Una cura chiamata amore: Harmony Bianca
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Tre anni prima Brianna Flannigan e Connor Monahan hanno perso il loro bambino e il loro matrimonio. Adesso si ritrovano a lavorare fianco a fianco al St Piran's proprio nell'Unità di Terapia Intensiva Neonatale. Il passato torna nuovamente a bussare alla loro porta, ma questa volta, invece di distruggerli, li trova pronti ad affrontare una volta per tutte i loro fantasmi e a combattere per il loro amore. Grazie a un piccolo miracolo.
Maggie Kingsley
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Una cura chiamata amore - Maggie Kingsley
1
Si dice che il tempo guarisce tutto, ma non è vero. Non guarisce completamente. A volte basta una canzone, un commento, un incontro inaspettato perché un’antica ferita si riapra e il dolore ridiventi acuto come prima.
«Così non si tratta di semplici pettegolezzi?» domandò l’infermiera Brianna Flannigan mentre sorseggiava il caffè nella mensa del St Piran. «Sta veramente arrivando un rompiscatole per decidere quali reparti dovranno essere chiusi?»
«Purtroppo sì» confermò Megan Phillips con un sospiro. «E arriverà oggi, secondo i più informati.»
«Ma questo è un buon ospedale» protestò Brianna. «Lo staff è altamente qualificato e coscienzioso, le prestazioni sono di prim’ordine. Siamo i soli a offrire una gamma completa di servizi clinici in questa parte della Cornovaglia.»
«È vero» convenne Jess Corezzi cupa. «Ma secondo gli amministratori, perdiamo soldi da tutte le parti e...» allargò le braccia, fingendo di concludere un discorso ufficiale, «...dobbiamo fare qualcosa.»
«E questo significa chiudere reparti?» chiese Brianna con un brivido di apprensione. «O addirittura tutto l’ospedale? Devono esserci altri modi per risparmiare.»
«Probabilmente sarò licenziata per prima» borbottò Jess. «Assistenza psicologica ai pazienti e alle famiglie.» Scrollò la testa. «A quel tizio sembrerà uno spreco.»
«Ma il tuo lavoro è importantissimo» ribatté Brianna. «I genitori dei miei bambini in Terapia Intensiva Neonatale hanno un disperato bisogno di te.»
«Come i genitori e i bambini in Pediatria» asserì Megan, ma Jess non parve convinta e Brianna poté capirne il motivo.
Nel quadro di un piano di risparmio, il revisore avrebbe cominciato con la soppressione dello staff non strettamente clinico. Lei riteneva che il ruolo di Jess fosse importante, ma aveva il terribile sospetto che il revisore lo avrebbe considerato superfluo.
«Che cosa ne pensa Gio?» chiese riferendosi al bel marito italiano di Jess, un neurochirurgo arrivato al St Piran l’autunno precedente che aveva sposato la giovane psicologa dopo un fidanzamento lampo.
«Come te, pensa che il revisore riconoscerà l’importanza del tuo lavoro e raccomanderà piuttosto la chiusura della nuova unità pediatrica per i bambini ustionati, ma francamente...» Jess si strinse nelle spalle. «Mi sembra inverosimile. L’unità è necessaria, la costruzione dell’edificio è quasi finita e l’amministrazione ha già invitato quel principe straniero all’inaugurazione fra un paio di mesi.»
Nemmeno Brianna condivise la previsione di Gio. E a giudicare dalla sua espressione, nemmeno Megan.
«Be’, se non altro i vostri reparti sono al sicuro» continuò Jess. «Nessuna persona sana di mente potrebbe chiudere una corsia pediatrica o un’unità di terapia intensiva neonatale.»
No? Brianna pensò a un uomo che ne sarebbe stato capace. Un uomo per il quale la contabilità e l’efficienza contavano più delle persone. Fu percorsa da un brivido.
«Tutto bene?» chiese Megan, accigliandosi un poco.
Brianna si costrinse a sorridere. «Vuoi sapere la verità? Non mi piacciono questi discorsi di chiusura. Mi mettono a disagio. Questo ospedale è il mio...» S’interruppe. Stava per dire rifugio, ma sebbene lei, Jess e Megan fossero divenute molto amiche da quando era arrivata al St Piran, due anni prima, non intendeva rivelare a nessuno certe parti della sua vita. In particolare il suo passato. «Insomma, qui sono felice» si corresse.
«Anch’io» affermò Jess e Megan si dichiarò d’accordo.
«Be’, sappiamo qualcosa sul conto di questo tizio?» domandò Brianna. «Da dove viene? In quali ospedali ha lavorato?»
«Sappiamo soltanto che viene da Londra» rispose Jess.
Brianna rabbrividì di nuovo. «Londra?» ripeté. «Jess...»
Fu interrotta da un insistente bip. Le tre donne consultarono istantaneamente i rispettivi cercapersone, ma fu Megan ad alzarsi con un gemito.
«Qualche problema in Pediatria?» domandò Brianna.
Megan scosse la testa. «È la direzione. Sono eccitatissimi per questa visita. Ieri volevano tutto in doppia copia. Adesso lo vogliono in tripla.»
Dopo essersi scusata con un sorriso, la pediatra si diresse verso l’uscita della mensa. Mentre Brianna e Jess la guardavano, la porta fu aperta all’improvviso e comparve Josh O’Hara, il medico del Pronto Soccorso. Disse qualcosa a Megan e tese la mano per trattenerla ma lei lo oltrepassò in silenzio. Brianna e Jess si scambiarono un’occhiata.
«Sembra che fra quei due la situazione non accenni a migliorare» osservò Brianna.
Jess trasse un sospiro. «Temo che sia impossibile. Josh è sposato con Rebecca e Megan non è certamente una sfasciafamiglie.»
«Per caso ti...» Brianna si schiarì la voce. «Ti ha parlato di lui?»
«So soltanto che fra loro due c’è una vecchia storia. Non oso farle domande» rispose Jess. «Credo che anni fa avessero una relazione, poi Josh si è sposato. Non so perché si siano lasciati.» La psicologa dell’ospedale scrollò le spalle. «Vorrei che lui non fosse venuto a lavorare al Pronto Soccorso. Probabilmente non sapeva che in questo ospedale avrebbe trovato Megan. Veder riapparire nella propria vita una persona che si è amata molto tempo prima... dev’essere terribile, non credi?»
Sì, Brianna lo credeva. Cercò di non pensarci, ma provò ugualmente un senso di angoscia.
Segreti, si disse mentre guardava Josh attraversare lentamente la mensa e fissare svogliatamente il menù. Lei, Jess e Megan... ognuna di loro tre aveva un segreto. Forse erano amiche per questo, e anche per il fatto che ognuna di loro rispettava la privacy delle altre. Fino a pochi mesi prima Brianna aveva ignorato che Jess fosse sieropositiva e che Megan soffrisse ancora per la fine di una storia d’amore. E nessuna di loro sapeva che lei... No, s’ingiunse. Non pensarci. Mai più.
«Il brutto è che lo trovo simpatico» continuò Jess mentre Josh prendeva un krapfen e una tazza di caffè prima di sedersi a un tavolo libero in fondo alla mensa. «Qualunque cosa sia accaduta fra lui e Megan in passato, credo che sia un bravo ragazzo.»
«Tuo marito sa che consideri Josh un bravo ragazzo?» la stuzzicò Brianna.
La psicologa rise. «Gio sa che lo considero soltanto un amico» replicò. «Vorrei che risolvesse i suoi problemi con Megan. Vorrei poterli aiutare, ma...»
Mentre lasciava la mensa con Jess per tornare nel proprio reparto, anche Brianna pensò che avrebbe voluto aiutarli. Come la sua amica, aveva simpatia per Josh O’Hara. Certo, Josh l’aveva stuzzicata quando aveva scoperto che anche lei era irlandese. Con i suoi lunghi capelli rossi, aveva detto, le ricordava un’attrice hollywoodiana degli anni Quaranta, Maureen O’Hara. Ma Brianna era sicura che Josh non provasse un’attrazione particolare per lei. Era un seduttore naturale, sapeva mettere tutti a proprio agio. A meno che la persona si chiamasse Megan Phillips, pensò con un sospiro.
Quando fu entrata in Terapia Intensiva Neonatale, incontrò Rita, la caposala. Forse il membro del personale che lei trovava più indisponente.
«Non sono in ritardo» le fece notare, sbirciando deliberatamente l’orologio. «Non mi risulta che l’unità stia bruciando. Se ci fosse stato qualche problema, mi avresti sicuramente chiamato con il cercapersone. Così vuoi solamente riferirmi qualche pettegolezzo?»
«È qui» sibilò la caposala. «Il revisore. È arrivato mezz’ora fa e sta consultando i fascicoli nel mio ufficio. Ma non so fin quando potrò tenerlo là.»
«Non hai pensato a catene e manette? O magari a una camicia di forza?»
«Non c’è niente da ridere» ritorse Rita. «Il dottor Brooke è ancora in sala operatoria...»
«Per fortuna» la interruppe Brianna. «Cassandra fra persone in buona salute?» Scosse ironicamente la testa. «Che idea balorda.»
«Sì, come chiamare il nostro primario con quello stupido nomignolo» protestò Rita, scordando che anche lei chiamava «Cassandra» il dottor Brooke come il resto dello staff.
«Rita...»
«La prima impressione è quella che conta» insistette la caposala. «E ne abbiamo già data una pessima non accogliendo il VIP con il nostro primario.»
«Già, la piccola Amy Renwick ha scelto il momento peggiore per ammalarsi, vero?» osservò Brianna ironica, ma la caposala non colse il sarcasmo.
«Purtroppo sì» convenne. «Andrò in pensione fra due anni e non vorrei che l’unità fosse chiusa prima della mia partenza.»
«Dubito che si possa chiudere un’unità di terapia intensiva neonatale» replicò Brianna, ripetendo le ottimistiche parole di Jess.
Ma Rita non le diede retta. «Siamo a corto di personale» dichiarò indignata. «E questo revisore se ne accorgerà. Dio sa che non voglio lamentarmi...»
Non fai altro, pensò Brianna. Un giorno senza i lamenti di Rita sarebbe stato l’evento del secolo.
«E nessuno può dire che non faccio del mio meglio» continuò la caposala. «Ma senza un direttore del reparto, devo lavorare per due.»
Brianna fu tentata di replicare che Rita avrebbe faticato meno se non avesse passato metà del tempo a ficcare il naso negli affari degli altri e a diffondere pettegolezzi, ma la caposala aveva ragione. L’unità mancava di un direttore che organizzasse il lavoro delle infermiere. Sebbene l’amministrazione avesse promesso di cercarne uno dopo il ritorno di Diego Ramirez in Spagna, l’annuncio non era ancora stato pubblicato.
«Sono sicura che il revisore sarà comprensivo» dichiarò. «Adesso, se vuoi scusarmi...»
«Ramirez è stato egoista» continuò Rita. «Ci ha piantati in asso. Ai miei tempi la gente aveva il senso del dovere, ma oggi tutti se ne infischiano. Guarda quante madri nubili riceviamo in Maternità. Sono delle svergognate. Ai miei tempi...»
«Ai tuoi tempi tutti erano santi e le ragazze arrivavano vergini al matrimonio» la interruppe Brianna. «Ma adesso, se tieni tanto a fare buona impressione, non potresti continuare il tuo lavoro?»
Rita aprì la bocca come se volesse replicare con una frase tagliente, poi si allontanò con una gran sbuffata e Brianna strinse i denti.
In futuro avrebbe sicuramente pagato quello che aveva detto. Rita se la sarebbe legata al dito. Ma quel giorno la caposala le aveva dato sui nervi. Per la verità le dava sempre sui nervi con il suo atteggiamento perbenista.
Andò a lavarsi le mani e se le spalmò di pomata antisettica, poi entrò in corsia. Di solito non era così suscettibile, ma quel maledetto revisore stava sconvolgendo tutti. Il suo arrivo aveva trasformato l’ospedale in un luogo insicuro e Brianna non voleva l’incertezza. Voleva che l’ospedale restasse esattamente com’era: il suo paradiso, il suo rifugio, la sua fuga dal passato. «Accidenti a quel rompiscatole» borbottò fra sé. «Perché non va a rompere da qualche altra parte?»
«Non stai parlando del nostro esimio visitatore, vero?» ridacchiò la sua amica e collega Chris.
«Hai fatto centro» ammise Brianna, cominciando a rilassarsi mentre avvertiva il familiare calore dell’unità e il sommesso ronzio degli apparecchi. «Durante l’ora di pranzo è successo qualcosa