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Tra le tue braccia: Harmony Destiny
Tra le tue braccia: Harmony Destiny
Tra le tue braccia: Harmony Destiny
E-book147 pagine2 ore

Tra le tue braccia: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Daniel Barone ama girare il mondo sempre in cerca di nuove emozioni ed esperienze, ma niente ancora lo ha preparato all'irresistibile sorriso di Phoebe Richards. Il fatto poi di salvarla dalle attenzioni indesiderate di un ex fidanzato crea tra loro un legame che alimenta il reciproco desiderio. C'è un solo piccolo problema. Quale scusa plausibile si inventerà Daniel per tornare a viaggiare? Da solo? O è forse arrivato il momento di aggiungere alle sue qualità anche quella di affidabile?
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2016
ISBN9788858950890
Tra le tue braccia: Harmony Destiny
Autore

Cindy Gerard

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Tra le tue braccia - Cindy Gerard

    successivo.

    1

    Daniel Barone si chiese come mai quella donna avesse catturato la sua attenzione. Tutto sommato, non era che una macchiolina di un anonimo beige in mezzo al tripudio di colori di Faneuil Hall, nel centro di Boston.

    In quell'afosa serata d'agosto, il mercato all'aperto era un brulicare di colori, odori e suoni. Lei, invece, pareva non assorbire nulla di quella vivacità. Non si poteva certo dire che fosse una donna appariscente, eppure era riuscita ad attrarre la sua attenzione mentre Daniel era dietro di lei al deposito dei carrelli, all'esterno del supermercato.

    Come una decina di altre persone, erano ora entrambi in fila per un gelato. A differenza degli altri, però, che avanzavano tranquilli come una mandria condotta al pascolo, lei pestava i piedi per terra con impazienza. Si sollevava sulle punte come una bambina, allungava il collo e... saltellava. Era una sorta di balletto sul posto, come se provasse una gioia incontenibile al pensiero di poter gustare di lì a poco un delizioso cono gelato.

    Daniel sorrise. Quell'innocente esuberanza lo divertiva. E lo spinse a prolungare l'occhiata.

    La ragazza era di altezza leggermente al di sotto della media, con i capelli biondo scuro e nulla di sexy nel loro taglio corto e sbarazzino. I pantaloncini corti e la canotta color corda esponevano una modesta porzione di gambe e di braccia e mostravano un corpo armonioso, ben modellato. A parte lo smalto vermiglio alle unghie dei piedi, non c'era nessuna macchia di colore su quella donna, finché non si girò, stringendo in mano il tanto ambito premio.

    Dietro a un paio di occhiali tondeggianti dalla montatura nera, occhi color miele brillavano vispi e gioiosi. E dopo la prima, indulgente leccata, un sorriso di pura delizia illuminò quel suo viso ordinario, seguito da un inconfondibile spasmo di soddisfazione. La luminosità di quel sorriso quasi lo accecò.

    «Uhm, ne è valsa la pena» la sentì mormorare Daniel, mentre con le spalle lei si apriva un varco tra la folla e si allontanava.

    «Altroché» concordò Daniel e, con un sorriso, osservò il piacevole ondeggiare dei suoi fianchi mentre camminava.

    Domandandosi perché una donna che possedeva una bellezza così vibrante e naturale scegliesse di camuffarla dietro un paio di occhiali da professoressa, un taglio di capelli insignificante e un abbigliamento anonimo, la seguì con lo sguardo mentre si muoveva tra la folla. La stava ancora osservando quando il ragazzo con la paletta di gelato in mano richiamò la sua attenzione.

    «Senta, lei, a che gusto lo vuole?»

    Daniel spostò lentamente la sua attenzione verso il banco. «Oh, mi scusi.» Pescò in tasca il portafoglio e, continuando a sorridere, mosse il mento nella direzione presa dalla donna. «Come il suo. Alla vaniglia.»

    Non era il gelato Baronessa, considerò Daniel mentre lo assaggiava, ma era pur sempre un gelato, ed era un mese che ne aveva una voglia matta. Certo, però, non se lo stava gustando con lo stesso godimento di quella biondina.

    Si guardò intorno, cercandola con lo sguardo. Non che sperasse di ritrovarla in mezzo a tutta quella gente. E, nel caso ciò fosse accaduto, non avrebbe saputo cosa dirle. A ogni modo, non aveva più importanza. A quanto pareva, se n'era andata.

    Ripetendo a se stesso che non importava, si incamminò verso la propria auto. Aveva bisogno di dormire, non di distrarsi. Il pensiero di un letto vero con delle lenzuola pulite e un soffice materasso lo fece quasi gemere di piacere. E così pure il ricordo del proprio appartamento con le sue luci soffuse, il ronzio del condizionatore d'aria posizionato sui venti gradi e dodici ore filate di sonno.

    Piacere allo stato puro. Negli ultimi tempi, pura utopia. Un mese fra le sabbie rosse del deserto del Kalahari poteva stimolare i desideri più semplici in un uomo.

    Come quello di un enorme, dolce cono gelato.

    Come quello di un letto che non andava controllato, prima di coricarsi, per vedere che non ci fossero ragni o serpenti e che fosse più comodo di un lembo di terra riarsa dal sole.

    Come quello del sorriso beato di una donna soddisfatta.

    Daniel fece una smorfia, rimproverandosi per l'immagine che, inevitabilmente, si delineò nella sua mente, della testa di quella donna appoggiata sul suo cuscino...

    Del suo corpo caldo e morbido sotto il proprio...

    E del suo incredibile sorriso, che non era solo di soddisfazione, ma di appagamento. Di pura estasi.

    Phoebe Richards passeggiava per il mercato tra una folla di turisti e bostoniani usciti a godersi la calda serata d'agosto. Mangiava un gelato alla vaniglia, la sua ricompensa per sei giorni di dieta e un chilo in meno, e si rifiutò di pensare alle calorie. Guardò le vetrine delle lussuose boutique non alla portata delle sue tasche, applaudì agli acrobati di strada le cui esibizioni gratis erano, invece, alla sua portata. E rivolse un pensiero, forse anche due, all'affascinante sconosciuto dagli incredibili occhi azzurri che le aveva sorriso con interesse.

    Non ne incontrava spesso in vita sua, di uomini affascinanti che le sorridevano con interesse, e trovò l'esperienza piuttosto piacevole. Era divertente giocare con la fantasia e immaginare che qualcosa sarebbe potuto accadere tra di loro, se solo lei lo avesse permesso. Ma ciò avrebbe richiesto uno spirito avventuroso che lei non possedeva. Inoltre, quel genere di esperienze elettrizzanti si realizzava solo nei romanzi d'amore, che lei divorava al ritmo di due o anche tre alla settimana. La sua vita sentimentale era quanto di più distante potesse esserci da quelle storie romantiche. In effetti, ultimamente, aveva più che altro sfiorato il genere horror.

    Decisa a non pensare alla brutta situazione che si era creata con il suo ex fidanzato, continuò a camminare, decidendo invece di indugiare con la mente su un male minore: il fatto che fosse così vigliacca da non aver neppure incoraggiato il guizzo d'interesse che aveva colto in quei meravigliosi occhi azzurri.

    «Tanto, comunque, non sarebbe successo niente» mugugnò fra sé e sé delusa, mentre una bionda statuaria in abiti griffati e trucco impeccabile le urtava accidentalmente la spalla, passandole accanto.

    «Mi scusi» mormorò Phoebe, come se a urtarla fosse stata lei. La sua era stata una reazione automatica e non aveva nulla a che vedere con la gentilezza. Rientrava nel suo istintivo atteggiamento conciliatore, che agiva in lei come una sorta di riflesso innato. Un comportamento ormai tanto radicato che avrebbe dovuto sforzarsi di demolire, così come avrebbe dovuto imparare una volta per tutte a mantenere le proprie posizioni e a farsi valere in svariate circostanze.

    «Perché ti comporti così?» le aveva chiesto la sua amica Carol l'ultima volta che erano andate a pranzo insieme e lei si era scusata con il cameriere perché la zuppa era fredda e l'insalata scricchiolava sotto i denti, talmente era piena di terra. «Non devi delle scuse all'umanità intera per le sue scorrettezze. Anche tu hai dei diritti, sai?»

    Sì, ne aveva. Per esempio, il diritto di restare timida. Non ci poteva fare niente. C'era in lei una propensione innata a chiedere scusa. O a essere patetica. O qualcos'altro di ugualmente irrecuperabile. Era più facile aggirare l'ostacolo che affrontarlo. Era più facile cedere che combattere. Aveva imparato molto presto quella lezione dalla vita.

    «Ascolta» aveva detto a Carol, con una rivelazione a sorpresa sulla sua infanzia, «quando sei un brutto anatroccolo di dodici anni, grassoccio, costantemente sottovalutato da una madre alcolizzata per la quale non sei altro che una continua delusione, impari molto presto ad abbassare la testa. E ho anche imparato a confondermi così bene con lo sfondo da riuscire a non farmi notare per nulla. La vita è molto più semplice così.»

    Sì, la vita era molto più semplice in quel modo, pensò con atteggiamento difensivo. E le vecchie abitudini erano dure da scardinare. All'età di trentatré anni, non credeva di avere ormai più speranza di cambiare.

    «Inoltre» aveva continuato a spiegare a Carol, pentendosi poi di aver cominciato quel discorso allorché l'espressione dell'amica passò dalla contrarietà alla compassione, «il confronto mi mette ansia. Cominciano a sudarmi le mani e lo stomaco mi va tutto sottosopra.»

    Accorgendosi all'improvviso del rivolo di sudore che le scorreva lungo la tempia, si tamponò la fronte con un fazzoletto. Il calore di una giornata che aveva sfiorato i quaranta gradi veniva rilasciato ora dal marciapiede in aride ondate, infuocandole i piedi attraverso la suola dei sandali.

    «Agosto!» pronunciò ad alta voce mentre gustava l'ultimo boccone di gelato. «Bisogna amarlo così com'è.»

    Erano circa le undici di sera e la città era ancora torrida come una giungla. Poiché doveva svegliarsi presto, l'indomani mattina, per coprire il primo turno in biblioteca, decise di rincasare e di andare a dormire. Da sola. Come al solito.

    Un altro eccitante venerdì sera in città per la nostra Phoebe Richards, pensò con un sospiro avvilito, mentre si scansava per far passare una coppietta.

    I due erano così carini, così presi l'uno dall'altro, così innamorati, che la fecero sorridere. E anche soffrire.

    Il desiderio di riempire quel vuoto dentro di sé era diventato più intenso e languido col passare degli anni, mentre il resto del mondo attorno a lei mutava e gli amori sbocciavano.

    Fece una smorfia.

    Sei patetica, si ammonì.

    Dopo aver guardato a destra e a sinistra, attraversò la strada e si incamminò verso la propria auto, cercando nel frattempo di tirarsi su di morale. Una relazione finita male non faceva di lei un fallimento in amore. Due, forse sì, ammise, mordicchiandosi le labbra. Tre o quattro la catapultavano direttamente dal fallimento al disastro.

    D'accordo. La sua vita sentimentale era un disastro, o, come spesso diceva Carol, scuotendo il capo tristemente: «Ragazza mia, certo che te li vai proprio a cercare col lanternino!».

    Già, pensò con un sospiro rassegnato mentre le affiorava alla mente il ricordo di Jason Collins. Era proprio così. Di contro, nonostante la mancanza di amore e romanticismo nella sua vita, a voler cercare il lato positivo in lei, come sempre si sforzava di fare, be', doveva riconoscere di... essere brava a cercare parcheggio.

    Forse dovresti sfruttare questo tuo talento, se mai ti capitasse di uscire di nuovo con qualcuno, si disse con un sorriso sarcastico, mentre si prefigurava la scena.

    Be', non si può dire che lei sia esattamente materiale da calendario, signorina Richards, diceva brutalmente l'uomo dei suoi sogni mentre scorreva la dettagliata lista contenente i requisiti della sua donna ideale. Qual è allora il suo attributo migliore? E non mi dica l'intelligenza perché, francamente, la trovo così poco sensuale...

    Be', ho una

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