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Seduzione corpo a corpo (eLit): eLit
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E-book323 pagine4 ore

Seduzione corpo a corpo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

La seduzione è spesso un gioco di specchi in cui chi vuol sedurre assume il ruolo del cacciatore e chi desidera essere sedotto interpreta la parte della preda. Ma si tratta, appunto, di un effetto visivo, di un inganno degli occhi, perché in qualsiasi momento è possibile invertire le parti, perdendosi in un coinvolgente labirinto di attrazioni e tentazioni.

Carly, ballerina di lap dance, Del, scrittrice di gialli e Jillian, metà accompagnatrice e metà investigatrice privata conoscono tutti i trucchi dell'arte di sedurre, per esperienza diretta o mediata dalla scrittura. Ogni volta sanno bene quale ruolo rivestono, se quello della cacciatrice o quello della preda. Almeno finché non incontrano ciascuna un uomo bellissimo, capace di incrinare le loro certezze, di superare addirittura ogni loro fantasia.

Per scoprire, forse, che nel campo delle passioni c'è sempre qualcosa da imparare...
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2018
ISBN9788858981689
Seduzione corpo a corpo (eLit): eLit
Autore

Susan Andersen

Autrice che regala emozioni forti, situazioni beffarde e una scrittura senza falsi pudori.

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    Anteprima del libro

    Seduzione corpo a corpo (eLit) - Susan Andersen

    successivo.

    1

    «Non so proprio cosa fare con lui» confessò Carly Jacobsen all'amica Michelle, mentre accontentavano un gruppo di turisti giapponesi che volevano farsi fotografare con due vere showgirl di Las Vegas. «È testardo, ribelle e si rifiuta di ascoltarmi.»

    «Un tipico maschio, in altre parole.»

    Lei represse una sbuffata. «Esatto.» I piedi la stavano uccidendo, ma sorrise per la macchina fotografica e cercò di non sentirsi un'amazzone mentre torreggiava sui turisti. Fortunatamente lei e Michelle indossavano le parrucche con il caschetto castano stile anni Trenta, invece delle enormi acconciature dello spettacolo precedente. Così erano solo una ventina di centimetri più alte rispetto agli altri.

    «Be'» mormorò Michelle da sopra le teste dei turisti, «se non altro il tuo maschio ha quattro zampe, quello con cui vivo io invece ne ha due.»

    «Vero» convenne lei. «Rufus si sta dimostrando un cucciolo difficile da addestrare, ma almeno con lui ho qualche speranza.»

    «È più di quanto si possa dire della maggior parte degli uomini.»

    «Giusto.» A Carly non era mai interessata l'idea di vivere con un uomo, eppure... «D'altra parte, tu puoi fare sesso ogni volta che vuoi, mentre io ho solo un vago ricordo di come sia.»

    Posarono ancora per un paio di scatti, prima di accomiatarsi dai clienti, che si inchinarono, sorrisero e le ringraziarono. Carly li salutò con un sorriso genuino; i giapponesi le piacevano molto: nel suo lavoro non era facile trovare clienti cortesi.

    «Vuoi bere qualcosa?» propose Michelle mentre attraversavano il casinò, un momento dopo.

    «No, meglio che torni a casa. I miei piccoli avranno fame.»

    Lasciata Michelle al bar che frequentavano solitamente, si diresse verso i camerini per cambiarsi. Ballava ne La Stravaganza, lo spettacolo prodotto dall'Avventurato Resort Hotel and Casinò da tanto tempo, che ormai non faceva più caso ai rumori del casinò intorno a sé. Ma quella sera si sentiva particolarmente stanca, non essendo riuscita a dormire bene a causa di Rufus.

    Rufus era l'ultimo arrivato tra i suoi piccoli, come Carly amava definire gli animali da compagnia che aveva salvato, e la preoccupazione per il suo comportamento ribelle le aveva reso difficile riposare. La bestiola si rifiutava di lasciarsi addestrare e, grazie al suo nuovo vicino, lei temeva che il tempo a disposizione del piccolo meticcio stesse per scadere.

    Come risultato, in quel momento il rumore delle slot machine, delle roulette e dei clienti festosi o delusi, sembrava acuire il mal di testa che cominciava a pulsarle dietro l'occhio sinistro. Il che forse spiegò perché, quando una vecchietta dai capelli bianchi la urtò con una borsa oversize, Carly vacillò pericolosamente, proprio mentre si trovava sui gradini che dividevano una sezione del casinò dall'altra.

    Barcollò e il tacco del suo sandalo finì nel vuoto. Sbilanciata, cercò di aggrapparsi al corrimano, contraendo la muscolatura dell'addome per tenere le spalle allineate con il bacino. Le sue dita riuscirono solo a sfiorare il corrimano e, benché si fosse raddrizzata a sufficienza da evitare di cadere di schiena, atterrò ugualmente in modo sgraziato sul pavimento e una gamba si piegò dolorosamente sotto di lei.

    Imprecò tra i denti, mentre il dolore le esplodeva nella caviglia.

    Un gruppetto di persone le si avvicinò; qualcuno si chinò su di lei. «Tutto a posto, signorina?»

    Carly alzò gli occhi su un uomo con capelli castano chiaro, illuminati da dietro dalle luci sgargianti delle slot machine da cento dollari in cima alle scale. Quando riuscì a mettere a fuoco il suo viso, si accorse che era gradevole.

    Comunque, sarebbe potuto essere un troll per quanto le importava, dal momento che il dolore le impediva di connettere; inoltre, quanto riuscì a scorgere le disse che il giovane non era il suo tipo, essendo privo di quel certo non so che che rendeva un uomo attraente per lei; ciò che la sua amica Treena definiva un uomo al testosterone.

    Distolto lo sguardo dal giovane, lo focalizzò sul gruppetto radunato intorno a lei, ma non vide l'anziana signora che l'aveva mandata a gambe all'aria.

    Maledetti giocatori incalliti.

    Osservandola allarmato, l'uomo che le aveva chiesto come stesse le si inginocchiò accanto. «Niente di rotto?»

    Lei mosse cauta le gambe, trattenendo il respiro bruscamente quando una nuova fitta di dolore le attraversò la caviglia. «No, credo di no. Però la caviglia mi fa male.» Faceva fatica a non gemere; aveva sempre avuto una soglia del dolore piuttosto bassa.

    Un ragazzo tanto giovane da ritenere che piercing multipli, eyeliner e rossetto nero fossero molto cool staccò lo sguardo dalle sue gambe interminabili quanto bastò per annuire. «Sì, si sta già gonfiando.»

    «Ci vorrebbe un po' di ghiaccio» suggerì qualcuno.

    «Posso fare una fotografia con lei?» domandò un uomo corpulento con un paio di pantaloni color sabbia quasi ascellari.

    «Che sta succedendo qui?»

    La pressione sanguigna di Carly balzò improvvisamente alle stelle. Merda. Conosceva quella voce, profonda e con un forte accento, perché nelle ultime settimane le si era rivolta spesso con tono colmo di disapprovazione. Apparteneva a Wolfgang Jones, braccio destro del responsabile di sicurezza e sorveglianza dell'Avventurato.

    Nonché suo nuovo, molesto vicino di casa.

    2

    Carly osservò attraverso la foresta di gambe che la circondava l'uomo che si stava avvicinando. A voler essere del tutto onesta, Jones non aveva un vero e proprio accento; eppure c'era qualcosa, nella precisione con cui formava le parole, che lasciava intuire come i suoi pensieri non fossero in inglese.

    Lei avrebbe sbuffato, se non fosse stata troppo impegnata nel tentativo di non gemere come un gattino.

    Lui si fece largo tra la piccola folla, alto e snello, biondo e palestrato, riuscendo a irritarla oltre misura per il solo fatto che respirava la sua stessa aria. Era lui la causa della sua preoccupazione per Rufus. Ma, consapevole del codice di comportamento che l'Avventurato esigeva dai propri impiegati quando si trovavano sul posto di lavoro, Carly represse il ringhio che le stava risalendo alla gola.

    A volte rappresentare hotel e casinò non era facile.

    Dall'espressione che vide balenare negli occhi di Jones, capì che era altrettanto entusiasta per quell'incontro inatteso. Ciononostante, lui le si fermò di fronte, rivolgendosi ai presenti.

    «Tornate pure a divertirvi, signori» disse, con la sua tipica arroganza da sono-un-dio-perciò-farete-come-dico. «Mi occuperò io della signorina.» Poi, voltatosi, si accucciò inguainato nel completo nero di sartoria, con la camicia di cotone grigio egiziano e la cravatta di seta grigio perla, assolutamente certo che i turisti gli avrebbero obbedito.

    Cosa che, effettivamente, accadde. Frustrante, pensò Carly.

    All'Avventurato Jones aveva fama di essere una persona straordinariamente efficiente. Dati i loro trascorsi, Carly detestava doverlo ammettere ma, se Jones dedicava al suo lavoro anche solo metà dell'attenzione che stata utilizzando per sfilarle il sandalo, la sua reputazione era probabilmente meritata.

    Comunque lei lo conosceva per il bastardo nemico dei cani che era e non intendeva fidarsi di lui un grammo più del necessario. Per quanto ne sapeva, quell'attenzione poteva essere solo un trucco per indurla a rilassarsi e abbassare la guardia.

    Sollevatasi sui gomiti, lo osservò con gli occhi socchiusi per essere certa che non tentasse di danneggiarle ulteriormente la caviglia.

    Come il giovane con i piercing aveva evidenziato, la caviglia aveva già cominciato a gonfiarsi. Iniziava anche a diventare calda, benché quel calore non fosse paragonabile a quello delle mani forti di Wolfgang. Lui gliene posò una sotto il polpaccio, per sostenerle la gamba, mentre con l'altra tastava delicatamente la caviglia gonfia.

    Quel tocco rovente la sorprese, chi avrebbe mai immaginato che un uomo così tetro e gelido potesse irradiare tanto calore?

    Lui le posò il palmo della mano sotto il piede e cercò di ruotarlo delicatamente. Alzò lo sguardo in tempo per vederla trasalire. «Fa male?»

    «, fa male» rispose lei, irritata. Per correttezza, subito dopo aggiunse: «Ma sono sicura che si tratti solo di una distorsione». Aveva subito un numero sufficiente di piccoli incidenti per capirlo. In quel momento, tuttavia, riusciva a pensare solo che aveva due giorni per ridurre il gonfiore e rimettersi in forma per ballare, perché non aveva alcuna intenzione di dover chiamare Vernetta Grace, general manager de La Stravaganza, per dirle di essersi infortunata. Di nuovo.

    Carly guardò la cicatrice a forma di mezzaluna sulla nocca dell'indice destro, che meno di un mese prima le era costata due giorni di lavoro.

    «Com'è successo?»

    Lei guardò Wolfgang, il viso leggermente abbronzato sotto i capelli chiari a spazzola. «Una vecchietta con una borsa gigantesca mi ha teso un'imboscata.» Gli tese una mano, nel tentativo di indurlo ad allontanare le mani dal suo corpo. «Aiutami ad alzarmi.»

    «Non sembra una frattura e nemmeno una brutta distorsione» convenne lui, affrettandosi con sollievo a staccare le dita dalla sua gamba. Si alzò con un singolo movimento atletico, poi afferrò la mano di Carly e la tirò su.

    Lei si rialzò più in fretta di quanto avesse immaginato e, istintivamente, posò il piede contuso a terra, per evitare di finire addosso a Wolfgang. La fitta di dolore che la colpì fu talmente intensa, che Carly si piegò in due e solo le mani di lui, che le si posarono sugli avambracci, impedirono che gli si accasciasse sul petto. La frangia di perline del costume di Carly andò a sbattere contro la camicia di cotone di lui.

    Maledizione! Con tutti gli uomini che lavoravano al casinò, perché era stato proprio lui ad aiutarla? Perché il secondo del responsabile di sicurezza e sorveglianza avrebbe dovuto fare da infermiere a una ballerina?

    Probabilmente per darle modo di notare quanto fosse responsabile.

    La aiutò ad accomodarsi su una sedia posta accanto a una fila di macchine per il video poker e le sistemò un secchio di plastica sotto il tallone per tenere la gamba sollevata. Dopo, chiamò una cameriera.

    «Porti un po' di ghiaccio e un asciugamano, per cortesia.» Era chiaro che non si trattava di una richiesta e la ragazza si affrettò a obbedire.

    «Scommetto che tu non hai molti amici» osservò Carly, asciutta.

    Jones le si era inginocchiato nuovamente di fronte; alzò la testa e la guardò con occhi inespressivi. «Non ho bisogno di amici» dichiarò, senza batter ciglio.

    «Starai scherzando, spero!» Era sinceramente allibita. Era la conversazione più civile che avessero mai avuto, dal momento che, in genere, i loro incontri erano stati feroci fin dal primo giorno in cui Jones si era trasferito nello stabile in cui viveva Carly.

    Feroci per quanto riguardava lei, quantomeno. Jones era sempre stato un ghiacciolo. A ogni modo, benché Carly non vedesse l'utilità dell'esistenza di un uomo al quale non piacevano gli animali, aveva creduto che fosse perlomeno umano.

    Apparentemente si era sbagliata. Non aveva bisogno di amici? Era semplicemente barbaro!

    C'erano un mucchio di cose delle quali Carly poteva non avere bisogno nella vita, a cominciare dall'avere quel tipo come vicino. Ma i suoi amici erano incontestabilmente in cima alla lista delle cose cui non avrebbe mai rinunciato. Non riusciva a immaginare come se la sarebbe potuta cavare senza Treena e Jax, o Ellen e Mack; il discorso, invece, era completamente diverso per i responsabili della sicurezza tetri che detestavano i cani.

    «Non scherzo mai» rispose lui, austero.

    Lei chiuse la bocca e lo guardò, gli occhi verdi gelidi sotto le sopracciglia folte, gli zigomi forti e la bocca dura, severa. Poi espirò e annuì. «Ho capito, niente senso dell'umorismo. Lo avevo notato.»

    Le sopracciglia di lui si avvicinarono alla sommità del naso, ma prima che Wolfgang potesse rispondere la cameriera tornò con un sacchetto di ghiaccio e un asciugamano. Lui distolse lo sguardo dal viso di Carly per accettare gli oggetti e ringraziare concisamente la ragazza.

    «Grazie, Olivia» disse Carly nel tentativo di ingentilire i modi sbrigativi di lui. «Sei stata molto gentile.» La cameriera le strinse la spalla, le augurò di guarire presto e si allontanò. Carly riportò la sua attenzione su Jones, che le stava drappeggiando l'asciugamano sulla caviglia. «Immagino non ti interessi nemmeno conoscere i tuoi colleghi e dimostrare loro un po' di cortesia, vero?»

    Lui le sbatté in malo modo la borsa con il ghiaccio sull'articolazione.

    Carly espirò tra i denti; quando smise di vedere le stelle, socchiuse gli occhi. «Sei un vero principe, Jones.» Agitando la mano che non aveva usato per ancorarsi alla sedia e resistere alla fitta di dolore, cercò di allontanarlo. «Va' pure adesso.» Suo malgrado, aggiunse: «Grazie per l'aiuto».

    Lui si alzò e la guardò. «Pensi di riuscire a guidare?»

    Probabilmente no. «Me la caverò.»

    «La tua auto ha il cambio manuale, vero?»

    «Sì» rispose lei. «Cinque marce. Ma sono certa che hai di meglio da fare che non restartene qui a parlare con me della mia auto. Non voglio trattenerti.»

    Lui non si mosse. «Come pensi di tornare a casa? Chiederai un passaggio alla tua amica con i capelli rossi? L'altra ballerina?»

    Impossibile: era il giorno libero di Treena e lei e Jax erano partiti per San Francisco dopo lo spettacolo della sera prima. A ogni modo, Carly annuì. «Certo, farò così. Grazie, arrivederci.»

    Wolf la guardò e capì immediatamente che stava mentendo. Dannazione, avrebbe dovuto accompagnarla a casa lui.

    Non avrebbe voluto trascorrere un altro minuto in sua compagnia, figurarsi il tempo necessario per caricarla in macchina, portarla a casa e accompagnarla nel suo appartamento. Era frivola e irresponsabile e ogni volta che lui arrivava a un metro da lei gli dava a tal punto sui nervi che gli veniva voglia di ululare, mordere cemento e commettere atti inusitati, al termine dei quali avrebbe voluto rovesciarsela sulle ginocchia e sculacciarle quei glutei rotondi come qualcuno avrebbe dovuto fare molti anni prima.

    Non era per niente da lui; l'ultima cosa che voleva era stare con lei, eppure lei aveva finito il turno e anche lui, inoltre era la sua vicina. Era chiaro che Carly non avrebbe potuto premere la frizione con quella caviglia e da parte di Wolf sarebbe stato criminale lasciarla sola, quando entrambi dovevano andare nella medesima direzione.

    Per non parlare del fatto che glielo doveva per averle sbattuto il ghiaccio sulla caviglia, facendole male. Era stato scortese, per quanto la lingua pungente di lei lo avesse fatto infuriare.

    Sospirò. «Vieni. Ti accompagno a casa.»

    Lei lo guardò come se le avesse proposto di maltrattare il suo cane. «No!» esclamò con enfasi, poi sorrise debolmente a un giocatore in fondo al corridoio, che aveva alzato lo sguardo dalla slot machine. Abbassò la voce. «Grazie, ma non sarà necessario.»

    «Non puoi guidare.»

    «Ti ho detto che avrei chiamato Treena.»

    «Hai mentito.»

    Lei gli scoccò un'occhiata assassina con i suoi occhi blu. «E tu come lo sai?»

    «Sono bravo nel mio lavoro. Ho imparato a leggere nella testa di persone assai più dure di te.»

    «Va bene, ho mentito. Chiamerò Mack.»

    Lui scosse il capo, disgustato. «Disturberesti il signor Brody a quest'ora di notte, quando io sono disposto ad accompagnarti a casa? Sei la donna più irritante e irr...»

    «Irresponsabile che tu abbia mai avuto la sfortuna di incontrare. Sì, sì, abbiamo già toccato quest'argomento in altre occasioni.»

    Le sue guance arrossirono e, in quel momento, Wolf si rese conto di quanto fosse stata pallida poco prima. Probabilmente la caviglia le faceva molto male. Prima che i rimorsi potessero assalirlo, tuttavia, lei alzò il mento delicato.

    «D'accordo, grazie. Un passaggio a casa sarebbe molto....» Sembrava che le parole la stessero strangolando, ma Wolf non poté esserne sicuro, perché si era chinata per controllare la caviglia.

    «Ce la fai a camminare?» le chiese, osservando la lucida parrucca scura.

    Lei alzò la testa di scatto e due occhi blu lo inchiodarono. «Perché, altrimenti mi porterai tu in braccio? Oh, sì, ce la faccio eccome!»

    Le palme delle mani cominciarono a prudergli; sculacciarla sarebbe stato catartico, non aveva mai conosciuto nessuno che avesse più bisogno di una bella sculacciata. Indicò con il mento l'uscita che conduceva al parcheggio. «Allora andiamo.»

    Lei si sfilò l'altro sandalo, poi si alzò per seguirlo; riuscì ad avanzare zoppicando, ma con lentezza esasperante. Più di una volta Wolf fu tentato di caricarsela in spalla per essere certo di arrivare a casa prima del millennio successivo ma, ovviamente, non lo fece. Sarebbe equivalso a soccombere al lato selvaggio del carattere dei Jones, ma a differenza di suo padre e di sua sorella, Katarina, quello era un impulso che Wolf aveva sempre tenuto a bada. Così, stringendo i denti, precedette Carly, poi rallentò per starle accanto per qualche minuto, finché l'impazienza ebbe la meglio e lui si ritrovò parecchi metri avanti a lei e dovette rallentare di nuovo.

    Finalmente arrivarono alla macchina e lui aprì la portiera del passeggero.

    «Wow!» commentò lei, appoggiando una mano al tetto del veicolo e osservandolo con palese ammirazione. «Non avrei mai immaginato che avessi un'auto del genere.»

    Lui non si offese per il sottinteso malcelato di quelle parole; anche per lui l'acquisto della cabrio era stato un evento del tutto eccezionale. Eppure, per una volta, aveva voluto fare una concessione al suo lato selvaggio. Passò le dita su una delle fiamme che sfumavano dall'amaranto all'arancio fino ad arrivare al giallo sulla carrozzeria nera lucida. «Forza, sali.»

    Dopo un'occhiata all'abitacolo immacolato, Carly osservò la borsa del ghiaccio che le si stava sciogliendo nella mano ed esitò. «Mmh... non vorrei sporcarla.»

    Era la cosa più intelligente che le avesse mai sentito dire e, per un momento, Wolf la trovò quasi gradevole. La studiò attentamente per la prima volta da quando erano usciti a passo di lumaca dal casinò e notò che era ridiventata pallida e un velo di sudore le imperlava la fronte e il labbro superiore. Palesemente non si sentiva bene. Con inconsueta gentilezza, ripeté: «Sali».

    Lei obbedì; quando Wolf si sedette al volante, notò che aveva appoggiato stancamente il capo al poggiatesta. Carly passò una mano sulla pelle del sedile. «Cos'è? Una Ford?»

    «Sì.» Acceso il motore, lui ne ascoltò soddisfatto il ringhio profondo e potente. Sorrideva quando si voltò a guardare lei. «Una Ford coupé del millenovecentoquaranta.»

    «Molto bella.» Sollevato lentamente il capo, come se pesasse più di quanto il suo collo sottile potesse sopportare, si tolse la parrucca castana. «Così va meglio» mormorò. I corti capelli biondi erano incollati alla testa, ma lei li ravviò con le dita affusolate e i morbidi ciuffi si gonfiarono, fino a renderle l'aspetto dell'allegra showgirl spensierata che Wolf aveva imparato a riconoscere.

    Ma con marcate occhiaie scure.

    Percorsero la distanza fino al centro residenziale in un silenzio sorprendentemente gradevole; Wolf cominciò addirittura a sperare che avrebbero potuto concludere la serata in modo civile.

    Lasciata Carly all'ingresso, andò a parcheggiare l'auto. Lei si mosse lentamente, pertanto stava ancora aspettando l'ascensore quando lui la raggiunse. Ma, appena scesi al secondo piano, rumorosi latrati esplosero dall'appartamento di Carly in fondo al pianerottolo. Wolf si lasciò scappare una sbuffata di disgusto.

    Immediatamente il temporaneo cessate il fuoco terminò; Carly si voltò e lo squadrò dalla testa ai piedi in modo assai poco amichevole e lui la vide crescere di almeno due centimetri, appena raddrizzò la schiena. Gli occhi blu le si incupirono, assumendo l'espressione alla vai al diavolo che Wolf era abituato a scorgervi, mentre il cane continuava ad abbaiare istericamente dietro la porta.

    Tutte le fragili speranze di Wolf per una notte tranquilla andarono in fumo.

    3

    Lo aveva dimenticato. Per un breve momento Carly aveva abbassato la guardia e aveva dimenticato che Wolfgang Jones era solo un bastardo arrogante che detestava i cani.

    Okay, Rufus era una bestiola difficile, più di qualunque altro animale di cui si fosse mai presa cura ma, se solo Jones non le fosse stato addosso in quel modo, lei avrebbe sicuramente trovato il modo giusto per addestrare il nuovo cucciolo. Ci era sempre riuscita con tutti gli animali che aveva adottato.

    La terrorizzava l'idea di non riuscire a trovarlo in tempo; fino a quel momento era stata fortunata, perché tutti gli inquilini del palazzo avevano chiuso un occhio sul regolamento che consentiva di tenere un solo animale in ciascun appartamento.

    Jones si sarebbe potuto comportare diversamente; dopotutto le regole erano dalla sua parte e, come se non bastasse, quell'uomo seguiva i regolamenti tanto palesemente alla lettera, da non essere nemmeno divertente. Gli sarebbe bastato sporgere una lamentela ufficiale e Carly non avrebbe perso solo Rufus, ma anche altri due dei suoi piccoli.

    L'idea la addolorò tanto, che non riuscì a infilare la chiave nella serratura perché le tremava la mano. Gli scoccò un'occhiata cupa: era così inflessibile, fisicamente e mentalmente. Per quanto lei detestasse dover fornire delle spiegazioni per le proprie scelte di vita, soffocò l'orgoglio e disse: «Non è tutta colpa di Rufus, sai? È un buon cane. L'ho trovato abbandonato lungo la strada e temo che i suoi primi mesi di vita non siano stati facili. Per questo ci sta mettendo un po' più del normale ad adattarsi». Aprì la porta.

    Appena oltrepassò la soglia, i suoi cani la accolsero con la consueta danza notturna felici-di-rivederti. Rufus continuò ad abbaiare mentre le saltellava addosso; Buster, pur essendo già adulto, più tranquillo e controllato, si spinse contro la sua gamba contusa, agitando entusiasticamente la coda. I due gatti balzarono giù dai rispettivi giacigli e attraversarono la stanza per andarsi a infilare tra i piedi di Carly, miagolando per reclamare la cena. Quella confusione rumorosa era la parte della giornata che lei preferiva.

    Palesemente Wolfgang non era altrettanto incantato; lei notò la sua espressione quando Rufus si gettò con gioioso abbandono sul suo completo elegante.

    Com'era prevedibile, Jones non fu estasiato. «Sitz!» esclamò.

    «Zits?» ripeté Carly, confusa. A ogni modo, Rufus smise immediatamente di abbaiare e, quando lei si voltò a guardare i cani, immobilizzatisi improvvisamente, scorse sui loro musi un'espressione di sconcerto quasi umana. Poi entrambi posarono a terra contemporaneamente i fondoschiena pelosi e fissarono l'uomo alto e biondo con attenzione rapita. Perfino i gatti si fermarono per un secondo, prima di tornare a reclamare la cena.

    Wolfgang la guardò, la postura eretta, il viso privo di espressione, ma allo stesso tempo ancora capace di irradiare disapprovazione. «Hai ragione, non è colpa del cane» convenne. «È colpa tua. Esercita un po' di dannato controllo.» Si tolse un pelo di cane dai pantaloni, mentre con l'altra mano afferrava la maniglia e chiudeva la porta alle proprie spalle.

    Carly rimase a fissare incredula il pannello che le era stato chiuso in faccia, e sentì la pressione del sangue che saliva pericolosamente. Se si fosse vista riflessa in uno specchio, non si sarebbe stupita vedendo due getti di vapore uscirle dalle orecchie. Boccheggiando, digrignò i denti.

    «Despota! Figlio di puttana!» Furiosa, scagliò contro la porta la borsa con il ghiaccio.

    I suoi animali fuggirono, allarmati. «Scusatemi ragazzi» disse lei, contrita. «Mi dispiace. Ma avete mai conosciuto un essere umano più miserabile?» Peccato che Treena non ci fosse; in condizioni normali Carly sarebbe andata da lei e si sarebbe sfogata per una ventina di minuti catartici, invece zoppicò in cucina e cominciò a preparare la cena per i suoi piccoli amici.

    Sentire i croccantini che cadevano nelle ciotole e le scatolette che venivano aperte, convinse le bestiole a

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