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Tutta colpa del destino
Tutta colpa del destino
Tutta colpa del destino
E-book157 pagine2 ore

Tutta colpa del destino

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Info su questo ebook

Joanne: Quando ho scoperto che il bambino che porto in grembo non è di mio marito ma di un donatore anonimo, mi è crollato il mondo addosso. Max è un uomo generoso, corretto ed estremamente sexy e il fatto di aver perso mio marito così presto mi rende sensibile al suo fascino. Ma come posso sapere se lui è interessato a me oppure solo a suo figlio?
Max: Io non avevo mai preso in considerazione l'idea di diventare padre, e di certo non così. Le mie esperienze in campo sentimentale sono state tutte disastrose e prendermi cura di un bambino è qualcosa che va oltre le mie possibilità. Ma Joanne è dolce, bella e stringerla tra le braccia è un'esperienza meravigliosa. Lei si merita una famiglia ed è proprio quello che ho intenzione di darle.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519589
Tutta colpa del destino
Autore

Meredith Webber

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Tutta colpa del destino - Meredith Webber

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Accidental Daddy

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Meredith Webber

    Traduzione di Daniela De Renzi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-958-9

    1

    «Potresti essere già padre!»

    Max Winthrop guardò sconcertato l’amico e collega.

    Poco meno di trenta minuti prima, fuori dalla clinica per la fecondazione assistita, stava ancora cercando di capire come si sentiva. Incerto? Spaventato?

    Vai avanti, si era detto. Entra e parlane con Pete. Ma era rimasto là a ripensare a quanto accaduto sette anni prima... Dopo che gli era stato diagnosticato un cancro, aveva lasciato lì una parte di se stesso, una sorta di deposito per il futuro.

    Era stato il primo passo per reagire. Il secondo, iniziare una terapia aggressiva. Il terzo, portare a termine il trattamento, seguito immediatamente dal quarto. Scalare il monte Everest.

    Non male per un giovane di venticinque anni, che aveva improvvisamente scoperto di avere il linfoma di Hodgkin. La sua fidanzata di allora aveva espresso qualche dubbio sul quarto passo del programma, ma si era mostrata d’accordo sul fatto che avesse bisogno di un obiettivo da raggiungere.

    Max sospettava che, come obiettivo, lei avrebbe preferito il matrimonio, anche se non lo aveva mai dichiarato espressamente.

    Ora, dopo due fidanzate e cambiamenti importanti nella propria vita, aveva deciso che era venuto il momento di far distruggere lo sperma fatto congelare tanti anni prima.

    «Perché adesso?» gli aveva chiesto Pete, quando Max si era finalmente deciso a incontrarlo. L’amico era socio della clinica e aveva sicuramente contribuito al suo successo nel campo delle gravidanze assistite.

    «Mi hai detto che gli spermatozoi perdono la motilità, dopo un po’ di tempo che sono congelati.»

    «Sottoponiti a un test. Puoi farlo qui, se vuoi...»

    «Ti ringrazio, ma... no» replicò Max con decisione. Era giunto alla conclusione di non essere adatto al matrimonio. E nemmeno alla famiglia. Non si sentiva pronto a fare il padre. Soffriva ancora per l’abbandono del padre tanti anni prima. Perché infliggere quelle pene a un altro piccolo essere? «Ho preso la mia decisione» cercò di spiegare. «Voglio che lo sperma sia distrutto.»

    L’amico accese il computer e cominciò a scrivere un messaggio. Poi chiamò una collaboratrice.

    Arrivò una ragazza carina.

    «Jess, puoi assicurarti che qualcuno abbia ricevuto la stampa che ho appena inviato? Ti spiacerebbe anche portarci un caffè? Come lo vuoi, Max?»

    Max rimase a osservare la deliziosa Jess, che lasciava la stanza.

    «Lascia perdere...» lo mise in guardia Pete. «È fidanzata con un collega, un genio che renderà la nostra clinica famosa in tutto il mondo.» Fece una pausa, rimanendo a osservare Max, come se si trattasse di un uovo appena inseminato. «Te lo chiedo di nuovo, Max. Sei sicuro della tua decisione?»

    Lui scoppiò in una risata. «Solo perché ho deciso di non essere adatto ai figli e al matrimonio, non significa che viva come un monaco. Tu sei felicemente sposato e non hai idea di quante donne belle e intelligenti ci siano, che ragionano nello stesso modo. Sono contente di avere relazioni non impegnative con uomini che la pensano come loro.»

    Pete annuì in silenzio. «Non ne sono sorpreso.»

    Jess ritornò con il caffè e un piatto di biscotti alle mandorle. Rassicurò Pete sul fatto che qualcuno stava già lavorando alla sua richiesta e se ne andò di nuovo.

    Max sorseggiò il caffè, mentre l’amico leggeva un messaggio ricevuto sul telefonino.

    «Bevi pure il caffè. Torno subito» affermò Pete all’improvviso e uscì dalla stanza.

    Quella vita da ufficio non faceva per lui, pensò Max. Teneva conferenze e si occupava di ricerca sulle infezioni nei Paesi in via di sviluppo. A queste attività abbinava il lavoro sul campo in quelle nazioni. In questo modo gli restava ancora la libertà di andarsene ogni tanto a scalare montagne. Non aveva legami fissi e si sentiva contento così.

    Pete rientrò visibilmente scosso, tenendo in mano un contenitore di metallo e una serie di fogli. Fu a quel punto che gli diede la notizia, che aveva lasciato Max annichilito sulla sedia. «Non so proprio come dirtelo. La cosa ha dell’incredibile, ma... potresti essere già padre.»

    Max fissò l’amico sbalordito. Poi riuscì a parlare. «Ma che cosa stai dicendo?»

    «C’è stato un... errore» replicò Pete con voce roca.

    «In che senso?» Max sentì riecheggiare la sua voce, come se appartenesse a qualcun altro.

    «Il tuo nome ha un codice sbagliato. E santo cielo, Max, il tuo sperma... è stato utilizzato.»

    «Utilizzato?»

    «Non ho idea di come sia successo. Ma è stato usato. E c’è una gravidanza in corso...»

    Possibile che la vita potesse cambiare così radicalmente nel giro di pochi secondi?

    Max fissò di nuovo l’amico, che ricambiò lo sguardo costernato. Poi Pete si alzò e urlò qualcosa al telefono, chiedendo ulteriori informazioni.

    Lo sguardo di Max cadde sul raccoglitore aperto sulla scrivania. Un nome... dettagli...

    Pete si voltò e si accorse di quello che stava guardando. Gli strappò il raccoglitore dalle mani. Si fissarono senza dire una parola.

    Max si alzò in piedi, dimenticando il caffè. Era terribilmente arrabbiato.

    «C-c’è stato uno scambio...» balbettò Pete a disagio. «Sinceramente, Max, non accade mai... Vengono fatti migliaia di controlli. Cercherò di capire come sia successo, ma ora...»

    «Mi stai dicendo che c’è una donna che diventerà madre di mio figlio? Voglio sapere chi è.»

    «Non posso dirtelo... È già abbastanza grave quello che è successo. Informeremo la donna, appena avremo capito che cos’è accaduto esattamente. Questa cosa potrebbe rovinarci...»

    «Rovinarvi? E a me non pensi?»

    «E quella donna che pensa di aspettare il figlio del marito morto...»

    Max stava camminando avanti e indietro in preda all’ira, ma quelle parole lo fecero tornare verso la scrivania. «Che cosa intendi con marito morto

    Pete era pallido. «Il marito è morto poco dopo essere stato qui. E lei, dopo parecchi anni, ha deciso di usare il suo sperma... e avere il suo bambino.»

    «Rimane il fatto che avrà il mio bambino» ringhiò Max, passandosi una mano tra i capelli. Stava cercando di raccapezzarsi. «Ma deve proprio sapere che è mio? E lei? Deve sapere che c’è stato un errore?»

    «Non possiamo evitarlo, Max. Il DNA è tuo, non del marito. Ci sono così tante implicazioni...»

    Già. E la cosa non gli piaceva per niente. «Devo incontrare quella donna» affermò Max, sforzandosi di pensare razionalmente. «Siete sicuri che la gravidanza sia riuscita? Di quanti mesi è?»

    Pete raddrizzò la schiena e il suo volto riprese colore. «Devi lasciar gestire a noi questa faccenda, Max. È una questione delicata. Le spiegherò la situazione. E ti terrò fuori da tutto questo.»

    «Tenermi fuori? Ma stai parlando di mio figlio!» Non riusciva ancora a capacitarsene. Il mio bambino...

    Ebbe la certezza improvvisa che, se si trattava del suo bambino, avrebbe voluto essere coinvolto. Aveva letto il nome sui documenti. «Si tratta della dottoressa Joanne McMillan» affermò, guardando l’amico negli occhi.

    «Non devi saperlo» replicò Pete, stringendo terrorizzato il raccoglitore. «Dobbiamo essere noi a parlarle. Devo essere io, non tu.»

    «Ah, no! Quella donna non può avere il mio bambino senza che io la conosca. Devo controllare.»

    «Ma non sarà il tuo bambino... Non capisci?» gli si rivolse Pete in tono di supplica. «Eri venuto qui per far distruggere il tuo sperma. La cosa migliore è se fingiamo che si tratti di una donazione anonima.»

    «Assolutamente no.» Non sapeva nemmeno che cosa stava dicendo. Ma istintivamente sapeva di avere ragione. «È il mio bambino... e, anche se non lo desidero, devo accertarmi che cresca in una buona famiglia. Anche lei vorrà sapere... E vorrà controllare che tipo sono.»

    «E poi?» domandò Pete esterrefatto.

    «Ci penserò quando l’incontro. Immagino che sarà così sconvolta dalla notizia, che non le importerà nemmeno sapere chi sia il padre. Non subito almeno. Se si accontenterà della storia del donatore anonimo e io la riterrò all’altezza, non le dirò niente.»

    «Ma è chiaro che sarà una buona madre... È un medico. Una pediatra. Sarà una madre eccellente.»

    «Ma stai scherzando?!» esclamò Max, sconvolto. Come poteva sentirsi così protettivo verso il proprio sperma? «Studiare Medicina non ti insegna a occuparti di un bambino.» Era sempre più convinto di voler incontrare la donna, che sarebbe stata la madre di suo figlio. «Di quanto è la gravidanza?» domandò con decisione. E visto che Pete non rispondeva, afferrò di nuovo il raccoglitore, aprendolo di scatto. Quello che lesse lo lasciò di stucco. «Ma... nascerà tra due settimane! Pete...»

    «Tu non dovresti saperlo» obiettò Pete distrutto. Sentiva di aver perso il controllo della situazione.

    «Fissami un appuntamento con lei per oggi pomeriggio...»

    «Ma Max...»

    «Fallo. Subito!»

    «Sono informazioni confidenziali...» protestò debolmente Pete.

    «Finché la clinica non ha rovinato ogni cosa...»

    «Ti prometto che andrò fino in fondo» cercò di rabbonirlo l’amico.

    Ma Max aveva già preso in mano il telefono e glielo stava porgendo. «Andare fino in fondo potrà proteggere la reputazione della clinica, però non aiuterà me, né quella donna. Chiamala. Adesso!»

    Pete continuò a fissarlo a lungo. Poi fece una telefonata. «Jess ti fornirà tutti i dettagli» affermò, lasciandosi andare sulla sedia. «Lasciale il tuo recapito, così potrò mettermi in contatto con te.»

    Joey infilò i piedi nei sandali, che aveva lasciato sotto la scrivania, e si alzò per accompagnare all’uscita la sua paziente preferita. Con un braccio intorno alle spalle della ragazzina, aprì la porta che metteva in comunicazione lo studio con la sala d’aspetto. «Mi raccomando, comportati bene» affermò rivolta a Jacqui. «Se i livelli d’insulina dovessero salire, vai dal medico di base. E se c’è qualcosa che ti preoccupa, non esitare a chiamarmi. Hai il mio numero.»

    «Grazie, Joey» replicò Jacqui, voltandosi a baciare la dottoressa sulla guancia. «Abbi cura di te e riposati, prima che arrivi il bambino» esclamò poi con un largo sorriso.

    Joey stava per rientrare nel suo ufficio, quando si accorse dell’uomo seduto in un angolo della sala d’aspetto. Aveva l’aria tesa, ma in lui c’era... qualcosa di speciale.

    Riprese a camminare, ma le sue caratteristiche fisiche le si erano scolpite nel cervello. Alto, snello, con capelli castano-rossiccio. Fronte alta, sopracciglia scure, occhi che sembravano studiarla da lontano, un bel naso regolare e labbra... Sicuramente non aveva notato com’erano ben disegnate le sue labbra... Dovevano essere gli scherzi della gravidanza...

    Joey si sedette dietro la scrivania e afferrò il telefono. «C’è un uomo in sala d’aspetto...» mormorò a Meryl, la ragazza alla reception.

    «Viene dalla clinica per la fertilità. Hanno chiamato, fissando un appuntamento per il tardo pomeriggio.»

    «Ha intenzione di rimanere seduto là, mentre visito altri quattro pazienti?»

    «Pare di sì» replicò Meryl, apparentemente non troppo turbata.

    Joey decise di darsi un contegno, visto che, ogni volta che doveva chiamare o accompagnare all’uscita un paziente, avrebbe dovuto passargli davanti.

    Era bellissima! Capelli scuri, pelle chiara... decisamente incinta e con l’aria molto stanca. Ma ugualmente ancora molto bella.

    La ragazza alla reception aveva comunicato a Max che non avrebbe potuto incontrare la dottoressa prima della fine della giornata e gli aveva suggerito di andarsi a prendere un caffè. Lui però aveva preferito restare. Voleva osservarla. E l’impressione era stata positiva. Sembrava un angelo... Gentile, premurosa... Aveva i capelli raccolti in un

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