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Pelle di seta (eLit): eLit
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E-book342 pagine5 ore

Pelle di seta (eLit): eLit

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Info su questo ebook

"Non riusciva a saziarsi. Né del suo sapore, né del profumo enigmatico che emanava dalla sua pelle, né dell'emozione incrollabile e calda che tenerla fra le braccia gli procurava."

Movimenti sensuali, pelle lucente, muscoli in tensione, odore di sesso.
Una visione che non lascia scampo a Jax.
Questa volta deve stare attento, avvicinarsi a un corpo così potrebbe voler dire precipitare in un vortice fatto di sensualità, respiri caldi e trasgressione.

Treena è una professionista che ha fatto del movimento un'arte e, oltre ad avere un corpo che spinge al peccato, ha anche un oggetto che Jax rivuole a tutti i costi.
Ma fino a che punto è giusto arrivare pur di raggiungere i propri scopi? Non sarebbe più semplice parlare chiaro, invece di lasciarsi travolgere in un rapporto ai limiti del proibito?
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2018
ISBN9788858981337
Pelle di seta (eLit): eLit
Autore

Susan Andersen

Autrice che regala emozioni forti, situazioni beffarde e una scrittura senza falsi pudori.

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    Anteprima del libro

    Pelle di seta (eLit) - Susan Andersen

    successivo.

    Prologo

    Jackson Gallagher McCall posò il drink sul tavolinetto da cocktail davanti a sé mentre un gruppo di ballerine, chiaramente in vena di gozzoviglie, entrava nel bar del casinò di Las Vegas dove era seduto. Che ne dici? Chiedi e ti sarà dato.

    Doveva essere la sua notte fortunata: il suo bersaglio era proprio lì in mezzo. Osservò il viluppo selvaggio di riccioli rosso pallido muoversi con grazia sulla clavicola per poi ondeggiare sulla schiena. Non era stata cosa da poco individuarla in La Stravaganza, il sontuoso spettacolo di varietà cui aveva assistito poco prima nella sala mostre dell'albergo. Tutte le ballerine in scena avevano un corpo da infarto, erano più o meno alte uguali e si presentavano con un trucco pesante e costumi identici. C'era poi chi indossava parrucche simili e chi il medesimo ornamento arzigogolato per il capo, piuma più piuma meno.

    Lui comunque non aveva dubbi sul fatto che si trattasse dello stesso gruppo, poiché, se da un lato tutto quel po' po' di cerone aveva lasciato il posto a un trucco sobrio, alcune ballerine indossavano ancora i costumi succinti che lui aveva visto sul palcoscenico nell'atto finale.

    Ma non lei. La squadrò da capo a piedi e decise che non sarebbe stato un sacrificio sedurla nella sua stessa casa. Non con quel corpo, fasciato da sandali alti e molto essenziali, aderenti pantaloni sportivi color pesca e top abbinato, il cui didietro altro non era che una manciata di esili spalline incrociate. Aveva una risata un po' sguaiata e una bocca che in quel momento era piegata all'insù in un eloquente sorrisino a labbra strette.

    La stessa curva delle labbra della serie ti-farò-vivere-la-notte-più-infuocata-della-tua-vita che aveva notato nella fototessera speditagli dal padre per sbandierare la donna che aveva convinto a sposarlo.

    Quella che era diventata la vedova di Big Jim McCall ancora prima che l'inchiostro sull'atto di matrimonio si fosse asciugato.

    1

    «Auguri, carissima!» Con i bicchieri alzati un coro di voci femminili ripeté il brindisi. Qualcuno aggiunse: «Allora, quanti sono stavolta... trentadue?».

    Treena McCall guardò il gruppo di donne sedute ai tavoli uniti per accogliere tutti e sorrise. «Trenta» corresse tranquilla, benché in realtà fossero trentacinque. Era un dettaglio di cui si sarebbe ben presto scordata, anche se il dolore dello strappo muscolare alla caviglia sinistra provocato da un semplice slancio della gamba alla fine del numero glielo rendeva difficile.

    Le amiche fischiarono. «Come no» convenne qualcuno con benevolo sarcasmo. Un ballerino di nome Juney annuì e disse: «E con questo quanti sono i trentesimi compleanni che hai festeggiato?».

    «Oh, be', se vuoi fare il pignolo...» Il labbro si arcuò ancora un po'. «La verità è che ho deciso di smetterla di aggiungere numeri e di passare direttamente alle lettere dell'alfabeto... per cui sarebbe trenta-E. Facciamo una cosa, Juney. Tu non sollevi l'argomento il giorno del mio compleanno e io lo eviterò il giorno del tuo

    «Affare fatto.»

    Julie-Ann Spencer si protese dal fondo del tavolo. «Comunque dubito che per il momento ballerai nello spettacolo del Crazy Horse per La Femme

    Seguì un istante di silenzio, dal momento che tutti sapevano che l'osservazione di Julie-Ann, benché espressa con tono amichevole, non era frutto di autentico spirito cameratesco.

    «Idiota» mormorò Carly all'orecchio di Treena, poi alzò la voce. «C'è qualcuno a questo tavolo, a parte te, che sia sotto i venticinque, Julie-Ann?» Fischi sguaiati accolsero la sua domanda e Carly lanciò alla ragazza un'occhiata tagliente. «In tal caso immagino che nessuno, salvo il tuo piccolo ego tutto pepe, abbia i requisiti per il Crazy Horse.»

    «Peggio per La Femme, è certo» aggiunse Eve.

    «Gli stupidi non sanno quello si perdono» concordò Michelle.

    Tuttavia, se l'intenzione di Julie-Ann era stata quella di gettare una nube di tetraggine sull'umore di Treena, aveva compiuto la sua missione. Perché non solo non avrebbe mai ballato al Crazy Horse, ma sarebbe stato un vero miracolo se avesse passato l'audizione obbligatoria annuale fissata di lì a due settimane per non perdere l'impiego che già aveva. Quegli undici mesi con Big Jim le erano costati cari. Il rapido aggravarsi della sua malattia le aveva concesso soltanto il tempo per prendere lezioni di ballo saltuarie e quell'esercizio fatto così a casaccio non era sufficiente perché una ballerina di Las Vegas restasse in forma. In poco meno di un anno da capofila della compagnia era stata costretta ad arrabattarsi per mantenere il posto. Trentacinque anni potevano anche essere il fiore della vita per gran parte delle donne, ma per una ballerina rappresentavano quasi l'inizio della china. Non vi era alcuna prospettiva allettante a parte il declivio sdrucciolevole.

    Non si era mai fermata a pensare all'età finché non era tornata nel mondo dello spettacolo, perché comunque la fine della carriera le era sempre sembrata molto, molto lontana. Ma per quanto le sarebbe piaciuto ignorare il modo in cui la sua carriera sfrecciava verso la destinazione finale più rapida di un treno, quella mattina si era svegliata con la consapevolezza di avere ufficialmente trentacinque anni. Sapeva che una volta raggiunta la stazione, non le restava altro che scendere da quel treno. Nondimeno era lontana dal realizzare il suo sogno nel cassetto: aprire una scuola di ballo sua.

    Comunque non aveva senso pensarci proprio in quel momento. Serviva solo a esacerbare la molesta sensazione di imprudenza che era andata accumulandosi dentro di lei tutto il giorno.

    Udì un'esclamazione tagliente provenire da una gola maschile e un guaito acuto femminile di accompagnamento, ma quando si voltò per vedere cosa accadesse alle sue spalle, la schiena nuda venne improvvisamente inzuppata da una grandinata di ghiaccio mezzo sciolto. Con un grido d'allarme balzò in piedi.

    «Oddio, Treena, mi dispiace!» si scusò la cameriera, Clarissa, già china a raddrizzare i bicchieri sul vassoio.

    «No, la colpa è mia» disse una voce profonda e insinuante. Una mano abbronzata e dalle dita lunghe prese il gomito della cameriera e la aiutò a rimettersi in piedi. «Le mie scuse. Avrei dovuto assicurarmi che nessuno stesse arrivando prima di muovermi.»

    Non appena la cameriera riprese l'equilibrio, lui si girò verso Treena. Lei assimilò in modo fulmineo l'altezza, le spalle larghe e la massa arruffata di capelli castani striati dal sole prima che l'uomo estraesse un fazzoletto dal taschino della giacca nera che, ci scommetteva la paga di una settimana, era stata confezionata da qualche stilista di lusso. Allungò la mano e se ne servì per asciugare con gesti delicati la sua spalla.

    «Sono dispiaciuto» disse, prestando chiaramente attenzione a non toccarla con niente che non fosse il quadrato di lino. Con la mano libera pescò un cubetto di ghiaccio squagliato da sotto i riccioli e le sue sopracciglia scure si incontrarono sopra un naso che aveva tutta l'aria di essersi rotto almeno una volta. «Meno male che i bicchieri erano vuoti quando è scivolata a causa mia. Girati. Fammi vedere la schiena.»

    Parlò con una tale freddezza che lei fece subito dietro front, ritrovandosi a fissare i suoi amici intenti a guardare con estasi perplessa l'uomo che con abili movimenti le tergeva la schiena. Fu quello il momento in cui l'arrendevolezza di Treena prese il sopravvento.

    Non era docile per natura, e se mai avesse tentato anche solo di sfiorarla in modo improprio, lo avrebbe gambizzato così velocemente da farlo finire carponi prima ancora di rendersene conto. Era avvezza a eludere quel genere di abbordaggi da parte di cascamorti che si crogiolavano nella convinzione che soltanto perché una donna ballava in topless fosse facile preda per le loro mani erranti. Ma la pelle di quell'uomo non toccò la sua. Sentiva soltanto il suo calore attraverso il fazzoletto ormai umido che le scivolava sulla pelle.

    «Ecco.» La sua voce le rintronò nell'orecchio come un rombo mentre vide la sua mano ricadere sul fianco. Poi indietreggiò di un passo. «Non è perfetto, ma è il meglio che possa fare date le circostanze.»

    Girandosi per affrontarlo, Treena lo trovò più vicino di quanto si fosse aspettata. Arretrò andando a incocciare la sedia, che ondeggiò. Quando si allungò per sistemarla, fece cadere la borsetta. «Oh, porca...»

    Si chinarono entrambi nello stesso istante, le dita che si aggrovigliavano mentre ognuno cercava di raccogliere la piccola busta in pelle. Lui gliela lasciò, ma riuscì a inchiodarla sul posto con i suoi vivaci occhi azzurri e mormorò sottovoce affinché solo lei sentisse: «La ragazza, che è abbastanza giovane da ballare per il Crazy, con i suoi venticinque anni non è bella neanche la metà di quanto lo sei tu a trenta-E. Fidati!».

    Invece di sentirsi infastidita per il fatto che avesse origliato i discorsi fatti poco prima, una risatina esultante le esplose dalla pancia. Treena lo guardò mentre si acquattava davanti a lei, i jeans sbiaditi tesi sulle cosce, la maglietta in seta sotto la giacca leggera griffata quasi dello stesso colore dei suoi occhi, e avvertì qualcosa che non provava da tanto, tanto tempo: attrazione. Attrazione uomo-donna, pura, animale. Le labbra si piegarono in quel suo singolare sorrisino sghembo e lei si alzò in piedi. «Grazie. Questo probabilmente è il più bel regalo di compleanno che abbia ricevuto oggi.»

    Anche lui si alzò e rimase a guardarla. «Ascolta» disse lentamente. «Immagino che non prenderesti in considerazione...» Scosse la testa e si interruppe, pettinandosi con una mano i capelli scarmigliati, poi si ritrasse. «No, non importa. Certo che non lo faresti.»

    «Cosa?»

    «Niente. È troppo presuntuoso.»

    Treena scrollò le spalle, ma il cuore le batteva forte e solo grazie a un pizzico di orgoglio tutto femminile si trattenne dal chiedergli cosa stesse per dire.

    Lui lasciò cadere la mano sul fianco e bofonchiò: «Che diavolo! Prenderesti in considerazione l'idea di venire a colazione con me domattina? So che hanno un ristorante eccezionale qui».

    La fregola temeraria che aveva scalpitato tutto il giorno per uscire allo scoperto la spinse ad acchiappare al volo l'invito. Avanti, sussurrò un diavoletto seduto sulla sua spalla. Vivi un po'. Era il suo trentacinquesimo compleanno, che diamine. Poteva anche ricavarne qualcosa di buono.

    Esatto, concordò lo spiritello dalle corna rosse. Un po' di svago nella tua vita forse te lo meriti.

    Non era una ragazzina, e oltretutto suo marito era stato sepolto solamente quattro mesi prima. Anche se voleva accettare, lottò contro la tentazione della resa e aprì la bocca con tutta l'intenzione di declinare in modo cortese ma deciso la sua allettante proposta.

    Tuttavia Julie-Ann giocò d'anticipo. «Potresti fare per il brunch, omaccione... o magari a pranzo. La nostra Treena comincia a stagionare qui, e ha bisogno di qualche oretta in più di sonno ristoratore rispetto al passato.» Inclinando la testa così da esibire la gola liscia, rise come se lo avesse appena messo a parte di una battuta eccezionale riservata a pochi intimi.

    Un senso di ribellione crebbe nel petto di Treena mentre si voltava a fissare la ballerina poco più che ventenne. Cosa cavolo voleva quella? Julie-Ann le aveva già soffiato il posto di capofila, non poteva ritenersi soddisfatta? Invece sembrava che la sua mera esistenza la infastidisse. Be', al diavolo! Si voltò verso l'uomo. «Come ti chiami?»

    «Gallagher. Jax Gallagher.»

    La sua voce riecheggiò lungo le sue terminazioni nervose. «Bene, Gallagher, Jax Gallagher, sarei lieta di venire a fare colazione con te.»

    Il sorriso dell'uomo si allargò, mostrando i denti bianchi e le rughette che si distendevano a ventaglio dagli angoli dei suoi incredibili occhi azzurri. «Sì?»

    «Sì. Ma Julie-Ann ha ragione. Non sono più la giovane donna di un tempo, e noi vecchie signore abbiamo bisogno di riposo. Quindi ti dispiacerebbe molto se facessimo alle dieci? O se sei stretto con i tempi, anche alle nove e mezzo.»

    «Alle dieci andrà benone.» Le offrì la mano.

    Lei la prese, stupita dall'energia che le sue lunghe dita leggermente ruvide le trasmisero. Ripensò una, due, tre volte, a quanto fosse saggio incontrarlo di mattina, ma si limitò a rispondere: «A proposito, io sono Treena McCall».

    «Piacere di conoscerti, Treena.» Le sue dita mollarono adagio quelle di lei e scivolarono via. «Vuoi che mandi una macchina a prenderti?»

    «Non è necessario. Ci vediamo al ristorante.»

    «Benissimo. Allora a domani.»

    «Sì» disse lei, mentre Jax faceva un passo indietro. «Ci vediamo.»

    Lo guardò girare sui tacchi e allontanarsi a grandi passi dal concept bar, fermandosi soltanto il tempo necessario per sussurrare qualcosa a Clarissa e posarle un paio di banconote sul vassoio. Poi le sue gambe chilometriche lo condussero in fondo al corridoio tra i tavoli dei dadi e del blackjack. Per un istante i suoni a cui si era abituata al punto di non percepirli quasi più, il tintinnio delle monete che atterravano sui vassoi, lo scampanellio continuo, lo stridore dei segnali acustici e dei bip delle varie slot machine elettroniche, le saturarono la coscienza. Quando Jax scomparve negli abissi del casinò, si voltò di nuovo verso i suoi amici e per un secondo restò semplicemente a fissarli con aria assente. Poi mimò un urlo.

    Juney, Eve e Michelle, invece, urlarono davvero. Jerrilyn, Sue e Jo tamburellarono con le dita sul tavolo ed esclamarono: «Whuu! Whuu! Whuu!», quasi avessero segnato il gol vincente in una partita di calcio. La sua migliore amica, Carly, si mise comoda sulla sedia, un braccio esile adagiato sulla spalliera, e le rivolse un sorriso smagliante. «E vai, ragazza! Ecco, questo è quello che chiamo un regalo di compleanno.»

    Julie-Ann teneva il broncio, cosa che avrebbe dovuto avere il sapore di una dolce vendetta in bocca a Treena, vista l'insofferenza dimostratale sin dal momento del suo rientro nello spettacolo. Invece non fu così e, riallacciando la tracolla della borsa sulla sedia, vi si lasciò cadere sopra con un tonfo non pensando a niente. Rivolse agli amici un sorriso impudente, quasi si fosse aggiudicata un eccezionale regalo di compleanno, come aveva detto Carly.

    Ma si chiese cosa le fosse saltato in testa.

    La mattina dopo Jax si mise comodo sulla panca del tavolino coperto da una tovaglia di lino nel ristorante dell'albergo e rigirò tra le dita una bustina di dolcificante mentre teneva d'occhio l'ingresso. Aveva sicuramente giocato bene le sue carte la sera prima, eppure si ritrovò a scommettere con se stesso se Treena sarebbe apparsa oppure no.

    Fare lo sgambetto alla povera cameriera aveva dato risultati migliori di quanto sperato. Di solito non amava coinvolgere persone innocenti nelle questioni private, ma in quel caso era stato necessario. Aveva osservato Treena abbastanza negli ultimi giorni da sapere che un aggancio diretto probabilmente non avrebbe funzionato. Non capiva cosa ci guadagnasse da quell'atteggiamento da vedova intoccabile tutto lavoro e niente divertimento che lui giudicava una finta clamorosa, comunque un buon giocatore d'azzardo assecondava sempre le situazioni vantaggiose. Così si era creato la propria occasione e aveva acquietato la coscienza ricompensando la cameriera con una mancia molto generosa per il disturbo e l'imbarazzo eventualmente arrecatole.

    Soprattutto l'imbarazzo. Aveva trascorso troppi anni della propria gioventù in tale situazione da saperne più di qualunque altro bambino della sua età. L'umiliazione poteva anche non uccidere, ma di sicuro poteva farti desiderare di essere morto.

    Comunque non voleva pensarci, così si concentrò sulla manciata di minuti passati a familiarizzare con Treena McCall. Bloccò la bustina tra le dita mentre rifletteva sui quei brevi istanti.

    La reazione nei suoi confronti lo aveva colto di sorpresa. Notando il cambio di umore all'infelice battuta di Julie-Ann sulla sua età, non aveva esitato ad approfittarne.

    Poco ma sicuro, non si aspettava di provare una sintonia così immediata quando i suoi occhi castano dorato si erano illuminati e lei si era abbandonata a quella risata a piena gola. Solo perché le aveva detto la semplice verità: era dieci volte più bella di Julie-Ann, nonostante l'età. Quella piccola ondata di desiderio che lo aveva assalito mentre coglieva il suo profumo e si sentiva sfiorare appena dai suoi riccioli rosso pallido sulle nocche non fu una gran sorpresa. Ma quel guizzo della serie io-ti-conosco era dovuto al suo modo di ridere? O c'era dell'altro?

    In quel momento l'oggetto dei suoi pensieri infilò senza fretta la porta del salone ristorante. Lui rimise la bustina di dolcificante nel contenitore d'argento al centro del tavolo e si raddrizzò. Distese il braccio sullo schienale della panca tappezzata in pelle e assunse una postura disinvolta e cordiale mentre la guardava parlare con la direttrice di sala, voltarsi e seguire la giovane donna verso il suo séparé.

    Treena lo sorprese a fissarla e gli lanciò quel suo sorriso sbilenco. Jax ricambiò, conscio del battito cardiaco che stava accelerando.

    Indossava un paio di eleganti pantaloni beige in cotone e un top verde oliva di una qualche stoffa impalpabile che le andava alquanto larga, pur suggerendo in modo provocante le curve sottostanti.

    Va bene, gran parte della sua attrazione era di tipo sessuale. E comunque, accidenti, anche se non lo fosse stata, non aveva importanza. Treena McCall era un mezzo per raggiungere un fine. Aveva qualcosa che gli apparteneva. Qualcosa che gli serviva se aveva intenzione di restare vivo.

    E ne aveva tutte le intenzioni. Quindi avrebbe fatto qualsiasi cosa per riaverla.

    2

    Ci era mancato tanto così perché Treena non si facesse viva. Alla fine si era convinta ad andare a quell'appuntamento soltanto impartendosi qualche energica lezione su quanto fosse sgarbato tirare il bidone a una persona che era stata tanto gentile. Eppure, anche mentre seguiva la direttrice di sala nel cuore del ristorante, fu tentata di tornare sui suoi passi. Oltretutto doveva assolutamente sbrigare delle commissioni prima della lezione di danza a mezzogiorno.

    Poi alzò lo sguardo e vide Jax che la fissava dalla panca, e tutte le sue riserve si sciolsero come zucchero sulla lingua.

    Ragazzi, non sapeva cosa avesse quel tipo, ma di sicuro possedeva qualcosa che catturava la sua attenzione. Non pensava fosse il suo aspetto fisico, perché non era affatto il tipico bellone. Aveva il naso un po' troppo grosso e la mascella un po' troppo lunga. Di fatto, tutti quei tratti presi singolarmente non avrebbero dovuto dire granché, eppure, messi insieme, davano vita a un insieme che funzionava. Inoltre era in forma, cosa che lei, visto il suo lavoro, apprezzava parecchio. A questo si univa un'intensità nei suoi vibranti occhi azzurri che lei percepiva chiaramente anche a distanza.

    Lui si alzò, mentre Treena si avvicinava al tavolo ritrovandosi a faccia a faccia con la sua clavicola. Con un lieve sussulto si rese conto che era molto più alto e grosso di quanto ricordasse, e si sentì piccola e indifesa. Era una sensazione strana. Dato che la maggior parte dei corpi di ballo negli spettacoli di Las Vegas aveva un'altezza minima di almeno un metro e settanta, non si era mai considerata una di quelle veneri formato mignon.

    L'altezza di Jax la colse di sorpresa perché la sera prima portava i tacchi invece delle ballerine basse che si era infilata ai piedi quella mattina. Lanciandogli un'occhiatina veloce, calcolò che fosse più o meno sul metro e novanta per quasi novanta chili buoni di solidi muscoli.

    Sorrise quando la direttrice di sala augurò loro buona colazione e tornò al suo posto. «Buongiorno» esordì Treena, chiedendosi cosa dovesse offrire come accompagnamento fisico a quel saluto. Dopo una breve esitazione, tese la mano. Non si conoscevano abbastanza per scambiarsi un abbraccio, men che meno un bacio. Schiarendosi la gola mentre le dita calde di Jax si avvolgevano attorno alle sue, Treena rimase colpita da quanto il suo approccio facesse acqua da tutte le parti. Un tempo se la cavava piuttosto bene con le chiacchiere insulse, ma era passato molto tempo dall'ultimo appuntamento ed era chiaramente fuori esercizio. Liberò le dita e mormorò: «Spero di non essere in ritardo».

    «Anzi, sei puntualissima.» La accompagnò alla panca e poi scivolò di fronte a lei. «Sono arrivato in anticipo.»

    Treena posò la borsetta accanto a sé e si sistemò, fissandolo al di là del tavolo stretto. Indossava una giacca simile a quella della sera prima, questa volta abbinata a una maglietta grigia e a jeans neri. Sembrava sicuro di sé e a proprio agio, e si chiese se di solito si procurasse compagni di colazione con la stessa facilità con cui aveva trovato lei.

    «Sai, non è mia abitudine accettare appuntamenti dagli sconosciuti» disse d'impulso. Poi fece una smorfia. «Per la miseria, ci crederai sicuramente, visto e considerato quanto è stato facile rimorchiarmi ieri sera.»

    «Oh, ci credo.» Le sue sopracciglia scure si incontrarono per un istante all'altezza del naso, come sconcertate da quel fatto. Ma altrettanto velocemente si appianarono e lui le porse il menù, lanciandole un'occhiatina sobria. «Non ti atteggi come una civetta nata.»

    Treena rise a voce alta. «Grazie... ci credo.»

    «Forse avrei dovuto dire come qualcuno a caccia di un uomo. Di una botta e via... ossia, di uno da rimorchiare.» La guardò. «Sto peggiorando le cose, vero?»

    Lei sogghignò. «Forse dovremmo passare a un nuovo argomento.»

    «Ottima idea.»

    «Immagino che tu non sia di queste parti.» Drizzò un sopracciglio inquisitore al suo indirizzo.

    «A dire il vero, ho vissuto qui da ragazzo, ma è molto che sono via.»

    «E questo che ti porta a Las Vegas? Vuoi tornare ad abitare in città?»

    «No.»

    «Allora devi essere venuto per affari. Oppure sto di nuovo saltando alle conclusioni? Sei in vacanza?»

    «Un po' di entrambe le cose. Prima sto rifamiliarizzando con una delle città a cui sono legato. Poi gli affari.»

    «Di cosa ti occupi?» Sventolò una mano prima che lui avesse l'opportunità di rispondere. «No, aspetta, fammi indovinare.» Lo studiò. «La tua giacca è raffinata. Armani?»

    «Hugo Boss.»

    «Okay, costosa, alquanto tradizionale, e hai quel favoloso modo elegante-informale di abbinarla con magliette in seta. Ma la combinazione jeans e...» Si chinò di lato per sbirciare da sotto il tavolo. «Nike, mi dice che probabilmente non sei un amministratore delegato, ho ragione?»

    «Eccome.»

    «Mi dai l'impressione di essere uno intelligente ma anche un tantino... ribelle.» Osservò i capelli castani striati dal sole che erano un filo più lunghi e appena più scomposti di come li avrebbe portati un comune uomo d'affari. «Allora, qualcosa nel campo artistico, chissà? Sei un grafico?»

    Scosse la testa.

    «Un pittore o un fotografo?»

    Jax le rivolse un sorriso di sghimbescio. «I risultati delle mie incursioni in quei settori sono stati tutt'altro che spettacolari.»

    Il suo ghigno le mandò in tilt la libido e Treena si scervellò in cerca di altre professioni per distogliere l'attenzione. «Ti dedichi al commercio elettronico?»

    «Negativo. Anche se i computer mi affascinano.»

    «Professore al college?»

    Jax rise.

    «Lo prendo come un no. E comunque la giacca sarebbe di tweed. Allora, vediamo...» Lo studiò di nuovo. «Sei abbronzato. Certo, la maggior parte delle persone in questa città lo è. Ti prego, dimmi che non sei un surfista.» Si diede una manata sulla fronte. «Che idiota, non ci sono molte possibilità di fare surf a Las Vegas. Inoltre non hai pronunciato neanche una volta la parola ganzo, quindi probabilmente non è l'ipotesi più azzeccata. Non progetti tavole da surf per caso, vero?» Dove aveva sentito che c'era un raduno di quei tizi in città? Oppure si trattava di progettisti di snowboard?

    Qualunque cosa fosse, lui le lanciò un altro sorriso a denti bianchi e disse: «Temo di no».

    «Okay, mi arrendo. Qual buon vento ti porta qui?»

    «Il poker.»

    La bocca di Treena si spalancò. Richiudendola di colpo, si allungò ad appioppargli una pacca sul braccio. «Imbroglione! Hai detto che eri qui per affari!»

    «Sono quelli i miei affari.»

    Lei lo fissò, allibita. «Sei un giocatore d'azzardo professionista?» Jax alzò un sopracciglio e Treena disse lentamente: «Okay. È l'ultima cosa che mi sarebbe venuta in mente». Quella scoperta la sconvolse un po', benché ne ignorasse il motivo. Non aveva mica in progetto di sposare quel tizio, quindi non doveva essere un suo problema il modo in cui si guadagnava da vivere. Probabilmente non si sarebbe fermato in città abbastanza a lungo neanche per avere una relazione con lui.

    La scioccò scoprire quanto quella realtà fosse curiosamente deludente.

    Jax la osservò ritrarsi appena e si chiese cosa stesse facendo. La sincerità non era la migliore politica e aveva deciso di non percorrere oltre quella strada. Quindi ecco. Voleva che Treena lo credesse un patito del gioco con un pacco di soldi. Purtroppo la concezione che la maggior parte della gente aveva di un giocatore professionista era un tantino più negativa, anche se lui aveva ottenuto ottimi risultati nel circuito.

    Almeno fino a quando aveva mandato tutto a monte a Monaco. Ma doveva soltanto rimproverare se stesso per quel fiasco e per il brutto frangente che stava vivendo.

    Quindi non era lì per divertirsi con quella donna, eppure era esattamente ciò che stava facendo. Sedurre Treena McCall era l'unico modo che gli era venuto in mente per ottenere un invito a casa sua e poi restare lì da solo per un tempo abbastanza lungo da mettere le mani su un oggetto che lo avrebbe salvato dalla menomazione fisica dei suoi gioielli di famiglia.

    Prevedeva che quella missione avrebbe avuto durata breve. Dopotutto era una showgirl, e aveva già dimostrato a suo padre come si facesse corrompere facilmente. Ma guardando Treena dall'altra parte del tavolo, la sua massa di riccioli e la sua bocca, mise in guardia se stesso dall'eccesso di presunzione. Doveva stare attento perché, dopo averla tenuta d'occhio le ultime due sere e aver trascorso con lei un po' di tempo quella mattina, il corpo iniziava già a precederlo e lui non poteva certo permettere che il suo uccello governasse le sue azioni. Anche se Treena non era affatto come si aspettava.

    Si era immaginato una donna stupida e avida, non spiritosa e realista. Altrimenti per quale motivo lei avrebbe voluto sposare un uomo abbastanza decrepito da essere suo padre? Rammentava la vita con il suo vecchio. Non era stato certo quel che si potrebbe definire Mr. Bonaccione, ma era decisamente ricco.

    «Allora vieni spesso a Las Vegas.»

    La voce di Treena interruppe le sue meditazioni e lui le accantonò per un attimo, mentre rimetteva a fuoco la sua interlocutrice. «No, questa è la prima

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