I viaggi di Adan
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Anteprima del libro
I viaggi di Adan - Crescenzo D’Onofrio
THEROUX
I
Africa
Il primo impatto con i colori dell’Africa per Adan è dall’alto, volando verso Johannesburg, una vertigine di gioia e smarrimento. Poi Maputo, le sue spiagge di sabbia bianca finissima e ancora, all’improvviso, l’incantevole baia di Pemba. Dopo mezz’ora di volo, l’arrivo a Nampula. Giungendo dall’alto, prima di atterrare, alberi maestosi si offrono allo sguardo in rapida successione: anacardi, palme, papaie, e poi mangrovie, acacie, baobab, coltivazioni di cotone e di manioca, intervallate qua e là da bizzarre forme rocciose. Una natura arrogante e padrona, scalfita appena da capanne e villaggi. La terra, di un caratteristico colore rosso, spicca con forza ed esuberanza in mezzo alla vegetazione. Mentre aspetta di ritirare il bagaglio, dai vetri dell’aerostazione Adan contempla le forme e i bagliori di un rapido tramonto africano. Contrastanti e intense emozioni si susseguono durante il viaggio che prosegue via terra, dopo il tramonto, in direzione della missione. Il paesaggio notturno dell’Africa, illuminato da una stupenda luna crescente, scorre attraverso i vetri del Land Cruiser. Alla guida c’è Rosita, giovane missionaria messicana, che Adan ha conosciuto a Roma pochi mesi prima, nella casa madre; una simpatia reciproca immediata. Qui si occupa con generosità del dispensario e dell’organizzazione dei pazienti, così come dei medici ospiti della missione. Il suo entusiasmo, la sua purezza, la sua voglia di vivere e di amare toccano il cuore. Le missioni sono molto importanti qui, costituiscono degli avamposti veri e propri nel paese, in aree spesso isolate e selvagge. Dopo la devastazione della guerra civile il Mozambico si sta aprendo al mondo e nessun viaggiatore può fare a meno di esse per i suoi spostamenti, per ristorarsi o acquisire informazioni di viaggio.
«Africa! Finalmente l’Africa!», esclama Adan rivolgendosi a Rosita, «distese sconfinate, dipinte e scolpite dalla mano di Dio! I colori sono brillanti, forti, come quelli del tramonto di poco fa», continua.
«Io da anni vivo qui, ma ancora oggi, quando con le altre sorelle missionarie siamo in giro nei villaggi, al momento del tramonto ci fermiamo e rimaniamo immobili, senza parole, ancora pronte a stupirci e ad ammirare lo spettacolo come se fosse la prima volta», replica Rosita, e dopo una breve pausa, come se avesse ricordato qualcosa di molto emozionante, aggiunge: «È un intreccio di colori forti, come questa terra» e poi, rivolgendosi ancora all’amico, «ci vuole una forte motivazione per essere qui, Adan. Qual è la tua? Non posso credere sia solo la voglia di renderti utile e di viaggiare. L’Africa ha la sua bellezza, ma anche i suoi drammi. Abbiamo avuto di recente una epidemia di colera, ci sono molti casi di meningite, e un ciclone appena pochi mesi fa ha spazzato via le capanne e ha sradicato gli alberi. Cosa ti spinge veramente a sfidare tutto questo?».
«Non so, Rosita; come scrive Karen Blixen: Gli uomini partono per mettere alla prova il loro coraggio
, e Chatwin, uno dei miei autori preferiti, afferma: Tutte le nostre attività sono legate all’idea del viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia un sistema informativo che ci dà ordini per il cammino, e che qui stia la molla della nostra irrequietezza
, e io condivido in pieno queste riflessioni», risponde Adan; e poi aggiunge: «In realtà, Rosita, io penso che la necessità di partire è per me l’urgenza di misurare
me stesso, aprendo il cuore a una più vasta sofferenza, e a una più vasta gioia».
È una notte fresca e chiara, il cielo è molto limpido. Adan osserva la Via Lattea e la luna nuova coricata sul dorso con intorno le costellazioni australi: la Croce del Sud, lo Scorpione, i Gemelli. Una stella cadente attraversa il cielo.
La missione
In un bosco di palme da cocco e anacardi sorge la missione, costituita da basse costruzioni in muratura. A poca distanza l’ospedale, con i suoi padiglioni e la sua tragica realtà di miseria e malattie. Nel suo alloggio spartano Adan non riesce a dormire la notte del suo arrivo. Intorno a esso e davanti alla piccola porta d’ingresso ci sono tracce evidenti della muta di serpenti e una fitta ragnatela guida lo sguardo su un grosso ragno scuro. Varcando la soglia, ombre di lucertole si stagliano numerose sulle pareti. In un angolo una branda metallica ricoperta di ruggine con sopra un giaciglio in spugna sottile avvolta da plastica trasparente. Al centro della stanza, priva di pavimentazione, un piccolo tavolo quadrato coperto da un telo colorato con sopra una lampada a petrolio di colore verde. Accanto a essa alcuni libri di medicina tropicale che riportano l’attenzione di Adan al motivo del suo arrivo alla missione, cancellando ogni incertezza. Una piccola finestra quadrata incornicia, diritto in alto, una luna maestosa, bianco-argentea, orlata in prospettiva dalle fronde più alte delle palme da cocco. Un tam-tam di tamburi lontani echeggia nella notte, diffondendo la notizia dell’arrivo dell’uomo bianco. Adan prende la sua torcia e comincia a ispezionare gli spazi bui al di sotto del letto. A giudicare dalle tracce rinvenute all’esterno, cobra e scorpioni sembrano essere ospiti abituali della missione. E la piccola porta sbilenca dell’alloggio certamente non ne impedisce l’ingresso. Contro il morso di serpenti i missionari usano portare sempre con sé tavolette di carbone ottenute da ossa di animali, carbonizzate entro appositi recipienti e senza contatto con la fiamma
, gli aveva spiegato Rosita. L’ispezione sommaria di Adan viene interrotta da una voce che proviene dalla porta: «Senhor!».
E poi ancora: «Senhor, eu trago água para te lavar», ripete. «Entre, a porta está aberta», ribatte Adan ricorrendo alla sua limitata conoscenza della lingua portoghese. Un ragazzo appare sulla porta con un secchio colmo d’acqua sulla testa. Adan lo solleva e lo sistema in uno spazio attiguo destinato alla doccia, osservato con curiosità dal giovanissimo ospite, che si è avventurato a piedi nudi e al buio fino al suo alloggio e, liberato dal peso, appare ora incuriosito dal nuovo arrivato, e molto interessato alla sua torcia e alle calzature di camoscio. «Quando andrò via la torcia sarà tua», promette Adan congedandolo, e ottiene un largo sorriso su denti bianchi, sotto uno sguardo riconoscente e attento. È tempo di riposare, e dissipare la stanchezza. Risuonano ancora nella notte i tamburi mentre, alla luce del lume a petrolio, Adan scrive note di viaggio in attesa di dormire. Lo svegliano le prime luci dell’alba e il canto lontano di un Muezzin.
Adan
«Il mio impegno sarà di favorire la riapertura del blocco operatorio della missione, chiuso da tempo in seguito all’uccisione di Padre Leandro durante la guerra civile».
Queste parole, pronunciate a Roma davanti a una vasta platea, risuonano nella sua mente quel mattino, durante la sua passeggiata solitaria. Adan è sempre elegante, niente di lussuoso o ricercato, ma semplice, molto semplice, quasi abiti talari, espressione di un rispettoso rapporto con sé e con gli altri. Il suo colore preferito è il blu, nelle sue varie tonalità, da quelle scure fino all’azzurro illuminante del cielo, e le tonalità pastello. Pochissime concessioni ad altri colori pallidi, come quelli del suo viso, nobile e delicato, segnato dalla malinconia, ma tuttavia capace di ispirare un’immediata e serena fiducia. Il corpo asciutto, quasi ascetico, accattivante, sospeso tra la materia e lo spirito. Alto quanto basta, atletico e attraente. Niente di invadente o eccessivo, come il suo carattere. Più che camminare, Adan sembra danzare nell’aria; la sua sottile presenza lascia una scia magnetica. Così quel mattino, nel giardino e lungo il sentiero che si snoda poco distante dal caseggiato principale della missione. Le ragazze accorrono incuriosite al passaggio di Adan, affacciandosi lungo il recinto occupato al centro da una grande capanna. Una bianca crema farinosa maschera il loro viso, da cui emergono ridenti labbra rosa e occhi scuri, di adolescenti che si apprestano a diventare donne, secondo antichi rituali. Con le mani appoggiate sul recinto lo seguono con lo sguardo mentre, ricambiandole con un sorriso divertito, Adan si dirige verso il blocco operatorio della missione. È una piccola sala operatoria. La lista degli interventi, scritta a piccoli caratteri su un bianco foglio sottile, è affissa sulla porta a molle. Pochi strumenti necessari e la preparazione, come un rito, intorno al letto metallico ricoperto di teli verdi scoloriti. A fianco, su un piccolo tavolo ricurvo, vecchi strumenti chirurgici di varie forme e dimensioni, ordinatamente disposti, attirano la sua attenzione, ed osserva con avida curiosità ogni cosa. Dalla sala operatoria si accede a un piccolo ambiente utilizzato come deposito per i materiali dove, appoggiato a una parete laterale sbiadita, Celimane osserva a sua volta il nuovo venuto. Sembra essere là da sempre, immobile, la mano destra appoggiata sul fianco, depositario di un passato tuttora incombente. In alto, sulla parete, è visibile una foto di Padre Leandro, il missionario chirurgo che si è generosamente prodigato in questo piccolo blocco operatorio che si staglia nel mezzo di un bosco di palme da cocco, alleviando sofferenze e assistendo pazienti di ogni genere tra cui tante giovani partorienti.
«Bem-vindo! Benvenuto dottore, venga! Da questa parte», la voce di Celimane, a suo tempo valido assistente di Padre Leandro, raggiunge Adan dalla piccola stanza adibita a deposito e subito dopo la sua figura robusta appare sulla soglia d’ingresso.
«Sto mettendo ordine tra i materiali rimasti. Non sono molti ma è quanto basta per cominciare».
Adan coglie una certa diffidenza nel suo tono di voce e lo segue in silenzio rivolgendogli con la mano un segno di saluto. Non senza emozione entra nella piccola stanza dove sono sistemati in buon ordine teli, guanti, suture e altri materiali necessari per le partorienti: «Ci sono molte giovani mamme fuori, in attesa» dice Adan. «Sì», ribatte Celimane. Fa una pausa, sembra riflettere: «È proprio questo il problema» aggiunge, ricordando quanto