Sei settimane per ricominciare: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
Quando ho scoperto che non avrei potuto dare a mio marito la famiglia che tanto desiderava, ho deciso che lui sarebbe stato meglio senza di me, e sono andata via. So di avergli spezzato il cuore ma non avevo scelta. Solo così lui riuscirà a rifarsi una vita - la vita che si merita.
Gabe:
Non posso accettare di perdere la donna della mia vita senza combattere e di certo se Leah pensava che l'avrei lasciata andare come se niente fosse, si sbagliava di grosso. Le ho proposto di accompagnarmi in Messico, nel mio ultimo viaggio con la Fondazione, per cercare di salvare il nostro matrimonio. E per convincerla che l'unica famiglia di cui ho bisogno e di cui non posso fare a meno è mia moglie.
Jessica Matthews
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Sei settimane per ricominciare - Jessica Matthews
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Six-Week Marriage Miracle
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2011 Jessica Matthews
Traduzione di Giovanna Seniga
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-050-6
1
«Sta arrivando un’altra ambulanza.»
Leah Montgomery lanciò un’occhiata alla sua collega. «Dimmi qualcosa che non sappia già» le rispose con un sorriso forzato. «C’era la luna piena quando siamo venute al lavoro questa mattina.»
Benché non ci fosse un fondamento scientifico, il personale di tutti gli ospedali del mondo sapeva che i turni di lavoro, quando c’era la luna piena, erano un inferno. Ed era esattamente quello che stava succedendo in quella calda giornata d’agosto al pronto soccorso di Spring Valley. Arrivava di tutto, dagli incidenti d’auto agli attacchi di cuore, agli incidenti con le macchine agricole.
Contrariamente ai suoi colleghi Leah non era disturbata dal lavoro crescente. Essere occupata le permetteva di non pensare continuamente a suo marito Gabe. Era su un aereo caduto nella giungla messicana un mese prima e secondo le autorità non c’erano stati superstiti. Questo significava che Gabe era morto.
Dopo quattro lunghe e dolorose settimane le sembrava ancora tutto surreale, come se avesse potuto svegliarsi un mattino e scoprire che aveva avuto un incubo. Purtroppo durante la notte non cambiava mai nulla e ogni risveglio era uguale a quello del giorno precedente. Se il suo capo glielo avesse permesso avrebbe svolto più lavoro di quello che prevedeva la sua qualifica di infermiera, da impiegare dove e quando era necessario. Avrebbe fatto qualunque cosa, si sarebbe sfinita di lavoro finché il tempo non avesse cancellato il tormento che provava dopo l’ultima conversazione con Gabe, quella in cui gli aveva chiesto di sancire la loro separazione con un divorzio.
Alcuni l’avrebbero potuta definire fuori di testa, altri sentimentale, ma la verità era che aveva più motivi per rimpiangere Gabe. Era addolorata che fosse stato stroncato nel pieno della vita, a trentotto anni. Era addolorata perché proprio allora il loro matrimonio era entrato in crisi. Era addolorata perché avevano perso sogni e opportunità. Era così strano che avesse bisogno del ritmo frenetico dell’ospedale, del flusso continuo di pazienti, delle situazioni drammatiche che si presentavano come di una scialuppa di salvataggio cui aggrapparsi?
«Ho sentito che la maternità è sommersa di persone» disse Jane allegramente. «Le partorienti sono talmente tante che hanno dovuto sistemarle anche nella stanza dei medici.»
Leah si immaginò una maternità stipata di culle di neonati dormienti con addosso cuffiette azzurre o rosa e i corridoi affollati di padri e nonni trepidanti e orgogliosi mentre le neo mamme, alcune delle quali avevano già dimenticato i dolori del parto, erano raggianti di felicità.
Una volta si era immaginata anche lei in circostanze simili, con i suoi genitori ad aspettare di poter vedere il neonato e Gabe che camminava avanti e indietro masticando nervosamente una gomma come solo i neo padri possono fare. Era rimasta incinta non appena avevano deciso di creare la loro famiglia, ma le cose non erano andate come si era immaginata.
Invece che aggiungersi alla folta schiera delle partorienti, era diventata parte della piccola percentuale di donne che rappresentano un’emergenza ginecologica. Poco prima di entrare nell’ultimo trimestre di una gravidanza senza problemi la sua placenta si era distaccata senza nessun sintomo evidente. Aveva perso il bambino e la speranza di poterne avere in futuro quando un sanguinamento copioso e inarrestabile aveva reso necessaria un’isterectomia.
Gabe in quel momento stava facendo uno dei suoi viaggi per la fondazione medica della famiglia Montgomery. Era rientrato non appena i suoi genitori lo avevano avvisato, ma a causa della differenza di fuso e delle coincidenze dei voli era arrivato quando la stavano dimettendo.
«Mi piace fermarmi e sbirciare i neonati. Hanno dei visini così teneri...» cominciò a dire Jane che si fermò subito. «Scusami, Leah. Sto a blaterare di bambini proprio con te, dopo tutto quello che hai passato. Prima l’aborto, poi il fallimento dell’adozione...»
Leah interruppe la sua amica. Non aveva voglia di quei ricordi. Ancora debole dopo l’intervento chirurgico si era lasciata convincere da Gabe a considerare la possibilità di un’adozione. L’avvocato di Gabe conosceva una giovane donna che era disposta a cedere il figlio che stava aspettando. Leah e suo marito avevano completato in gran fretta le pratiche necessarie. Per tutta la gravidanza la futura mamma era sembrata convinta della sua decisione, ma dopo il parto aveva improvvisamente cambiato idea e a Leah e suo marito, che erano andati in ospedale a prendere il piccolo, non era rimasto altro che tornarsene a casa a mani vuote.
«È tutto a posto» mentì alla sua amica. «Non entro in crisi solo perché qualcuno parla di bambini e di quanto siano carini. Sono più forte di quanto credi.»
«Lo so, ma...»
«Nessun problema» ripeté Leah, più per convincere se stessa che Jane. «Davvero.»
Jane annuì, ma dall’espressione del suo viso era evidente che aveva perso il suo buon umore e Leah si affrettò a cambiare argomento.
«La maternità non è il solo reparto a essere preso d’assalto» osservò continuando a rifare il letto. «Il numero giornaliero di ricoveri è sopra la media per tutto l’ospedale e tutte e due abbiamo visto come è sempre affollato il pronto soccorso. Tutto questo dovrebbe rendere felici i nostri amministratori.»
«Forse è l’anno buono per avere un premio di produzione per Natale» disse Jane speranzosa.
Da quello che aveva sentito dire sull’ultima riunione del consiglio di amministrazione era una prospettiva piuttosto remota, ma Leah non voleva rovinare le speranze della sua collega. «Forse, ma, premio o no, più pazienti significa più personale e quindi io potrò lavorare di più.»
Jane smise per un attimo di sistemare il letto e la fissò. «Tesoro, lo so che ti senti in colpa perché non hai potuto chiarirti con Gabe, ma ammazzarti di lavoro non mi sembra una gran soluzione.»
«Non mi sto ammazzando di lavoro» protestò Leah. «Cerco di tenermi impegnata, come ho fatto per tutto lo scorso anno.»
«Tenersi impegnate è un discorso, raddoppiare le proprie ore di lavoro un altro.»
«D’accordo, cercherò di lavorare un po’ meno» sospirò Leah poco convinta, «ma ero libera ieri e ho passato la giornata a ciondolare per casa e poi mi sono offerta una cena e un film.»
«Una cena e un film?» A Jane brillarono gli occhi per la curiosità. «Hai finalmente accontentato Jeff e gli hai concesso un appuntamento?»
Circa sei mesi prima il dottor Jeff Warren, uno dei medici del pronto soccorso, l’aveva invitata prima a un concerto, poi a uno spettacolo teatrale, ma lei aveva rifiutato tutte e due le volte perché uscire con un altro mentre era ancora sposata con Gabe le sembrava un tradimento.
Per questo voleva che suo marito si decidesse a firmare le carte per il divorzio. Voleva cominciare a pensare al suo futuro senza stare ad aspettare una riconciliazione che sembrava un miraggio.
Leah lanciò alla sua collega uno sguardo incredulo. «Stai scherzando? Non ho ancora sepolto Gabe e tu mi chiedi se sto vedendo Jeff?»
«Sepolto o no è da più di un anno che sei separata» le ricordò Jane. «È ora che cominci a guardarti in giro.»
«Lo farò, ma prima voglio sistemare tutto.»
«Sistemare cosa? Non sai nemmeno se ritroveranno il corpo.»
Leah lo sapeva bene. Le autorità messicane avevano riferito che i resti bruciati dell’aereo si trovavano sul fondo di un burrone. Non avevano i mezzi per recuperarli e poi pensavano che fosse inutile perché i corpi dovevano essere finiti in cenere. Dopo settimane passate ad aspettare, il testardo Sheldon Redfern, il secondo di Gabe, era riuscito a ottenere il permesso di organizzare una squadra privata per il recupero dei resti. Fino al giorno prima la squadra non aveva ottenuto nessun risultato incoraggiante. Ma non era la speranza di un successo di quella operazione che rendeva Leah titubante.
«Fra poco ci sarà la festa annuale per la raccolta di fondi. Sarebbe di cattivo gusto una commemorazione di mio marito mentre io esco con altri.»
«Hai detto tutto questo a Jeff?»
Lei annuì. «E lui è d’accordo con me.»
In realtà si era accordata con Jeff per uscire il sabato successivo alla festa, ma non voleva dirlo a Jane perché sapeva che la sua amica l’avrebbe imbarazzata con le sue manifestazioni di entusiasmo.
«Secondo me ti preoccupi troppo di quello che gli altri possono pensare» le fece osservare Jane. «L’importante è che tu sia sicura che la tua decisione di non accettare inviti sia davvero dovuta a quello che mi hai appena detto.»
«Perché? Quali altre ragioni potrei avere?»
Jane fece spallucce. «Non so. Ad esempio potresti essere ancora innamorata di Gabe e aspettare per avere la certezza che non può più ritornare.»
«Non essere ridicola» esclamò, attenta a evitare lo sguardo dell’amica perché temeva che Jane vi leggesse quello che rifiutava di ammettere anche con se stessa. «Se lo avessi amato perché me ne sarei andata di casa?»
«Dimmelo tu. Io desidero solamente che non resti in attesa per tutto il resto della tua vita.»
«Non succederà. Sono solo cauta. Non ha nessun senso infilarmi in una situazione di cui potrei pentirmi.» Prese un altro lenzuolo e lo tolse dal cellophane con un gesto deciso come per segnalare la fine di quella conversazione. «Sai cosa succederà adesso?»
Jane scosse la testa. «Tutto quello che ho sentito dire è che stanno per portare tre pazienti dall’aeroporto.»
«L’aeroporto? Pezzi grossi allora.»
«E come lo sai?»
«Deve essere qualche problema che ha a che fare con il cibo e le sole persone a cui danno da mangiare sugli aerei sono quelli della prima classe.»
«Stai dicendo un luogo comune. Ci sono anche delle persone normali che viaggiano in prima classe.»
Leah le rivolse un rapido sorriso. «Va bene, starò anche generalizzando, ma non ci saranno tre persone qualunque su quella ambulanza. Si tratterà di tre tizi in giacca e cravatta con valigetta e BlackBerry che si aspetteranno la pillola magica che li rimetterà in sesto. E noi dovremo darci da fare perché sono già in ritardo per un incontro di lavoro.»
Jane rise, forse perché aveva visto fin troppe volte verificarsi quel tipo di scena al pronto soccorso. «Lo sapremo nel giro di qualche minuto. Marge vuole che andiamo subito al parcheggio ambulanze.»
Marge Pennington, la caposala del pronto soccorso, era nota per non voler sprecare nemmeno un secondo e quindi il fatto che volesse che aspettassero deponeva a favore dell’ipotesi di Leah. Doveva trattarsi di gente importante.
«Niente da obiettare» si limitò a rispondere Leah.
«Ha detto che la persona che ha chiamato aveva chiesto espressamente di te.»
«Di me? E perché?» chiese Leah stupita.
«Forse si tratta di qualcuno che ti conosce per via della fondazione di Gabe.»
Leah