Un dottore da favola: Harmony Bianca
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Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Un dottore da favola - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
St Piran’s: Rescuing Pregnant Cinderella
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2011 Carol Marinelli
Traduzione di Giacomo Boraschi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-512-1
1
«Sono pronta a tornare al St Piran.»
Nessuna parola ruppe il silenzio, nessuno commentò lo straordinario annuncio. Così Izzy continuò a parlare, decisa a fare buona impressione a Jess, la psicologa dell’ospedale. «Non vedo l’ora di riprendere il lavoro.» Cercò di sembrare ottimista. «Qualcuno mi ha suggerito di aspettare che il bambino sia nato. Voglio dire, considerata la mia gravidanza, potrei lavorare soltanto per un paio di mesi, ma continuo a pensare che per me sia la soluzione migliore.» Jess rimase in silenzio, così Izzy si sentì in dovere di dare qualche spiegazione. «Voglio guardare avanti. Ho messo la casa in vendita...»
Le sembrava un’intervista di lavoro e in effetti lo era. Dopo il dramma di quattro mesi prima, Ben Carter, il primario del Pronto Soccorso, le aveva consigliato di aspettare qualche tempo prima di tornare nell’unità dove lavorava come medico.
Sarebbe stato più facile non tornare. A quasi sette mesi di gravidanza, Izzy avrebbe avuto validi motivi per rimandare il proprio ritorno, ma aveva ugualmente deciso di fare il grande passo. Invece di telefonare a Ben per avvisarlo della propria decisione, era andata direttamente da lui. Ma con suo stupore, invece di accoglierla a braccia aperte, Ben le aveva suggerito con gentile fermezza un colloquio con la psicologa dell’ospedale.
«Sto bene!» aveva protestato lei. «Non mi serve una psicologa.»
«Però sei in terapia» aveva osservato Ben, interpretando correttamente la sua breve esitazione.
«Lo ero» aveva ammesso Izzy. «Ma adesso sto bene.»
«Mi fa piacere» aveva approvato lui. «Così non avrai problemi a parlare con qualcun altro.»
«Ben!» Izzy aveva faticato a mantenere la calma. «Sono passati quattro mesi! Mi conosci...»
«Izzy» l’aveva interrotta lui, rifiutando di lasciarsi manipolare. «Ho lavorato con te, sono stato a casa tua, ho parlato con Henry eppure non avevo la più pallida idea di quello che stessi soffrendo. Così... no, temo di non conoscerti a fondo e dubito che ti confideresti con me se avessi qualche problema.»
Izzy era rimasta in silenzio. Ben era incredibilmente gentile ma allo stesso tempo irremovibile. Non avrebbe mai permesso che qualcosa mettesse in pericolo la sicurezza dei pazienti o dello staff. Allo stesso tempo era profondamente onesto e sincero, così sincero che a volte sfiorava la brutalità. «Ho parlato con i miei colleghi.»
«Avete parlato di me?»
«Precisamente» aveva risposto Ben. «E tutti abbiamo convenuto che per te sarebbe rischioso tornare al Pronto Soccorso dopo quello che hai sofferto a casa. Dobbiamo avere cura di te. Invece di chiederti ogni cinque minuti come ti senti, cosa che ti farebbe sicuramente impazzire, insisto perché tu parli con qualcuno. Posso prenderti appuntamento con Jess Carmichael... è molto brava e non tiene alla forma, potrete parlare passeggiando in giardino o prendendo il caffè al bar.»
«Non ho nessuna intenzione di parlare della mia vita in giardino o in un bar» aveva protestato Izzy. «La vedrò nel suo ufficio.»
«Come preferisci» aveva concesso Ben, poi il suo tono si era raddolcito. «Cerca di capire, per te vogliamo il meglio.»
Così, quel venerdì all’ora di pranzo, poco prima del suo primo turno di lavoro, Izzy si ritrovava seduta nell’ufficio della psicologa a dirle la stessa cosa che aveva detto a Ben, a sua madre, agli amici: lei stava bene.
Bene!
«Di solito, dopo un grave trauma emotivo, si consiglia alle persone di aspettare almeno un anno prima di fare un passo importante» disse Jess quando Izzy l’ebbe informata che intendeva vendere la casa.
«Ho ventotto anni e sono incinta!» Izzy si costrinse a sorridere. «Che io sia pronta o meno, il cambiamento sta arrivando. Guarda...» Moderò il proprio tono perché Jess era la gentilezza in persona. «Non voglio portare il bambino in quella casa, ci sono troppi ricordi. Per quando sarà nato, ne voglio un’altra.»
«Ti capisco» dichiarò Jess. «C’è qualcuno che possa aiutarti per il trasloco?»
«Sì» rispose Izzy. «Qualcuno che mi faccia un’offerta decente per la casa.»
«Come ti senti...» Jess aveva una voce gentile, ma le sue parole toccarono un tasto dolente, «quando al Pronto Soccorso ti capita un caso di violenza domestica?»
Izzy esitò un momento per mostrare che rifletteva sulla domanda, poi diede la risposta che si era preparata con cura. «Come quando mi capita una donna incinta o una vedova. La compatisco, ma non la metto certamente in relazione con me stessa.»
«Ne sei proprio sicura? Hai avuto un’esperienza estremamente traumatica» osservò Jess. Nemmeno la sua voce gentile riuscì a mitigare la brutalità dei fatti. «Hai cercato di troncare una relazione violenta per proteggere il bambino che porti nel tuo grembo, tuo marito ti ha picchiato, poi è partito in macchina ed è morto in un incidente. È naturale che ti senta...»
«Non puoi sapere come mi sento» la interruppe lei, facendo del suo meglio per parlare con calma. «Per favore, falla finita con povera Izzy e con non è stata colpa tua. Non voglio la tua compassione e nemmeno la tua assoluzione.»
«Non sto cercando di...» cominciò Jess.
«Mi sono ripresa» la interruppe Izzy. «Sì, è stato terribile. Sì, sarà duro affrontare il mondo, ma sono pronta. Mi sento in grado di riprendere la mia vita.»
Capì di non essere riuscita a convincere Jess. Quel giorno aveva fatto il possibile per sembrare convincente, curando in modo particolare il proprio aspetto. Sfoggiava un top grigio con calzoni neri, si era pettinata con cura i capelli biondi e come tocco finale aveva aggiunto un paio di orecchini d’argento. Sperava di apparire in tutto e per tutto una moderna professionista che per caso era rimasta incinta. Non intendeva permettere a Jess e a nessun altro di vedere oltre le pareti che aveva eretto intorno a sé. Poteva sopravvivere soltanto a quella condizione...
Jess le suggerì alcune tecniche di rilassamento, le fece praticare qualche esercizio di respirazione e le consigliò di frequentare gli amici. Izzy si passò le dita fra i corti capelli biondi che un tempo erano stati lunghi, ma che si era tagliata in un accesso d’ira. Quando credette che la seduta fosse finita, Jess parlò di nuovo.
«Non si sa mai quello che può arrivare al Pronto Soccorso, è la particolare natura del tuo lavoro.» Tacque un momento, poi continuò: «Anche se adesso ti senti sicura, dovrai essere assolutamente pronta ad affrontare qualunque evenienza. Se per caso senti che preferiresti...».
«Mi stai suggerendo di farmi trasferire a Pazienti Esterni?» la sfidò Izzy con gli occhi grigi luccicanti di lacrime che stava disperatamente cercando di trattenere. «O forse che, per un paio di mesi, potrei limitarmi a fare vaccinazioni?»
«Izzy...» la interruppe Jess, ma lei non le diede retta.
«Sono un medico coscienzioso, non metterei mai in pericolo la sicurezza dei pazienti. Se non mi sentissi pronta ad affrontare il Pronto Soccorso, non sarei tornata.» Diede in una risata incredula. «Sembra che tutti aspettino solamente di vedermi crollare.» Prese la borsetta e si diresse verso la porta. «Be’, mi dispiace, ma non intendo accontentarvi.»
Izzy era un buon medico, Jess non ne dubitava. Mentre scriveva gli appunti, fu sicura che avrebbe fatto le scelte giuste con i pazienti e che fosse pronta per lavorare al Pronto Soccorso. Ma a quale prezzo? Jess si appoggiò allo schienale della poltrona e chiuse un momento gli occhi.
2
Team ostetrico al Pronto Soccorso.
Izzy sentì la chiamata mentre vuotava la tazza di caffè e gettava l’involucro del sandwich nel bidone dell’immondizia. Sbuffò esasperata davanti alla porta scorrevole che si rifiutava di riconoscerla, benché lei continuasse a passare la carta magnetica nella fessura. Un’impaziente infermiera le diede il cambio usando la propria carta e Izzy la tallonò nel Pronto Soccorso.
L’avevano assegnata alla Sezione B, di questo era sicura.
A praticare antitetaniche e suture, a esaminare caviglie e polsi. Malgrado la spavalderia sfoggiata di fronte a Jess, in realtà Izzy aveva sperato in un inizio soft e sembrava che Ben glielo avesse organizzato.
Team ostetrico al Pronto Soccorso.
L’appello fu ripetuto più volte. Izzy conosceva bene quel tipo di chiamata... padri ansiosi che spesso si confondevano, finendo per portare la moglie al Pronto Soccorso invece che in Maternità.
Sbirciò l’orologio. Di lì a dieci minuti avrebbe cominciato il suo primo turno di lavoro.
Varcò un’altra porta scorrevole, che stavolta si aprì senza bisogno della carta magnetica, e si trovò nell’interno del Pronto Soccorso. Perfetta scelta di tempo, si disse. Aveva giusto qualche minuto per riporre la borsa nell’armadio, poi si sarebbe tuffata nel lavoro. E questo significava che avrebbe evitato lo staff, i pettegolezzi...
«Izzy!» Beth, un’infermiera con cui lavorava da anni, la oltrepassò di corsa. «Cubicolo quattro. Sono tutti occupati. La donna è...»
Sì, Jess aveva ragione.
Non c’erano inizi soft, capì Izzy mentre Les, l’inserviente, prendeva la sua borsa. Beth la informò con qualche breve frase mentre correvano attraverso l’unità. «Incinta di ventitré settimane, anche se non è molto sicura delle date. Non ha fatto in tempo ad arrivare in Maternità. Ho detto di chiamare...»
«Chi si occupa di lei?» domandò Izzy mentre si disinfettava le mani con una soluzione antisettica.
«Tu» rispose Beth.
Oh, sì!
Izzy aveva scordato che a volte il Pronto Soccorso era spietato. In quel momento vide Ben indossare un grembiule di plastica. Fu sicura che si sarebbe occupato del caso, spedendola nella tranquilla Sezione B.
«Hai sentito la chiamata?» le chiese invece Ben, affrettandosi verso Rianimazione.
«Certamente!»
«Si chiama Nicola» la informò Beth mentre Izzy respirava profondamente