Un viaggio chiamato felicità: Harmony Bianca
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Quando il dottor Brodie, nonostante l'antica rivalità tra le nostre due famiglie, mi ha proposto di sostituirlo come medico di base nel paesino di Gilloch, sulla costa scozzese, non avrei mai immaginato che i motivi fossero così gravi. Cam e le sue adorabili bambine hanno bisogno di me e io sono disposta a concedergli il mio aiuto. Insieme al mio cuore.
Cam:
In questi ultimi mesi la speranza è stato un lusso che non mi sono mai potuto concedere. Ma Bethan, con la sua forza e la sua caparbietà, ha aperto un varco di luce nel buio che mi aveva avvolto e adesso la felicità sembra proprio lì, a portata di mano. Ma la paura di essere nuovamente deluso mi ha fatto commettere uno stupido, stupidissimo errore. E adesso potrei perdere tutto.
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Un viaggio chiamato felicità - Louisa Heaton
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1
«Quindi, sei proprio decisa ad andare?»
La dottoressa Bethan Monroe non aveva bisogno di guardarla per capire che sua nonna era delusa. Il suo tono di voce era eloquente. Ma che alternative c'erano?
«Devo farlo, nonna.»
«No che non devi. Non con lui. Non con un Brodie!»
Bethan sbuffò. La faida che la nonna portava avanti con quella famiglia, o per meglio dire con un Brodie in particolare, era infantile. Per fortuna, l'uomo che avrebbe incontrato quel giorno non era l'arcinemesi della nonna, bensì suo nipote.
«Devo eccome!» sbottò, raccogliendo dalla tavola una piccola pila di solleciti di pagamento. «Se non lo faccio, perderai la casa. La settimana scorsa hanno tagliato la linea telefonica per un giorno intero!»
La sua esasperazione svanì nell'istante in cui capì di aver messo in imbarazzo la sua amata nonna. «Grace va a scuola adesso. Posso lavorare di nuovo e contribuire alle spese» spiegò in tono più dolce.
In realtà, il lavoro le mancava moltissimo. Quella di medico era la sua vocazione e, sebbene le fosse piaciuto rimanere a casa a fare la mamma, adesso sentiva il desiderio di tornare. Questo era il programma.
«Ma ci saranno pure degli altri studi medici in cui potresti lavorare, no? Qualcosa a Glencoe o Fort William.»
Forse c'erano, ma adesso vivevano lì, a Gilloch, e Bethan non voleva stare troppo lontana dalle persone che amava, non più. Grace cresceva in fretta e lei non voleva che sua nonna si perdesse quei momenti. Fare la pendolare per ore ogni giorno non rientrava nei suoi progetti.
Vivere in Cornovaglia era stato meraviglioso, ma era un capitolo ormai chiuso. A tre anni dalla morte di Ashley aveva fatto ritorno nel paese in cui era nata e la sensazione le piaceva: si sentiva a casa.
«Questo lavoro qui in paese è una manna! Potrei tornare a casa ogni volta che fosse necessario, sarei a due passi.»
Bethan si sentì di nuovo in colpa ripensando a quando suo marito era morto. Per settimane era rimasta seduta accanto al suo letto, tenendogli compagnia, leggendo per lui, stringendogli la mano, senza perdere un minuto. Poi, un giorno era stata richiamata al lavoro. C'era stato un incidente ferroviario e tutto il personale medico era stato chiamato a dare una mano.
Così, Ashley era morto da solo. Lei aveva ricevuto la telefonata del vicino di casa mentre era al lavoro. Sulla via verso casa era rimasta imbottigliata nel traffico e le era sembrato di non arrivare mai. Desiderava solo andare a prendere Grace dalla babysitter e stringerla al cuore prima di entrare per l'ultima volta nella camera da letto dove Ashley aveva trascorso gli ultimi giorni di vita.
Da quella volta, aveva giurato di non allontanarsi mai più tanto da casa.
«Andrà tutto bene, Nanna.»
Mhairi si sedette e sistemò la sciarpa fatta a mano intorno al collo. «Hai più fiducia di me. Quello che Angus Brodie mi ha fatto passare...»
«Lo so.»
«Mi ha rovinato la vita. Non voglio stare a guardare mentre un altro Brodie rovina la tua.»
«Non è detto che io ottenga il posto» le fece notare Bethan, ma sperava proprio di riuscirci. Ne avevano bisogno. Era tornata da pochi mesi e la loro situazione finanziaria non era rosea. Non potevano vivere a lungo solo con l'assicurazione sulla vita di Ashley.
Inoltre, si trattava di un lavoro, non di un affare sentimentale. Quanto successo in passato tra la nonna e Angus Brodie non aveva nulla a che fare con lei o con lo studio medico, per non parlare del fatto che non era pronta per una nuova relazione. Pur avendo superato il lutto per la morte del marito e malgrado la preoccupasse il fatto che Grace crescesse senza una figura paterna, il suo cuore non era sul mercato.
Baciò la nonna sulla guancia e si sedette accanto a lei. «Ce la caveremo.»
Mhairi coprì la mano della nipote con la propria. «Mi ero abituata ad averti qui tutto il giorno e sono preoccupata che tu possa soffrire come è successo a me.»
«È storia passata, nonna. Piuttosto, guardiamo con ottimismo al futuro. Sono una donna forte, in grado di gestire qualsiasi Brodie che tenti di causare dei problemi.»
«Anche quelli belli? Ho visto quel suo nipote in giro e come lo guardano le donne del paese. Come se volessero mangiarlo vivo!»
«Anche quelli belli» la rassicurò Bethan.
Sua nonna sorrise. «Immagino che non riuscirò a convincerti a diventare un'allevatrice di pecore, vero?»
Bethan finse di considerare la cosa. «Non sono il tipo da lavoro all'aperto. Inoltre, mi sembrerebbe di buttare alle ortiche la mia laurea.»
Nanna sbuffò. «Non so proprio da chi tu abbia preso. Tuo padre era un appassionato di pesca e a tua madre piaceva cucire.»
«A me piace suturare.»
«Non è la stessa cosa, e lo sai!» Si alzò e andò a mettere il bollitore sul fuoco, sospirando come se si fosse rassegnata ad aver perso la battaglia, quel giorno.
Bethan si alzò a sua volta, lisciandosi il tailleur pantalone blu e assicurandosi che la camicia color crema fosse a posto. «Come sto?»
«Sarebbe un vero imbecille se non ti assumesse, tesoro.»
«Bene. Allora vado, o farò tardi. Tu starai bene?»
«Certo che sì. Mi sono presa cura di me stessa per quasi vent'anni, non penso proprio che avrò bisogno d'aiuto nelle prossime ore. E poi ho un paio di richieste per il negozio, perciò devo scegliere la lana.»
«Okay allora. Augurami buona fortuna.»
«In bocca al lupo, tesoro.»
Bethan la salutò con un rapido abbraccio, afferrò la borsa e uscì. La nonna non era l'unica ad avere delle perplessità sul fatto che un Brodie l'assumesse. Quando era arrivata la lettera che la invitava per un colloquio col dottor Cameron Brodie, ne era rimasta sbalordita. Ma il passato era passato e lei non aveva mai avuto rapporti con quella famiglia. Evidentemente, nemmeno il dottor Brodie aveva a che ridire con la sua, o non le avrebbe scritto.
Il lavoro part time della nonna, che tingeva gomitoli di lana pregiata per il suo negozio online, copriva a stento le spese delle bollette e negli ultimi tre mesi le vendite erano calate. Ora che Grace andava a scuola, Bethan aveva il tempo per tornare al lavoro.
Le era mancato. Fare la mamma a tempo pieno era stato bello, ma nel profondo del cuore Bethan aveva sempre desiderato fare il medico e prendersi cura degli altri. Il medico generico instaurava un rapporto a lungo termine con i pazienti, che a volte diventavano amici.
C'era qualcosa di magico nel curare le persone e farle sentire meglio. Il massimo che avesse fatto in quel senso negli ultimi anni era stato disinfettare un ginocchio sbucciato, preparare pasti sani o vegliare sulla sua bambina quando aveva avuto la varicella.
Per non parlare di quello che aveva passato con Ashley. Non che rimpiangesse un solo giorno che gli aveva dedicato. Lui non era stato un semplice paziente, ma suo marito. Il padre di Grace. Perderlo era stato devastante. A volte era stato persino difficile alzarsi dal letto la mattina, senza di lui.
Ma l'aveva fatto. Per Grace.
Tre anni più tardi aveva deciso di lasciare la Cornovaglia per tornare a Gilloch e vivere con la nonna. Anche Mhairi era sola e conosceva il dolore della perdita.
Ma quello era il passato e Bethan decise di concentrarsi solo sul futuro. Quel colloquio di lavoro era il primo passo verso un decisivo miglioramento, lo sentiva. Mentre attraversava a piedi le strade di Gilloch, la testa alta e la brezza che le spostava i capelli dalle spalle, ricordò le ultime parole di Ashley: continuerai a vivere anche senza di me e te la caverai benissimo.
Per un po' le era sembrato impossibile, ma il tempo era un grande guaritore. Ciò di cui era assolutamente sicura, era che avrebbe tenuto la vita privata ben separata da quella professionale, poco importava quanto affascinante potesse essere il dottor Cameron Brodie.
Cameron mandò giù due compresse e sperò che il mal di testa passasse. Si era svegliato con un dolore martellante che aveva reso difficile persino aprire gli occhi alla luce intensa del mattino, alzarsi dal letto e affrontare la giornata. Se non fosse stato per Rosie, si sarebbe tirato le coperte sulla testa e avrebbe ripreso a dormire.
In realtà, Rosie non era l'unica ragione per cui non aveva ceduto a quell'impulso. Quella mattina doveva conoscere la candidata per il posto di medico generico nel suo ambulatorio. Qualcuno che sperava potesse sostituirlo in modo permanente. Non che l'avesse specificato nell'annuncio, che parlava solo di una supplenza di un anno, ma Cameron sapeva di non poter fare ritorno alla fine di quei dodici mesi.
Aveva una bomba a orologeria nella testa. Un glioma inoperabile. La dottoressa Bethan Monroe era l'unica che avesse fatto domanda per quel posto, perciò non c'era bisogno di dirle la verità.
Raggiunse l'ambulatorio indossando gli occhiali da sole più scuri che avesse. A volte, durante le prime ore del mattino, la luce del sole scozzese poteva essere così intensa da far lacrimare gli occhi. Se poi riverberava anche sulle strade bagnate, l'effetto era accecante.
Il mal di testa sarebbe passato a breve. L'analgesico che gli avevano prescritto era molto efficace e gli permetteva di continuare a lavorare. Per ora, almeno.
Lui sperava che la dottoressa Monroe fosse una candidata valida. Il suo curriculum era notevole. A quanto pareva, nell'ultimo posto in cui aveva lavorato aveva creato un gruppo di supporto per persone affette da ansia e attacchi di panico, un luogo in cui ritrovarsi, condividere esperienze e idee e imparare che non erano soli. Aveva anche istituito un sistema amico per persone anziane sole, in base al quale a ciascun anziano veniva affiancata una persona più giovane che forniva compagnia e aiuto in caso di bisogno.
Anche le sue referenze erano impressionanti. Tutti i colleghi tessevano le sue lodi e si dicevano tristi di vederla andare via. Per ragioni personali, specificava il curriculum, qualunque cosa significasse.
Cameron guardò l'orologio. Se era puntuale, lei sarebbe arrivata di lì a dieci minuti. C'era un piccolo specchio sopra il lavandino del suo studio e lui controllò la propria immagine. Il problema di avere i capelli rossi era che la sua carnagione già pallida per natura diventava addirittura cadaverica quando era malato.
Si strofinò la mascella, passò le dita tra i capelli e decise che poteva andare. Alle ombre scure sotto gli occhi doveva rassegnarsi.
Quando si sedette dietro la scrivania, lo sguardo gli ricadde sulla fotografia di sua figlia Rosie. Era seduta sulla spiaggia, con un ampio sorriso e i lunghi capelli rossi infiammati dalla luce del tramonto. Si era messa un fiore dietro l'orecchio e l'aveva pregato di immortalarla in quella posa da piccola sirena.
Somigliava talmente a sua madre che Cameron aveva dovuto fare uno sforzo quasi immane per accontentarla. Per un momento era stato come se a sorridere nell'obiettivo fosse stata Holly.
Papà, fammi la foto!
Ora viveva per sua figlia. Non restava loro molto tempo insieme e lui voleva trascorrerlo con Rosie, divertendosi e creando dei ricordi insieme, che lei avrebbe potuto conservare a lungo. Voleva che sua figlia sapesse che il suo papà l'aveva amata moltissimo.
Perciò non importava se quella dottoressa Monroe era un mostro a tre teste proveniente da Marte: gli serviva qualcuno che prendesse il suo posto in ambulatorio, e subito. Bastava che fosse qualificata.
In quel momento Janet, la segretaria