Una notte nel deserto: Harmony Collezione
Di Maggie Cox
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Info su questo ebook
Si dice che il Cuore Impavido, gioiello tramandato da generazioni nella casa di Kazeem Khan, garantisca amore e felicità.
Ma lo sceicco Zahir rifiuta questa leggenda. Dopo le amarezze che la vita gli ha riservato, considera quel gioiello maledetto e ha deciso di venderlo.
Gina Collins è una bella studiosa di una casa d'aste che ha il compito di vendere l'antico monile.
Ma nel momento in cui torna nel deserto di Kabuyadir, resta pietrificata nello scoprire che il nuovo sceicco è lo stesso uomo con cui qualche anno prima ha trascorso un'incredibile notte d'amore.
Maggie Cox
Quando non è impegnata a scrivere o a badare ai figli, ama guardare film romantici mangiando cioccolato.
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Anteprima del libro
Una notte nel deserto - Maggie Cox
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
One Desert Night
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2011 Maggie Cox
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-369-0
1
Chi mai amò, che non abbia amato a prima vista?
Nel regno di Kabuyadir...
Zahir fu raggiunto dall’eco di un pianto portato dal vento. Da principio pensò di averlo immaginato, ma, uscendo sul balcone che dava nel cortile piastrellato a mosaico, lo udì di nuovo. Quel suono gli fece dimenticare la decisione di lasciare la festa e tornarsene a casa.
Era salito al piano superiore della casa dell’amico Amir per sottrarsi al chiacchiericcio mondano a cui gli riusciva difficile unirsi, deciso ad andarsene, nonostante fosse ancora presto. Amir lo avrebbe capito.
Uscì in cortile senza curarsi degli sguardi che lo seguivano, assumendo un’aria distaccata che, lo sapeva, neppure l’uomo più temerario avrebbe potuto ignorare. Si abbandonò al soffio di aria calda e speziata che, come sempre, gli stuzzicò i sensi e si guardò attorno. Quello che aveva udito era il pianto di un bambino o il gemito di un animale ferito? O era solo il prodotto della mente affaticata e del cuore pesante?
Il suono dell’acqua che sgorgava dalla bocca di una sirena di pietra, immersa in una splendida fontana a forma di conchiglia, sistemata nel cortile pavimentato in marmo, si univa al frinire acuto delle cicale portato dall’aria dolce della notte.
Con la coda dell’occhio, Zahir scorse un lampo rosato. Puntò lo sguardo verso un angolo oscuro che celava un sedile di pietra e scorse un paio di graziosissimi piedi nudi che spuntava dalla cascata di foglie lucide e scure di una voluttuosa pianta di gelsomino. Intrigato, si spinse avanti.
«Chi c’è lì sotto?»
Tenne un tono di voce basso, epurato da ogni tonalità minacciosa eppure carico di autorità. Un lungo braccio sottile si spinse fuori per scostare il fogliame che garantiva una protezione pressoché totale al sedile di pietra. Zahir trattenne il fiato.
«Sono io... Gina Collins.»
Subito dopo, Zahir si ritrovò davanti agli occhi azzurri più seducenti che avesse mai visto. La loro luminosità non aveva nulla da invidiare alla luna.
«Gina Collins?» Quel nome non trovava nessun riscontro nel suo cervello, ma la comparsa di quella bellezza bionda, che gli stava davanti con un abito rosa lungo fino ai piedi soavemente nudi, non poteva mancare di rimescolargli il sangue.
Era una visione deliziosa, impossibile da dimenticare. Non c’è da meravigliarsi che si fosse nascosta! Può esistere un uomo che non si senta tentato da una simile visione?
La ragazza si asciugò le ombre umide sotto gli occhi con il dorso della mano.
«Il tuo nome mi è sconosciuto» continuò Zahir, inarcando un sopracciglio e passando subito al tu.
«Hai ragione, mi dispiace» replicò lei con la stessa familiarità. «Sono l’assistente del professor Moyle. Siamo venuti qui per catalogare e studiare i libri di antiquariato del signor Hussein e alcuni antichi manufatti.»
Zahir ricordava che la moglie del suo amico Amir, Clothilde, conferenziere di livello professionale di storia dell’arte all’università, gli aveva confidato l’intenzione di farsi aiutare a sistemare la collezione di libri rari e di valore. Dopo la morte della madre, Zahir non l’aveva più incontrata e del resto aveva avuto ben altro a cui pensare.
«È un lavoro così stressante da costringerti a nasconderti qui?» la canzonò con gentilezza.
La ragazza spalancò i grandi occhi azzurri. «Niente affatto, è un lavoro bellissimo!»
«Allora vorrei proprio sapere perché piangi.»
«È solo che... solo che...»
Zahir era disposto ad aspettare la risposta. Perché aver fretta, se posso godermi la vista dei suoi meravigliosi lineamenti, che sembrano creati da un artista? Soprattutto le labbra piene e tremanti...
Lei sospirò appena, e la voce si spezzò mentre rispondeva: «Ho saputo oggi che mia madre è stata ricoverata in ospedale. I miei datori di lavoro sono stati così gentili da prenotarmi un volo, perciò domattina presto tornerò nel Regno Unito».
Zahir provò un moto di sincera empatia. Sapeva bene che cosa significa avere la madre malata, vedere la sua salute peggiorare di giorno in giorno e sentirsi impotenti. Fu invece sorpreso di scoprire quanto lo disturbasse l’idea che quella bella ragazza stesse già per tornare a casa, quando l’aveva appena incontrata.
«Mi dispiace molto per questa brutta notizia, ma devo confessarti anche il mio dispiacere all’idea che torni a casa senza aver avuto il tempo di conoscerti.»
Una ruga le increspò la fronte liscia. «Vorrei tanto non dover partire. Ti pare orribile? Non mi ero resa conto di quanto mi sarebbe costato andarmene da qui. C’è qualcosa di magico che mi affascina.»
Quella sorprendente risposta gli impedì per qualche istante di replicare. «Il mio paese ti piace davvero? Allora dovresti tornare presto, Gina, molto presto, non appena tua madre sarà guarita.» Incrociò le braccia sul petto, sorridendo dolcemente.
«Mi piacerebbe. Non so spiegarmelo, ma sento questo posto come casa mia più dell’Inghilterra. Lo amo così tanto!» Il suo viso si illuminò all’improvviso come acceso dall’interno. «Penserai che sia molto maleducata, a starmene qua fuori quando sono tutti in casa, ma la festa di laurea del nipote del signor Hussein è un’occasione felice e non volevo rovinare l’atmosfera con la mia tristezza. È difficile stare con gli altri quando si è di malumore.»
«Sono certo che chiunque capirebbe la tua situazione. È bello che tu abbia accettato l’invito alla festa. Da noi si usa invitare amici e conoscenti, per celebrare un avvenimento familiare importante.»
«Mi piace. Per voi la famiglia è importante.»
«Non è così dove vivi tu?»
Si strinse nelle spalle e allontanò lo sguardo. «Forse per qualcuno... ma non per tutti.»
«Adesso ti ho fatta ritornare triste.»
«No. Quello che voglio dire è che mi dispiace che mia madre sia malata, ma, se devo essere del tutto sincera, il nostro rapporto non è affettuoso e amorevole come vorrei. I miei genitori sono entrambi docenti universitari, per loro i sentimenti sono solo impicci... comunque ti ho già assillato anche troppo con i miei guai. È stato un piacere conoscerti, adesso credo sia meglio rientrare.»
«Non c’è fretta. Non ti andrebbe di restare ancora un po’ qua fuori con me? È una notte stupenda, non trovi?»
Con delicatezza, le prese la mano e gli occhi azzurri di Gina diventarono enormi. Si sentiva ipnotizzato da quello sguardo, e il contatto con la sua pelle morbida innescò un desiderio che lo stordiva, una sensazione inaspettata, come se un vento caldo gli soffiasse nelle vene. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
«D’accordo, resterò ancora qualche minuto. Hai ragione, è una notte stupenda.» Incrociò le braccia sul petto e indietreggiò, come scossa dalla consapevolezza di trovarsi troppo vicina a lui. «Sei parente della famiglia Hussein?» gli domandò a bassa voce e con espressione incuriosita.
«Non abbiamo una parentela di sangue, ma io e Amir siamo amici da molto tempo, l’ho sempre considerato un fratello. Mi chiamo Zahir» si decise a presentarsi con un inchino rispettoso.
La vide arrossire da sotto le ciglia abbassate. Forse in Occidente ci si conosce con questa facilità, ma non qui in Kabuyadir, specialmente quando si è destinati a salire sul trono, succedendo al proprio padre.
«Zahir...» La donna ripeté il suo nome a bassa voce, come se fosse una formula magica. Quel suono sensuale suscitò in lui una cascata di piccoli brividi. «Anche i vostri nomi suonano magici e misteriosi» aggiunse intimidita.
«Vieni» la invitò, il sangue che ribolliva alla prospettiva di averla tutta per sé per un po’. «Facciamo una passeggiata. Sarebbe un peccato sprecare una luna piena così luminosa e non godere la sua luce nel giardino deserto, non credi?»
«Non si accorgeranno della tua assenza?»
«Se anche i padroni di casa si chiedessero il perché della mia inspiegabile assenza, la loro raffinata educazione non permetterebbe di farmene cenno. Del resto, non devo rendere conto a nessuno delle mie azioni, se non ad Allah.»
Gina si zittì. Zahir lanciò un’occhiata ai suoi agili piedini con le unghie smaltate nella stessa tonalità dell’abito. «Avrai bisogno delle scarpe.»
«Le ho lasciate sulla panchina.»
Tornando verso il sedile di pietra, riparato dal lucido fogliame verde e fiorito di candidi gelsomini profumati, Gina recuperò i sandali che infilò subito. Quando sollevò di nuovo lo sguardo verso Zahir, le era scesa sulla fronte una ciocca di capelli dorati, che ricacciò subito indietro. Gli sorrise.
Un sorriso femminile non aveva mai avuto il potere di farlo ammutolire, ma fu quel che accadde in quel momento. Si schiarì la voce, e senza fermarsi a pensare le prese di nuovo la mano, che lei abbandonò fiduciosa nella sua. Il dolore e il tormento che lo accompagnavano dalla morte della madre si sciolsero come neve al sole.
Osservando i suoi lineamenti decisi, gli occhi scuri e i lunghi capelli neri che scendevano fin sulle spalle, Gina si rese conto di essere stata stregata.
Portava l’abito lungo fino ai piedi chiamato jalabiya e una cintura di cuoio legata in vita. Avrebbe potuto far parte senza sfigurare della corte di un califfo! Forse è un soldato o una guardia del corpo? La sua struttura imponente faceva pensare che potesse badare non solo a se stesso, ma anche a molti altri.
Dare fiducia a un uomo appena conosciuto poteva rivelarsi un azzardo pericoloso, ma, non essendo mai stata vittima di un impulso tanto forte, Gina si convinse che doveva succedere. Kismet, come dicevano da quelle parti. In quel momento sentiva il bisogno di una figura rassicurante e comprensiva e Zahir aveva dato prova di comprendere i suoi sentimenti.
Mentre camminavano sui sentieri lastricati, protetti da un alto muro di pietra che rendeva l’edificio simile a una fortezza, sotto la luna scintillante che seguiva il loro cammino con benevolenza, Gina si domandò ancora una volta come sarebbe riuscita a riprendere il tran tran quotidiano una volta tornata a casa.
Non appena sua madre si fosse ripresa, senza dubbio tutto sarebbe ricominciato come prima, al pari di un’improvvisa nota stonata e subito dimenticata nel fluire della melodia. Gina, però, non poteva dimenticare, o negare, il desiderio di trovare qualcosa di più profondo e reale nella vita. Poteva essere riuscita a lungo a convincersi che lo studio e l’accumulo di pubblicazioni a suo nome, l’esame di vecchi tomi polverosi e la loro catalogazione bastassero per farla sentire completa, ma dal suo arrivo in Kabuyadir aveva cominciato a chiedersi se quella fosse per lei davvero la direzione giusta.
Amava ancora il suo lavoro, tuttavia quel viaggio all’altro capo del mondo, la scoperta di un paradiso sensuale per la vista, l’udito e l’odorato mai conosciuto prima se non attraverso le descrizioni contenute nei libri di storia, aveva suscitato dentro di lei un’irrequietezza e un desiderio che non riusciva più a dominare.
Ai suoi genitori lo studio accademico era bastato e aveva cementato la loro relazione. Erano arrivati al matrimonio attraverso interessi comuni e stima professionale, ma non avevano praticamente mai dato voce a sentimenti ed emozioni profonde l’uno verso l’altro. Avevano cresciuto Gina in modo responsabile, proteggendola e facendo tutto ciò che era giusto. Il fatto che si fosse indirizzata verso la carriera accademica era stato dato per scontato. Raramente, però, le avevano detto di volerle bene...
E ora che sua madre era malata, sentiva che l’unico modo che suo padre avrebbe trovato per reggere la situazione sarebbe stato ritirarsi ancora di più nel campo