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Sussurri e carezze: Harmony Destiny
Sussurri e carezze: Harmony Destiny
Sussurri e carezze: Harmony Destiny
E-book144 pagine2 ore

Sussurri e carezze: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

A volte uno sconosciuto è l'occasione giusta per essere felici.
Da qualche tempo Gray MacInnes ha dei flash, nei quali vede una donna bellissima, che non ricorda di avere mai incontrato. Fa di tutto per rintracciarla e quando ci riesce balla con lei durante una festa di beneficenza. Catherine è irresistibile e Gray non può evitare di farle una corte serrata.
Catherine Thorne dalla morte del marito è letteralmente sul lastrico e non è certo in vena di romanticherie. Ma prova una strana sensazione nei confronti di Gray MacInnes, come se lo conoscesse da sempre. E certo non è da lei, donna pratica e razionale. Però è impossibile ignorare l'energia della passione che la fa rinascere a una nuova vita.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2021
ISBN9788830523920
Sussurri e carezze: Harmony Destiny
Autore

Anne Marie Winston

Nata in Pennsylvania, ha iniziato a leggere romanzi rosa tanto, tanto tempo fa e ancora stenta a credere che ora qualcuno la paghi per leggerli e scriverli!

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    Anteprima del libro

    Sussurri e carezze - Anne Marie Winston

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Billionaire Bachelors: Gray

    Silhouette Desire

    © 2003 Anne Marie Rodgers

    Traduzione di Maria Gaetana Ferrari

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-392-0

    Prologo

    «La trovo bene, signor MacInnes. Mi fa piacere.» Il medico si chinò sul ricettario. «Ventiquattro mesi dal trapianto rappresentano un magnifico traguardo» soggiunse. «Il cuore sembra funzionare benissimo. Eccole un’ulteriore prescrizione per i farmaci antirigetto. Domande?»

    Gray prese il foglio che gli veniva allungato. «Grazie» mormorò. Si sfiorò la brutta cicatrice sul torace al di sotto della quale batteva il cuore di un donatore. «Ha mai sentito dire...?» incominciò, ma poi si interruppe, imbarazzato.

    «Sì?» lo incalzò l’altro.

    Lui riformulò la frase. «Altri pazienti nelle mie condizioni hanno mai riportato strani... ehm, fenomeni dopo il trapianto?»

    Il cardiologo smise di aggiornare la cartella di Gray e gli scoccò un’occhiata. «Strani fenomeni, tipo?»

    Gray scrollò le spalle. Si era sentito stupido solo a sollevare l’argomento. Adesso si sentiva ancora più stupido. «Niente, in realtà» minimizzò. «Solo piccole cose che non ricordo da prima. Cibi che ero solito evitare che adesso mi piacciono.»

    Il medico gli sorrise con indulgenza. «Potrebbe parlarne con altri trapiantati» propose. «Abbiamo un gruppo di supporto affiliato all’istituto, sa?» Si concesse un attimo di riflessione. «C’è una teoria, strettamente basata sull’aneddotica dei pazienti, secondo cui può capitare che la memoria si trapianti insieme a un organo. Si è soliti parlare in questo caso di memoria cellulare. Un paziente si accorge all’improvviso di adorare il pollo fritto, per esempio, mentre un altro gradisce la birra che prima detestava.»

    Sì, ma quanti di loro rammentano un volto?, pensò Gray con scetticismo. Una voce? Quanti di loro hanno ricordi intimi di una donna che non hanno mai incontrato prima? A voce alta, disse invece: «Grazie. Magari lo farò».

    «Gli incontri si tengono ogni terzo martedì del mese, credo.» Il cardiologo consultò l’orologio. «Bene, se è tutto...»

    «Solo un’ultima cosa. Vorrei proprio ringraziare la famiglia del donatore. So bene che è contro le regole, però...»

    L’altro stava già scuotendo il capo. «La privacy è fondamentale nel programma dei trapianti, signor MacInnes» sentenziò. «Quello che può fare è scrivere una lettera e lasciare che sia l’istituto a recapitarla. Può includere nome e recapito postale. Starà poi alla famiglia del donatore decidere se ricevere la sua corrispondenza e stabilire un rapporto con lei.»

    «Ma quello l’ho già fatto.» Aveva spedito un biglietto a distanza di appena una settimana dal trapianto, anche se non aveva voluto firmarlo. All’epoca, aveva pensato che i parenti del donatore avrebbero preferito un contatto anonimo. «È solo che... vorrei incontrarli. O anche soltanto vederli da lontano.»

    «Sono spiacente» fu la ferma risposta. «Capisco che senta il bisogno di esprimere la sua gratitudine, ma vede, tante famiglie non vogliono ricordare quello che hanno perduto. Vedersi capitare davanti qualcuno che adesso possiede un organo del loro congiunto può essere sconvolgente. Noi cerchiamo di tutelare la loro privacy.»

    «Oh, certo, è comprensibile.» Gray parlò in tono pacato, ma dentro di sé smaniava. Doveva scoprire chi era quella donna che gli aveva invaso la mente. «Grazie comunque.»

    «Di niente. Continui così. Il suo recupero, se proprio vuole saperlo, ha un che di prodigioso.» Ci fu una piccola pausa. «Certo, lei era in condizioni migliori, escludendo il trauma dell’incidente, rispetto a gran parte delle persone che si mettono in lista con patologie preesistenti.»

    Lui assentì. «Finora, mi sono sentito benissimo.» Salvo per il fatto che mi ritrovo coi ricordi di un altro oltre che col suo cuore...

    «Mi raccomando, non esiti a chiamarmi se le viene la febbre o se nota qualcosa d’insolito. Ci vediamo tra sei mesi per la prossima biopsia.» Lo specialista tese la mano e ridacchiò quando Gray la stritolò con una forza che non lasciava dubbi circa la sua ripresa. «Ehi, calma, ho ancora bisogno di quelle dita...»

    Detto questo, uscì dall’ambulatorio, e Gray recuperò la camicia dal gancio a cui l’aveva appesa quando si era spogliato per la visita. Si accorse di avere ancora in mano la ricetta dei farmaci antirigetto e si affrettò a posarla sulla scrivania.

    Gli cadde allora lo sguardo sulla cartella clinica che giaceva in bella vista sul ripiano. La sua cartella clinica. Esitò mentre l’etica combatteva col bisogno di sapere ma, dopo qualche secondo, si sporse e aprì il fascicolo. Le prime pagine non contenevano l’informazione che stava cercando, ma se non altro sapeva adesso che il cuore del suo donatore era stato trasportato dal Johns Hopkins di Baltimora, Maryland, al Temple di Filadelfia, dove lui l’aveva ricevuto.

    Qualche minuto dopo, si stava ancora riabbottonando i polsini quando il medico rientrò di gran carriera e si riappropriò della cartella, scuotendo il capo. «Temo di aver bisogno di quei complessi vitaminici per la memoria che prendono tutti, di questi tempi» borbottò con una punta d’imbarazzo. «Si riguardi, signor MacInnes.»

    1

    «Mi concede questo ballo?»

    Catherine Thorne si staccò adagio dalla suocera, con cui stava conversando, quando lo sconosciuto le interruppe. A dire il vero, si era messa a blaterare con Patsy non appena l’uomo aveva attraversato la sala, forse consapevole di come non stesse in realtà interrompendo niente.

    L’aveva guardata per tutta la sera, sebbene lei non avesse idea di chi fosse. I biglietti del ballo di beneficenza in favore della donazione d’organi erano stati a disposizione del pubblico.

    «Gra... grazie, no» si schermì. «Io, ehm... io non ballo.» Non ricordava l’ultima volta in cui avesse mentito e si ritrovò a balbettare.

    Accanto a lei, Patsy Thorne sorrise. «Oh, che sciocchezza, Catherine.» E si girò verso l’affascinante sconosciuto, i cui capelli neri tagliati cortissimi rilucevano di riflessi bluastri. «Certo che balla. Adora ballare. Adesso vai.» Rivolse quelle ultime parole alla nuora, sottolineandole con una leggera spintarella.

    Catherine cercò di sorridere. Voleva bene alla suocera, con la quale era ancora in stretti rapporti malgrado la scomparsa del marito, Mike, e sapeva che Patsy era animata da ottime intenzioni. L’anziana signora le aveva detto e ripetuto che era ancora troppo giovane per isolarsi, che il figlio avrebbe voluto che uscisse e trovasse qualcuno con cui rifarsi una vita... Catherine desiderava soltanto che la piantasse di combinarle incontri romantici. Negli ultimi sei mesi, era stata presentata a più scapoli di quanti ne potesse contare.

    Alzandosi, strinse la mano che l’uomo le tese. «Be’, grazie, allora.» E lo guardò in viso mentre il contatto col suo palmo caldo e asciutto le accelerava il respiro. «Sarei felice di accettare...»

    Aveva le iridi più azzurre che mai le fosse capitato di vedere e il suo sguardo era così intenso, così magnetico, che dimenticò ciò che stava dicendo. Lui la stava studiando con assoluta concentrazione, come aveva fatto dall’attimo in cui i loro occhi si erano incrociati attraverso la sala all’inizio della serata.

    Chi era?

    Lui la scortò verso la pista da ballo. Quando si girò e la prese tra le braccia, lei non poté fare a meno d’irrigidirsi. Non ballava più da quando era morto Mike.

    L’altro dovette avvertire il suo disagio perché disse: «Stia tranquilla, sono innocuo». E la trascinò nel ritmo del valzer.

    Lei si permise di dubitarne. «Lo è davvero?»

    «Il più delle volte. Mi chiamo Gray MacInnes.»

    «Piacere» ribatté lei con rigido formalismo. «Io sono...»

    «Catherine» fu la sconcertante risposta dello sconosciuto. «Catherine Thorne.»

    Una ruga le solcò la fronte. «Mi coglie alla sprovvista, signor MacInnes» confessò Catherine. «Mi dica, ci conosciamo?»

    Lui scosse il capo. «No. Ma è stato facile identificarla. Mi è bastato chiedere chi fosse quell’incantevole creatura in blu zaffiro. Ha organizzato il ballo di stasera, quindi la conoscono quasi tutti.»

    Era vero. Allora perché Catherine aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di nascosto, di trattenuto dietro quella spiegazione pur credibile?

    «Lei è di Baltimora, signor MacInnes?» Si buttò sulla conversazione spicciola, cercando d’ignorare la salda compattezza dei suoi muscoli al di sotto dello smoking dal taglio perfetto.

    «Diamoci del tu, vuoi?» E senza aspettare conferma, lui riprese: «Sono originario di Filadelfia, ma mi sono trasferito a Baltimora qualche settimana fa. Tu sei cresciuta qui?».

    «Sì.» Catherine inclinò il capo. «A Columbia, fuori città.»

    Gray la fece volteggiare, guidandola con sicurezza, e Catherine non poté fare a meno di notare la sua corporatura considerevole, che la faceva apparire esile. Col fatto che superava il metro e settanta, lei non si era mai sentita particolarmente piccola. Suo marito, Mike, aveva sfiorato il metro e ottantacinque, ma era stato snello come un ginnasta. Gray MacInnes era di almeno dieci centimetri più alto di Mike e, se non aveva giocato come difensore nel football americano, be’, allora si era perso un’occasione d’oro.

    Tuttavia, era incredibilmente agile per essere così robusto e vi era un che di aggraziato nel modo in cui la sospingeva da un capo all’altro della pista. Ah, com’era piacevole ballare!

    «Un penny per i tuoi pensieri.» La domanda sussurrata le accarezzò l’orecchio e un brivido le corse giù per la schiena.

    Catherine rise, cercando di stemperare l’intimità che li avvolgeva. «Non valgono così tanto. Stavo pensando a come mi piaccia ballare.»

    «Allora dovresti farlo più spesso.»

    «Sono vedova. Me ne manca l’occasione, ormai.» Le sue parole suonarono così crude e dolorose da strapparle una smorfia.

    «Mi spiace» mormorò Gray. «Da quant’è che è mancato tuo marito?» Si era espresso nel più convenzionale dei modi, tuttavia non sembrava sorpreso né sconvolto dall’annuncio, il che era strano. Forse aveva scoperto anche quello quando si era fatto dire il suo nome.

    «Due anni» spiegò lei. «Più di quanto sia durato il nostro matrimonio.»

    «È successo all’improvviso?»

    «Un incidente automobilistico. Siamo stati centrati da un camion.»

    Il suo sguardo ebbe un guizzo. «Eri in macchina con lui?»

    Catherine assentì. «Ma il grosso dell’impatto è stato sul suo lato.» Di colpo, si riscosse. «Scusa. Non è certo una

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