Sedotta da un greco (eLit): eLit
Di Maya Banks
5/5
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Info su questo ebook
Tentazioni sull'Egeo 3
Jewel Henley non è preparata all'assalto dei sensi che la travolge in una calda notte tropicale. Appena assunta in un esotico e lussuoso hotel, incontra uno sconosciuto che le fa tremare le ginocchia e si arrende tra le sue braccia. Ma il risveglio, il mattino dopo, non è altrettanto dolce. L'uomo, infatti, altri non è che Piers Anetakis, proprietario del resort, contrario alle relazioni in ambito lavorativo. Il destino di Jewel è segnato: perde il lavoro, insieme a buona parte del suo cuore. Tuttavia cinque mesi non bastano a Piers per dimenticare quella notte fatale e la donna incredibile che l'ha conquistato.
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Anteprima del libro
Sedotta da un greco (eLit) - Maya Banks
Credits: PeopleImages / iStock / Getty Images Plus
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Tycoon’s Secret Affair
Silhouette Desire
© 2009 Maya Banks
Traduzione di Giuseppe Biemmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 9788858929650
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Frontespizio. «Sedotta da un greco» di Banks MayaPrologo
JEWEL HENLEY SI spostò nervosamente nel letto d’ospedale, una mano richiusa attorno al cellulare e l’altra impegnata ad asciugare le calde lacrime che le rigavano il viso. Doveva chiamarlo. Non aveva scelta.
Dover dipendere dall’uomo che non aveva visto l’ora di estrometterla dalla sua vita dopo l’avventura di una notte era una prospettiva che non la allettava affatto, ma per sua figlia avrebbe fatto questo e altro.
La mano libera le ricadde morbidamente sul pancione, e subito avvertì la vigorosa rassicurazione del calcetto della piccola.
Come avrebbe reagito Piers all’annuncio che stava per diventare padre? Gli sarebbe importato? Jewel scosse il capo. Indipendentemente dai sentimenti che nutriva nei suoi confronti, lui non avrebbe certo voltato le spalle alla loro figlia.
Comunque, c’era un unico modo per scoprirlo, vale a dire premere il tasto invio. Il suo numero privato l’aveva in memoria. Poteva essere stata licenziata, ma si era ben guardata dal cancellare i numeri telefonici che le erano stati forniti al momento dell’assunzione.
Anche così, non le riuscì di trovare il coraggio per effettuare la chiamata. Si lasciò cadere il cellulare sul petto e chiuse gli occhi. Ah, se solo non ci fossero state complicazioni nella gravidanza. Perché non poteva essere una delle tante future mamme, belle e radiose, che parevano il ritratto della salute?
Il corso dei suoi pensieri si interruppe quando la porta si spalancò e un’infermiera entrò spingendo il carrello con il computer che utilizzava per registrare i dati clinici.
«Come si sente oggi, signorina Henley?»
Jewel annuì e sussurrò un debole: «Bene».
«Ha già chi si prenderà cura di lei una volta dimessa?»
Jewel deglutì ma non replicò. L’infermiera le lanciò un’occhiata di biasimo.
«Sa che il dottore non la dimetterà fino a quando non lo tranquillizzerà sul fatto che avrà qualcuno al suo fianco mentre è costretta a stare a riposo.»
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Jewel, che sollevò il telefono, agitandolo in aria. «Stavo giusto per fare una telefonata.»
L’infermiera annuì soddisfatta. «Ottimo. Faccio in un attimo, così poi potrà effettuare la sua chiamata.»
Qualche minuto dopo la donna in camice bianco uscì, e Jewel tornò ad alzare il cellulare e a fissare il display. Forse lui non le avrebbe nemmeno risposto.
Tirando un profondo respiro fortificante, premette il pollice sul tasto invio, chiuse gli occhi e si portò il telefono all’orecchio. Seguì un breve silenzio mentre prendeva la linea, poi iniziò a suonare.
Una volta. Due. Tre. Era sul punto di lasciar perdere quando la voce aspra e decisa che ben conosceva la fece sobbalzare.
«Anetakis.»
La risposta giunse come una specie di ringhio, e lei perse di colpo tutto il coraggio. Il respiro le si fece irregolare mentre altre lacrime le si affacciavano negli occhi.
«Chi è?» domandò lui spazientito.
Lei allontanò il telefono e pigiò sui tasti fino a quando non ebbe troncato la comunicazione. Non ci riusciva proprio ad affrontarlo. Rivolgendo delle tacite scuse alla bambina che doveva ancora nascere, decise che avrebbe trovato un’altra soluzione. Doveva pur esserci il modo per evitare di coinvolgere Piers Anetakis.
Prima ancora che potesse analizzare le varie possibilità a sua disposizione, il cellulare che aveva in mano cominciò a vibrare. Lo aprì automaticamente, rendendosi conto solo un attimo dopo averlo fatto che era lui che la stava richiamando.
Solo il rumore che produsse trattenendo il respiro corse fino all’altro capo della linea.
«Lo so che è lì» brontolò Piers. «Accidenti, chi diavolo è e come ha avuto il mio numero?»
«Mi scusi» disse lei a bassa voce. «Non intendevo disturbarla.»
«Aspetti» le intimò lui. Poi ci fu una lunga pausa. «Jewel, sei tu, non è così?»
Oddio. Non pensava che avrebbe riconosciuto la sua voce. Come avrebbe potuto? Non si rivolgevano la parola da cinque mesi. Per l’esattezza, cinque mesi, una settimana e tre giorni.
«S... sì» farfugliò alla fine lei.
«Grazie a Dio. Ti ho cercata ovunque. Tipico di voi donne sparire di punto in bianco.»
«Cosa?»
«Dove sei?»
Le domande quasi si sovrapposero.
«Rispondi prima tu» disse imperiosamente lui. «Dove sei? Stai bene?»
Lei ebbe un’esitazione. Poi si fece forza e rispose. «Sono in ospedale.»
«Theos.» Seguì una rapida sfilza di imprecazioni in greco che Jewel, non conoscendo la lingua, non poté afferrare.
«Dov’è che sei?» ripeté lui perentorio. «In che ospedale? Dimmelo.»
Completamente confusa di fronte alla piega assunta dalla conversazione, lei gli comunicò il nome della struttura ospedaliera. Prima che potesse aggiungere altro, lui la anticipò: «Sarò da te al più presto».
E poi la conversazione fu interrotta.
Con mani tremanti, lei chiuse il cellulare e lo mise da parte. Poi si posò istintivamente le dita sul ventre pronunciato. Sarebbe venuto? Si sarebbe precipitato da lei? L’aveva cercata? Niente di tutto quello aveva senso.
Poi Jewel si rese conto di non avergli dato l’informazione basilare. La ragione stessa per cui l’aveva chiamato. Non gli aveva comunicato di essere incinta.
1
Cinque mesi prima...
ESITANDO A LASCIARE l’albergo, Jewel si fermò accanto alla porta che dava sul bar all’aperto e fissò le torce fiammeggianti che fiancheggiavano il vialetto sabbioso che scendeva alla spiaggia.
Una musica di sottofondo faceva da perfetto accompagnamento alla chiara notte stellata. In lontananza, le onde si muovevano in armonia con la sensuale melodia. Soft jazz. Il suo preferito.
Era stato un vero e proprio colpo di fortuna quello che l’aveva spinta su quell’isoletta da paradiso. Un posto libero su un aereo, un biglietto scontatissimo e solo cinque minuti per decidere. Ed eccola lì. Un luogo completamente nuovo, tanto per tener fede alla promessa che si era fatta di concedersi qualche giorno tutto per sé.
Essendo sì impulsiva, ma anche dotata di buonsenso, la prima cosa che aveva fatto quando era arrivata era stato cercarsi un lavoro temporaneo e, con l’aiuto della dea bendata, aveva saputo che il proprietario del lussuoso Hotel Anetakis, soggiornando provvisoriamente in albergo, necessitava di un’assistente. Per quattro settimane. Un periodo di tempo ideale per Jewel da trascorrere in quel paradiso prima di passare ad altro.
L’opportunità era troppo allettante per lasciarsela sfuggire. Unitamente a un generoso salario, le era stato concesso anche l’uso di una camera in albergo. Insomma, c’erano state tutte le premesse per una meravigliosa vacanza.
«Ti decidi a uscire, o hai intenzione di trascorrere una serata così incantevole chiusa fra quattro mura?»
La voce maschile dal leggero accento esotico le giunse alle orecchie, spedendole una lunga scia di fremiti giù per la spina dorsale. Jewel si voltò e fu costretta ad alzare lo sguardo per fissare il punto da cui erano uscite quelle parole pronunciate con tono carezzevole.
Quando subito dopo lo guardò negli occhi, per un attimo incontrò qualche difficoltà a respirare.
L’uomo che aveva di fronte non era solo bello. Di uomini belli era pieno il mondo, e lei ne aveva incontrata la sua parte. Questo trasudava anche potere e sicurezza. Un vero e proprio predatore in mezzo a un gregge di pecore. Non per niente, i suoi occhi penetranti la fissarono con un’intensità che quasi la spaventò.
C’era dell’interesse. Più che manifesto. Non era un’ingenua.
Ricambiò lo sguardo, incapace di liberarsi dalla forza emanata da quegli occhi. Occhi neri. Neri come la pece. Anche i suoi capelli erano scuri, mentre aveva una carnagione olivastra che assumeva dei caldi toni ambrati alla debole luce delle torce. Luce che gli si rifletteva negli occhi, orgogliosamente scintillanti.
La sua mascella era ferma, decisa, quasi a denotare una certa arroganza, qualità che la attraeva sempre negli uomini. Per un lungo istante, lui ricambiò lo sfacciato esame a cui lo stava sottoponendo, poi le labbra gli si piegarono all’insù in un accenno di sorriso.
«Una donna di poche parole, mi pare di capire.»
«In effetti, stavo decidendo se uscire o meno.»
Lui inarcò un imperioso sopracciglio in un gesto quasi di sfida.
«Io però non posso offrirti un drink se restiamo qui dentro.»
Inclinando la testa di lato, lei permise a un mezzo sorriso di allentare la tensione che la attanagliava. Non era estranea a provare forti attrazioni sessuali, ma non ricordava l’ultima volta che un uomo l’aveva così decisamente intrigata a prima vista.
Avrebbe accettato il tacito invito che gli leggeva negli occhi? Oh, sapeva che le aveva chiesto il permesso di offrirle un semplice drink, ma non era certo la sola cosa che voleva da lei. Il punto era: sarebbe stata abbastanza audace da accettare?
Be’, in fin dei conti, che male poteva farle un’unica notte? Era estremamente esigente nella scelta dei partner. Non a caso, da due anni non aveva un compagno. Semplicemente non le era interessato averne... fino a quando quello sconosciuto dagli occhi neri come la notte, dal sorriso sensuale e dalla beffarda arroganza si era fatto avanti. Oh sì, lo voleva. Talmente tanto, da sentirsi vibrare alla sola idea di poterci combinare qualcosa.
«È qui in vacanza?» gli chiese mentre lo scrutava da sotto le ciglia.
Di nuovo, le labbra gli si incresparono abbozzando un mezzo sorriso. «In un certo senso.»
Jewel si sentì pervadere da un’ondata di sollievo. No, una notte non le avrebbe fatto alcun male. Poi lui se ne sarebbe andato, tornandosene al suo mondo, e le loro strade non si sarebbero mai più incrociate.
Quella notte... quella notte si sentiva sola, sensazione alla quale non si abbandonava spesso, anche se trascorreva la maggior parte del tempo isolata dagli altri.
«Vada per il drink» disse, accettando.
Una luce rapace gli balenò negli occhi. Un bagliore che si spense con la stessa rapidità con cui era comparso. La mano di lui si sollevò per richiudersi attorno al suo gomito, e Jewel sentì quelle dita dilatarsi possessivamente sulla sua pelle.
Piacevolmente sorpresa dalla scossa che si propagò attraverso il suo corpo a quel contatto, Jewel chiuse gli occhi per un breve istante.
Uscendo nella gradevole aria notturna, lui la guidò oltre il tendone protettivo dell’hotel fino al bar all’aperto. Attorno a loro le fiamme