La mission pedagogica del Museo moderno
Di Franco Bello
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Anteprima del libro
La mission pedagogica del Museo moderno - Franco Bello
633/1941.
PREMESSA
Il mito antico, le Muse
L’approccio etimologico alla ricerca della genesi del termine museo fa riferimento alle Muse del mito, oltre che per l’accezione e l’accostamento nominale tra ‘muse’ e ‘museo’, anche perché esse erano ritenute protettrici delle arti e delle scienze. Ciò non di meno, l’approccio mitologico formale può avere senso e valore, se non a condizione che esso sia congiunto a una interpretazione sostanziale.
Da un punto di vista formale, nella storia dei significati, vanno posti sullo stesso piano Apollo, dio della cultura (e direttore del coro museico), le Muse stesse perchè coreute, protagoniste cioè del canto delle gesta antiche di Zeus e degli dei che lo aiutarono a defenestrare Cronos, la madre Mnemosine, dea della memoria, le divinità che assistevano e ascoltavano il coro (il pubblico), infine lo stesso Zeus, padre degli dei, supremo fra tutti (universale).
Uscendo dal mito, può ben dirsi che il concetto di ‘museo’ corrisponde, oggi più che mai, all’insieme di cultura, storia, memoria, pubblico, nonché di universalità (dell’arte e della comunicazione).
Da un punto di vista sostanziale, bisogna capire le ragioni per le quali le Muse sarebbero le madrine mitologiche del museo, così come questo viene inteso abitualmente. In linea di massima si fa riferimento alla dea Mnemosine, perché dea della memoria. E tuttavia in questa attribuzione l’ètimo conta, ma fino a un certo punto. Si trascura il direttore delle coreute, Apollo, dio della cultura, nonché le ragioni per le quali le Muse cantavano, cioè l’oggetto dei loro canti. E, facendo un passo indietro, risaliamo alla vittoria che Zeus tenne quando si liberò dei Titani con l’aiuto degli dei, imponendo la sua supremazia sul trono dell’Olimpo. Al termine del conflitto, gli dei vollero che Zeus creasse le Muse, perché queste cantassero le gesta degli dei e rallegrassero i loro animi. Fu così che, accoppiandosi a Mnemosine, Zeus divenne padre di nove Muse. A guidarle provvide Apollo, detto appunto Musagète, che accompagnava i loro canti coi suoni della cetra: il coro, da lui diretto, diventava in tal modo custode di memorie antiche.
Qual è, oggi, la funzione precipua del museo, se non quella di essere custode (attuale) di segni (antichi), agendo da tramite comunicativo con i contemporanei al fine di rinfrescare la memoria di quello che fu? D’altronde, le Muse, singolarmente prese (tranne Clio, dea della storia), nulla hanno a che vedere con la struttura e con gli scopi per i quali il museo ha la sua ragion d’essere. Non certo Melpomene, dea della tragedia, o Talìa, dea della commedia, o Calliope, dea della poesia epica, o Polinnia, dea della poesia lirica, o Erato, dea della poesia amorosa, Urania, dea dell’astronomia, Euterpe, dea della musica, o infine Tersicore, dea della danza. Nell’evocazione mitologica i ruoli prevalenti spettano, per converso, ad Apollo (dio della cultura) e Mnemosine (dea della memoria), mentre il coro delle Muse svolge la funzione di intonare, per la storia olimpica, le res gestae di Zeus e degli dei, cioè l’epica impresa per cui i Titani furono inghiottiti nel Tartaro insieme a Crono, dio del tempo, detronizzato. Tutte le divinità assistevano per proprio diletto al coro epico, costituendo il pubblico.
Il mito, che racconta come Zeus abbia detronizzato Crono, dio del tempo, quasi a voler dominare il fattore temporale (egli immortale), fu creato - come ogni altro mito - da uomini (essi, sì, mortali) quasi a rendere fulgido il proprio passato e immortalarlo, non potendolo eternare (poiché l’eternità, com’è noto, è un’entità al di fuori del tempo).
La realtà presente, il Museo
Il mito è un modo - ha scritto G. Calcani (1) - per rinnovare e analizzare gli exempla virtutis, contribuendo a costruire l’identità attraverso un processo di accumulo di miti. Il racconto mitologico delle Muse, da noi sopra ricordato, contiene in nuce quelle che sono oggi le funzioni narrative del museo:
a) la raccolta di opere evocanti segni antichi, cioè la memoria storica di civiltà storiche presenti nella comunicazione attuale,
b) lo studio e la ricerca culturale del valore dell’opera che si analizza, collocata nel suo contesto,
c) l’esposizione a fini informativi ed educativi, per il diletto e la sorpresa di chi partecipa alla visita museale, cioè per finalità psicopedagogiche.
Comunque, è certo che al di là delle varie definizioni (‘luogo delle testimonianze’, ‘ponte tra presente e passato’, ‘luogo della conservazione’ e ‘accumulatore semantico’, ‘luogo della memoria religiosa, mitica e storica’, ‘luogo di intrattenimento’, ‘laboratorio’, ‘sistema di comunicazione’, ‘mediatore del rapporto collezione-pubblico’, ‘centro di documentazione multimediale’, ‘centro di ricerca’ o altro), che si danno della realtà museale, il mito di Apollo Musagète può considerarsi emblematico di un fatto significativo applicabile alla realtà del museo, come noi odiernamente lo intendiamo: esso è una realtà culturale dinamica (quasi a ricordarci che senza cultura non si cresce), è legato alla memoria (che non è solo un fatto asetticamente evocativo o meramente informativo, ma è anche un dato emozionale) e alla storia (che si analizza scientificamente per disporre i tasselli dei frammenti, che si possiedono, o che si portano alla luce, ciascuno nel suo mosaico), con la partecipazione viva della collettività alla visione e conoscenza di una realtà, la propria, che è passata, ma non defunta.
Questa Premessa ci è servita per introdurre quelli che sono gli elementi su cui poggia l’architrave del luogo della memoria per eccellenza, il museo, la ricerca e l’analisi di prodotti antropici, conservati ed esposti, testimoni di fatti e misfatti di epoche antiche, il vedente/visitatore che partecipa nel momento in cui viene a contatto con la realtà museale e le sue opere.
Affronteremo, pertanto, l’argomento in questione da un punto di vista della domanda museale (a parte subiecti), che affonda le sue radici nel singolo individuo e nella collettività, cioè nel bisogno naturale di raccogliere e collezionare opere antiche, aventi una valenza storica, e dell’offerta museale (a parte obiecti), che ogni comunità statuale oggi pone tra i suoi servizi primari e sociali, mettendo a disposizione dei cittadini strutture e strumenti capaci di contenere i reperti d’altri tempi e di proporli ai suoi cittadini per un fatto squisitamente culturale, cioè di vita.
L’utopia futura, il Museo virtuale
La nostra società è oramai proiettata verso la navigazione in rete con connessioni tra computer, con le istituzioni, le biblioteche, i musei, i siti archeologici, anche grazie alle visite virtuali didattiche, che consentono a tutti e in tutto il mondo di dare e ricevere informazioni in tempo reale, di soddisfare interessi e curiosità diffuse, di approfondire e appagare la sete di conoscenze, di analizzare fenomeni più che mai con l’uso di strutture e infrastrutture telematiche. Una realtà, quella virtuale, fino a ieri impensabile, che supporta - ma non sostituisce - il luogo espressamente deputato all’esposizione dei beni conservati, manutenuti e/o restaurati, recuperando il contesto a suo tempo perduto.
E’ facile immaginare, infatti, che il punto centrale in ogni tipo di museo è quello di ritrovare il contesto dell’oggetto ‘musealizzato’, che fin dal suo primo impatto viene letteralmente sottratto all’artista/artigiano che lo ha prodotto, viene espunto dalla sua corrente culturale di appartenenza, strappato alla sua terra d’origine, al suo tempo. Una sorta di atomizzazione che decontestualizza, seduta stante, l’oggetto e lo pone nelle mani degli specialisti, che lo separano ancor più e lo classificano per generi e specie, per età, per schemi e provenienze: il che accentua la mancanza di contesto, uno sradicamento senza rimedio. Il processo di ricontestualizzazione, che avviene in una seconda fase, può solo rattoppare a fini di studio o espositivi, ma non ricondurre allo status quo antea il bene raccolto in una collezione. La sua situazione originale di appartenenza non potrà mai più sanarsi perché definitivamente compromessa.
Ben vengano allora le nuove elaborazioni digitali, i nuovi laboratori telematici, i tour museali virtuali, con i pregi e le opportunità tecnologiche offerte dall’informatica, anche tridimensionali, di cui i visitatori virtuali potranno disporre in modo interattivo, con il corredo di innovative forme di approccio didascalico e documentale. Sicuramente, le simulazioni di cui il web è capace, le acquisizioni di immagini ad alta risoluzione, composte e scomposte a più riprese, possono rendere più fruibile l’oggetto e più godibile la visione della mostra messa in rete. Recentemente le scuderie del Quirinale, nelle celebrazioni della nascita di Raffaello, hanno aperto le porte al web della mostra dedicata al pittore rinascimentale, sicché i frequentatori dei social hanno potuto ammirare le grandi opere dell’artista, sbizzarrendosi nella ricerca di curiosità riguardanti la sua vita.
Premesso quanto sopra, è altrettanto certo, tuttavia, che i musei reali (con il moderno dinamismo che li contraddistinge) e le esposizioni contestuali (organizzate con sapienti allestimenti), visitate da persone fisiche, non potranno mai essere soppiantati da mosaicizzazioni-cyber e database monstre. Ciò nonostante, a mio avviso, i musei virtuali sono solamente una mera utopia, ancorchè la mediazione digitale costituisca oggi una integrazione funzionale, un supporto