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Meglio Morto. Le tragiche disavventure di un NEET qualunque
Meglio Morto. Le tragiche disavventure di un NEET qualunque
Meglio Morto. Le tragiche disavventure di un NEET qualunque
E-book389 pagine5 ore

Meglio Morto. Le tragiche disavventure di un NEET qualunque

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Info su questo ebook

Le rocambolesche vicende di un giovane italiano a confronto con la società di oggi. Le poche opportunità che la realtà odierna offre diventano un pretesto perfetto per un'esistenza di vizi ed egoismo. La conseguenza è tuttavia difficile da ignorare: l'impossibilità di sentirsi accettato nel mondo degli adulti.
LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2020
ISBN9788831677035
Meglio Morto. Le tragiche disavventure di un NEET qualunque

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    Anteprima del libro

    Meglio Morto. Le tragiche disavventure di un NEET qualunque - Joe Moro

    Sommario

    PREMESSA

    La mia famiglia

    Per fortuna è lunedì

    Un carrello per domarli

    Un sabato qualunque, un sabato parmigiano

    Una notte tormentata

    Una notte sempre più tormentata

    Fare i conti senza l’oste

    Semplicemente Stefano

    Rimbocchiamoci le maniche

    Il denaro fa l’uomo ricco

    Portami a ballare

    Amore e Psiche

    Semplicemente Michelle

    La Caduta degli Dei

    Manolesta

    Un divano a forma di natica

    Life is Life

    Stalking Heads

    Semplicemente Paolo

    Desiderio

    Pictures of you

    Semplicemente Letizia

    Aggiungi un posto a tavola

    Il complesso del Neet

    Legalizacion

    Alla mia salute!

    System failure

    Tragicommedia

    Casting

    Farewell

    E ti vengo a cercare

    Ritorno al Futuro

    Ringraziamenti

    JOE MORO

    Meglio Morto

    Le tragiche disavventure

    di un NEET qualunque

    Romanzo

    Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in chiave fittizia. Qualsiasi rassomiglianza con fatti reali o con persone realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

    Titolo | Meglio Morto - Le tragiche disavventure di un NEET qualunque

    Autore | Marco Giovannoni

    ISBN | 9788831677035

    © 2020. Tutti i diritti riservati all'Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Per informazioni sull’autore, consultare:

    www

    .joemoro.it

    www.joemoro.com

    E-mail: info@joemoro.com

    Copyright © 2020 Marco Giovannoni

    Prima edizione: Marzo 2020

    Il lavoro è il rifugio

    di coloro che non hanno

    nulla di meglio da fare.

    Oscar Wilde

    L’esperienza è una grande

    scuola di vita, ma lo stupido

    imparerà in un’altra.

    Benjamin Franklin

    Premessa

    Ciò che mi appresto a raccontarvi è puramente frutto della mia fantasia, una storia di vita comune nel nostro Paese. Eppure, per quanto surreali possano apparire i continui tentativi del protagonista di toccare un fondo sempre più profondo, molti episodi sono ispirati ad aneddoti effettivamente vissuti da giovani di età compresa fra i sedici ed i ventiquattro anni.

    Questi ragazzi non sono poi molto diversi da tanti coetanei della generazione che dovrebbe tuffarsi nel mondo del lavoro.

    Rispetto a chi li ha preceduti, molti tra coloro che oggi hanno deciso di abbandonare gli studi si ritrovano ad affrontare una combinazione di situazioni sfavorevoli.

    Innanzitutto, la mancanza di lavoro: è un pretesto perfetto per non provare nemmeno ad affrontare una lunga serie di rifiuti. «Con tutti quelli che cercano un posto, perché dovrebbero prendere proprio me che non ho esperienze?» Difficile da controbattere.

    In secondo luogo, le tentazioni della vita comoda.

    Gli esempi di diciottenni odierni che ho potuto affrontare, direttamente o per testimonianza altrui, raccontano spesso di un disinteresse incomprensibile per la patente e quindi per l’automobile, di conseguenza per i primi grandi obiettivi della vita legati all'indipendenza. La costanza per la presenza alle lezioni di teoria, lo studio ed il successivo esame sembrano scogli insuperabili per chi inizia le sue giornate dopo mezzogiorno.

    Alla fine, pur con mesi di ritardo la patente la ottengono tutti, banalmente perché non si tratta di una prova estremamente complicata. Tuttavia, questo scarso desiderio di ottenere un pezzo di carta che garantisce un salto di livello nelle proprie libertà, dimostra come lo spirito di sacrificio rasenti lo zero assoluto.

    Ciononostante, questi stessi ragazzi sono capaci di insultare la madre nei modi più beceri se non vedono piovere dal cielo i soldi per le sigarette o per un videogioco, e guai se si sentono negare il permesso di ospitare un amico o la fidanzata anche per giorni.

    Una volta che s’instaura questo circolo vizioso, è davvero difficile uscirne. Ad ognuno di noi sarà capitato almeno una volta nella vita di rilassarsi oltre quanto avremmo voluto, magari grazie ad una vacanza al mare (quando ancora le due settimane erano il minimo indispensabile), oppure ahimè dopo un periodo di disoccupazione o di malattia: riprendere i ritmi della routine quotidiana diventa particolarmente complicato. Il nostro carattere si trasforma, diventiamo nervosi nei confronti di chi ci sta intorno e che non c’entra nulla con il nostro stress.

    Ecco, proiettate questa inerzia da eccesso di relax o da riposo forzato nella vita quotidiana di un giovane. Ebbene sì: i cosiddetti NEET, ragazzi che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione, vivono lo stress da rientro ogniqualvolta un genitore od un adulto in genere gli intimi di darsi da fare.

    Sarò sincero: confrontandomi con altri genitori, ho potuto constatare come in generale ci si senta indecisi tra l’immedesimarsi nella loro situazione per capirli meglio e l’assestargli un poderoso calcio nel sedere per dare una scarica di elettricità alla loro esistenza, pur se spesso di pedate ne sono già state somministrate in abbondanza.

    E poi, c’è l’orgoglio adolescenziale, quello che ci porta a considerare idiozia ogni verbo che esca dalla bocca degli adulti. In un mondo che continua a ripetere loro che il presente è privo di certezze e che il futuro è tinto di toni quantomeno grigio scuri, se non addirittura neri, è piuttosto normale che reagiscano ai tentativi di spingerli a trovare una direzione nella vita trascorrendo le giornate tra letto, divano e la piazza del paese.

    Questo finché non arriva la scossa, oppure la proverbiale occasione piovuta dal cielo. Perché queste cose capitano quasi a tutti prima o poi nella vita, sta alla capacità del singolo saperle cogliere e metterle a frutto.

    La mia storia parte quindi dalle vicende di un NEET qualsiasi. Per consentirvi di entrare fin da subito nella prospettiva del protagonista, il primo capitolo è narrato in prima persona con un linguaggio adeguato al personaggio. Non si spaventi il lettore che dovesse soffrire questa scelta narrativa: dal capitolo successivo riprende una narrazione più canonica, pur nella scelta di raccontare gli eventi sempre al tempo presente.

    Spero che questa mia piccola opera possa regalarvi qualche ora di svago dalla realtà, senza la velleità di voler analizzare ed affrontare un problema sociale serio e complesso.

    Buona lettura.

    Joe Moro

    La mia famiglia

    Che risveglio assurdo. Sognavo di essere in quel videogioco… come si chiama… Ma dai, ci avrò giocato per dei giorni interi! Ma sì, quello ambientato nell’antica Roma. O era la Grecia?

    Comunque mi stavo arrampicando sulle mura del Colosseo. Giusto, allora era Roma. Il nome del gioco comunque non mi viene in mente. L'ho prestato a uno che mi aveva lasciato tipo tre sigarette in una sera, ma poi non l'ho più beccato. Il gioco vale molto più di un pacchetto, ma tanto anch'io l'avevo scavallato ad un altro amico da cui non mi faccio più vedere da una vita, quindi non posso neanche prendermela troppo.

    Insomma, stavo scalando le mura, quando a un certo punto un pretoriano mi ha visto e sono saltato per scappare, ma sono andato corto ed ho fatto un volo…

    Così mi sono svegliato urlando, mentre sognavo di cadere quasi dalla cima del Colosseo. È poi così alto il Colosseo?

    Ho un mal di testa che faccio fatica a tenere aperti gli occhi. Per fortuna sono solo in casa, così nessuno mi deve fare le menate perché mi sono svegliato tardi anche oggi.

    Già la sento, mia madre: «Tommy, ma ti sembra il caso di dormire fino all’una? Hai ventitré anni, cavolo! Non ti vergogni?»

    Che poi non è che io non mi vergogni, a svegliarmi che quasi mia sorella torna dal liceo. È solo che non ho niente da fare, perciò che senso ha che mi punti la sveglia?

    Tre anni fa, quando Camilla ha iniziato l’artistico a Parma, mia madre ha provato a svegliarmi alle otto, cioè quando esce di casa per andare a Casalmaggiore a lavorare. Poi ha capito che appena se ne andava, io tornavo a dormire.

    Vorrei vedere voi! La sera di solito vado a letto dopo le tre, anche perché dopo essere uscito in paese c’è sempre qualche gioco nuovo da provare. Non so da quanti anni non me ne compro uno io, ma per fortuna ho degli amici con genitori pieni di soldi, che prenotano sempre le nuove uscite.

    I miei hanno smesso di regalarmi giochi quando ho preso a Camilla i soldi dal suo porcello (ebbene sì, è una chiattona e non si vergogna ad avere un salvadanaio a forma di porcello) per comprarmi quelli più nuovi e famosi sul calcio.

    Non me ne frega niente del calcio, ma volevo registrarmi su Youtube e condividere una recensione di tutti e due i giochi per fare un confronto, tanto con gli amici che ho su Faccialibro sapevo già che avrei preso un sacco di Like, infatti quelli con cui esco sono diventati verdi d’invidia perché non ci hanno pensato per primi.

    Loro sono supertifosi del Parma, sempre allo stadio, ma sono arrivato prima io. E nelle recensioni ho pure giocato contro il Parma! Che poi il Parma ha pure fatto una brutta fine, così speravo che per un po' in compagnia non si parlasse più di calcio, ma adesso sono tutti presi con 'sta storia che il Parma è tornato, quindi mi sa che prima o poi dovrò andare con loro allo stadio e far finta di tifare anch'io, altrimenti i giochi nuovi che mi prestano me li posso scordare.

    Penso che mio padre se la sia presa di brutto per quella storia di mia sorella mica per i soldi del porcello, ma perché lui odia il calcio. Ogni volta che il telegiornale dice i risultati del campionato o di qualche coppa, e succede praticamente tutti i giorni, la sua frase preferita è questa: «Ma non vi vergognate a parlare sempre di quello sport per simulatori e dopati? Parlate di rugby, piuttosto!»

    Lui a rugby ha giocato davvero. Ha iniziato prima a Colorno ed è arrivato ad un passo dalla prima squadra del Rugby Parma, poi si è rotto un ginocchio quando stava per iniziare l’università, così ha mollato tutto ed ha pensato solo a studiare. O forse era un braccio, ora non ricordo.

    Comunque non doveva essere tanto forte, perché per quelli bravi le società spendono un sacco di soldi per rimetterli in forma, se si fanno male, mentre a lui avevano detto che quando sarebbe stato in grado di giocare di nuovo, gli avrebbero trovato un posto in una squadra più piccola o per fare l'allenatore, se avesse voluto. Perciò non penso che fosse il nuovo fenomeno della palla ovale.

    A me non frega nulla nemmeno del rugby, e poi non ci sono videogiochi per questo sport che ti facciano prendere tanti Like quanti ne prendi con il calcio. Oh, se invece ce ne sono e sono io che non li conosco, whatsappatemeli che li provo! Però non avete il mio numero di cell, quindi lasciate stare.

    Quello che non sapete, perché ancora non ve l’ho raccontato ma di sicuro vi farà morire dal ridere, è che quando ero piccolo, mio padre mi ha fatto provare a giocare a minirugby. Come tanti papà, voleva che a suo figlio piacesse quello che piaceva anche a lui, così ha fatto finta che io non fossi fisicato la metà degli altri bambini e senza nessuna voglia di sudare in mezzo al fango.

    È finita presto, perché alla terza partita mi annoiavo così tanto che mi sono messo a raccogliere i vermi in mezzo al campo, mentre gli altri giocavano. Alla seconda azione in cui le due squadre mi sono passate intorno ed io ho continuato a rimanere in ginocchio a scavare per terra, l’allenatore mi ha fatto uscire. Da quella volta, ho smesso anche di andare agli allenamenti.

    Penso che mio padre si sia vergognato di brutto, soprattutto perché l'allenatore di quella squadra era un suo amico dai tempi in cui giocava, ma così ha iniziato a capire che non mi deve far fare quello che non voglio.

    Vediamo se mia madre è stata così stronza da non comprarmi il cacao. Lo so che mi vuole bene, forse è l’unica rimasta insieme a zia Cinzia, ma da quando è nata Camilla preferisce pensare alle esigenze di mia sorella, le mie vengono sempre dopo.

    Meno male, stavolta si è ricordata. Anche perché, con il mal di testa che ho, non ho proprio voglia di mettere il caffè nel latte. Forse non sarò molto sveglio, ma so capire se una cosa mi fa più male che bene.

    Ho proprio fame. Probabilmente l’una e un quarto non è proprio l’ora migliore per fare colazione, ma tra tutti gli avanzi che mi lascia mia madre in frigo ce ne sono pochi che mi piacciono più di una bella tazza di latte con quattro cucchiai di cacao e biscotti in quantità. Con questa, posso stare in giro con gli amici fino all’ora di cena senza problemi.

    Finito. Un rutto tonante per fare onore alla colazione e via a cambiarmi. Non ne avrei bisogno perché dormo vestito, ma i miei ci tengono che non esca con quello che ho messo il giorno prima. Sarà perché il letto, o il divano se dormo lì, hanno il brutto vizio di stropicciarmi tutto quello che ho addosso.

    Una bella spruzzata di deodorante e sono pronto per uscire. Un flash mentre passo davanti al lavandino, mia madre che mi urla: «Tommy, ti sei lavato i denti?»

    A ventitré anni sono stufo di sentirglielo dire, anche perché con i miei amici non ci devo mica limonare. E poi, chissà quanti soldi le faccio risparmiare in spazzolini, visto che me ne può cambiare uno all’anno. Mi devo far aumentare la paghetta con questa scusa.

    A proposito di paghetta: no! Mi sono dimenticato che ho quasi finito le sigarette! Mi sono rimasti in tasca venti centesimi, non mi bastano neanche per farmene dare una da qualcuno, anche perché ormai ne ho chieste talmente tante che tutti quelli con cui esco me le fanno pagare. Begli amici. Quasi quasi invece di girare per Colorno mi sposto a Casalmaggiore, così magari ci trovo pure mia madre e le chiedo i soldi.

    Però in fondo mi trovo bene con questi amici. Dai, resto a Colorno ancora per un po’.

    A proposito, mi stanno scrivendo in continuazione per sapere se sono vivo e se ci sono per un torneo ad un videogioco di auto. Rispondo che sto arrivando, anche perché non sanno che in quel gioco ci sono quasi tutte le macchine da corsa che preferisco, infatti ho finito le missioni normali e perfino quelle bonus in meno tempo rispetto a tutti quelli che conosco. Per questo motivo non me lo posso perdere: sono sicuro di vincere il torneo.

    Ora però viene il problema più grosso: devo trovare dei soldi, almeno dieci euro. Ci sono buone possibilità di recuperarli in giro per casa, ma ho poco tempo a disposizione.

    C’è stato un periodo in cui mio padre si teneva nel comodino i soldi che prelevava. Lo so perché l’ho visto che prendeva qualche banconota da mettere nel portafogli. Un giorno ha detto ad alta voce di ricordarsi che aveva prelevato ben di più di quello che gli era rimasto nel cassetto: voleva farmi capire che mi aveva scoperto, ma non aveva prove per accusarmi. Ha una buona memoria, perché gli avevo preso solo dieci euro su… non mi ricordo quanti. Faccio un tentativo per vedere se è rimasto qualcosa, perché da allora non li tiene più nel comodino, e infatti non trovo nulla.

    Mia madre è una buona fonte di soldi, sia se me li vuole dare, sia che non voglia, almeno quando di notte lascia la borsa con borsellino e portamonete in soggiorno. Purtroppo, quando è al lavoro è una bella fregatura.

    Rimane solo la prevedibile Camilla, che ormai non tiene più granché in casa, ma penso che abbia nel porcello quanto mi basta per questo pomeriggio. So dove cercare. Se non lo ha nascosto tra le sue cose (e non lo fa più perché dice che le dà fastidio sapere che ho frugato tra i suoi vestiti), lo avrà messo in cima ad un armadio. Prendo la scala portatile, la apro in camera sua e...

    Che spavento! Stavo per volare di sotto, per fortuna sono saltato in tempo sul letto. La scala è caduta dietro di me e non ha fatto troppo casino, che se la sentivano i vicini di sotto erano capaci di chiamare mia madre. Mi sa che ho rotto un'asse della rete sotto al materasso di Camilla. Pazienza, non ha le prove per dire che sono stato io. Se vuole darmi la colpa, le dirò che è stata lei a sfondarla e che è meglio se si mette a dieta, che è pure la verità.

    Ripiazzo la scala e ci riprovo. Stavolta salgo con calma. I miei amici possono aspettare, che se mi ammazzo cadendo ancora dalla scala non lo trovano più uno come me che gli dice sempre di sì a tutto quello che propongono. Sopra l'armadio mi sembra di vedere qualcosa: ecco che trovo il fidato maiale di porcellana. Toh, ci sono proprio dieci euro. Ti voglio bene, sorellina.

    Problema economico risolto, ora recupero le chiavi ed esco. Ma dove le ho lasciate? Mai una volta che le trovi al primo colpo. Ripenso a cosa ho fatto prima di addormentarmi e mi rendo conto che probabilmente sono finite tra i cuscini del divano. Come succede quasi sempre. Infatti eccole qui, nascoste tra le briciole di biscotti.

    Mentre chiudo mi viene in mente che forse dovrei fare uno squillo a Camilla, perché nostra madre mi ha avvisato che non aveva le chiavi di casa. Ma probabilmente mi confondo con un altro giorno, e comunque non mi interessa granché. Considerato che non fa che insultarmi, se anche se ne sta fuori per un paio d’ore è una punizione che si merita, nonostante mi abbia già finanziato la giornata. Comunque siamo in primavera ed all’aperto si sta benissimo, vorrà dire che andrà a farsi un giro.

    Via di corsa, che se iniziano a giocare senza di me mi tocca stare ad aspettare il torneo successivo. E magari hanno pure voglia di cambiare gioco, scegliendo qualcosa in cui sono più capaci di me.

    Dopo essere passato a prendere le sigarette, arrivo a destinazione con il fiato corto per la corsa. L’appuntamento è a casa di Santo. Che tanto santo non è, infatti appena arrivo mi chiede se ho portato la quota. I cinque euro che gli do, servono per qualche tiro di canna. Lui dice che fuma solo roba buona, e ci credo, ma non è certo quella che tiene per noi. Pazienza, perlomeno questo schifo ti va subito alla testa, e quando ho un minimo di sballo gioco molto meglio.

    Iniziano altri che sono arrivati per primi, poi tocca subito a me contro il padrone di casa. Mentre guardo gli altri che giocano, il cuore mi batte di brutto, sono agitatissimo: è un botto di tempo che non mi capita di vincere un torneo, ma da quello che vedo, sono sicuro di farcela. Mi viene da ridere per gli errori che sta facendo quello che sta per perdere, non voglio prenderlo in giro ma è davvero troppo scarso!

    Penso che non se ne sia accorto, invece quando mette giù la manetta dopo il traguardo, mi guarda storto e mentre si alza mi dà pure una spallata. Che carattere, bisogna anche saper perdere.

    È il mio momento, non vedo l'ora di far vedere a tutti quello che so fare. Parto subito forte, ma il mio avversario riesce a starmi dietro. Secondo me la consolle ha qualche impostazione per cui riconosce il suo proprietario, perché a Santo riescono delle manovre mai viste. Io mi arrabbio, mi distraggo e vado a sbattere. Giuro a tutti che in quel punto non ho mai distrutto la macchina in diversi mesi di corse e chiedo di poter ripetere la prova, ma nessuno mi crede. Cazzo, sono già eliminato.

    Mi viene voglia di spaccare qualcosa, era la mia più grande occasione per far vedere a tutti quello che so fare, ma non ho passato nemmeno il primo turno. Devo trovare il modo per convincere tutti a rifare il torneo da me, così la consolle aiuterà me invece dell'incapace con cui ho perso.

    Cerco di consolarmi pensando che il pusher che ci ospita ha proprio un nome da vecchio. Non capisco perché non ha mai voluto soprannomi.

    Sono così incazzato per la sconfitta che, non appena usciamo io e lui a fumarci una sigaretta, glielo chiedo diretto, nudo e crudo: «Santo, ma lo sai che il tuo nome da vecchio fa proprio schifo?»

    Lui si mette a ridere: «I miei sono siciliani e mi hanno dato il nome di mio nonno. Dato che gli volevo bene, perché nonno Santo è stata la persona più dotata di palle e cervello che abbia mai conosciuto, sono orgoglioso di tenermelo.»

    «Ma tu non credi in Dio.»

    «Vero, per questo ho quattro tatuaggi, tutti con almeno una croce rovesciata.»

    Santo non è satanista, è solo che prima fa le cose, poi ci pensa su. E magari si pente.

    Si fa le canne da quando aveva quindici anni, quindi ha iniziato tardi rispetto a noi altri. Per fumare in santa pace ha dovuto recitare da bravo ragazzo, così nessuno gli stava addosso. Un giorno mi ha detto che, per continuare a fingere senza correre il rischio di diventare veramente un santo, si è tatuato: quando è nudo davanti allo specchio si ricorda cosa scorre veramente nelle sue vene. Che non è il sangue di un demone, ma semplicemente la voglia di ribellione che abbiamo tutti a questa età.

    Ma poi suo padre lo ha scoperto, e Santo si è pentito di quei tatuaggi satanisti. O forse l’ha fatto pentire il padre a cinghiate, così racconta lui, ma nessuno ci crede perché il signor Santo in fondo è un pezzo di pane.

    «Tu, piuttosto, quand’è che dai un senso alla tua esistenza e ti trovi un lavoro?»

    Eccone un altro. Non bastano tutti i parenti di questo mondo e di quell’altro che mi triturano a rotazione gli attributi sul mio futuro. Ci si mettono pure i cosiddetti amici.

    Ma non sto zitto, perché non accetto critiche da chi non ha una vita più seria e matura della mia: «Vorresti dirmi che rivendere erba è un lavoro?»

    «Ma tu sei tutto scemo. Io mi alzo ogni mattina alle tre per lavorare come aiuto pasticciere, questo è il mio lavoro!»

    Che figura. Abbasso lo sguardo: «E io che ne sapevo?»

    Ora mi sembra che Santo si stia proprio arrabbiando: «Te lo avrò detto almeno dieci volte! In almeno cinque occasioni ti ho dovuto ricordare perché non esco alla sera, e ancora non sai che lavoro faccio? Bell’amico che sei.»

    Butta la cicca e se ne torna in casa.

    Che coraggio a criticare la mia amicizia! Come se non sapessi che Santo è il primo a prendermi per i fondelli quando non ci sono. E comunque, mi dimentico sempre le cose che non mi interessano. Il suo lavoro è una di queste. Se questo fa di me un pessimo amico, vorrà dire che lo sono veramente. Chi se ne frega.

    Torno dentro e, sottovoce, mi scuso con il padrone di casa. Non sia mai che mi neghi un tiro della seconda canna, che ho già pagato. Lui si scusa a sua volta, dicendo che se l’è presa così tanto perché è un po’ stanco per il lavoro. Ci passiamo il fumo e nessuno dei due è più arrabbiato.

    Facciamo un altro torneo. Cambiamo gioco. Per fortuna è qualcosa che mi piace. Oltretutto, tutti iniziano ad essere un po’ ubriachi a furia di aprire birre. A me la birra non piace, perciò mi sto riempiendo di bibite. Mentre loro si addormentano poco per volta, io sono completamente sveglio per la caffeina e mi aspetto di vincere almeno questa sfida.

    L’unica persona a cui sembra davvero che dia fastidio vedermi vincere è quella che mi sta facendo un massaggio ad una chiappa. Non appena mi siedo sul divano di Santo con il joypad in mano, il telefono in tasca inizia a vibrare e non smette finché non mi alzo. Ho cercato di ignorarlo, facendo ridere tutti per le imprecazioni che mi sono uscite di bocca, ma per poco non mi distraevo nel momento più importante della partita.

    Come immaginavo è stata mia madre. Ma non sta lavorando?

    Ho finito la ricarica otto giorni prima della scadenza, perciò aspetto che mi richiami lei. Non lo fa finché non mi siedo per la partita successiva, ma questa volta ho lasciato il cellulare sul davanzale della finestra.

    Klaas, che è il più ubriaco di tutti, decide di farmi lo scherzo del giorno e risponde: «Pronto, signora? Sì, buongiorno, sono Claudio, l’amico di Tommaso.»

    Dovete sapere che questo mio amico è milanista. Ha sempre avuto soprannomi orrendi tipo ‘maialÈ (quando alle medie pesava il doppio di me), ‘sushi’ (quando ha aperto vicino a casa sua un ristorante giapponese, perciò ogni venerdì chiedeva a tutti di andare a fare all you can eat di pesce crudo. Che poi, poverino, lo abbiamo sempre preso in giro ma non ci siamo mai andati), e cose così.

    Poi un giorno il Milan ha comprato Klaas Jan Huntelaar, di cui mi ricordo il nome completo perché l’ho usato un sacco nelle recensioni dei giochi di calcio. Anche se ha combinato poco, questo giocatore è diventato l’idolo del mio amico e, seppure Klaas in olandese vuol dire Nicola, assomiglia abbastanza a Claudio perché lui decidesse di usarlo come soprannome.

    Claudio o Klaas che sia, inizia a darmi fastidio perché io risponda a mia madre, tanto che mi fa sbagliare e perdere. Lo mando a quel paese, gli mollo un calcio che l’alcool non gli fa sentire ed esco sul balcone con il mio cellulare.

    «Eh!»

    Mia madre si scalda subito: «Come ‘eh’? Dove diavolo sei? Lo sai che tua sorella non ha le chiavi, ti avevo anche detto di prepararle il pranzo!»

    «Ma’, che ne so di cosa devo farle da mangiare?»

    «Ti ho detto ieri sera che c’è un sugo pronto in dispensa! Non sai preparare un piatto di pasta, adesso? Ma se era solo per te non c’era nemmeno bisogno che te lo dicessi, immagino!»

    «Ok, ma non può andare da un’amica?»

    «Certo che va da un’amica, ma può essere che una ragazza si deve auto-invitare a pranzo perché non ci si può mai fidare di te?»

    «Senti, se è tutto a posto non mi rompere. Ciao.»

    Attacco. Tanto poi le passa.

    Tutto questo non succederebbe se mio zio non si vergognasse di me. Ora cosa c'entra lo zio, penserete. Ebbene, mio zio Stefano è un dirigente di un’azienda alimentare di Parma. Non vi faccio il nome perché secondo me non si fa pubblicità, a meno che uno non si faccia pagare.

    Ecco, secondo voi in questi anni non avrebbe potuto farmi entrare a lavorare nella sua società? Anche solo con uno stage, un contratto a progetto o in una delle cooperative che lavorano negli impianti. Giusto per alzare quattro soldi, e alla fine sono convinto che non avrei poi fatto male. Anzi, se voglio sono abbastanza ruffiano, come dice sempre mio padre (insieme a tanti altri aggettivi meno simpatici). Quindi avrei potuto conquistare la fiducia del mio capo e farmi prolungare il contratto, e chi lo sa poi cosa sarebbe successo.

    Invece no, si vergogna. Pensa che sarei così stupido da farmi scappare un’opportunità simile. Che poi secondo me mio zio è pure brutto, e non è così intelligente da meritarsi un lavoro da dirigente in una grande azienda.

    Non riesco a capire come una gnocca come zia Cinzia

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