ore non sarebbe più stato un agente di polizia. Non sarebbe più stato l’ispettore Chopra, solo il buon vecchio Ashwin Chopra, un altro membro della aam junta, la popolazione di un miliardo di uomini che rendeva grande l’India.

    Improvvisamente fu invaso da un profondo senso di malinconia.

    elefantebianco.png

    Il giorno passò più velocemente di quanto avesse ritenuto possibile.

    La donna, dopo aver rilasciato la propria dichiarazione a Rangwalla, aveva finalmente accettato di farsi riaccompagnare a casa. Chopra si era accomodato su una sedia di legno consumata e, chino sulla scrivania, si era dedicato alle varie formalità del suo ultimo giorno in ufficio.

    Sulla sua testa, il ventilatore cigolava spostando aria calda da una parte all’altra della stanza, mentre l’orologio del «Times of India» ticchettava scandendo gli ultimi istanti della sua carriera. A Chopra sembrava il rumore di una bomba a orologeria.

    All’ora di pranzo aprì il box portavivande e annusò il suo pasto. Chopra era orribilmente allergico allo zenzero, la cui semplice presenza era più che sufficiente per farlo starnutire in modo incontrollabile, e aveva da tempo preso l’abitudine di controllare sempre il cibo che mangiava, pur sapendo che era molto raro che sua moglie se ne dimenticasse. Quel giorno Poppy gli aveva preparato aloo gobi e chapatti, ancora caldi dentro il contenitore a chiusura ermetica. Ma lui non aveva appetito.

    Spinse via la scatola di acciaio nel momento stesso in cui Poppy lo chiamò per ricordargli di prendere le medicine. Chopra prese scrupolosamente la bottiglietta dalla tasca, si fece cadere due pastiglie sul palmo della mano e le buttò giù con un sorso d’acqua e un piccolo brivido.

    Quel rituale lo depresse molto.

    elefantebianco.png

    Alle tre venne sorpreso da una chiamata da parte dell’assistente commissario di polizia, ACP Suresh Rao. Chopra aveva fatto rapporto a Rao per anni – la stazione di Sahar era una delle tre che ricadevano sotto la sua giurisdizione. Non erano mai andati molto d’accordo. Rao un tempo era a capo della stazione di Chakala, poco lontano, e Chopra lo aveva sempre giudicato un poco di buono e un ipocrita; un piccolo dittatore dal volto pieno e la pancia sporgente, famoso per il clientelismo e un esuberante uso della forza di polizia. Dato che le cose andavano in una certa maniera nella polizia di Brihanmumbai, Rao era stato promosso, mentre Chopra era rimasto dov’era.

    Chopra si chiese per un attimo se Rao l’avesse chiamato per godersi il suo momento di trionfo. L’ACP era al settimo cielo da quando aveva scoperto che Chopra era costretto a ritirarsi a vita privata. Ma Rao lo sorprese lanciandosi subito in tutt’altra direzione. «Chopra, sono stato informato del ritrovamento di un corpo a Marol la scorsa notte».

    «Sì», disse Chopra, «è corretto». Non riusciva proprio a costringersi a concludere le frasi con un signore, quando parlava con l’ACP.

    «Voglio sapere chi è stato a dare l’ordine di portare il corpo nella vostra stazione, invece che in ospedale».

    Un attimo di esitazione, poi Chopra rispose: «Sono stato io». Non voleva che ci andasse di mezzo Rangwalla. «Esattamente, qual è il problema?»

    «Be’, non è questa la procedura, o sbaglio?», si lamentò l’ACP. «In ogni modo, assicurati che il corpo venga mandato in ospedale seduta stante. Ricorda, Chopra, questo è il tuo ultimo giorno. Non hai più motivo di sentirti coinvolto personalmente».

    «Non mi sentirò più coinvolto alle sei del pomeriggio in punto», rispose Chopra.

    «Che testa dura!», replicò Rao, perdendo la calma. «Bene, lasciati dire una cosa, Chopra: sono finiti i giorni in cui potevi ribellarti». Trasse un profondo respiro. «Porta quel corpo all’ospedale. È un ordine!».

    «E l’autopsia?»

    «Quale autopsia?»

    «La morte del ragazzo potrebbe anche essere il risultato di un’azione criminosa. Ho intenzione di autorizzare l’autopsia».

    «Non farai proprio nulla, invece!», esplose Rao. «Il caso è aperto e chiuso immediatamente. Il ragazzo è annegato. Non c’è alcun bisogno di autopsie».

    Ma che succede?, pensò Chopra. «Come fa a sapere che il ragazzo è annegato?».

    Rao iniziò a sputacchiare e balbettare, e poi disse: «Sapere cose del genere è il mio lavoro. È per questo che io sono ACP e tu no. E adesso stammi a sentire: non ci sarà nessuna autopsia. Il ragazzo è annegato. Il caso è chiuso».

    «Forse deciderò in autonomia», disse Chopra d’istinto.

    «Per Dio, ma chi accidenti credi di essere!», tuonò Rao. «Mi farò consegnare il tuo tesserino e…». Si bloccò, rendendosi conto che la sua minaccia non aveva alcun senso. E poi: «Porta quel corpo all’obitorio e basta».

    Rao sbatté il telefono con forza.

    Chopra fissò il muro per un lungo momento prima di posare finalmente la cornetta sul ricevitore.

    elefantebianco.png

    Arrivò la fine della giornata. L’ispettore Chopra cominciò a sgombrare le sue cose. Si era portato dietro uno scatolone in cui sistemò accuratamente il contenuto del cassetto e della scrivania. Non c’era un granché, dopo tutti quegli anni. Non era mai stato quel tipo di agente che decora l’ufficio con oggetti personali e roba privata. Niente foto di Poppy, niente foto di bimbi; niente ritratti incorniciati dei genitori ormai trapassati. C’erano un portapenne dorato e un calamaio, regalo della moglie per un compleanno. C’erano le targhe che aveva ricevuto dopo aver toccato i dieci, i venti e i trent’anni di servizio. C’era la sua lampada da scrivania, alla cui luce aveva scritto innumerevoli rapporti, nella pace delle serate in stazione. C’era la lucertola impagliata con gli occhi di vetro che il suo vecchio amico, Ashok Kalyan, gli aveva donato così tanti anni prima, per ricordargli scherzosamente di quella volta in cui era caduto in un pozzo, nel loro villaggio di Jarul nel distretto di Aurangabad del Maharashtra. Ashok era corso al salvataggio, ma non prima che Chopra si consumasse i polmoni a forza di urlare dal terrore per le innumerevoli lucertole che gli si erano lanciate addosso, anche loro accecate dal panico. (Chopra ancora adesso odiava quelle piccole creature, e ogni monsone per lui era un brivido, dato che in quel periodo le bestioline avevano l’abitudine di infilarsi negli appartamenti di Mumbai e restare in agguato dietro le tende, o nei bagni, scappando via all’improvviso).

    Chopra era deluso perché non aveva ricevuto una chiamata da Ashok. Ashok era MLA – membro dell’Assemblea Legislativa – per il collegio di Andheri est di Mumbai, dove viveva Chopra. Sapeva che in quel periodo Ashok era impegnatissimo, con le elezioni e via dicendo, ma aveva comunque sperato in una sua chiamata. In fin dei conti, si conoscevano da molto tempo; dall’epoca, per la precisione, in cui avevano iniziato assieme nel corpo di polizia di Mumbai, più di trent’anni prima.

    Chopra esitò per un attimo fissando la foto incorniciata che lo ritraeva mentre riceveva il Kirti Chakra, una medaglia al valore da parte del vicecommissario di polizia. Risaliva a nove anni prima, quando aveva guidato un raid in un magazzino nell’adiacente quartiere industriale MIDC-SEEPZ, dove si era rintanato il famigerato gangster Narendra Kala Nayak. Nayak era diventato l’obiettivo di una colossale caccia all’uomo per tutta Mumbai, ma era stato Chopra, con la sua brigata di agenti locali, a inchiodarlo.

    Chopra rimosse la foto dal muro e la mise insieme agli altri effetti personali.

    Tutto considerato, era un ben misero bottino. Piuttosto deprimente.

    Mentre finiva di raccogliere le sue cose, accadde un evento curioso. Scoprì che una strana sensazione gli risaliva dalla bocca dello stomaco, sommergendolo piano ma inesorabilmente. «È solo un giorno come un altro», mormorò tra sé e sé, ma le parole suonavano vuote, persino alle sue stesse orecchie. Si preparava a quell’istante da otto mesi, sin da quando il dottore aveva confermato le sue peggiori paure; e tuttavia, adesso che il momento fatidico era arrivato, scopriva di essere solo un uomo, un uomo mortale.

    Persino l’ispettore Chopra, che non permetteva mai alle sue emozioni di avere la meglio su di lui, l’uomo che si manteneva sempre razionale e posato, poteva essere sommerso dal sentimentalismo.

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    Alla fine, era arrivata l’ora di andarsene. «Rangwalla, chiamami un tuk tuk, per piacere».

    Rangwalla lo guardò, stupefatto. «Ma, signore, la porto a casa io con la jeep».

    «No!», disse bruscamente Chopra. «Non sarebbe appropriato. A partire da questo istante, non sono più un agente di polizia. Sono un privato cittadino, e di conseguenza non ho alcun diritto di tornare a casa a bordo di una jeep della polizia. E tu non sei più obbligato a chiamarmi signore».

    «Sì, signore».

    Chopra non poté fare a meno di notare le lacrime che scintillavano agli angoli degli occhi di Rangwalla. Vent’anni di servizio fianco a fianco… era un sacco di tempo, per chiunque. Se Chopra avesse dovuto scegliere un amico tra i suoi subalterni, sicuramente avrebbe fatto il nome di Rangwalla.

    Era un uomo sottile con un volto scuro devastato dall’acne giovanile, anche se i crateri erano adesso parzialmente nascosti sotto una barbetta ben curata. Devoto musulmano, nel corso degli anni si era dimostrato un luogotenente molto abile. La mancanza di un’educazione formale era compensata dai duri anni passati sulle strade del Bhendi Bazaar, un’enclave musulmana nella Mumbai meridionale. Lì si era fatto le ossa; era raro che un agente entrato nelle forze dell’ordine grazie agli esami di ammissione arrivasse fino al rango di sotto-ispettore, ma Rangwalla aveva ciò che Ashok Kalyan avrebbe definito l’intelligenza della strada, una virtù che Chopra percepiva in rapido declino nell’India moderna.

    elefantebianco.png

    Il tuk tuk arrivò e l’agente Surat caricò le scatole con gli effetti personali di Chopra; l’ispettore diede la mano a ciascun membro del personale, in un’atmosfera formale, e scoprì che molti uomini non riuscivano a nascondere le proprie emozioni. Tutti gli avevano portato un regalo; lo consegnarono con la dovuta solennità. L’agente Surat, che era giovane, sovrappeso e impressionabile, idolatrava Chopra. Gli diede una statua di marmo di Krishna che suonava il flauto, senza smettere neppure un attimo di versare amare lacrime.

    Chopra, in piedi accanto al

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