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La vendetta del russo: Harmony Collezione
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La vendetta del russo: Harmony Collezione
E-book162 pagine3 ore

La vendetta del russo: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Aleksy Dmitriev insegue la vendetta definitiva nei confronti di Viktor Van Eych, l'uomo che odia da sempre e del quale ha appena acquisito la società, ed è ormai certo di aver trovato il modo perfetto per raggiungerla: gettare in mezzo a una strada Clair Daniels, la sua assistente personale e amante. Il piano, tuttavia, gli si ritorce contro quando scopre non solo che Clair in realtà non era la donna di Victor, ma comincia addirittura a provare un'irresistibile attrazione per lei.

La sua vendetta potrà anche essere sfumata, ma questo non impedirà ad Aleksy di godere in pieno delle gratifiche extra che la sua ultima acquisizione gli può regalare.
LinguaItaliano
Data di uscita21 nov 2016
ISBN9788858957745
La vendetta del russo: Harmony Collezione
Autore

Dani Collins

Dani Collins ha scoperto la letteratura rosa alle scuole superiori e ha immediatamente capito che cosa avrebbe voluto fare da grande.Dopo aver sposato il suo primo amore, ha cominciato a cercare la propria strada nel mondo dell'editoria, non rinunciando al suo sogno di fronte ai primi ostacoli, così due figli e due decenni dopo l'ha finalmente trovata grazie a un concorso per nuove autrici.Quando non è immersa nella scrittura, chiusa nel proprio fortino come i suoi famigliari chiamano il suo studio, Dani occupa il tempo scarrozzando i propri figli da un'attività all'altra oppure con un po' di giardinaggio.Visita il suo sito www.danicollins.com

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    Anteprima del libro

    La vendetta del russo - Dani Collins

    successivo.

    1

    Mi manca svegliarmi con te.

    Il biglietto causò a Clair Daniels una fitta di dolore al petto. Chissà se qualcuno le avrebbe mai scritto qualcosa di tanto romantico... Poi ricordò gli alti e bassi emotivi che Abby viveva da mesi, tutto a causa di quel fuggevole sentimento chiamato amore. Essere indipendenti era più sicuro e causava meno dolore, rammentò a se stessa. Era già stato abbastanza duro perdere un uomo che era soltanto un amico e un mentore, due settimane prima.

    Tuttavia, dovette nascondere l'invidia che provava quando restituì il biglietto ad Abby. «È dolcissimo» mormorò con un sorriso sereno. «Il matrimonio è questo fine settimana?»

    Abby, la receptionist della ditta, annuì eccitata, rimettendo il biglietto nell'esagerato mazzo di fiori che Clair aveva ammirato. «Stavo informando tutti...» Indicò con un gesto della mano le signore radunate per il loro caffè del mattino. «Gli ho mandato un messaggio per dirgli che dopo sabato potremo svegliarci insieme per sem...» La sua voce s'affievolì quando ricordò con chi stava parlando.

    Le donne intorno a lei abbassarono lo sguardo.

    Un futile Non mi svegliavo con lui serrò la gola di Clair. Non era mai stata a letto con nessuno, ma non poteva ammetterlo. La clausola di riservatezza concordata con Viktor Van Eych aveva reso impossibile una confessione del genere.

    Tuttavia, tutti avevano pensato che il suo rapporto con il capo fosse più profondo del semplice lavoro di assistente personale. I pettegolezzi l'avevano ferita, ma aveva lasciato correre per cortesia verso un uomo la cui fiducia in se stesso era stata intaccata dall'età. L'opinione di lei che gli altri avevano non importava, si disse. Viktor era gentile. L'aveva incoraggiata a creare la fondazione che aveva sempre sognato. Lasciar prevalere una menzogna in cambio era sembrato di poco conto.

    Poi la famiglia di Viktor le aveva rifiutato l'accesso alla dimora anche solo per porgere le condoglianze, voltandole le spalle e relegandola ai margini come un paria.

    Clair non era tipo da parlare con il cuore in mano, ma l'unica persona sulla quale aveva incominciato a contare era morta. Era stata sopraffatta dallo choc e dal dolore. Per fortuna aveva avuto un posto dove rifugiarsi e accettare la perdita. Ironia della sorte, era stato l'orfanotrofio, ma questo le aveva ricordato opportunamente l'importanza della casa e della fondazione, non solo per lei, ma per i bambini che erano soli come lei.

    Ora si sentiva più sola che mai mentre cercava di non vergognarsi sotto lo sguardo delle colleghe, non volendo rivelare che le si era stretto il cuore. Non era stata solo la morte inaspettata di Viktor a colpirla, ma una specie di disperazione. Qualcuno sarebbe mai rimasto? O era destinata a percorrere per sempre da sola il cammino della vita?

    In quel momento soffocante, l'ascensore si fermò e le porte si aprirono. Clair lanciò un'occhiata oltre la spalla per sottrarsi all'ansia, e quello che vide la lasciò senza fiato per la sorpresa.

    Una partita di caccia in completo grigio invase il locale. Era il solo modo di descrivere il gruppo di uomini dall'espressione gelida e vigile. L'ultimo a uscire dall'ascensore, il più alto, era chiaramente il capo. Era un guerriero il cui volto scuro recava il segno di un'autentica ferita di guerra. Fu tutto ciò che Clair notò in un primo tempo: la cicatrice che partiva dall'attaccatura dei capelli scuri pettinati all'indietro, tagliava il sopracciglio sinistro e scendeva fino all'angolo della bocca, terminando sulla mascella rasata.

    Sembrava che la cosa non lo turbasse. La sua energia era concentrata sul nuovo territorio che stava conquistando. Il completo grigio dal taglio perfetto aderiva al corpo poderoso come un'armatura. Con un rapido movimento degli occhi di un marrone dorato disperse il gruppetto di donne, che si ritirarono con un sommesso ticchettio di tacchi.

    Clair non riuscì a muoversi. Sebbene l'aria da predatore dell'uomo incutesse paura, i suoi piedi restarono incollati al pavimento. Sollevò il mento, rifiutandosi di fargli vedere che lui la intimoriva.

    L'uomo sostenne il suo sguardo con evidente interesse maschile. Poi i suoi occhi si spostarono come una carezza dalla sua bocca al colletto aperto, spogliandola mentalmente dell'impermeabile allacciato e degli stivaletti dal tacco basso.

    Clair serrò la mascella, detestando, come qualunque donna, di essere guardata come un oggetto. Tuttavia successe qualcosa. La sua paralisi persistette. Non riuscì a distogliere lo sguardo e fu pervasa da uno strano calore.

    L'attenzione dell'uomo si spostò di nuovo sul suo viso. La determinazione nel suo sguardo lasciava capire che lei era qualcosa che avrebbe voluto.

    Clair arrossì, e le si serrò lo stomaco quando lui prese a parlare con una voce potente e intensa ma non priva di una nota tagliente.

    Lei non lo capì. Batté le palpebre per la sorpresa, ma l'uomo non passò all'inglese. L'ordine era rivolto a uno dei suoi compagni, tuttavia Clair ebbe la sensazione che parlasse di lei, se non direttamente a lei. Poi lui si diresse verso gli uffici interni come se il posto fosse di sua proprietà, con accanto uno degli uomini che mormorava qualcosa nella stessa lingua.

    «Quello era russo?» domandò Clair con il fiato corto quando l'ultimo degli uomini sparì alla vista. Aveva la sensazione di essere stata schiacciata da un carro armato.

    «Sono qui da una settimana. Quello alto è nuovo.» Abby distolse lo sguardo dal corridoio e si protese con aria cospiratoria sopra la tastiera. «Nessuno sa cosa stia succedendo. Speravo che tu potessi illuminarci.»

    «Non c'ero» le rammentò Clair. Non si trovava nemmeno a Londra. «Ma prima che partissi il signor Turner mi aveva detto che sarebbe continuato tutto come al solito, che i familiari avrebbero mantenuto lo status quo finché non avessero avuto il tempo di sistemare i suoi affari personali. Sono avvocati?» Lanciò un'occhiata verso il corridoio, pur essendo certa che quell'uomo non era affatto un avvocato. Le dava l'idea di qualcuno che stabilisse le proprie regole piuttosto che accettare quelle impostegli. Le formicolò la pelle sotto il marchio di possesso che aveva impresso su di lei.

    «Alcuni lo sono, credo» rispose Abby. «I nostri li hanno incontrati tutti i giorni.»

    «I nostri...? Oh, sì.» Clair si sforzò di concentrarsi sulla conversazione. Avvocati. Non era morto solo l'amico, ma il capo e il proprietario, lasciando il posto carico di tensione. L'aveva notato non appena era tornata. E avere sconosciuti che si aggiravano come affaristi a una vendita all'asta non era d'aiuto. Clair decise che quell'intruso non le piaceva.

    Abby si guardò intorno prima di avvicinarsi di più. «Clair? Mi dispiace veramente per quello che ho detto. So che aver perso il signor Van Eych deve essere stato difficile per t...»

    «È tutto a posto. Non preoccuparti» l'interruppe Clair con un lieve sorriso. Si tirò indietro per escludere l'empatia. Erigere muri era un modo per proteggersi, una reazione che probabilmente spiegava perché nessuno le mandasse mai fiori, né lettere d'amore. Non era brava a tenersi vicine le persone. Per questo aveva accettato quella finta storia romantica con Viktor. Lui le offriva compagnia senza pretendere alcuna intimità fisica o sentimentale, proteggendola da chiunque cercasse di avanzare quelle pretese. Nessun rischio, aveva pensato. Nessun dolore.

    Ah!

    Quel russo avrebbe avanzato pretese incredibili, pensò, poi si chiese con una stretta al cuore da dove venisse quell'ipotesi. Non avrebbe mai lasciato entrare nella sua vita privata un uomo del genere. Era un biglietto di sola andata per un cuore infranto. Meglio dimenticarlo.

    Nonostante ciò, la trepidazione le faceva tremare le ginocchia mentre guardava verso il proprio ufficio, dove lui si era diretto. Era sciocco avere paura. Si era sicuramente già dimenticato di lei.

    «Controllerò con il signor Turner.» Clair rivolse alla collega il sorriso che aveva perfezionato come assistente di Viktor. «Se sarò in grado di dirti qualcosa, lo farò.»

    «Grazie.» Abby si rilassò.

    Clair s'allontanò, decisa a scacciare dalla mente il russo, ma aveva appena appeso l'impermeabile e si era chinata a posare la borsetta sulla scrivania quando il signor Turner comparve sulla soglia. Il pallore metteva in evidenza le chiazze rosse sulle guance cascanti.

    «Qual è il problema?» domandò Clair, provando un'improvvisa paura.

    «Deve presentarsi subito al...» L'uomo si passò la mano tra i radi capelli. «... nuovo proprietario.»

    Aleksy Dmitriev staccò dalla parete la prima targa e la gettò nel cestino, senza provare la soddisfazione che aveva previsto. Un'acquisizione troppo facile. Il bastardo non era più vivo per veder crollare il proprio mondo. Van Eych era morto a causa dello stile di vita di cui aveva goduto a spese di uomini come il padre di Aleksy invece d'affrontare la sua vendetta.

    La bionda nell'atrio era stata l'amante di quel lurido cane. Crack! Una delicata boccia di cristallo si frantumò in fondo al cestino.

    «Che cosa diavolo crede di fare?» domandò una voce femminile.

    Aleksy alzò la testa e fu colpito dalla stessa eccitazione sessuale che aveva provato un quarto d'ora prima.

    Aveva giudicato la carnagione chiara, perfetta e delicata, i capelli d'un biondo dorato e gli occhi azzurro ghiaccio. Una sensazione potente come una vodka ghiacciata l'aveva pervaso. Aveva chiesto il suo nome e particolari su di lei.

    Senza più l'impermeabile, ora rivelava colori più caldi. La maglia color pesca aderiva alle braccia esili e al seno piccolo ma perfetto, mentre i fianchi erano abbastanza rotondi da confermarne la femminilità.

    Con disgusto, soffocò quello sconsiderato desiderio. Come aveva potuto dare quel corpo a un vecchio, soprattutto a quel vecchio?

    Sotto il suo sguardo, lei abbassò gli occhi, poi si mosse in avanti, con i pugni lungo i fianchi, raddrizzando le spalle e sollevando il mento con la stessa espressione di sfida che gli aveva rivolto al loro primo incontro.

    «Quelli potrebbero avere un valore sentimentale per la famiglia del signor Van Eych» dichiarò.

    Aleksy socchiuse gli occhi. L'eccitazione di trovare lo scontro che aveva previsto si diffuse nei suoi muscoli. Lei era un'estensione di Viktor Van Eych, e questo gli permetteva di odiarla. Il sogghigno accentuò la cicatrice, dandogli un'aria selvaggia e pericolosa. Lo era, e anche di più. «Chiuda la porta.»

    La donna esitò, e questo lo irritò. Quando parlava, le persone scattavano. Trovarsi una donna esile che impiegava un momento a riflettere, osservandolo, era inaccettabile.

    «Quando se ne va» aggiunse in tono pacatamente minaccioso. «Sto buttando via tutti i trofei di Van Eych, signorina Daniels. E questo include anche lei.»

    Clair sussultò, ma rimase ferma, alta e orgogliosa. I suoi freddi occhi azzurri lo scrutarono. Poi si voltò, causandogli un imprevisto senso di disagio.

    Non ebbe il tempo di esaminare quella reazione, perché lei chiuse la porta, restando nella stanza. Aleksy provò un'inspiegabile soddisfazione. Si disse che era perché avrebbe avuto lo scontro che bramava, che altro si sarebbe potuto aspettare da una donna di quel genere? Non conduceva quella vita allontanandosi da ciò che voleva.

    Con la mano sulla maniglia, Clair gettò indietro i capelli. «Lei chi è?» gli chiese con rigida autorità.

    Suo malgrado, Aleksy ne ammirò l'alterigia. Almeno sarebbe stata un'avversaria decente. Togliendosi la polvere dalle dita, le tese la mano. «Aleksy Dmitriev.»

    Un'altra breve esitazione, poi lei venne avanti, a testa alta, e mise la mano nella sua. Era gelida, ma esile e morbida. Subito Aleksy immaginò di sentire quella mano sulla pelle.

    D'abitudine non reagiva così alle donne. Non lasciava che il sesso gli occupasse la mente in modo tanto sfacciato, soprattutto con una donna che disprezzava. Ma l'attrazione ebbe la meglio quando le strinse la mano. Dovette ricorrere a tutta

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