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Angeli innocenti: Lomellina, 1970
Angeli innocenti: Lomellina, 1970
Angeli innocenti: Lomellina, 1970
E-book190 pagine2 ore

Angeli innocenti: Lomellina, 1970

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Info su questo ebook

Alagna, novembre. Un piccolo e tranquillo paese della Lomellina, immerso tra nebbie e risaie, viene scosso improvvisamente dal ritrovamento di un corpo nel cassonetto dell’immondizia vicino al cimitero. Il cadavere appartiene ad un ragazzino di 15 anni ucciso in modo atroce. Il Maresciallo Marchi della vicina caserma di Garlasco e il Tenente Sabrina Ferri iniziano le indagini che si rivelano subito difficili. Nessun indizio. Nessun movente. All’improvviso una svolta: una fotografia scattata la sera del ritrovamento del corpo. L’istantanea rivela un piccolo e sconvolgente particolare che condurrà gli inquirenti, con l’aiuto del direttore de “la Provincia Pavese”, giornale locale, a scoprire un fatto accaduto molti anni prima. Le indagini portano gli inquirenti in un’unica direzione: la cascina Montagnola abitata da “Tunen Gamben”, uno strano personaggio che tutti i bambini del luogo beffeggiano. Due piccoli paesi si ritroveranno drammaticamente a fare i conti con il passato ed emergerà una verità agghiacciante.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2017
ISBN9788869431982
Angeli innocenti: Lomellina, 1970

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    Anteprima del libro

    Angeli innocenti - Paola Mizar Paini

    Primo capitolo

    NOVEMBRE

    Ore diciotto e quarantacinque: l’uomo scelse gli abiti che avrebbe indossato quella sera, che erano ancora appesi nell’armadio. Staccò per prima la gruccia con i pantaloni neri, poi quella con la giacca e infine la camicia grigia, appoggiò tutto sulla spalliera del letto, stando ben attento a non stropicciarli; aprì il cassetto e prese le calze. Si sedette e le indossò, infilò i pantaloni. Perfetti, pensò, lentamente mise la camicia e soddisfatto l’abbottonò. Provò anche la giacca: Mi va a pennello si disse guardandosi allo specchio. Se la tolse e la riappese sulla gruccia. Non era ancora ora di uscire. Scostò la tendina a fiori e guardò fuori dalla finestra, non era tardi ma faceva già molto buio, era soprattutto la nebbia che faceva impressione, fuori il nulla. Non si vedeva né l’inizio né la fine del giardino. Davanti alla sua finestra c’era un grosso albero frondoso che in primavera, nelle giornate di vento, sbatteva i rami contro i vetri e questo rumore gli piaceva, lo rilassava. Quella sera, quasi non si distinguevano neanche i rami di quell’albero, la nebbia incuteva paura, anche se l’aspettava da tempo così fitta. Non avrebbe agito da solo, la foschia sarebbe stata sua complice. Finalmente il momento era arrivato; non era sicuro di volerlo fare, ci aveva riflettuto un bel po’ ma nelle ultime settimane il pensiero era diventato ossessione e l’unico modo per liberarsene, era assecondarla e appena presa la decisione aveva pianificato tutto per bene. Guardò l’orologio, era quasi ora, aveva studiato per mesi le abitudini della sua vittima. Si era appostato nei paraggi della casa in macchina o a piedi, passava a qualsiasi ora del giorno, con lo scopo di individuare le abitudini di quel quindicenne. Evitava di soffermarsi troppo sull’età, non era affar suo. Così era stato deciso. L’assassino era senza pietà. Si era fatto giudice e carnefice, la sentenza era stata emessa: condanna a morte e lui, era il boia, oltre che giudice. Lasciò ricadere la tenda, prese la giacca, la indossò, andò di fronte allo specchio e si fermò qualche minuto a guardare la sua immagine riflessa. I capelli erano diventati molto grigi, non aveva notato quel cambiamento, gli anni erano passati, andati via, uno dopo l’altro e senza che se ne accorgesse. Tolse dal cassetto una scatolina rettangolare, la aprì e ne estrasse il contenuto, lo indossò aggiustandosi bene davanti allo specchio.

    Si rimirò, gli stava proprio bene quell’abbigliamento, era davvero da tanto che non si vestiva così bene. Pantaloni dal taglio perfetto, una camicia di cotone ben stirata e una giacca elegante. Scese le scale cercando di fare attenzione che nessuno lo vedesse e lo sentisse, attraversò il cancelletto del giardino sul retro, il furgoncino era parcheggiato davanti alla porta del garage, avviò il motore allontanandosi velocemente, l’uomo prese la strada che lo avrebbe portato dalla sua vittima.

    Ore diciotto e quarantacinque: Stefano era seduto sul divano annoiato e faceva zapping con il telecomando, i suoi genitori si stavano preparando per uscire, sua madre andava avanti e indietro per il soggiorno cercando le sue sigarette e continuava a chiedersi: Dove le ho messe… dove?

    Mamma, potrebbe essere una buona occasione per smettere, no? Lui non fumava, aveva provato da piccolo alle elementari di nascosto nel bagno della scuola con il suo amico Diego ad accenderne una. Non solo non gli era piaciuto, ma aveva provato una nausea fortissima, che tornava ogni volta che ci pensava, quindi non capiva sua madre che invece era un’accanita fumatrice. Suo padre no, lui non fumava, non beveva, non era schiavo di niente, era un uomo docile e remissivo, alle volte quel suo carattere sempre accomodante lo innervosiva, lo vedeva come uno smidollato e senza palle. Sua madre gli andò vicino con la sigaretta in mano distogliendolo dai suoi pensieri, abbracciò il figlio, quel figlio adolescente così in gamba. Non gli aveva mai dato problemi, ne era così orgogliosa. Mamma non mi baciare, puzzi di fumo, risero entrambi.

    Marzia, sei pronta? Dai, muoviamoci, con questa nebbia ci mettiamo un’ora ad arrivare da Vanessa. Giorgio mise fretta alla moglie che, invece, in quella brutta serata nebbiosa sarebbe stata volentieri accoccolata vicino al figlio. Vanessa e il marito erano molto amici della coppia, li avevano invitati a cena per festeggiare il compleanno di lei ed era sempre un piacere ritrovarsi. Eppure Marzia quella sera non sarebbe uscita. Giorgio, passando vicino al figlio, gli arruffò i capelli, Marzia e Stefano si guardarono: Stefano, c’è molta nebbia stasera, stai in casa, fa freddo… stai in casa…

    MAMMAA!!

    Ok... ok, se sei sveglio ci vediamo verso mezzanotte, chiudi bene.

    Stefano sorrise per l’apprensione di sua madre, più appiccicosa del solito. Appena rimasto solo, aprì il frigorifero e si fece un panino. Non sapeva se chiamare il suo inseparabile amico Diego e farlo venire a casa per una partita ai videogiochi o se vedersi una videocassetta. Alla fine, come faceva tutte le sere, decise di uscire. Chiamò l’amico per avvertirlo che si sarebbero trovati davanti all’Osteria Della Malora. Stefano stava andando incontro al suo destino, come un agnello sacrificale e non aveva il minimo sentore del pericolo.

    I due ragazzi si trovarono come d’accordo poco dopo, percorsero a piedi la via Milazzo che costeggia il Ticino e arrivarono nel piccolo piazzale del Ponte Coperto. Il resto della compagnia era già radunato nei pressi dell’edicola. La bruma era così fitta che perfino le voci dei ragazzi arrivavano ovattate. L’umidità penetrava nelle ossa e la temperatura si era notevolmente abbassata in quegli ultimi giorni, l’inverno stava tristemente arrivando portando con sé il freddo pungente.

    Ragazzi, io me ne vado a casa. fa troppo freddo stasera. Si sente che c’è aria di neve. Stefano si sfregò le mani per scaldarsele, alitandoci sopra, pentendosi di non aver messo i guanti. Dai ci vediamo domani sera. Possiamo andare al Boccio a mangiare un panino. Il Boccio era un pub dove facevano i panini più buoni di Pavia, si trovava in fondo alla via dei Mille ed era la meta preferita dei ragazzini e degli studenti che popolavano la città.

    Mentre tornavano a casa, finita la serata in compagnia, Diego, che abitava in una via parallela a quella dell’amico, lo salutò con l’idea di rivedersi l’indomani. Si girò, giusto in tempo per scorgere Stefano che veniva inghiottito dalla nebbia. Non vide la vettura parcheggiata, non vide i fari di posizione accesi, non sentì neanche il rombo del motore partire pochi minuti dopo. Aveva salutato Stefano per sempre solo con un semplice ciao.

    La via era completamente deserta, Stefano rabbrividì dentro alla sua felpa col cappuccio, aveva fatto un po’ il figo ad uscire senza giubbino, solo con lo smanicato.

    Brr... freddoo. iIl fiato gli uscì condensato in una nuvoletta di vapore, si strofinò di nuovo forte le mani una con l’altra. Non vedeva l’ora di essere a casa, si sarebbe fatto una bella cioccolata calda e avrebbe giocato un po’ alla Play, aveva noleggiato Silent Hill ed era già al quarto livello. Mentre si organizzava mentalmente la serata gli sembrò di vedere un’ombra avanzare verso di lui. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco meglio, la via era illuminata da un lampione, ma la nebbia era davvero molto fitta. Era a pochi metri da casa quando l’uomo con la giacca e i pantaloni neri gli si avvicinò, non ne ebbe paura, come tutti i ragazzi di quell’età la visione della vita è fatta di fiducia e cose semplici: la famiglia, gli amici, la playstation, la scuola e lo studio, la palestra, forse una ragazza… Tutto quello che Stefano da lì a pochi minuti non avrebbe avuto mai più. La persona disse che era in difficoltà.

    Scusa ragazzo, accidenti, penso di avere una gomma bucata, mi son perso tra queste vie, tra questa nebbia. Ho continuato a girare intorno e adesso mi ritrovo anche una gomma forata… non ridere, ma non so come si faccia a cambiarla...

    Secondo capitolo

    ALAGNA- NOVEMBRE

    Nemmeno la pioggerella aveva disperso quella coltre nebbiosa, fedele compagna di una Pianura Padana un po’ zoccola, capace di farsi abbracciare da quel buio senza stelle, fredda e umida, ma soprattutto capace di intrigarsi con la nebbia, quella proprio pesante, quella che riusciva a nascondere una casa dall’altra. I lampeggianti, però, si vedevano anche da lontano, erano tanti gli aloni blu che rompevano quel biancore spettrale e intorno a quel blu il brusio, un vociare che faceva sembrare la notte di quel paesino, un giorno di festa. Una festa finita male.

    Alagna, dormiente e tranquillo paese agricolo della Lomellina, contava non più di novecento abitanti compresi cani e gatti.

    Un paese dove il film Non è un paese per vecchi, dei fratelli Coen, non avrebbero mai potuto girarlo visto che avevano anche dovuto chiudere la scuola materna per mancanza di nuove nascite.

    Il Municipio e la sua chiesetta erano situati nella via principale. La farmacia e la posta invece, di fronte alla piazzetta del Castello, piccola fortezza risalente al XVI secolo. Alagna, quella sera, aveva avuto un sussulto. L’ambulanza e una volante dei Carabinieri erano arrivate a sirene spiegate, turbando il sonno della metà dei paesani, che dopo pochi minuti dall’arrivo dei mezzi si era già riversata in strada. Chi in pigiama, chi in tuta, qualche signora parlando in dialetto avvisava al telefono parenti e amici di quello che si mormorava, che man mano arrivava, che minuto dopo minuto si ingrossava, fino all’esplosione: HANNO AMMAZZATO UN RAGAZZO, TAGLIATO, STRANGOLATO, SPARATO, FORSE TORTURATO...

    La seconda auto con i lampeggianti blu era in arrivo, sul posto anche i Vigili del Fuoco. Era davvero una cosa seria.

    ***

    Giampaolo, detto Gp, era proprio un abitudinario, preferiva che la sua vita fosse scandita in modo regolare, anche se spesso si faceva trascinare dall’impulsività. Il suo carattere timido ne aveva fatto un ragazzo pieno di complessi. Insicuro e polemico, alle volte risultava anche un po’ invadente. I genitori erano morti parecchi anni prima, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, lasciandolo orfano e proprietario di una dignitosa casetta e di un piccolo conto in banca, unica cosa che gli dava sicurezza. Alto, dinoccolato, dotato di un forte senso morale, era fisicamente poco interessante, il naso pronunciato, la dentatura storta e un po’ sporgente facevano sì che il mondo femminile lo snobbasse. Questo acuiva la sua insicurezza e timidezza, che, di contro, esaltava il suo essere polemico. Si sentiva sempre ferito da tutto e tutti.

    Aveva i capelli biondi lunghi fino alle spalle, sempre ben curati e questo lo faceva sentire un Principe Azzurro. La sua migliore amica invece lo prendeva in giro e lo chiamava Il Menestrello, perché i suoi modi e il suo lessico erano più da antico ragazzo che da elegante principe. Appassionatissimo di fotografia, quel pomeriggio era andato a ritirare la sua nuova macchina fotografica e poi tutto contento era corso a farla vedere alla sua carissima amica Carla o come si dice da queste parti La Carla, che come al solito gli aveva dato poca attenzione e poca soddisfazione, ma lei era fatta così. Lui la adorava, era la sua migliore amica, ma forse si accontentava della sua amicizia in mancanza d’altro. La Carla era una donna piacevole: un metro e settanta di altezza e lunghissimi capelli mossi color rame. Aveva alle spalle due matrimoni e due figli ormai adulti, si interessava di tante cose, leggeva molto, non lesinava critiche e consigli a destra e a manca, soprattutto a lui. Alle volte insopportabile, era però anche ironica e molto divertente. Lei aveva una passione per l’esoterismo, sapeva leggere i tarocchi e possedeva tutti i libri di Allan Kardec, amava fotografare i piccoli cimiteri e le chiese sconsacrate. Con queste passioni cercava di coinvolgere Gp che era al di là di tutto questo soprannaturale e misticismo. Ascoltava più per educazione che per convinzione. Quella sera, Giampaolo si stava annoiando, in tv non c’era niente che lo interessasse, guardò fuori dalla finestra e quella coltre di nebbia lo ispirò. Decise di uscire a provare la Nikon nuova. Sarebbe andato a fare qualche scatto per La Carla. L’atmosfera era giusta per fare le foto che sarebbero piaciute a lei, quelle per il libro che voleva scrivere le cui pagine erano ancora bianche ma che già aveva un titolo: Misteri della Magica Lomellina. Era una fucina di idee e progetti, naturalmente lo aveva coinvolto anche in una serie di fotografie di luoghi stregati e misteriosi che stava raccogliendo per poterle poi pubblicare all’interno del libro.

    Erano le ventidue e trenta. Percorse a piedi la distanza da casa sua, via Montello, alla piazza del Castello in dieci minuti, aveva voglia di un caffè, ma il bar che stava proprio davanti alla piazza era chiuso. Sembrava ci fosse il coprifuoco ad Alagna, non un rumore, un miagolio di gatto, un abbaiare di cane, il silenzio era tombale. La pioggerellina era fastidiosa e la nebbia lo avvolgeva, ma oramai era lì.

    Ma sì, mezz’oretta e torno a casa, pensò. Passò il negozio di alimentari, passò la merceria, la scuola elementare e la chiesa. Stasera la nebbia è incredibile, mi sembra di camminare in mezzo al nulla. Nulla davanti, nulla dietro. Passò davanti al municipio, cinquecento metri più avanti c’era il cimitero. Finalmente era arrivato. Ebbe un flash di Carla: Viste le tue inutili fotografie di paesaggi tutte uguali, almeno renditi utile per me e vai a fotografare la villa di Semiana e quella di Lomello. Adesso hanno anche tagliato tutta la vegetazione davanti alla villa degli Amanti Maledetti, si vede bene la torretta. Sono sicura che apparirà qualcosa di interessante in foto... Ecco che cosa gli aveva detto La Carla quella mattina, che lo convinceva, come al solito, a fare come voleva lei. E mentre formulava questo pensiero, con la coda dell’occhio gli sembrò di vedere qualcosa di strano, qualcosa che era fuori posto.

    Guardò l’orologio ed erano le ventidue e cinquantacinque. Già gli veniva voglia di tornare indietro, ma immaginava la voce dell’amica: Come al solito, determinazione zero. Hai detto che provavi a fare le foto con la nebbia e invece... Sei davvero inaffidabile.

    Invece eccolo lì, giubbino imbottito, cappuccio in testa, al freddo e all’umidità a fare le foto al cimitero di Alagna… Ebbe ancora quella sensazione di qualcosa fuori posto. Aveva già scattato con e senza il flash almeno una trentina di foto. Scatti al lampione che porta all’entrata del Camposanto, scatti agli alberi intorno al muro di cinta. Angolazione sinistra, angolazione destra. Ancora angolazione a destra… UN RUMORE... angolazione sinistra... ANCORA UN RUMORE...

    Cominciava a salirgli qualcosa allo stomaco, una sensazione di disagio. Una paura strana che gli nasceva dalle viscere

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