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Il canto di Layla
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E-book285 pagine3 ore

Il canto di Layla

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Info su questo ebook

Le paure più profonde di Michael si trasformano in un incubo reale dopo il rapimento di sua figlia da parte di una vecchia gang in cui si trovava coinvolto, con la quale ha ancora un conto in sospeso. Con l'aiuto di suo fratello, da cui si era da tempo allontanato, Michael deve trovare un modo per pagare il riscatto entro cinque giorni.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita11 nov 2020
ISBN9781071534984
Il canto di Layla

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    Anteprima del libro

    Il canto di Layla - Paul McCracken

    Resta in contatto per informazioni sui nuovi lavori.

    ––––––––

    Twitter:  @paulmccracken_

    Blog:  https://paulmccracken91.wordpress.com

    Instagram: paulmccracken91

    Paul McCracken, operaio in una fabbrica di Belfast, iniziò a scrivere all’età di 19 anni, ispirato da un corso di regia di soli cinque giorni. Iniziò a scrivere le proprie sceneggiature e si ritrovò per due volte consecutive ai quarti di finale ad un concorso internazionale di sceneggiatura cinematografica. Operaio durante il giorno, passava intere notti a lavorare sulla sua carriera di scrittore.

    Il salto verso la scrittura di romanzi fu breve. La sua prima opera The Last Rains Of Winter (Le ultime piogge invernali) suscitò l’interesse di una casa editrice che gli offrì il suo primo contratto di pubblicazione. Il lancio è ancora in fase di preparazione.

    Ma il vero romanzo di debutto è rappresentato da Il canto di Layla, il suo ultimo lavoro. Nonostante i successi, Paul continua ad essere impiegato nella sua  fabbrica e a coltivare il sogno di diventare uno scrittore professionista.

    Copyright © 2018 Paul McCracken

    ––––––––

    I diritti d’autore su questo lavoro sono stati conferiti a  Paul McCraken dal Copyright, Designs and Patents Act 1988.

    ––––––––

    Questa è un’opera di narrativa. Nomi, personaggi, esercizi commerciali, luoghi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a persone reali o eventi realmente accaduti è una coincidenza non intenzionale.

    Stampato da CreateSpace, una compagnia di Amazon.

    Copertina: Jonathan Fletcher.

    Dedicato a colei che ha ispirato questo romanzo, mia figlia Ella.

    IL CANTO DI LAYLA

    GIORNO ZERO

    Il suono stridente del segnale d’allarme echeggia per tutta la fabbrica, a decretare l’inizio di un nuovo turno di lavoro. Mi faccio strada attraverso l’officina, oltrepassando gli operai e i pesanti macchinari verso l’ufficio che dà sull’intera fabbrica. Salgo le scale in acciaio ed entro nello studio, collocato subito sopra un container per il trasporto merci. Le luci sono già accese e Martin ha già preso il suo posto davanti al computer, all’altra scrivania, intento ad aprire i programmi. Gli passo dinanzi e mi siedo al computer, lo accendo.

    Ehi, David, pronto per un’altra giornata? chiede Martin.

    Sì, si tratta sempre di quel casino con l’ordine da Londra? gli domando.

    Ovvio. Ho cercato di fare pressioni su Derek per ottenere un po’ di tempo in più, magari un’altra settimana.

    Niente da fare? chiedo.

    Lo conosci, una scadenza è una scadenza. Mi piacerebbe vedere come se la caverebbe lui a rispettarla, in cima a tutto il resto risponde Martin.

    Si lascia cadere all'indietro sulla sedia, indicando sullo schermo gli orari dello scadenzario.

    Stampiamo poi le tabelle di marcia della giornata e scendiamo in officina a consegnarle ai lavoratori. Un altro giorno sotto pressione e pieno di impegni. Il tempo trascorre velocemente, il che è un bene e un male allo stesso tempo. Ho la sensazione di non avere a disposizione abbastanza ore durante la giornata per completare le consegne che ci vengono assegnate, ma non possiamo certo essere più veloci delle macchine.

    Usciamo dal lavoro alle quattro e raggiungo l’auto, pronto a partire verso casa. L’aspetto peggiore delle giornate invernali è che la giornata inizia all’insegna dell’oscurità, e allo stesso modo si conclude.

    Vivo in una piccola cittadina nei dintorni di Belfast, chiamata Holywood. Si trova oltre il George Best, l’aeroporto di Belfast. Sono a destinazione in soli trenta minuti. Solo in autostrada, sia all’andata che al rientro. Sotto la pioggia, gli schizzi provenienti dalla strada rendono quasi impossibile distinguerla con chiarezza, come stasera. Mi affido alle luci posteriori degli altri conducenti affinché guidino la mia strada, considerato che perfino le strisce bianche sull’asfalto sono offuscate.

    Giunto a casa, parcheggio l’auto nel cortile di fronte all’edificio e spengo il motore. Mi sporgo verso il sedile del passeggero e sposto verso il basso lo specchietto retrovisore per guardarmi allo specchio.  Provo a sistemare i capelli corti e scuri, appiattiti dopo una giornata di lavoro. Noto qualche nuova ruga ai lati degli occhi, inizio solo ora a sentirmi vecchio, trentaquattro anni compiuti lo scorso mese. Esco dall’auto ed entro in casa.  All’aprire la porta, quasi inciampo su un cane di plastica abbandonato sul tappeto all’ingresso. Layla aveva lasciato i suoi giocattoli in corridoio, ancora una volta.

    Layla! la chiamo.

    Papà! sento la sua voce sottile chiamarmi da qualche stanza al piano di sopra.

    Vieni a raccogliere i tuoi giocattoli prima di cena!

    Mi dirigo verso la cucina, sfilandomi la giacca da lavoro e sistemandola su una delle sedie di legno del tavolo da pranzo. Di fronte alla credenza della cucina trovo Lisa, intenta a tagliare delle carote. Sono sempre stati i suoi capelli castani con dei colpi di luce, a distinguerla fra mille. Se si perdesse in una folla, sarebbe quello il dettaglio che mi porterebbe a ritrovarla. Aveva fatto questo colore in occasione del nostro anniversario, glielo pago io stesso ogni anno. Mi avvicino, e stando in piedi dietro di lei la abbraccio.

    Che c’è? sospira.

    Nulla, solo due coccole.

    Hm, che hai fatto stavolta? mi chiede.

    Non ho fatto nulla, perché devi sempre presumere che abbia fatto qualcosa, quando in realtà sono soltanto gentile?

    Perché non sei mai gentile.

    Oh, non sono mai gentile? le chiedo in tono scherzoso.

    Forza, sparisci, sto affettando, a meno che tu non voglia che faccia a fettine qualcos’altro. Dice mostrandomi il coltello.

    La lascio andare e mi sposto verso il frigo per prendere qualcosa da bere.

    Non puoi aspettare? La cena è quasi pronta mi dice Lisa.

    È truccata con particolare cura stasera, come se stesse per andare da qualche parte. Le sue guance morbide e rotondeggianti sembrano sempre un po’ arrossate. Gli occhi castani e tondi, le labbra sottili e lisce che cerca sempre di ingrandire con i colori più pigmentati della sua palette di rossetti.

    No rispondo schiettamente aprendo la lattina e iniziando a sorseggiare.

    Layla fa il suo ingresso, ancora nella sua divisa di scuola, e mi abbraccia. Ha appena compiuto cinque anni, lo scorso gennaio. Quando è ritta in piedi la sua testa oltrepassa il mio gomito, sarà più alta di me fra qualche anno. Ha gli occhi castani di sua madre e i capelli dal colore scuro, come i miei. Il suo viso è dolcissimo, specialmente quando sorride.

    Ti ha detto la mamma cosa ho fatto oggi a scuola? chiede Layla.

    No, non mi ha detto nulla.

    Con la mano tira il cartellino appuntato sulla felpa per mostrarmelo. Questa settimana sarò capoclasse dice, gonfia di orgoglio.

    Wow, è fantastico, bravissima le rispondo.

    Ci sediamo tutti insieme per la cena. Lisa ha cucinato il solito: patate, carne e verdure. Durante la cena il telefono fisso inizia a suonare. Sposto la sedia e faccio per alzarmi, ma Lisa mi precede.

    Siediti e mangia, vado io mi dice.

    Mi risiedo. Layla mi guarda negli occhi e accenna un sorriso. Alzo la forchetta in direzione della sua.  Iniziamo una battaglia, come se avessimo in mano delle spade. Il suo sorriso si allarga ancora di più e inizia ad emettere dei grugniti, sforzandosi per colpirmi.

    No! Sì, sono sicura! sento alzarsi il tono di voce di Lisa nel corridoio. Smetto di giocare con le forchette.

    Ti ho battuto! mi dice Layla, ma la mia attenzione è completamente focalizzata sulla conversazione telefonica.

    Chi crede di essere per minacciarmi? la voce di Lisa si fa aggressiva.

    Mi alzo e mi dirigo verso il corridoio, mentre lei sbatte con forza il telefono per interrompere la conversazione.

    Chi era? chiedo.

    Qualche stronzo che ha sbagliato numero mi risponde, visibilmente irritata.

    Ti senti bene?

    Sto bene, finisci la cena mi dice, passandosi le mani tra i capelli e spostandole ai lati del volto.

    ––––––––

    Resto sveglio più tardi del solito mentre loro sono già a letto. Mi siedo a guardare vecchi film. Li avrò visti un centinaio di volte, ma per qualche ragione non riesco a stancarmene. So bene cosa succederà, ma questo non altera in nessun modo la qualità della storia.

    Gli occhi iniziano a dolermi e ho difficoltà a tenerli aperti, per questo decido di concludere così la giornata. Ricontrollo che tutte le porte siano chiuse e lancio una rapida occhiata attraverso le tende. La strada sembra vuota. Porto fuori la spazzatura della cucina al cassonetto esterno come una scusa per guardare fuori, per ascoltare. Butto la spazzatura nel grande cassonetto nero del giardino sul retro e mi fermo un istante. Cerco di cogliere qualsiasi suono possibile. Silenzio e tranquillità.

    Una volta raggiunta la stanza da letto, Lisa dorme già profondamente, con gli arti distesi, occupando buona parte del letto. Sbircio fuori dalla finestra attraverso le tende chiuse, verso la strada al di sotto, ancora vuota, ancora silenziosa. Mi metto a letto, insonne e ansioso, cercando di fare del mio meglio per addormentarmi.

    Oggi mi sento completamente sommerso dagli ordini di lavoro. Trascorro la maggior parte del mio tempo in ufficio a cercare di pianificare orari al fine di rispettare le scadenze di consegna.

    Sono circa le dieci del mattino e sto per entrare in pausa quando sento squillare il telefono. È un numero sconosciuto. Odio rispondere ai numeri sconosciuti. La maggior parte delle volte si tratta di qualche agente di vendita per corrispondenza che sostiene che tu sia stato vittima di qualche incidente stradale o che tenta di convincerti dei vantaggi di un nuovo fornitore di servizi. Decido di rispondere comunque, soltanto per capire di chi si tratta.

    Pronto?

    Michael, ho cercato di contattarti dice una voce fredda.

    Mi alzo e mi avvicino alla porta, Martin mi guarda uscire dall’ufficio. Scendo le scale e prendo la porta d’emergenza al lato del palazzo, per avere un po’ di silenzio e riservatezza.

    Chi è?

    Sai chi sono. Tua moglie dovrebbe imparare a chiudere il becco.

    Ha sbagliato numero, non so di chi lei stia parlando.

    Michael, che è successo alla consegna?

    Consegna? Che consegna? Non so davvero di cosa stia parlando, mi chiamo David Isaac.

    Non prendermi per il culo, Michael. Ho sentito che hai avuto una bambina con quella puttana, Lisa.

    Sta’ lontano dalla mia famiglia! urlo, perdendo la calma.

    Ecco la persona che stavo cercando, mi fa piacere tu sia ancora lì. Ora, dimmi che ne è della consegna o...

    Riattacco.

    Trascorro qualche minuto fuori, guardando il telefono in attesa di sapere se mi avrebbero richiamato, oltre che per prendermi un po’ di tempo per calmarmi. Torno dentro e rientro in ufficio.

    Passo il resto della giornata con il telefono vicino al computer per non perdermi alcuna chiamata o messaggio. A ogni minuto sposto nervosamente lo sguardo dal monitor allo schermo del telefono.

    ––––––––

    Ho più fretta rispetto al solito di rientrare a casa. Devo assicurarmi che Lisa e Layla siano al sicuro.

    Giunto a casa, trovo Layla ad aiutare Lysa a pelare patate. Sento i nervi rilassarsi a quella vista. Percorro il corridoio e mi dirigo verso la cucina.

    Layla si gira e mi vede.

    Guarda, mamma mi ha mostrato come si pelano le verdure dice.

    Stai facendo un ottimo lavoro le rispondo.

    Tutto bene? mi chiede Lisa, notando qualcosa di palesemente strano nella mia voce.

    Sì, sto bene, è solo la pressione del lavoro. Sono un po’ stanco.

    Hai preso le salsicce rientrando a casa? mi chiede.

    Avevo completamente dimenticato che mi avesse scritto un messaggio chiedendomi di comprarle stasera, sulla via del rientro.

    No, le ho scordate, vado al negozio dell’autorimessa, mi ci vorranno cinque minuti.

    Bene, prendi quelle più grosse mi dice.

    Sarà fatto le rispondo, mentre tiro fuori le chiavi dell’auto dalla giacca e mi allontano nuovamente da casa.

    Guido per cinque minuti verso la stazione di servizio ai margini della città.  Compro le salsicce e sono in procinto di risalire in macchina quando sento il telefono squillare nella mia tasca. Lo prendo, è Lisa.

    Ehi

    David! Qualcuno sta tentando di entrare in casa!

    Cosa dici?! Chiudi a chiave le porte.

    Le ho chiuse quando li ho visti entrare nel nostro vialetto.

    Sento dei forti colpi in sottofondo.

    Oh dio, prendono a calci il portone, David! Io e Layla siamo sotto il nostro letto dice su punto di piangere.

    Lascio cadere le salsicce e salto in macchina.

    Arrivo! Sto arrivando!

    Lancio il telefono nel sedile accanto al mio ed esco a tutta velocità dalla stazione di servizio.

    Sento il pianto di Lisa provenire dal telefono sul sedile del passeggero, mentre corro all’impazzata verso casa. Percepisco un urlo straziante, e premo al massimo sull’acceleratore.

    Parcheggio fuori e mi precipito in casa. La porta è stata sfondata dai calci.

    Entro in corridoio.

    Lisa! Lisa! la chiamo.

    Percepisco un pianto provenire dal piano superiore. Salgo le scale in tutta fretta ed entro nella nostra camera da letto, trovandola seduta sul letto. Mi avvicino a lei. Le lacrime le percorrevano il viso, scosso dal pianto incontrollabile.

    Dov’è Layla? Le chiedo ripetutamente.

    Lei alza lo sguardo e noto dei lividi sul suo volto.

    Lisa, dov’è Layla? le chiedo nuovamente, in tono più aggressivo. Sto perdendo la pazienza.

    L’hanno presa risponde con sguardo assente.

    Mi volto e lascio la stanza.

    Layla?! Urlo disperato, sperando di sentire una risposta da quella voce dolcissima.

    Controllo la sua stanza, la porta è già aperta ma non c’è nessuno al suo interno, la luce soffusa della piccola lampada rivela soltanto un letto vuoto.

    Mi precipito in bagno, sposto perfino la tenda della doccia, in un turbinio di speranza e irrazionalità.

    Corro giù per le scale e poi fuori, nel giardino sul retro, mentre il mio cuore impazzito mi lascia un costante brivido freddo nelle vene. Non c’è nessuno. Torno in macchina, non chiudo neppure la porta d’ingresso. Mi siedo e mi lancio a tutta velocità, perlustrando le strade del quartiere.

    Passo un’ora a cercare i segni di qualche attività sospetta, o tracce di Layla e i suoi rapitori. Ripongo la speranza in ogni incontro che faccio sulla via del ritorno, ma di Layla non c’è alcun segno.

    Le strade illuminate da una luce fioca e le cupe aree boscose circostanti rendono la mia ricerca ancora più difficoltosa, aumentando il senso di incertezza sul focalizzarmi su determinate aree, poiché sembra che possano nascondere qualcosa. Eppure, so bene che il tempo in questo momento è cruciale. Lei si allontana da me ogni secondo che passa, ne sono cosciente.

    Non posso permettermi di perdere un solo istante, cercando nel posto sbagliato.

    Guido, e continuo a guidare, non posso fermarmi, non posso abbandonare la mia bambina. Mi fermo perfino a porre domande al personale notturno della stazione di servizio, pregando per qualche informazione su quale sia la giusta direzione da prendere. Sto guidando alla cieca. Estendo le ricerche fino a Bangor e torno indietro.

    Sulla via del ritorno, penso tra me e me che di sicuro quella è stata una mossa sbagliata, con ogni probabilità sono passati da Belfast, o almeno nei suoi dintorni. In un labirinto di strade conosciute, ora mi sento perso.

    Inizio ad accusare problemi alla vista e sfrego gli occhi lacrimanti con la manica del maglione, che uso anche per asciugarmi il naso quando perdo il controllo delle mie emozioni.

    La mia guida si fa più irregolare, accelero con forza agli incroci e agli svincoli, arrivo a toccare le 100 miglia all’ora in una strada a doppia corsia con limite di velocità di 50. La spia del carburante si accende e rallento per fermarmi a un lato della strada; mi abbandono sul volante e mi butto all’indietro sul sedile, con rabbia; sbatto ripetutamente il capo sul poggiatesta, prendendo a pugni il volante finché la rabbia si affievolisce e rimane soltanto un senso di sconfitta.

    La ricerca è stata infruttuosa, stringo i denti e torno a casa.

    Al mio rientro, trovo la porta ancora semi socchiusa. Esco dall’auto e percorro il vialetto che mi porta all’ingresso di casa. Lisa ha fatto le valigie e le ha sistemate in corridoio.

    Lisa, dove sei? la chiamo.

    Sono in salotto risponde con voce flebile.

    La trovo seduta accanto al tavolino del telefono, a un lato del divano, davanti al televisore.

    Che significa questo? chiedo, indicando le valigie.

    Non posso stare qui, come pensi che possa sentirmi al sicuro ora?

    Ha ragione, questa casa non è esattamente un luogo che chiamerei sicuro, dopo ciò che è successo.

    Mi hanno detto, quando hanno preso Layla, di aspettare una chiamata mi spiega.

    Chi erano?

    Non so, forse dovresti essere tu a spiegarmelo... Michael.

    Lisa... mi avvicino per darle conforto, ma lei respinge la mia mano con violenza.

    Chi sono? Non ho idea di cosa diavolo stia succedendo qui, aiutami, per favore. Perché credono che qualcuno di nome Michael viva qui?

    Prendo un secondo, ormai il danno è fatto.

    Ero invischiato, giù a Dublino. Sono stato scoperto durante il ritorno da un carico di stupefacenti oltre il confine. La polizia mi ha beccato con un carico di cocaina da centomila euro.

    Cosa dici? Non capisco, che significa essere ‘invischiato’? Come in una gang?

    Sì, come in una gang.

    Ma io pensavo fossi cresciuto a Belfast! O è una menzogna?

    No, ci sono cresciuto, mi trasferii a Dublino a vent’anni. I miei genitori mi sbatterono fuori di casa perché ero causa di troppi problemi. Quando sono stato pescato dalla polizia mi offrirono un accordo. Niente galera e custodia cautelare, in cambio di nomi e altre informazioni sensibili sulla gang.

    Dunque, hai ‘cantato’? mi chiede Lisa.

    Sì, mi sono trovato un nuovo nome, una nuova casa. Ecco come ti ho conosciuta.

    Michael? Questo è il tuo vero nome?

    Michael O’Connel ammetto.

    Ho sposato un criminale borbotta, mettendo una mano sulla fronte.

    Ho cambiato la mia vita. Sono andato per la retta via. E poi ti ho incontrata.

    Non ti conosco, non è così?

    Mi conosci, hai sempre conosciuto la parte reale di me, non l’ho mai nascosta.

    Davvero? Non ti sei mai fidato abbastanza di me per parlarmi di questa storia prima d’ora?

    Non volevo causarti inutili preoccupazioni o rovinare ciò che abbiamo.

    Non ho ancora chiamato la polizia dice Lisa alzandosi, ma le afferro un braccio, fermandola.

    Non puoi chiamare la polizia o non avremo mai indietro Layla.

    David, devo farlo. Intendo dire, Michael. Dio, ma che sto dicendo?

    La porterò a casa, ma devi fidarti di me.

    Lei si libera dalla mia presa.

    Allontanati da me, stai lontano da me!

    Si alza e si allontana, evitando il mio sguardo. La sento prendere le valigie e sbattere la porta d’ingresso.

    Mi siedo sul divano al buio, accanto al telefono.

    Rimango in quella posizione per ore, senza alzarmi per mangiare o bere. Non accendo il televisore per distrarmi e non chiudo le tende per accendere le luci. Resto seduto al buio dei miei pensieri su cosa accadrà.

    Dov’è Layla? Sta bene? E cosa vogliono?

    Continuo a controllare il telefono in attesa di una chiamata o perfino un messaggio. Non ricevo nulla, neanche da Lisa. Lo abbandono per qualche ora, prima di riguardarlo ancora una volta, verso le undici e mezzo.

    Mi stendo e cerco di accomodarmi sul divano, mentalmente esausto. E in quel momento ricevo

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