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Brividi di passione (eLit): eLit
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Brividi di passione (eLit): eLit
E-book317 pagine4 ore

Brividi di passione (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Tori Hamilton deve fronteggiare una situazione molto difficile. Suo padre è stato appena assassinato e suo fratello è scomparso, sospettato dell’omicidio. L’avvocato di famiglia decide di assumere un investigatore privato per cercare il ragazzo, e Tori si trova a dover affrontare anche un altro problema: il detective è infatti Rocket, l’uomo di cui sette anni prima si era follemente innamorata ma che aveva lasciato.
Appena si guardano negli occhi, entrambi capiscono che l’attrazione non è scomparsa. E i fatti di casa Hamilton li costringono a passare molto tempo insieme. Tempo incandescente. Tempo sensuale. Tempo carico di promesse.
Peccato che non sia semplice mantenere le promesse, soprattutto se fatte tra le lenzuola.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788830502987
Brividi di passione (eLit): eLit
Autore

Susan Andersen

Autrice che regala emozioni forti, situazioni beffarde e una scrittura senza falsi pudori.

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    Anteprima del libro

    Brividi di passione (eLit) - Susan Andersen

    Immagine di copertina:

    monstArrr_ / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Hot & Bothered

    Mira Books

    © 2004 Susan Andersen

    Traduzione: Giorgia Lucchi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-298-7

    Prologo

    Ford Evans Hamilton aprì lentamente gli occhi e mise a fuoco la stanza. Un dolore lancinante gli trafisse il cranio, pulsando lungo le terminazioni nervose, mentre si portava cautamente una mano alla nuca, gonfia.

    Cosa diavolo era successo? Sentì delle voci e il tintinnio di calici di cristallo... C’era forse una festa?

    Immagini balenarono nella periferia della sua mente. Ah, sì. C’era una festa, quella che lui stesso aveva organizzato per vedere McMurphy rodersi il fegato. Si era recato nella biblioteca per prendere dei sigari da fumare con un brandy. E... aveva incontrato Jared, giusto? Aggrottò la fronte, ricordando frammenti del litigio. All’improvviso rammentò anche lo spintone che il ragazzo gli aveva dato uscendo dalla stanza.

    Jared era solo una macchia sul nome degli Hamilton. Entrambi i suoi figli erano una delusione.

    Un debole fruscio sul tappeto Aubusson attirò la sua attenzione; girò la testa, trapassato da un’altra fitta. Jared si sarebbe pentito di essere nato. Ford fissò accigliato l’immagine sfocata della persona che gli stava inginocchiata accanto. «Che diavolo ci fai tu qui?» Agitò la mano, impaziente. «Non ha importanza.» Tese il braccio, imperioso e infuriato. «Dammi una mano.»

    «Ne ho tutte le intenzioni» fu la replica, mormorata. «Voglio darti una mano e mandarti diritto all’inferno.»

    Poi, troppo rapidamente perché la sua mente annebbiata potesse capire cosa stesse succedendo, il tagliacarte d’argento, affilato come un rasoio, saettò verso il basso. E il suo cuore esplose.

    1

    «Coraggio, piccola» mormorò John Miglionni guardando la rossa tutta curve. «Lasciati andare. Lo sai che ti piace.» Trasse un respiro compiaciuto quando la donna si mosse. «Sì!» sussurrò soddisfatto, puntando l’obiettivo della videocamera sulla donna che, dall’altra parte del parco, stava montando in sella a un magnifico stallone.

    Il suo cliente, la Colorado Insurance, sarebbe stato entusiasta; quella ripresa avrebbe costretto la donna a ritirare la richiesta di risarcimento milionario nei confronti della compagnia di assicurazioni. Era palese che la rossa non aveva subito un danno tanto grave da non poter più cavalcare il suo adorato stallone.

    John tenne l’obiettivo puntato su di lei mentre galoppava sugli altopiani a est di Denver. Quando non fu più identificabile, ripose l’equipaggiamento e tornò al pick-up impolverato, parcheggiato in fondo alla strada.

    Tre quarti d’ora dopo irruppe dalla porta principale dell’agenzia investigativa Semper Fi, sorridendo quando la sua manager, Gert MacDellar, sussultò portandosi una mano al petto ossuto.

    «Santo cielo!» esclamò, fulminandolo con un’occhiata da dietro gli occhiali tempestati di strass. «Mi hai fatto perdere almeno dodici anni di vita! E alla mia età, ragazzo, non posso permettermi di perdere un solo minuto, figuriamoci un decennio.»

    «Tu ci seppellirai tutti, Mac.» John appoggiò una coscia all’angolo della scrivania, porgendole la videocamera. «Scarica questo per la Colorado Insurance. Poi includi le tre ore e mezzo di stamattina nella nota spese.»

    Gli occhi azzurri di lei, svariate tonalità più chiari dei suoi capelli, si spalancarono. «L’hai beccata?»

    «Sissignora. Colta in flagrante.»

    Gert esultò, poi collegò la videocamera al PC. Nel frattempo, con la mano libera, porse a John alcuni post-it rosa. «Hai ricevuto un po’ di telefonate mentre eri fuori.»

    John lesse il primo biglietto, poi il secondo. Lo tese verso di lei, guardandola, severo. «Sai che non mi occupo più di casi domestici.»

    «Dovresti» ribatté lei restando immobile, per niente intimidita. «Pagano molto bene.»

    «Sì, ma sono carichi di emozioni devastanti e problemi di privacy e, francamente, non mi interessa andarmene in giro a fotografare gente che si fa delle sveltine.» Lasciò cadere il biglietto sulla scrivania.

    Gert sbuffò e si passò la mano sui capelli mentre John leggeva l’ultimo biglietto.

    Lui sorrise. «Okay, questo è il mio genere. Sono sempre pronto ad andare a cercare persone scomparse.» Si sedette sulla scrivania e guardò Gert. «Parlami di questo caso potenziale.»

    «Hai letto di quel magnate di Colorado Springs che è stato pugnalato con un tagliacarte?»

    «Sì. Un certo... Hamilton, giusto?»

    «Ford Evans Hamilton. Sua figlia Victoria è la nostra potenziale cliente. Il suo fratellastro diciassettenne è scomparso la sera in cui il padre è morto.»

    «È stato il ragazzo a ucciderlo?»

    «Stando a Robert Rutheford, l’avvocato della Hamilton che mi ha contattata, la signora giura che il giovane Jared non sarebbe mai in grado di compiere un gesto del genere. Ma ha già avuto guai in passato e la polizia lo sta cercando. La Hamilton vorrebbe che lo trovassimo prima noi, perché il ragazzo tende a commettere sciocchezze quando si trova con le spalle al muro.»

    Avendo avuto problemi analoghi in gioventù, John non faticò a immedesimarsi. Scoccò a Gert un sorriso ferino. «Una vera fortuna per lei che il suo avvocato si sia rivolto ai migliori.»

    «Sei scandalosamente sicuro» replicò, sorniona. «È una delle cose che mi sono sempre piaciute di te.»

    Lui rise. «Ammettilo, Gert. Di me ti piace tutto. Siamo talmente compatibili, che mi sorprende non siamo ancora fuggiti insieme per sposarci.»

    Lei strinse la bocca come se avesse succhiato un limone, ma il rossore che le tinse le guance tradì il compiacimento. Adorava le giocose schermaglie verbali, ma era più probabile che rinnovasse il suo look fermo agli anni Cinquanta piuttosto che ammetterlo, John lo sapeva bene.

    Lo guardò severa, come se avesse letto i suoi pensieri. «Tu saresti capace di flirtare con un cadavere durante una veglia funebre.»

    Lui si posò una mano sul cuore. «Gert MacDellar, tu mi ferisci. Sai bene che potrei farlo solo se il cadavere fosse quello di una bella donna.»

    Le labbra di lei ebbero un fremito, inducendola a puntare un dito verso la porta. «Fuori di qui, buffone. Va’ a chiamare l’avvocato Rutheford e cerca di guadagnare un po’ di soldi.»

    «Sissignora!» Scattò sugli attenti e si diresse nel proprio ufficio.

    Victoria continuava a ripetersi di stare tranquilla, ma era più facile a dirsi che a farsi. Mentre camminava nervosa nell’ingresso della villa del padre, dovette ammettere che le sue emozioni erano nel caos più totale.

    Una parte di lei era contenta di essere tornata; per quanto amasse l’atmosfera impegnata e carica di storia di Londra, l’Inghilterra non era casa e lei si era sempre trovata un po’ in esilio in Europa. Si era trasferita solo perché là viveva sua zia Fiona e perché voleva tenere Esme lontana da Ford, prima che potesse rovinare anche la vita della nipotina, dopo quelle dei figli.

    Ma, per quanto fosse lieta di essere tornata, le circostanze non le consentivano di essere serena. Suo padre era morto. E non se n’era semplicemente andato per sempre, circostanza di per sé già alquanto traumatica dati i sentimenti contrastanti che Victoria provava nei suoi confronti. Era stato assassinato.

    Accidenti a lui. Era sempre stato un essere viscido, ma era pur sempre suo padre e nessuno meritava una morte come quella.

    Tipico di Ford Evans Hamilton andarsene in modo così plateale. Non si era mai preoccupato di dare scandalo, con le sue mogli sempre più giovani e l’approccio da tagliagole nel campo del lavoro, ma quando i suoi figli avevano mosso un decimo delle onde sollevate da lui li aveva attaccati senza pietà.

    Victoria era furiosa al pensiero che se ne fosse andato prima che lei avesse potuto dirgli cosa pensasse delle sue capacità genitoriali.

    Questo la faceva sentire in colpa e le impediva di restare ferma per più di venti secondi di fila; così passeggiava nervosa nell’ingresso di casa, in attesa dell’arrivo dell’avvocato insieme a un investigatore privato.

    Non avrebbe mai immaginato che la vita degli Hamilton si sarebbe trasformata in un giallo a tinte forti.

    Una risata pericolosamente vicina all’isteria eruppe dalla sua gola e Victoria si premette una mano sulla bocca per trattenerla.

    Okay, cerca di non perdere la testa. Si concentrò su una preziosa opera d’arte esposta su una delle pareti, rivestite di seta giallo chiaro. Cerca di non pensare troppo, vivi un minuto alla volta. Di più sarebbe stato troppo in quelle circostanze.

    Il telefono squillò, facendola sussultare. «Casa Hamilton.»

    «Victoria, cara, sei tu?»

    La voce all’altro capo della linea si affievolì, ma lei fu quasi certa si trattasse del suo avvocato. «Robert? Sei tu? Ti sento malissimo.»

    «Così va meglio?» All’improvviso la voce le giunse con chiarezza cristallina.

    «Molto.»

    «Ti ho chiamata per dirti che non potrò venire all’appuntamento con l’investigatore della Semper Fi. Ti chiedo scusa, ma sono stato convocato in tribunale. A ogni modo ho già parlato a lungo con il signor Miglionni e mi è sembrato che tutto fosse chiaro. Tu dovrai solo raccontargli di Jared e rispondere alle sue eventuali domande. Hai il numero del mio cellulare, vero?»

    «Sì.»

    «Eccellente. Se qualcuna delle sue domande dovesse lasciarti perplessa, chiamami pure.»

    «Sì. Gra...» La telefonata terminò bruscamente. Victoria inspirò a fondo e riagganciò. «Okay... Pare che dovrò cavarmela da sola.»

    Niente di nuovo, se l’era cavata da sola per la maggior parte della sua vita.

    A ogni modo, meglio cercare di essere un po’ meno reattiva e un po’ più proattiva. Sentiva di doverlo a Jared dal momento che, lasciandolo nelle grinfie del padre per proteggere Esme, aveva l’impressione di averlo sacrificato sull’altare dell’amore materno.

    Si recò in salotto e si costrinse a sedersi per smistare le lettere di condoglianze tra quelle cui avrebbe potuto rispondere la segretaria di suo padre e quelle che, invece, richiedevano un tocco più personale.

    Quando sentì il campanello squillare poco dopo, era già più tranquilla. Si diresse nell’ingresso e sorrise alla donna che vide arrivare dalla cucina. «Non ti preoccupare, Mary. Vado io» le disse. Raggiunta l’imponente porta di mogano, la aprì.

    La luce intensa del pomeriggio si riversò nell’ingresso, abbagliando Victoria e disegnando i contorni dell’uomo alto e snello in piedi sui gradini di mattoni. Vedere il suo viso non fu necessario per stamparsi in faccia un sorriso cortese, dopo anni di collegio femminile le buone maniere erano una parte di lei. «Il signor Miglionni?» domandò. «Entri pure, prego.» Arretrò per consentirgli l’ingresso. «Io sono...»

    «Tori» disse lui con una voce roca che le corse lungo la schiena. La mano rimase sospesa per un attimo fra loro, quando lui non la strinse.

    Lei la abbassò, perplessa dall’uso del suo soprannome. Solo i suoi più cari amici, Jared e zia Fiona la chiamavano in quel modo. Rutheford doveva esserselo lasciato sfuggire, a ogni modo sorrise di nuovo. «In realtà mi chiamo Victoria.»

    «Non ci posso credere» replicò l’uomo, sempre con voce rauca.

    Victoria era perplessa. In ogni caso aveva bisogno di quell’uomo se voleva sperare di trovare Jared. Trovò rifugio nell’etichetta. «Mi scusi. Penserà che sono una maleducata a lasciarla qui sulla porta. La prego, entri.»

    Lui ubbidì e si chinò per posare qualcosa a terra, consentendo a Victoria di cogliere i contorni decisi di un collo forte e abbronzato e una coda di cavallo liscia e scura che gli cadde sulla spalla quando si mosse. Poi si alzò e tornò a essere un’ombra impenetrabile disegnata dal sole accecante, a eccezione della mano con le lunghe dita abbronzate che tese verso di lei. Mentre Victoria la stringeva, avanzò di un passo e i suoi lineamenti divennero meno indistinti.

    Lo stomaco di lei sprofondò mentre fissava gli occhi neri come la pece dell’uomo che non avrebbe mai creduto di rivedere. Sottrasse di scatto la mano dalla stretta calda. «Rocket?»

    Sentendosi pronunciare quel soprannome, l’unico appellativo che conoscesse per lui, capì quali conseguenze quell’incontro avrebbe potuto avere per la sua vita. Era l’ultima cosa della quale avesse bisogno. Doveva sbarazzarsi di lui, mandarlo via prima che...

    Lui chiuse la porta e, per la prima volta, Victoria poté vederlo chiaramente, le spalle ampie, la pelle abbronzata, i denti candidi. Aveva appena cominciato a studiarlo, quando lui la cinse in un abbraccio che la sollevò da terra. Poi la lasciò andare e le posò le mani sulle spalle, fissandole il viso.

    Devi andartene, devi andartene, devi andar...

    «Maledizione!» esclamò lui. «È bello rivederti.»

    2

    John non riusciva a smettere di sorridere. Capitava di rado che qualcosa lo cogliesse di sorpresa ma, quando la porta si era aperta e si era trovato davanti Tori, a lei sarebbe bastato un colpetto con un indice dall’unghia curata per mandarlo a tappeto. Per un attimo non aveva voluto credere ai propri occhi.

    Ma un uomo non dimentica facilmente la donna che lo ha indotto a guardarsi dentro e a chiedersi se l’identità scelta per sé da ragazzo valesse ancora per la persona che era diventato da adulto. Benché la sorridente brunetta che ricordava si fosse trasformata in una donna dallo sguardo freddo, controllata e altera, gli ci volle solo un momento per accettare ciò che a livello viscerale aveva capito all’istante: la sua nuova cliente era la donna con la pelle profumata di sole con la quale aveva trascorso una settimana indimenticabile.

    Spostando le mani dalle spalle ai polsi di Victoria, notò che la sua pelle era morbida come ricordava; era straordinario come il suo corpo sembrasse ricordare ogni particolare di lei. Incredibilmente compiaciuto, sorrise a quegli occhi verde muschio. «Ho aspettato che tornassi, sai?»

    Lei rimase immobile. «Come, prego?»

    «Quando te ne andasti. Il biglietto che lasciasti diceva solo che te n’eri dovuta andare per un’emergenza familiare, così aspettai per vedere se saresti riuscita a tornare.»

    «Fosti tu a stabilire le regole. Nessun cognome e solo questa settimana, se non ricordo male.»

    Perché, prima di incontrarti, a me era sempre andato bene così. «Lo so.» Le sue sopracciglia ebbero un fremito perché, benché la voce di lei fosse stata del tutto compita, gli era parso di cogliervi una nota che non era riuscito a identificare. Rimpianto? Accusa?

    Qualunque cosa fosse, era scomparsa quando lei gli domandò fredda: «Cosa ti indusse a pensare che sarei tornata?».

    «La speranza, probabilmente» rispose, passandole le mani lungo le braccia. «Mi augurai che riuscissi a risolvere il problema e a tornare. Così mi fermai un altro paio di giorni.»

    «Come potevi pensare che sarei tornata? Ci restavano solo due giorni di vacanza e non avevi detto nulla per farmi capire che avessi cambiato idea.»

    Prima che John potesse rispondere, lei agitò la mano per cambiare argomento. «Comunque ormai è storia antica. Mi ha fatto piacere rivederti, ma ora devo chiederti di andartene. Mi trovo nel bel mezzo di un’altra crisi familiare e sto aspettando una persona.»

    Fu gentile, ma il messaggio non sarebbe potuto essere più chiaro. Che ti aspettavi? Che ti proponesse di riprendere da dove vi eravate interrotti? Svegliati, non ti ha sorriso nemmeno una volta e se fosse un po’ più rigida sarebbe una tavola da surf. Il fatto che lui lo notasse solo in quel momento non deponeva a favore delle sue doti come detective.

    John abbandonò le mani lungo i fianchi e arretrò. La venticinquenne scalza che ricordava indossava un abito di lino color mango e un lungo filo di perle, e i capelli lunghi fino alla vita erano stati tagliati appena sopra le spalle. Palesemente quella trasformazione non era nuova, era più probabile che la Tori scalza, con i jeans tagliati e i top floreali fosse la vera aberrazione rispetto alla norma.

    Per la prima volta da quando era entrato, si guardò in giro, osservando l’ingresso spazioso, la scalinata, i pavimenti di marmo e i quadri alle pareti. Poi tornò a osservare Tor... Victoria. «Dimmi, quella settimana per te fu un diversivo?»

    «Per favore, è stato tanti anni fa e ora non ho tempo per parlarne. La persona che sto aspettando...»

    «È qui.» Maledizione, lei aveva ragione, erano passati anni e certe cose non potevano tornare. Per non parlare del fatto che lei si trovava in una situazione emotivamente difficile e lui si trovava là per svolgere un lavoro. Cercando di convincersi che fosse solo una nuova cliente, le porse la mano. «John Miglionni. Al tuo servizio.»

    «No!» Victoria rimase a fissare orripilata la mano di lui. Non poteva toccare di nuovo quelle dita affusolate. La sensazione che ne aveva ricavato poco prima era ancora troppo intensa. «Non puoi essere tu.» Osservò il tatuaggio sull’avambraccio, cercando di non pensare a quante volte ne avesse seguito i contorni con le dita e concentrandosi invece sulle parole Swift, Silent e Deadly, veloce, silenzioso e letale, che circondavano il teschio e le ossa incrociate. Poi guardò gli occhi scuri di lui, ricordando il nome della sua agenzia investigativa. «Sei un marine

    «Ex marine. Come hai detto tu stessa, sono passati tanti anni. Ho lasciato il corpo cinque anni fa.»

    Victoria lo vide chinarsi e raccogliere la custodia di un portatile; lui si trovava là per svolgere un lavoro, rammentò a se stessa.

    «Se vuoi mostrarmi dove posso sistemare il mio laptop, poi potremo cominciare.»

    Sarebbe dovuta essere contenta che lui si stesse concentrando sul lavoro. Era contenta. Esitò solo perché avrebbe voluto che l’uomo a lei noto come Rocket se ne andasse.

    Sfortunatamente aveva disperatamente bisogno dell’aiuto di John Miglionni se voleva trovare Jared al più presto. Robert le aveva detto che il suo nome era il più noto nel campo quando si trattava di trovare adolescenti scomparsi. «Andiamo nello studio di mio padre» dichiarò. Meglio farla finita subito e liberarsi di Rocket alias John Miglionni. Robert si sarebbe occupato di ogni ulteriore incontro con lui.

    Pochi minuti dopo si accomodarono su due poltrone di pelle; lui accese il computer e aprì un documento mentre lei ne approfittava per osservarlo. L’unica differenza evidente era la lunghezza dei suoi capelli, l’opposto del cortissimo taglio militare che portava quando lei lo aveva conosciuto. Erano più lunghi dei suoi ma, invece di rendere più femminili i tratti del viso, mettevano in evidenza gli zigomi alti e il naso aquilino.

    Un cellulare squillò nel silenzio dello studio; brontolando le sue scuse, lui infilò la mano nella valigetta di pelle dalla quale aveva estratto il laptop e si portò il telefono all’orecchio. «Miglionni.»

    Osservandolo da sotto le ciglia mentre lui annuiva e prendeva alcuni appunti, Victoria decise che era snello come sempre, benché sapesse bene che la maglietta e i pantaloni neri perfettamente stirati celavano muscoli duri come il marmo.

    Lo sguardo si soffermò un momento sul cavallo dei pantaloni. Victoria si costrinse a guardare altrove, non aveva alcuna intenzione di tornare a quei ricordi.

    Più insidioso e difficile da ignorare, tuttavia, fu il ricordo di come l’avesse fatta sentire lui. Bene, al sicuro, libera di esplorare la propria sessualità. Indipendentemente dall’approccio disimpegnato nei confronti dei rapporti, Victoria aveva percepito un nucleo forte come la roccia in Rocket, che l’aveva trattata con grande rispetto. Dopo una vita trascorsa cercando di schivare le frecciate malevole di suo padre, la ruvida dolcezza di lui era stata ancor più seducente dell’esperienza in ambito sessuale.

    Le labbra si distesero involontariamente in un sorriso. Non era del tutto vero, dal momento che i due ambiti erano strettamente collegati l’uno con l’altro nei suoi ricordi. Rocket l’aveva fatta sentire la donna più spiritosa, intelligente e sexy dell’universo ed era stato magnifico. Un’altra donna, forse, si sarebbe domandata quante altre si fossero sentite così con lui, ma a lei non era importato, almeno inizialmente. Più abituata a dover schivare commenti caustici che complimenti, aveva scoperto che dolce sollecitudine e attenzione erano il suo personale afrodisiaco.

    «Rocket!» Una risata sorpresa eruppe dalla sua gola quando all’improvviso il sole, il mare e la sabbia turbinarono intorno a lei in un caleidoscopio di colori, mentre lui la afferrava per la vita e la faceva girare su se stessa.

    Victoria sentì qualcosa sfrecciare dietro di lei, ma non vi badò, concentrata sull’uomo che la teneva tra le braccia. Era alta un metro e settantacinque, ma con lui si sentiva più delicata di Trilli di Peter Pan.

    «Scusate» chiamò una voce.

    Lei batté le palpebre quando Rocket la posò a terra e si chinò a raccogliere una palla. Il cuore le palpitò nel petto mentre osservava i movimenti fluidi dei muscoli di lui, che con un rapido guizzo del braccio lanciò la palla verso il campo accanto al quale erano appena passati. Rocket l’aveva appena salvata da una pallonata in faccia.

    «Hai i riflessi di un gatto» mormorò. Si sentì al sicuro con lui e il suo corpo cominciò a vibrare quando gli si avvicinò. «Non puoi averla vista arrivare.»

    Lui si strinse nelle spalle come se si trattasse di una bazzeccola. «Probabilmente ho sentito l’aria vibrare.»

    Lei gli accarezzò le braccia. «Sei stato... eroico.»

    Lui sbuffò, ma rimase immobile quando Tori gli si appoggiò e gli premette delicatamente le labbra sul collo.

    «Un’azione tanto eroica merita una ricompensa» mormorò, posandogli un secondo bacio sulla pelle e assaporando, compiaciuta, una traccia di sale. Gli premette i seni contro il petto e si lasciò cingere dalle sue braccia forti. Sorrise, sentendo l’erezione, allora oscillò il bacino e inclinò il capo per guardarlo negli occhi. «Tu non credi?»

    Lui la guardò con le palpebre socchiuse. «Accidenti, Tori» disse rauco, le mani premute sulla schiena di lei. «Quando fai così, mi viene voglia di strapparti i vestiti di dosso e prenderti all’istante.»

    Lei gli leccò la concavità alla base del collo, percorsa da una sensazione inebriante quando sentì il suo marine grande e forte rabbrividire. «Davanti a tutta questa gente?»

    «Sì.» E la fissò con sguardo incandescente. «Quindi, a meno che tu abbia voglia di dare spettacolo, ti suggerisco di fare un passo indietro e darmi un momento per riprendere il controllo.»

    «Scusa, mi spiace averti fatta aspettare.»

    Victoria non avrebbe sussultato più violentemente se qualcuno le avesse fatto il solletico. Sentendo il viso in fiamme, fu lieta di vedere che Rocket si era voltato per riporre il cellulare nella custodia. Inspirò profondamente, cercando di riprendere il controllo prima che lui riportasse lo sguardo su di lei.

    «Non ti...» La sua voce gracchiò e Victoria cercò di schiarirsela. «... preoccupare. Posso offrirti qualcosa da bere prima che cominciamo?» Come le era saltato in mente di tornare a quei ricordi?

    «No, grazie. Sono a posto.» Lui aprì il laptop di fronte a sé e la guardò. «Parlami di tuo fratello.»

    «Oh, sì. Jared. Certo.» Per un momento si era dimenticata di lui e ciò la mortificò. Raddrizzò la schiena, infastidita; aveva dimenticato molte cose ed era pericoloso. Si costrinse a concentrarsi e guardò John negli occhi. «Per prima cosa, non è stato lui a uccidere nostro padre. Voglio che questo sia chiaro fin dall’inizio.»

    «D’accordo. Perché ne sei tanto certa?»

    Victoria si chinò in avanti, ma prima che potesse parlare, la porta dello studio si aprì e la quinta moglie di suo padre entrò.

    La bionda pettoruta si fermò quando li vide; il suo sguardo passò su Victoria con supremo disinteresse, ma si soffermò su John con palese approvazione. «Scusate» disse infine. «Non sapevo ci fosse qualcuno.»

    Tori soppresse un sospiro. «Signor Miglionni, le presento DeeDee Hamilton, la vedova di mio padre. DeeDee, lui è John Miglionni, l’investigatore privato che mi ha consigliato l’avvocato di papà.»

    Gli occhi azzurri di

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