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Le piramidi del potere (eLit): eLit
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E-book351 pagine4 ore

Le piramidi del potere (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Office 119 2


25 dicembre: una bomba squarcia una cattedrale a Jakarta. Con il passare delle ore altre esplosioni terroristiche si susseguono in ogni angolo del globo, provocando panico e concretizzando un incubo senza precedenti. L’agenzia segreta conosciuta solo come Ufficio 119 assegna agli agenti Renate Bachle e Lawton Caine il compito di identificare l’organizzazione responsabile del disastro mondiale. Ma gli attacchi del cosiddetto Natale Nero sono solo fumo negli occhi per nascondere una cospirazione più sinistra e inquietante. Società segrete senza scrupoli che risalgono a migliaia di anni prima sono all’opera con uno scopo ben preciso: il dominio globale.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2018
ISBN9788858988657
Le piramidi del potere (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Le piramidi del potere (eLit) - Rachel Lee

    successivo.

    Prologo

    Jakarta, Indonesia

    Arief Sarwan guardò i suoi bambini seduti sulla panca al proprio fianco e sorrise. Il Natale era stato gentile con la sua famiglia. La ditta di elettronica per cui lavorava aveva sfornato più di duecentomila unità di CyberJoey, il cucciolo di canguro che quell'anno era il regalo natalizio più venduto in Australia. Il progetto era di Arief, che aveva curato anche buona parte del design. In quel momento, decina di migliaia di piccoli australiani battevano felici le mani mentre il costoso robot saltellava intorno agli alberi decorati, percuotendo il pavimento con la coda.

    Qualcuno avrebbe potuto giudicare assurdo riversare due anni di vita in un chilo e mezzo di plastica, nylon, silicone e metallo che avevano dato forma a uno degli animali più noti della terra, destinato ad attirare i bambini dai cinque ai nove anni, nonché i dollari dei loro genitori. Ma per come la vedeva Arief, far sorridere i bambini era una nobile vocazione.

    E un progetto di successo era anche un progetto remunerativo. Il buon esito di CyberJoey aveva significato non solo una promozione con conseguente aumento di stipendio, ma anche un bonus sostanzioso. Era quello che avrebbe permesso a sua figlia di realizzare il proprio sogno e trasferirsi negli Stati Uniti per frequentare la Notre Dame University, l'autunno successivo. Voleva studiare medicina in America, presso l'università cattolica. Non una qualunque, ma l'università cattolica per eccellenza, la migliore del paese. Arief ridacchiò nel ricordare quante volte lei lo avesse tormentato su quel punto.

    Sollevò gli occhi sul coro e la vide, nella sezione riservata ai contralti, bella e slanciata, con i lunghi capelli scuri a incorniciare un viso che ogni giorno di più gli ricordava quello della madre. Per un istante, tornò a percepire il dolore.

    La perdita della donna che era stata sua moglie per vent'anni, vittima del cancro, aveva funestato i due Natali passati. Arief aveva reagito tuffandosi nel lavoro, ma in quegli ultimi mesi era arrivato a pensare che lo spirito della moglie abitasse tutti i CyberJoey. Gli occhi del giocattolo erano i suoi. E se un bambino australiano poteva guardare quegli occhi e leggervi amore, allora lei era viva nel cuore di quel bambino.

    Cosa non sorprendente, la Jalan Cathedral era strapiena. La messa natalizia di mezzogiorno era sempre la più affollata, ma era quella a cui Arief assisteva ormai da vent'anni, nel rispetto di una tradizione che iniziava alle sette del mattino con l'apertura dei regali e continuava fino alla cena del tardo pomeriggio. Ora era sua figlia a prepararla, ma le tradizioni restavano, e con esse, la speranza che un giorno lui si sarebbe sentito di nuovo completo.

    Fu quello il pensiero che venne frantumato dal lampo accecante, seguito immediatamente dalla forza prorompente della scossa, mentre in un istante la cattedrale, da porta per il paradiso, si tramutava in una voragine infernale. L'ultima immagine che si impresse nella retina di Arief fu quella di sua figlia scaraventata fuori da una finestra da una mano invisibile. Poi le fiamme lo consumarono.

    Baden-Baden, Germania

    Michael Zeitgenbach non sentiva le urla intorno a sé. La violenta scossa gli aveva lacerato i timpani. In una frazione di secondo, la pace della messa mattutina era andata in frantumi, e ora lui percepiva solo il peso della pietra sulla parte inferiore del corpo. Sua moglie Kirsten avrebbe dovuto trovarsi da qualche parte accanto a lui, ma il mondo era nero, l'aria densa di polvere e cenere.

    Avrebbe dovuto provare più dolore, lo sapeva. Invece, avvertiva solo una sorta di pressione dalla cintola in giù. Mentre abbassava il braccio, nel vano tentativo di liberarsi di quattrocento chili di granito chiazzato di sangue, comprese che stava per morire. Dal suo addome sporgeva lo stelo di un lampadario che solo pochi istanti prima era appeso al soffitto. Quando cercò di rimuoverlo, un dolore lancinante lo trafisse. Kirsten, che era medico, avrebbe potuto dirgli che il metallo gli aveva perforato la spina dorsale.

    Avrebbe dovuto essere lì. Erano seduti vicini, la mano nella mano, e ascoltavano le tradizionali letture natalizie, quando il mondo era esploso in un lampo di fuoco, tuono e oscurità. Ma per quanto si allungasse, Michael non trovò nessuno. Nessuno... tranne una bambina. Tese di nuovo il braccio e toccò la piccola mano.

    La mano di sua nipote. Sapeva che era lei perché portava ancora il bracciale che le aveva dato quella mattina.

    Un solo regalo, le aveva detto, e gli altri dopo la messa. Però non ci sarebbero stati altri doni, perché la mano della bimba era inerte come la sua, e lui non avvertiva alcuna pulsazione.

    Le lacrime gli gonfiavano gli occhi mentre tastava intorno a sé, sperando contro ogni speranza di trovare Kirsten. Ma così non doveva essere. Forse giaceva ad appena un metro di distanza, o forse era sepolta sotto le pietre che gli schiacciavano le gambe.

    Comunque fosse, non la trovava.

    Così tornò a prendere la mano della nipote, quelle dita inerti, l'ultimo contatto umano che doveva accompagnarlo all'eternità.

    Boston, Massachusetts

    Kevin Daugherty lavorava con la furia di un uomo posseduto. Aveva percepito il rombo attraverso il pavimento della caserma un istante prima che l'esplosione mandasse in frantumi le finestre. Come gli altri uomini della compagnia, aveva accettato di malagrazia il turno della vigilia. Avrebbe voluto andare alla messa di mezzanotte con sua moglie Mary, i figli, i propri genitori, i fratelli e i nipoti. La messa di mezzanotte era sempre stata una tradizione per i Daugherty.

    Be', ora era nella cattedrale della Santa Croce, e non come fedele, ma come vigile del fuoco. Come figlio, fratello, marito, padre, cercando i suoi. Tenendosi curvi sotto la parete d'acqua alimentata dalle manichette, lui e il suo collega scalciavano vetri rotti e rialzavano panche ancora fumanti, nella speranza di trovare segni di vita sui volti anneriti.

    Il nonno di Kevin raccontava aneddoti sugli edifici bombardati in Francia, nelle prime settimane successive al D-day, e a New York un secondo cugino aveva contribuito a rimuovere le macerie del World Trade Center. Vigile del fuoco da quattro anni, Kevin aveva visto la sua parte di fabbricati rasi al suolo, ma nulla lo aveva preparato a quello che vedeva ora.

    «Daugherty, dovete uscire di lì.» La voce del capitano crepitò alla radio.

    «Potrebbero esserci dei superstiti» rispose lui. «I miei sono qui da qualche parte. Devo trovarli.»

    «Stiamo per perdere l'edificio. Dovete uscire subito. È un ordine, Daugherty.»

    Scuotendo la testa, Kevin allontanò con un calcio dei messali carbonizzati, aprendo la strada fino alla fila successiva di panche, finché una mano gli si posò sulla spalla. Si volse e vide il suo collega, Gerry O'Brian, gli occhi dilatati dietro la maschera.

    «Dobbiamo andare, Kev» disse Gerry, indicando il soffitto. «Sta per crollare.»

    Kevin alzò gli occhi sulla sezione di tetto, che si gonfiava e si sgonfiava. Come dotato di vita. Quando cominciava a respirare, un fabbricato era destinato a cedere. Era la regola base del loro addestramento: fuori.

    Ma sua moglie era lì da qualche parte, insieme a Kevin junior e alla piccola Becky. Non poteva abbandonarli al fuoco spietato, lasciarli diventare null'altro che forme carbonizzate che giorni più tardi le squadre di soccorso avrebbero estratto dalle macerie.

    «Io non me ne vado» disse. «Devo trovarli.»

    «Tutti quelli che erano qui sono morti» disse Gerry. «E moriremo anche noi. Ce ne andiamo. Subito.»

    «Vai tu» disse Kevin.

    Gerry scosse la testa. «Non è così che funziona, Kev. Se tu resti, resto anch'io. Se vado, vieni anche tu. Hai intenzione di uccidere anche me?»

    C'era del vero in quelle parole. Il collega e la squadra addetta alle pompe non lo avrebbero abbandonato. Se fosse rimasto in quell'inferno, loro sarebbero morti con lui, ma non aveva il diritto di aggiungere al proprio il dolore delle loro famiglie. Lentamente aprì le dita e l'accetta gli cadde di mano. Lacrime amare gli appannarono la vista mentre tornava arrancando dietro le manichette, dirigendosi verso l'uscita.

    Poteva sfuggire alle rovine della cattedrale. Ma non sarebbe sfuggito alle rovine della sua vita.

    1

    Roma, Italia

    Renate Bächle aveva trascinato Lawton Caine alla messa di mezzanotte a San Pietro. Come fosse riuscita a procurarsi gli ambiti biglietti di invito per ascoltare il Pontefice celebrare una delle due messe più belle dell'anno, non lo disse. Si era limitata a guardarlo con quei gelidi occhi azzurri che da qualche tempo a volte scintillavano. Scintillavano quando lui chiedeva.

    Lawton Caine, un tempo Tom Lawton dell'FBI e ora un morto con una nuova identità che lavorava per il segretissimo Ufficio 119 delle Nazioni Unite, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Era un cattolico apostata a cui piaceva esserlo.

    Ma la messa di mezzanotte... be', era diversa da tutte le altre a cui aveva assistito. Non si respirava alcun senso di urgenza, alcuna necessità di rispettare un programma, non c'erano bambini stanchi che desideravano il letto e distraevano i genitori.

    No, quella era stata una messa interamente consacrata allo spirito, ogni momento vissuto come se fosse fine a se stesso. Dignitari provenienti da tutto il mondo avevano condiviso la solenne celebrazione, e Tom aveva lasciato la basilica con la sensazione di essere entrato in comunione con l'essenza stessa del cattolicesimo per la prima volta in vita sua.

    In breve, era annichilito.

    Anche Renate era annichilita. Per quei pochi momenti si era concessa di provare una sensazione che si negava da molto tempo: vulnerabilità. Si era aperta al miracolo che la messa si proponeva di essere. Ovviamente, quella vulnerabilità non sarebbe durata a lungo, perché era uno stato che aveva cancellato dalla propria natura.

    Ma dopo la funzione, aveva confessato a Lawton di sentire la mancanza dei Weihnachtsmärkte, i tradizionali mercatini natalizi che si tenevano in tutte le città della Germania. Aveva lasciato che la sua mente tornasse ai ricordi di quelle piazze festose e decorate di luci, dove carole, risate e Glühwein fluivano in egual misura. Sorprendendolo, lo aveva condotto nel centro cittadino, nel piccolo ristorante tedesco che restava aperto tutta la notte. Lì avevano bevuto il vino caldo e speziato, si erano uniti ai canti e avevano mangiato Bratwürste che, se non bastavano a farla sentire di nuovo a casa, gliene davano almeno un assaggio.

    Sapeva che a Tom mancavano Miriam e Terry Tyson, amici che risalivano ai tempi della sua vita con l'FBI, e la cosa più vicina a una famiglia che avesse avuto. Sperava che la cena gli fosse di qualche conforto.

    Uscirono alle cinque del mattino e vagabondarono per le strade buie di Roma, assaporandone l'antichità e la storia che sembravano saturare perfino l'aria. Alla Fontana di Trevi si attardarono, tremando per il freddo, e ricevettero la benedizione di un sacerdote che passando sorrise... probabilmente pensando che fossero amanti. Il religioso tracciò brevemente un segno di croce, pronunciando le parole latine: In nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti.

    Magico. «In questo momento» disse Renate, «i miei genitori e il resto della famiglia sono a messa.» Parlava di rado dei suoi. Anche lei, come tutti gli agenti dell'Ufficio 119, era ufficialmente morta. Salvo che per i colleghi.

    Quando Tom allungò la mano a stringere la sua, lei non la ritrasse.

    E poi di colpo la magia si infranse.

    Udirono un rombo e videro fiamme levarsi nel cielo che andava ormai schiarendosi. Quasi nello stesso istante si attivarono i loro cercapersone, un bip stridulo quello di lei, quello di lui un ronzio insistente.

    Si scambiarono uno sguardo preoccupato e saltarono sul primo taxi che trovarono. Renate chiuse la porta sulla vulnerabilità. Era ora di tornare al lavoro.

    «Le bombe sono esplose a pochi minuti di distanza l'una dall'altra» stava dicendo l'uomo che tutti chiamavano Jefe. Nella sua vita precedente, Tom lo conosceva come John Ortega, un collega dell'FBI. Ora il suo nome era sconosciuto e taciuto, e lui era semplicemente il Jefe. Il Capo. «La messa di mezzanotte a Boston. La prima del mattino a Baden-Baden e qui a Roma. La messa di mezzogiorno a Jakarta. Tutte regolate a quindici minuti dopo l'ora. Probabilmente non volevano farsi scappare i ritardatari.»

    «Baden-Baden» bisbigliò Renate, e da roseo il suo viso si fece cinereo.

    Il Jefe la guardò. «Qualcosa non va?» chiese.

    «La mia... la mia famiglia» sussurrò lei, violando il codice non scritto del silenzio, un codice la cui validità era rafforzata dal desiderio di proteggere i propri cari.

    Sul suo volto era tornato il colore, ma non era la radiosità di qualche ora prima. Qualunque calore avesse percepito, si era congelato in una fredda risoluzione omicida.

    Tom le posò una mano sulla spalla. «Calmati, Renate. Al momento non sai nulla di certo.»

    «Sì» approvò il capo. «E poi, le informazioni arrivano col contagocce. Ancora non abbiamo dati sicuri.»

    Renate gli teneva gli occhi addosso. «Tutta la mia famiglia era alla messa delle sei a Baden-Baden.»

    Dall'esterno, arrivava solo vagamente l'incessante lamento delle sirene.

    Le notizie continuavano ad affluire, ma per ore solo a lunghi intervalli. Il caos che regnava nelle città colpite era tale che ben poco trapelava dalle zone interessate. Tutti erano impegnati ad affrontare morte e devastazione.

    Un enorme schermo trasparente mostrava una mappa mondiale, i confini politici tratteggiati in blu, i continenti in verde. Col trascorrere della mattinata, a mano a mano che arrivavano i rapporti, sempre più punti rossi comparvero in corrispondenza delle città.

    I grandi schermi televisivi montati su un'altra parete erano sintonizzati su CNN International, Al Jazeera e altre stazioni di Europa, Asia e America. Cominciavano ad arrivare le prime immagini della distruzione, ma di certo si sapeva ben poco.

    Col tempo, fu possibile identificare altri bersagli: una piattaforma di trivellazione nel Mare del Nord, impianti nucleari nel Nuovo Messico e a Kiev, e i sistemi informatici della Borsa di New York.

    Ma a dispetto di questi altri obiettivi, la mappa raccontava una storia dell'orrore. Non c'era da dubitare che i terroristi si fossero accaniti soprattutto sulla Chiesa Cattolica. Insieme ad altri bersagli, in tutte le aree colpite era andata distrutta una grande cattedrale. La sola eccezione era Baden-Baden, dove si era trattato di una semplice parrocchia al limitare della città.

    «Baden-Baden non quadra» osservò Tom. «Perché due chiese nella stesso fuso orario? Perché non un'altra cattedrale? Perché non Colonia o Notre Dame a Parigi?»

    «Non c'è nulla che quadri» disse il Jefe. «I rapporti iniziali dicono che non ci sono state vittime negli obiettivi economici. Secondo gli operai di quella piattaforma nel Mare del Nord, è stato dato loro il tempo di evacuare prima dell'esplosione. E tuttavia hanno fatto saltare chiese affollate da migliaia di fedeli innocenti. Non ha senso.»

    Un'altra piccola luce si accese, questa volta in Sud America. Brasile. Rio.

    «Forse hanno colpito Baden-Baden perché Parigi e Colonia erano eccessivamente protette» ipotizzò Margarite Renault. Ex membro della Sûreté, sulla quarantina, aveva classici lineamenti gallici e capelli e occhi scuri. «Le nazioni europee hanno rafforzato le misure antiterroristiche nelle principali città. Forse Baden-Baden è stata una scelta di ripiego.»

    Renate non poteva più stare ad ascoltare. Sapeva che cosa era stato fatto... e perché. La giustizia esigeva onestà. «Nessun ripiego. Hanno assassinato la mia famiglia. Non sono riusciti a trovare me, così hanno ucciso loro.»

    Una mezz'ora più tardi, Margarite trovò Tom in uno dei minuscoli uffici. «Sono preoccupata per Renate» mormorò. «È sempre così controllata, ma questo...» Si strinse nelle spalle. «Non può controllarlo. È successo, e ora deve... come si dice? Affrontarlo.»

    Tom annuì lentamente. Anche lui era più preoccupato di quanto volesse ammettere. Sapeva come avrebbe reagito Renate, se fosse stato dimostrato che la sua famiglia si trovava nella chiesa al momento dell'attentato. Era una donna dura e disciplinata, ma la luce fredda del suo sguardo non lasciava dubbi su quali fossero i suoi pensieri.

    Il cuore non gli permetteva di lasciarla sola in preda allo shock e alla furia. Entrò nel suo ufficio e si sedette di fronte alla scrivania. «Renate.»

    Lei lo ignorò, e non staccò le dita dalla tastiera.

    «Renate.»

    Lentamente, la donna alzò gli occhi. Lui avrebbe voluto vedervi delle emozioni. Un'emozione qualsiasi, perfino collera. Ma vide solo il gelo di un ghiacciaio senza vita.

    «Non stai lavorando» si azzardò a dire. «Stai cercando vendetta.»

    Una scintilla si accese nello sguardo di lei. «Non la merito, forse?»

    «Non sai nulla con certezza.»

    Rapida, Renate girò verso di lui il monitor. «Vedi? La Kirche. È sull'elenco. Sono morti.»

    Tom sentì pena per lei. «Forse...»

    «Nessun forse. Non dirmi forse. Io lo so.» Per una frazione di secondo, un dolore senza fine le raggrinzì il volto, ma scomparve con tanta rapidità che lui non poté essere certo di averlo colto.

    «Solo, ricorda la tua missione» disse. «La nostra missione, Renate. Non dimenticare chi siamo. Noi non siamo come loro.»

    «Sono animali» fu la replica. «E io ucciderò quelli che hanno massacrato la mia famiglia. Li ucciderò con le mie stesse mani.»

    «Renate!»

    Ma lei si era girata di nuovo verso il monitor ed era tornata alla propria ricerca di informazioni.

    Stranamente, Tom si scoprì a ripensare alla messa di mezzanotte e a pregare perché la famiglia di Renate non si fosse trovata in quella chiesa. Ma quando si volse e vide le immagini atroci che ora riempivano tutti gli schermi televisivi, decise che probabilmente quel giorno Dio non era del suo umore migliore. Anzi, probabilmente non stava ascoltando affatto.

    Nel tardo pomeriggio, cominciarono ad affluire le cifre. Non erano quelle annichilenti dello tsunami che aveva colpito l'Oceano Indiano del Natale precedente, ma i dettagli erano altrettanto orribili. Quegli attentati non erano un atto divino. Voluti dagli uomini, erano atroci al di là di ogni descrizione. Il Natale Nero, come avevano preso a chiamarlo i network, avrebbe figurato negli annali della storia insieme all'undici settembre.

    Renate sedeva alla propria scrivania, rigida come se avesse congelato ogni sentimento. Tom passava spesso a darle un'occhiata, me lei non alzava mai lo sguardo né interrompeva la sua ricerca.

    Tutti stavano facendo lo stesso. Tutti disponevano di informatori, di contatti con le vecchie agenzie, così da creare una rete collettiva che abbracciava il mondo intero. Settimane prima avevano colto i segni di una massiccia iniziativa terroristica, ma senza riuscire a individuarla con precisione. Particolare altrettanto inquietante, nessun gruppo aveva rivendicato la paternità degli attentati, mentre di solito i terroristi erano anche troppo ansiosi di farsi conoscere al mondo.

    Regnava il silenzio. Dalla polvere e dal fuoco si levavano solo le grida delle vittime.

    Fino a quel momento, i capi di stato avevano taciuto, in attesa di maggiori informazioni, e solo il Pontefice aveva rilasciato un breve comunicato, parlando di martirio e sofferenza, di consolazione e perdono.

    Perdono. Tom dubitava che per qualche tempo ce ne sarebbe stato molto.

    Riyadh, Arabia Saudita

    Ahmed Ashami serrò i pugni mentre seguiva i notiziari su tre schermi televisivi. La BBC, la CNN e Al Jazeera si concentravano quasi esclusivamente sugli attentati alle cattedrali, menzionando appena le altre operazioni... quelle effettuate da soldati veri. La collera bruciava dentro di lui come una fiamma al calor bianco.

    Tradito.

    Non avrebbe mai dovuto fidarsi di loro. I fanatici non servivano la causa dell'Islam. Ma aveva stretto un patto col diavolo, e il diavolo si era preso quanto gli era dovuto.

    Tre anni di attenta pianificazione erano stati vanificati nelle ultime dodici ore. Tre anni passati a discutere, blandire e convincere i fratelli islamici che avrebbero dovuto intraprendere una nuova via se volevano la pace e la libertà. Tre anni di ricognizioni, reclutamenti, addestramento e ancora addestramento, per creare una rete di squadre speciali che fossero degne di portare il vessillo di Allah. Tre anni dedicati a un unico obiettivo, al giorno che avrebbe visto l'ascesa dell'Islam a grande potenza politica e militare.

    Tradito.

    Su una scrivania vicina giaceva una videocassetta, una videocassetta che il mondo non avrebbe mai visto. Avrebbe dovuto venire recapitata agli uffici di Al Jazeera due ore prima. E allora tutti avrebbero conosciuto il nome Saif Alsharaawi... la Spada d'Oriente. Allora tutti avrebbero visto il volto di Ahmed Ashami, il volto della mediazione e della determinazione, ogni parola del discorso accuratamente pianificata.

    La vera giustizia, la vera pace non possono nascere dal sangue degli innocenti... l'Islam, così come il Cristianesimo e il Giudaismo, deplora la distruzione di vite innocenti... abbiamo dimostrato di poter colpire obiettivi militari ed economici legittimi ovunque e in qualunque momento, e di poterlo fare con la giustizia nel cuore e il nome di Allah sulle labbra... Chiediamo solo che l'Occidente permetta al popolo islamico di autogovernarsi, secondo le proprie convinzioni e i propri costumi, per perseguire i suoi sogni con la guida di Allah...

    Il discorso avrebbe dovuto essere un ramo d'ulivo, offerto con la sincerità di un popolo che aveva subito troppe ingiustizie e rinunciava a compierne altre. I giorni di Al Qaeda ed Hezbollah, degli attentati suicidi tesi a causare quante più vittime possibili, erano finiti. Se lui e i suoi fratelli avessero vinto quella guerra di ideologie, lo avrebbero fatto rispettando la vera volontà di Allah... e le leggi belliche.

    Erano questi gli argomenti che aveva proposto più e più volte, a mano a mano che saliva fino ai vertici della Saif Alsharaawi. Aveva approvato personalmente ogni obiettivo, assicurandosi della loro legittimità militare. Oleodotti e acquedotti, impianti nucleari, la Borsa di New York, il cuore stesso del materialismo occidentale, questi e gli altri che aveva inteso colpire erano stati selezionati dopo un'accurata valutazione.

    Le forze dell'Islam non potevano competere con l'Occidente in fatto di ordigni nucleari, missili intelligenti, aerei o navi. Ahmed lo sapeva e lo accettava. Anzi, aveva deciso di fare di questa disparità una pietra angolare del suo piano. Perché se mancava di alta tecnologia, l'Islam uguagliava l'avversario in forze operative scelte con cura, ben addestrate e altamente motivate. Loro erano la Saif Alsharaawi, un'arma capace di garantirsi la vittoria militare senza sacrificare la legittimità politica o morale.

    Ma non disponeva di un numero di squadre sufficienti agli attacchi di quel giorno, e per questo aveva forgiato quella che avrebbe dovuto essere un'alleanza basata sull'interesse reciproco. E i suoi alleati lo avevano tradito.

    Peggio ancora, avevano tradito l'Islam. Perché per quanto efficienti fossero state le sue squadre, le bombe alle cattedrali avevano spazzato via ogni possibilità di mediazione. E l'Occidente avrebbe agito non contro i suoi alleati, ma contro l'Islam. Quegli insensati attentati non avrebbero sortito alcun effetto se non quello di prolungare e intensificare la Quarta Crociata già lanciata contro il suo popolo.

    Ahmed sapeva che cosa doveva fare. E una volta superata la collera, avrebbe trovato la maniera per riuscirci.

    Avrebbe ritorto contro i colpevoli il loro tradimento.

    Moab, Giordania, 1230 a.C.

    «È l'ora.»

    Elezar, il giovane levita, guardò Mosé con qualcosa di molto simile al timore. Non aveva ancora l'età per diventare sacerdote, così serviva il profeta e imparava la via santa, come aveva fatto fin da quando aveva dodici anni. Servire un uomo che parlava con il Signore attraverso il fuoco e il fumo era spesso snervante.

    Ma nulla avrebbe potuto essere più snervante di quell'annuncio, perché significava che Mosé si preparava a morire. Elezar non riusciva a concepire un mondo senza di lui. Non credeva che il suo riverito bisbisnonno, Eleazar, fosse idoneo a prenderne il posto. Eleazar era un grande sacerdote, e poteva entrare nel tabernacolo senza perire né riportare danni, ma...

    Per quella gente Mosè era tutto, anche se non sempre lo riconosceva. Erano un popolo testardo, difficile da compiacere, spesso pronto a mormorare, quando Mosé non era lì a guidarlo. Elezar si sforzava di essere diverso, ma ora avrebbe voluto gridare al Signore che cancellasse la condanna posta su Mosé.

    «Vieni» disse questi, prendendo un bastone e indicandogli di fare altrettanto. «Dobbiamo salire sul Monte Nebo.»

    Lasciatisi alle spalle l'accampamento nella pianura, cominciarono a inerpicarsi sulla Montagna Pisgah, diretti alla vetta più alta, il Nebo. Elezar si era quasi aspettato di udire la voce di tuono del Signore, o di vedere fiamme sul picco, come le avevano viste i suoi antenati sul Monte Sinai. Che poi non era effettivamente il Sinai, ma Mosé si rifiutava di dirgli dove fosse realmente, e tutti coloro che con lui avevano lasciato l'Egitto erano ormai morti.

    Dopo una lunga, faticosa arrampicata, raggiunsero la sommità del Monte Nebo. Mosé spalancò le braccia, come a voler abbracciare lo stupefacente panorama.

    «Vedi laggiù, Elezar? È la terra che è stata promessa al figlio di Israele. Io non mi ci recherò con le tribù, e tu neppure.»

    Il giovane si irrigidì. «Ma io pensavo...»

    Mosé si volse a guardarlo; gli occhi più gentili di come Elezar li avesse mai visti.

    «Sediamoci e parliamo, Elezar.»

    Benché si dicesse che aveva centotrent'anni, il profeta si sedette

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