E' solo amore
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Anteprima del libro
E' solo amore - Jessica Lazzarini
Jessica Lazzarini
E' solo amore
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Table of contents
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Jessica Lazzarini
È solo amore
Una storia vera
Ascolta ogni emozione.
Solo così potrai vivere una vita autentica.
Revisione testi a cura di
Lara Casetti
e
Grazia Braccelli
Progetto grafico di copertina
Giorgio Rossari
Proprietà letteraria riservata.
È vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo.
Alle mie figlie, piccole stelle che ogni giorno
inondano di luce i miei istanti.
A mio marito, lunatico e affettuoso compagno di vita.
Ai miei genitori, essenza del mio essere.
A tutte le mamme, angeli senz'ali,
inesauribili sorgenti d'amore.
"Del tutto impreparati,
entriamo nel pomeriggio della vita.
Peggio ancora, lo affrontiamo partendo
dal falso presupposto
che le nostre verità e i nostri ideali
ci saranno d’aiuto, come hanno fatto finora.
Ma non ci è possibile vivere il pomeriggio della vita
seguendo il programma adottato al mattino.
Perché ciò che è grande al mattino,
sarà piccolo la sera.
E le verità del mattino,
la sera saranno divenute falsità."
The Shift, Il Cambiamento, Wayne W. Dyer
Questa è una storia vera.
È il racconto vero dettato dal cuore
di una madre che altro non desidera
se non potersi donare, giorno dopo giorno,
alle proprie figlie.
Contro una società che affigge inopportune etichette
e con estrema facilità giudica le scelte altrui,
contro un mondo che corre troppo e impone
rigidi dettami anche ai più piccini,
contro le difficoltà della vita che sempre
più spesso mascherano la bellezza e l'unicità
di quei piccoli gesti che fanno grande la quotidianità;
una vita illuminata dai sorrisi e dalla spontaneità di due creature
in grado di riempire ogni istante con la loro radiosa, esuberante e affettuosa presenza.
Le vicende narrate e i personaggi, ai quali
sono stati assegnati nomi di fantasia, traggono ispirazione da fatti e accadimenti reali.
1
Il bambino era libero da ogni legame
nel paese della sottile luna crescente.
Non è senza ragione che rinunciò
alla sua libertà. Sa che c'è posto
per una gioia infinita nel segreto
del cuore di una madre.
Ed è molto più dolce della libertà
l'essere preso e stretto tra le sue braccia.
R. Tagore
Avvolta da una soffice nube di timidezza e diffidenza, quasi invisibile nell'immensità del corridoio di ciò che un tempo fu un convento di suore, Giada posò felpa e zainetto nel suo piccolo armadio. A fatica mi chinai su di lei; da qualche settimana mi riusciva difficile sollevarla se non stando seduta, e lei non perdeva occasione per ricordarmelo.
Mamma, quando potrai prendermi in braccio?
Quando nascerà la sorellina, tesoro. Ormai manca poco!
La rassicurai.
La strinsi a me, mi lasciai cingere dalle sue braccia e le baciai una guancia.
Ciao, stellina. Verrò a prenderti dopo pranzo.
Va bene, mamma.
Disse, posando la testa alla mia spalla.
Fai la brava, ok?
Sì, mamma...ciao!
E correndo, la sua esile figura scomparve oltre la porta della sua aula.
Il cielo terso e i raggi del sole di quella splendida mattinata di maggio erano un richiamo irresistibile. Non avvertivo dolore, solo una sensazione di pesantezza al basso ventre che da giorni, ormai, accompagnava ogni mio gesto.
Lasciai l'auto non molto distante dal centro; certa di non fare nulla di inopportuno, mi incamminai a piedi verso la piazza, dove lo zio Pietro mi attendeva per un caffè. Con una lentezza quasi esasperante, esausta e con il fiato corto giunsi a destinazione. Pietro mi accolse con il sorriso di sempre e una pacca sulla spalla.
Ciao! Allora?
Domandò, posando una mano su quella specie di pallone gonfiato che era il mo addome.
Non ce la faccio più! Muovo due passi e mi sembra di aver camminato per chilometri. Domani scadrà il termine. Ma se volesse nascere anche ora...
Quando si dice 'Detto...fatto!'
Ci credo! Cosa prendi, Lisa?
Un decaffeinato con latte, grazie. Ti dispiace se mi siedo?
Ma no, certo. Ordino e arrivo.
Presi posto in uno dei tavolini preparati in galleria, all'aperto. Avevo bisogno di respirare. Pietro si sedette accanto a me e scambiammo qualche parola. Arrivò la cameriera con le nostre tazze. Versai l'intero contenuto di una bustina di zucchero grezzo nella schiuma soffice screziata di marrone e osservai i granelli sprofondare in quel mini cappuccino.
Giada è a scuola?
Sì, l'ho appena portata.
Risposi, sorseggiando il caffè.
Iniziai a sentirmi strana; la vista si annebbiava lentamente ed ebbi la sensazione che il mio corpo, sempre più pesante, scivolasse verso il basso. Allungai una mano verso Pietro e lo supplicai di starmi vicino.
Pietro, non mi sento bene. Vieni vicino a me, per favore.
Capì che qualcosa non andava. Si alzò di scatto e si mise dietro di me, sorreggendo la mia testa dondolante.
Sono qui, Lisa. Sei molto pallida. Che succede?
Non lo so. Ho paura. Stai qui, non mi lasciare.
Furono le uniche parole che riuscii a pronunciare prima che egli mi adagiasse a terra e mi sollevasse i piedi. Ricordo di essermi posata una mano sulla pancia. Poi, il buio. Qualche lungo, interminabile istante di buio. O forse più.
Fui svegliata dalla grande mano di Pietro che prendeva a schiaffetti il mio viso. Ero immobile, priva di forze. Facce sconosciute e incuriosite, a turno, si sporgevano su di me, forse per controllare se fossi ancora viva. Il quotidiano locale, l'indomani, avrebbe avuto qualcosa da raccontare: Donna incinta sviene mentre beve il caffè.
L'ambulanza correva a sirene spiegate verso l'ospedale. Una miriade di pensieri solcò la mia mente ancora intorpidita. Che ne sarebbe stato di me? Cos'era successo a Martina, ancora raggomitolata dentro di me, in quei secondi di buio? Il mio ventre l'avrebbe protetta o si sarebbe rivelato una trappola fatale? Ci saremmo salvate? Chi si sarebbe occupato di Giada? E Diego, qualcuno lo aveva avvertito? Per un attimo temetti il peggio.
Il medico, accanto a me, reggeva la mia mano debole e ghiacciata mentre gli ausiliari registravano i parametri vitali.
Come si sente?
Mi chiese.
Piangevo. Tutti se ne accorsero e mi osservavano, con lo stesso sguardo pietoso con cui si osserva un cane bastonato, ma non mi importava. Che avrei dovuto nascondere? Ero io, terrorizzata, in tutta la mia fragilità.
Debole. Ho paura. E non sento la bambina muoversi. Dov'è Pietro? Per favore, qualcuno chiami mio marito al telefono. Per favore.
Cerchi di non agitarsi. La persona che era con lei ci segue in auto. La bambina starà dormendo. Lei ha avuto un leggero collasso, può capitare. I parametri ora sono stabili. Siamo quasi arrivati; in reparto potranno controllare anche le condizioni del feto.
Preciso ragguaglio sulle mie condizioni, ma nessuno sembrava aver capito che desideravo informare mio marito dell'accaduto. Ora. Insistetti, in tono di supplica.
Per favore, qualcuno può chiamare mio marito al telefono?
Il medico mi guardò; non disse nulla e, sorridendo, estrasse il cellulare dalla giacca e compose il numero che gli dettai. Mi porse l'apparecchio. Dall'altro capo, solo squilli a vuoto. Nessuna risposta. Dov'era Diego? Perché non rispondeva a sua moglie, prossima al parto?
Desolata, ringraziai l'uomo con un filo di voce.
Vuole riprovare?
Annuii con un cenno del capo. Egli ricompose il numero. Questa volta la voce robotica della segreteria annunciava che 'il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile'. Ottimo. Un tempismo perfetto. Evidentemente era così che doveva andare.
Grazie, dottore.
Sospirai, girai il volto e chiusi gli occhi, lasciando che le lacrime scendessero silenziose. Pregai con tutta la forza di cui ero capace che Martina stesse bene. Doveva stare bene. Doveva vedere la luce, doveva essere coccolata, doveva poter sentire i rumori e i profumi di quella calda primavera. Ma lei se ne stava lì, immobile, nella sua culla ovattata.
2
Ci sono persone così radiose e amabili,
così gentili e premurose,
che in loro presenza
avvertiamo istintivamente
che ci fanno del bene,
che quando entrano in una stanza
è come se portassero con loro una luce.
Henry Ward Beeker
Non prendere appuntamenti per l'ora di pranzo!
Fu la risposta del giovane medico quando, al termine della visita che seguì l'angosciante corsa in ambulanza, gli domandai di quanta autonomia potessi ancora disporre. Dalla mia posizione, supina e con le ginocchia divaricate, potei seguire i suoi movimenti mentre gettava i guanti in lattice ed esponeva la sua sentenza.
Fatto. Battito fetale e movimenti fetali presenti. Tra qualche ora dovremmo esserci.
Non sapevo che pensare. Mi sentii sollevata dalle sue parole, ma non mi bastava. Volevo sapere di più. Forse Martina stava bene, forse no. Diego, avvertito da Pietro, aveva raggiunto il reparto prima di me e ora osservava la scena senza proferire parola. Stordito, quasi fosse sotto l'effetto di qualche sostanza allucinante, volse lo sguardo prima verso di me, poi verso il medico, infine verso l'ostetrica.
Dottore, posso farle una domanda?
Chiesi.
Certo.
Quanto avrà sofferto la mia bambina? Voglio dire, ci saranno conseguenze sulla sua salute?
Non si può dire con esattezza, ma potrebbe non aver sofferto. Quando si verifica un collasso di breve durata e il circolo permane, il corpo della madre rallenta le proprie funzioni vitali e, diciamo così, si prende cura delle esigenze del feto. I problemi possono insorgere se la mamma perde i sensi per lungo tempo. Stai tranquilla, la tua bimba sta bene.
Ma non la sento muoversi.
Be', magari sta dormendo! Ricorda che al temine della gestazione i movimenti del feto sono molto rallentati. E poi, hai sentito anche tu il battito del suo cuore, no? Stai tranquilla, dobbiamo solo aspettare.
Rispose, sorridendo.
Certo, certo, l'ho sentito...
.
Ancora quella frase. 'Magari sta dormendo.' Continuavo a domandarmi come facesse un bimbo a dormire beato nel corpo di una madre così agitata e preoccupata...
Il nostro corpo. Un autentico miracolo della natura: la precisione di una macchina in grado di stupirci ogni giorno, intelligente e insieme sensibile, capace di trasformarsi per accogliere e proteggere una nuova vita, provare emozioni e donare amore.
Volli fidarmi di lui. Dopotutto, perché avrebbe dovuto mentirmi?
Si alzò dallo sgabello e uscì dalla stanza, illuminata solo da una lampada al neon, accennando un saluto. Lo riconobbi. Era il medico che nelle prime settimane di gravidanza eseguì una translucenza nucale quasi fuori tempo massimo sul feto di Martina perché, a pochi giorni dalla data prevista, un'inspiegabile paura mi fece rifiutare l'amniocentesi, programmata da settimane. Notai in lui la stessa gentilezza, lo stesso tono scherzoso e confortante, gli stessi gesti precisi e delicati e la stessa meticolosità con cui svolse quell'essenziale esame prenatale.
A fatica mi girai su un fianco e cercai di rialzarmi da quello scomodo e asettico lettino ginecologico. Diego allungò una mano e mi aiutò a scendere. Mentre mi riassestavo il pigiama lanciai un'occhiata all'orologio della sala visita, uno di quegli orribili orologi bianchi da parete, identici in tutto l'ospedale. Le dieci e trentacinque.
Mi diressi verso la porta con passi pesanti, per nulla aggraziati, accarezzando il piccolo tesoro che il mio ventre contratto ancora proteggeva.
Con un sorriso Anita, l'ostetrica, aprì la porta e ci accompagnò fuori. Mi suggerì di camminare lentamente e massaggiarmi la pancia con movimenti circolari per aumentare la frequenza delle contrazioni, ancora poco efficaci.
Conobbi Anita al corso di preparazione al parto che frequentai prima della nascita di Giada, e mi piacque dal primo incontro: il dolce tono della voce, i sorrisi spontanei, il modo di porsi sempre volto all'ascolto dei dubbi e delle numerose domande che le rivolgevamo. Ammirai in lei l'abilità con cui riusciva a renderci partecipi e la sua volontà di portare esempi pratici riferiti anche ad esperienze personalmente vissute, condividendo con noi, future mamme, alcuni momenti della sua vita. Racconti riportati con enfasi ed emozione