Il capo spagnolo: Harmony Jolly
Di Nina Singh
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Info su questo ebook
Julian Santigo è abituato a risolvere i guai del cugino Carlos, ma questa volta il guaio è Cassie Wells, alla quale è costretto a consegnare di persona una lettera di addio. Lei, però, lo intriga fin dal primo sguardo e scoprendo che si trova in difficoltà, le offre un impiego nel suo nuovo resort a Minorca. Purtroppo le cose si complicano e l'offerta di lavoro diventa una... proposta di matrimonio!
Diventare la moglie del suo capo? È una richiesta inaccettabile, anche se Julian è irresistibile. È possibile che l'attrazione che cercano di combattere da quando si sono incontrati sia una preziosa alleata per trasformare un matrimonio sulla carta in un amore indimenticabile?
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Anteprima del libro
Il capo spagnolo - Nina Singh
successivo.
1
Si rifiutò di guardare di nuovo quella fotografia. Che senso avrebbe avuto? Era inutile continuare a torturarsi. L'immagine di lei e Carlos che sorridevano alla fotocamera non le provocava altro che dolore.
Quando alla fine lui aveva risposto al telefono, dopo settimane senza darle notizie, la sua reazione era stata esattamente quella che lei aveva temuto. Le parole dell'ultima telefonata le risuonarono nella testa.
Non sono pronto... mi hai colto di sorpresa... un giorno, forse... perdonami...
Ah! Sdraiata sul materasso, Cassandra Wells si girò sulla schiena e fissò i disegni a spirale della pittura sul soffitto. Come se fosse in grado di perdonarlo! Ma doveva trovare il modo per superare tutto, no? Perché adesso sarebbe stata legata a Carlos Alhambra per sempre. Carlos, l'uomo che l'aveva corteggiata, sedotta e poi lasciata con nient'altro che parole inutili e vuote.
Incinta di suo figlio.
Avrebbe dovuto bruciare quella stupida foto, per sradicare l'impulso di continuare a guardarla, sperando di trovare qualcosa che l'aiutasse a capire come avesse potuto interpretare così male l'uomo di cui si era innamorata perdutamente nel giro di pochi giorni.
Una fastidiosa voce interiore attizzò quel pensiero, dicendole che, forse, più che di lui si era innamorata del concetto stesso di essere innamorata. E tutto ciò la aveva resa... Incinta e sola. Una situazione in cui aveva giurato di non trovarsi mai, visto e considerato il modo in cui era cresciuta.
Cassie sospirò e contò lentamente finché il turbamento nel suo stomaco vuoto non si placò. Poi si alzò con calma per fare colazione e iniziare a prepararsi per la giornata. Senza dubbio, sarebbe stata stancante. In quei giorni sembrava essere la sua condizione immutabile: esausta e perennemente sull'orlo delle lacrime.
Sapeva che dovevano essere gli ormoni, ma questo non rendeva più facile affrontare il tumulto emotivo. Si era sempre considerata una persona solitaria. Ma per la prima volta si sentiva davvero completamente sola.
D'istinto allungò una mano sul ventre e lo accarezzò con dolcezza. Tecnicamente, non era affatto sola. E si rifiutava di vedere questo bambino come qualcosa di meno del dono che era. A differenza della stessa Cassandra, suo figlio non avrebbe mai sentito il peso di sentirsi indesiderato.
Avrebbe solo voluto avere qualcuno con cui condividere quel dono.
Magari fosse stata più brava nel giudicare il carattere delle persone. Come poteva essere stata così ingenua? Si era stupidamente lasciata andare a una relazione frivola con un uomo, senza pensare alle conseguenze. Poi ci erano voluti giorni per contattarlo, una volta che aveva scoperto di essere rimasta incinta. E lui aveva completamente rifiutato sia lei che il loro bambino.
Le bruciavano gli occhi e Cassie si costrinse a chiuderli, inspirando a fondo. Basta.
Non si sarebbe crogiolata nell'autocommiserazione. Non si sarebbe stressata, mettendo a repentaglio la salute sua e del bambino. Ce l'avrebbe fatta da sola.
Dopo tutto, era la storia della sua vita. Aveva finito il liceo, da sola. Aveva frequentato il college, da sola, ed era riuscita a trovare un lavoro gratificante ed entusiasmante in una città metropolitana e alla moda come Boston.
Un lavoro che diventava sempre più faticoso con il passare delle settimane. Ma quella era un'altra storia.
Poteva farcela.
Doveva solo continuare a ricordarlo a se stessa. Il primo passo sarebbe stato dimenticare che Carlos Alhambra esisteva. Si alzò con determinazione e si avvicinò alla cassettiera dove aveva gettato la dannata foto dopo averla fissata per l'ennesima volta.
Senza pensarci troppo, con le mani che le tremavano, la strappò a metà. Poi continuò a strappare finché non assomigliò a un sacchetto di coriandoli, i loro volti un tempo sorridenti ora nient'altro che brandelli.
Si sentì un po' meglio, ma non abbastanza.
Anche in un mucchio di piccoli pezzi, il sorriso da ragazzino di Carlos era ancora in qualche modo visibile. Come lo era la sua espressione follemente fiduciosa. Voleva fingere che la foto non fosse mai esistita. Voleva fingere che Carlos stesso non fosse mai esistito. Voleva in qualche modo poter bruciare il passato. Letteralmente bruciarlo. Avvicinandosi al lavandino, vi gettò i pezzetti di carta, poi accese due fiammiferi contemporaneamente e li lasciò cadere. Una piccola fiamma emerse lentamente e lei provò una piccola soddisfazione. La sua amica Zara parlava spesso del potere purificante del fuoco ma, fino a quel momento, Cassie non le aveva dato molto credito.
Invece, la sua amica aveva ragione. Guardare il mucchietto di carta bruciare nel suo lavandino era catartico e liberatorio. L'odore del fumo conferiva un ulteriore strato sensoriale, come se l'aria intorno a lei si stesse purificando.
Cassie allargò il palmo sullo stomaco e guardò la fiamma diventare sempre più grande, la carta che lentamente si arricciava e bruciava mentre veniva consumata. Una volta che la foto non fu altro che un mucchio di cenere fumante, aprì il rubinetto.
Più tardi avrebbe dovuto chiamare Zara e raccontarle del mini rituale che aveva appena eseguito. Chiudendo gli occhi, inspirò l'aroma leggermente affumicato che aleggiava ancora nell'aria. Pace. Per la prima volta dopo diverse settimane, Cassie sentì finalmente una parvenza di pace.
Ma non durò a lungo. Un colpo inaspettato alla porta la fece sobbalzare.
Chi poteva essere a quell'ora? E perché il portiere non l'aveva avvisata?
Afferrando un canovaccio dal bancone, asciugò le mani e lo gettò alla cieca. Poi andò a vedere chi poteva essere il suo visitatore inatteso.
Non le erano mai piaciute le sorprese.
Julian Santigo aveva perso quasi due ore per combattere il traffico e poi trovare l'edificio giusto. Parcheggiò e cercò di reprimere la frustrazione. Ma non fu facile. Aveva molti impegni e non aveva davvero il tempo né la pazienza di svolgere una sorta di sciocca commissione per l'uomo che lui aveva sempre considerato come un cugino.
A volte Julian si chiedeva se lui e la mamma non fossero sempre stati un po' troppo indulgenti, con l'uomo che riteneva più un parente che un amico di vecchia data. Anche i due fratelli minori di Julian erano noti per aver coccolato molto quel parente acquisito. La sfortuna di Carlos di essere rimasto orfano in giovane età aveva pesato molto sulla famiglia Santigo. La madre di Julian aveva accolto il bambino e si era presa cura di lui come se fosse un familiare.
Julian aveva fatto lo stesso. Ecco perché, adesso, era qui, nel Seaport District di Boston, dopo aver attraversato la città e affrontato il suo traffico infernale.
Parcheggiò la Mercedes color argento, che aveva preso a noleggio, e scese, afferrando la busta che gli era stato chiesto di consegnare per conto di Carlos. Meglio farla finita, qualunque cosa fosse. Carlos non aveva dato molte spiegazioni, era solo stato irremovibile sul fatto che la busta fosse consegnata di persona da Julian, giacché comunque si trovava a Boston per lavoro. Voleva assicurarsi che il destinatario accettasse e, se possibile, che Julian prendesse nota della sua reazione. Julian era stato troppo distratto per chiedere i dettagli: Carlos aveva letteralmente fatto irruzione nel suo ufficio nel mezzo di una teleconferenza internazionale, per fare la sua richiesta. E, studiando ciò che lo circondava adesso, Julian si domandò se fosse stato un errore non pretendere da Carlos dei dettagli.
Si trovava davanti a un edificio chiaramente residenziale, quindi sembrava improbabile che si trattasse di una sorta di transazione commerciale. In ogni caso, Carlos non era un grande uomo d'affari. Era troppo impegnato a far festa in giro per il mondo.
Julian sospirò e si diresse verso l'ingresso dell'edificio, proprio mentre una donna vestita in modo elegante, con i tacchi alti e un abito attillato, si avvicinava di lato. La sconosciuta lo osservò attentamente, sembrava apprezzare ciò che vedeva.
«Sei un nuovo inquilino?» domandò, mentre entrambi raggiungevano la porta.
Lui scosse la testa. «Sono qui per vedere una persona.»
«Peccato» disse lei, aprendo la porta con una chiave magnetica e cedendogli il passo. «Credo mi sarebbe piaciuto averti come vicino.»
Julian le fece un sorriso educato. Era abituato a quel tipo di attenzione, negli Stati Uniti. Molte donne americane sembravano apprezzare capelli neri, occhi scuri e pelle olivastra.
«Quattro, uno, sette» continuò la donna, mentre entravano in ascensore.
«Scusa?»
«È il numero del mio appartamento, nel caso cercassi qualcosa da fare dopo la tua visita. Si dà il caso che sia libera tutto il pomeriggio.» A Julian non sfuggì l'enfasi esagerata sulle ultime tre parole.
«Magari la prossima volta.» Non che non fosse tentato. La sconosciuta era sicuramente attraente. Ed era passato un po' di tempo dall'ultima volta che si era goduto un pomeriggio piacevole e senza vincoli in compagnia di una bella signora.
Lei si limitò a scrollare le spalle quando le porte dell'ascensore si aprirono al suo piano. Gli rivolse un altro sorriso seducente mentre se ne andava. Julian la guardò camminare con un suggestivo ondeggiare dei fianchi. Non sarebbe stato male prendere nota del suo numero di appartamento.
Tre piani dopo, uscì dall'ascensore e diede una pacca sulla tasca interna della giacca. Prima avesse consegnato quel misterioso documento, prima avrebbe potuto essere in viaggio. Camminando lungo il corridoio, trovò la porta corrispondente al numero che Carlos aveva scritto sulla busta e bussò. Poi attese.
Passarono diversi attimi, prima che Julian bussasse di nuovo. Sembrava che non ci fosse nessuno in casa. Questa era in realtà una sorpresa gradita. Avrebbe potuto semplicemente lasciare i documenti di Carlos e andarsene. Si stava preparando a far scivolare la busta sotto la porta quando qualcuno dischiuse l'uscio. Due occhi color cioccolato lo scrutarono attraverso la piccola apertura.
«Sì?»
All'improvviso, Julian si sentì sciocco e fuori posto. Che cosa avrebbe dovuto fare lì, esattamente? Consegnarle la busta e andarsene?
«Ehm... ho qualcosa per la signorina Cassandra Wells. Dei documenti.»
«Che tipo di documenti? Lei chi è?»
Di nuovo, Julian si sentì piuttosto stupido. «Non ne sono sicuro, sono da parte di mio cugino...»
Ma non ebbe la possibilità di terminare la frase. All'improvviso, il suono assordante di un allarme risuonò nell'aria e un odore acre lo raggiunse, mentre una cortina di fumo si avvicinava alla porta.
«Accidenti!» gridò la donna, scomparendo dietro l'uscio.
Julian prese fiato e imprecò fra sé in spagnolo. Aprendo la porta, si precipitò dentro l'appartamento.
Aveva creduto di aver spento tutte le fiamme. Cassie tornò di corsa in cucina, lo sconosciuto sulla soglia momentaneamente dimenticato, nonostante fosse la causa di quel pasticcio. Se qualcuno non avesse bussato, non avrebbe mai gettato distrattamente quel canovaccio sul fornello, dove – a quanto pareva – aveva preso fuoco. E le fiamme si erano diffuse. Anche una presina appesa vicino al bancone si era incendiata ed era caduta a terra.
Sapeva di dover agire, ma restò di ghiaccio. Forse erano gli ormoni, forse era il puro istinto protettivo di non avvicinarsi a una fiamma. Ma i suoi piedi rimasero radicati dove si trovava.
All'improvviso, due mani ferme la afferrarono per le spalle e la spostarono. Lo sconosciuto alla porta.
L'uomo arrivò al lavandino e, aprendo il rubinetto, fece sì che il fuoco si spegnesse con un sibilo. Poi calpestò la presina sul pavimento finché anche quella non si spense.
«Dios mio!» gridò lo sconosciuto. «Hai un estintore? Dobbiamo assicurarci che sia tutto spento.»
Cassie scosse la testa e sbatté le palpebre. L'autorità nella sua voce e l'urgenza della situazione la fecero finalmente uscire dalla paralisi. Correndo verso la dispensa, afferrò l'estintore che teneva sullo scaffale più alto. Aveva a malapena raggiunto il fianco dello sconosciuto, quando lui glielo strappò con forza dalle mani. In pochi secondi, tolse la sicura e lo inclinò verso il lavandino, versando schiuma bianca sul fumo. Fece lo stesso con lo straccio sul