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E-book330 pagine4 ore

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Come la scienza ha penalizzato le donne e la nuova ricerca che sta riscrivendo la storia.
Per centinaia di anni le donne sono state considerate il sesso inferiore. I loro corpi e le loro menti più deboli, il loro ruolo asservito. Perfino Charles Darwin affermava che le donne erano a uno stadio inferiore dell'evoluzione. La scienza ha continuato a dirci che uomini e donne sono fondamentalmente diversi. I biologi sostengono che le donne sono più adatte a crescere le famiglie o sono, più gentilmente, soltanto empatiche. Gli uomini, d'altra parte, sono descritti come eccellenti in compiti che richiedono ragionamento logico e spaziale e abilità motorie. Ma un'ondata di nuove ricerche sta ora portando alla luce una versione alternativa rispetto a ciò che pensavamo di sapere. La nuova donna rivelata da questi dati scientifici è forte, strategica e intelligente come chiunque altro.
Angela Saini mette in luce un'affascinante - e necessaria - nuova scienza delle donne e denuncia quanto sia ancora viva l'eredità culturale derivante da secoli di esclusione e pregiudizi. Indaga le guerre di genere in biologia, psicologia e antropologia, e basandosi su studi all'avanguardia rivela un affascinante nuovo ritratto del cervello, del corpo e del ruolo delle donne nell'evoluzione umana.
LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2019
ISBN9788830502116
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Autore

Angela Saini

ANGELA SAINI è una giornalista scientifica pluripremiata i cui lavori sono apparsi sulla BBC e in numerose testate come the Guardian, Wired, Economist e Science. Nel 2015 ha vinto il premio American Association for the Advancement of Science del Kavli Science Journalism. Ha conseguito inoltre un master in ingegneria alla Oxford University. È autrice di Geek Nation: How Indian Science is taking over the world e di Superior: The return of race science.

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    Anteprima del libro

    Inferiori - Angela Saini

    meno».

    1

    L’INFERIORITÀ DELLA DONNA PER L’UOMO

    Per dimostrare l’inferiorità delle donne, gli antifemministi si sono basati non solo, come in passato, sulla religione, la filosofia e la teologia, ma anche sulla scienza: biologia, psicologia sperimentale e così via.

    Simone de Beauvoir, Il secondo sesso (1961)

    A fine estate, nel periodo in cui le foglie iniziano ad avvizzire, l’università di Cambridge è bella tanto quanto doveva esserlo ai tempi di Charles Darwin, che la frequentava da studente, all’inizio del XIX secolo. In un angolo tranquillo, situato nella zona nordoccidentale della biblioteca dell’università, si possono ancora trovare sue tracce. Seduta a un tavolo rivestito di pelle, nella stanza dei manoscritti, ho tra le mani tre lettere ingiallite, con l’inchiostro sbiadito e alcune pieghe scure. Tutte raccontano come erano considerate le donne in un momento cruciale della storia scientifica moderna: quando venivano delineati i fondamenti della biologia.

    La prima lettera, indirizzata a Darwin, è scritta con una grafia nitida e impeccabile su un foglietto di carta color crema. È datata dicembre 1881 e il mittente è Mrs Caroline Kennard, di Brookline, nel Massachusetts, una ricca città fuori Boston. Kennard aveva un ruolo importante nel movimento femminile locale impegnato a migliorare la condizione delle donne (una volta, si era battuta perché i reparti di polizia assumessero agenti donne). Era anche interessata alla scienza. Nella lettera a Darwin, poneva una semplice richiesta. Si rifaceva a un incontro, che in qualche modo l’aveva sconvolta, verificatosi durante una riunione del movimento a Boston. Qualcuno aveva sostenuto, scrive Kennard, che «l’inferiorità delle donne – passata, presente e futura» era «basata su principi scientifici». Questa persona aveva espresso una dichiarazione così oltraggiosa basandosi nientemeno che su uno dei libri di Darwin.

    All’arrivo della lettera di Kennard, a Darwin rimanevano solo pochi mesi di vita. Aveva da tempo pubblicato le sue opere più importanti, L’origine delle specie, nel 1859, e L’origine dell’uomo, dato alle stampe dodici anni dopo. I due volumi descrivevano come gli uomini di oggi potrebbero essersi evoluti da forme di vita più semplici sviluppando caratteristiche che hanno reso più facile la sopravvivenza e la possibilità di avere una prole numerosa. Questa era la base delle sue teorie sull’evoluzione fondate sulla selezione naturale e sessuale che, nella società vittoriana, esplosero come dinamite, trasformando per sempre il modo in cui le persone pensavano alle origini dell’umanità.

    Nella sua lettera, Kennard presumeva che, naturalmente, un genio come Darwin non potesse credere che le donne fossero per natura inferiori agli uomini. Sicuramente il suo lavoro era stato male interpretato. «Se è stato commesso un errore, dato il grande valore delle sue opinioni e della sua autorevolezza, bisogna rettificare» lo scongiurava.

    «La questione a cui lei fa riferimento è molto complessa» rispose Darwin il mese successivo, dalla sua casa di Downe, nel Kent. La lettera contiene scarabocchi così difficili da decifrare che qualcuno l’ha copiata interamente, parola per parola, su un altro foglio di carta, conservato accanto all’originale negli archivi dell’Università di Cambridge. Ma non è la grafia l’aspetto più discutibile di questa lettera. Lo è piuttosto il contenuto. Se la gentile Mrs Kennard si aspettava che il grande scienziato la rassicurasse sul fatto che le donne non sono veramente inferiori agli uomini, stava per rimanere delusa. «Penso realmente che le donne, sebbene in linea generale superiori agli uomini per qualità morali, siano inferiori dal punto di vista intellettivo» le rispose, «e mi sembra che, a causa delle leggi dell’ereditarietà (se le comprendo in maniera corretta), sia molto difficile che possano diventare intellettualmente uguali all’uomo.»

    Non finisce qui. Perché le donne superino questa disuguaglianza biologica, aggiungeva, dovrebbero assumere il ruolo di capofamiglia come gli uomini; ma questa non sarebbe una buona idea, poiché potrebbe danneggiare i piccoli e la felicità delle famiglie. Darwin sta dicendo a Mrs Kennard che non solo le donne sono inferiori agli uomini dal punto di vista intellettivo, ma anche che è meglio se non aspirano a una vita al di fuori delle loro case. Questa risposta rappresenta un rifiuto di tutto ciò per cui Kennard e il movimento delle donne stavano combattendo.

    La corrispondenza personale di Darwin riecheggia ciò che, con estrema chiarezza, viene espresso nelle sue pubblicazioni. In L’origine dell’uomo sostiene che i maschi hanno ottenuto un vantaggio sulle donne in mille anni di evoluzione, a causa della pressione subita nella competizione con i compagni. I pavoni maschi, per esempio, hanno sviluppato un piumaggio vivace e particolarmente elegante per attirare le femmine che invece hanno un aspetto molto più sobrio. Allo stesso modo, i maschi dei leoni hanno sviluppato le loro splendide criniere. In termini evolutivi, afferma Darwin, le femmine sono in grado di riprodursi indipendentemente dal loro aspetto. Hanno il lusso di potersi sedere e scegliere un compagno, mentre i maschi devono lavorare sodo e competere con gli altri rivali per attirare la loro attenzione. Seguendo questa stessa logica, per quanto riguarda gli esseri umani questa strenua competizione per le donne ha portato gli uomini a diventare guerrieri e pensatori. Questo ha fatto in modo che, nel corso dei millenni, diventassero esemplari sempre migliori dal punto di vista fisico, e che sviluppassero menti sempre più brillanti. Le donne sono letteralmente meno evolute degli uomini.

    «La principale distinzione per quanto riguarda il potere intellettivo dei due sessi si mostra nell’uomo, che raggiunge vette più alte, qualsiasi sia l’ambito di cui si occupa, di quelle che riesce a raggiungere la donna – che sia richiesta profondità di pensiero, ragionamento o immaginazione, o semplicemente l’uso dei sensi e delle mani» spiega Darwin in L’origine dell’uomo. Le prove sembravano essere tutte a suo favore. Gli scrittori, gli artisti e gli scienziati più importanti erano quasi tutti uomini. Darwin presupponeva quindi che questa disuguaglianza fosse il riflesso di un dato biologico. In sintesi, la sua argomentazione è: fondamentalmente, l’uomo è diventato superiore alla donna.

    A questo punto, la lettura diventa sorprendente. Darwin scrive che se le donne sono riuscite, in qualche modo, a sviluppare delle qualità notevoli come quelle degli uomini, potrebbe essere dovuto al fatto che i bambini nell’utero ereditano le caratteristiche di entrambi i genitori. Le donne, grazie a questo processo, riescono a rubare alcune delle migliori caratteristiche dei loro padri. «È, infatti, una fortuna che la legge dell’eguale trasmissione dei caratteri a entrambi i sessi abbia prevalso in tutta la classe dei mammiferi; altrimenti, è probabile che l’uomo sarebbe diventato, in termini di dotazione mentale, superiore alla donna, proprio come il pavone maschio ha un piumaggio molto più bello di quello della femmina.» È solo un colpo di fortuna biologica, egli sottintende, che ha impedito alle donne di essere ancora più inferiori agli uomini di quanto già non siano. Cercare di recuperare è una scommessa persa – una lotta contro natura.

    Per essere onesti con Darwin, bisogna riconoscere che era un uomo del suo tempo. La sua visione tradizionale del ruolo della donna nella società non è veicolata solo dai suoi lavori scientifici, ma è espressa anche nelle pubblicazioni di molti altri importanti biologi dell’epoca. Le sue idee sull’evoluzione possono essere state rivoluzionarie, ma i suoi atteggiamenti verso le donne erano saldamente vittoriani.

    Possiamo intuire cosa ha provato Caroline Kennard leggendo le osservazioni di Darwin dalla lunga e irruenta risposta che gli ha inviato. La sua seconda lettera non è neanche lontanamente curata come la prima. Sostiene che, lungi dall’essere legate solo alla casa, le donne contribuiscono alla società tanto quanto gli uomini. Dopotutto, solo nei circoli più ricchi della classe media le donne non avevano l’abitudine di lavorare. Per molti vittoriani, il reddito delle donne era indispensabile per tenere a galla la famiglia. La differenza tra uomini e donne non era nella quantità di lavoro che svolgevano, ma nel tipo di lavoro che erano autorizzati a fare. Nel XIX secolo, le donne erano escluse dalla maggior parte delle professioni, oltre che dalla politica e dall’istruzione superiore.

    Di conseguenza, quando lavoravano, generalmente si trattava di attività a bassa retribuzione come faccende domestiche, lavori di lavanderia, nelle industrie tessili e nelle fabbriche. «Quale dei due partner è il capofamiglia» scrive Mrs Kennard, «quando il marito lavora per un certo numero di ore a settimana e consegna una misera parte dei suoi guadagni… a sua moglie, la quale, dalla mattina alla sera, e a costo di qualsiasi sacrificio, risparmiando ogni centesimo per i suoi cari si ammazza di fatica per guadagnarli?»

    La donna termina la lettera con un’osservazione furiosa: «Per favore, fate prima in modo che l’ambiente delle donne sia simile a quello degli uomini e che abbiano le stesse opportunità, e poi potrete giudicare con equità se sono inferiori all’uomo dal punto di vista intellettivo».

    Non so cosa abbia fatto Darwin della risposta di Mrs Kennard. Negli archivi della biblioteca non ci sono altre loro lettere.

    Quello che sappiamo è che Kennard aveva ragione – le idee scientifiche di Darwin rispecchiavano le convinzioni della società in quel momento, e coloravano il suo giudizio su ciò che le donne erano capaci di fare. Il suo atteggiamento apparteneva a un pensiero scientifico le cui origini risalgono almeno all’Illuminismo, quando la diffusione della ragione e del razionalismo, attraverso l’Europa, aveva cambiato il modo in cui le persone consideravano la mente e il corpo umano. «La scienza è stata considerata lo strumento privilegiato per conoscere la natura» mi spiega Londa Schiebinger. Le donne venivano descritte come appartenenti alla sfera privata della casa, mentre gli uomini appartenevano a quella pubblica. Il compito delle madri era quello di allevare ed educare i nuovi cittadini.

    Verso la metà del XIX secolo, quando Darwin conduceva le sue ricerche, l’immagine della donna come un essere più debole e più semplice dal punto di vista intellettivo era piuttosto diffusa. La società si aspettava che le mogli fossero virtuose, passive e sottomesse ai loro mariti. Era un ideale illustrato da una poesia popolare a quei tempi, The Angel in the House del poeta britannico Coventry Patmore: «L’uomo deve essere accontentato; ma renderlo contento / è la contentezza della donna». Molti ritenevano che le donne fossero inadatte per natura a dedicarsi a una carriera professionale. Non avevano bisogno di una vita pubblica. Non era necessario che votassero.

    Quando questi pregiudizi hanno incontrato la biologia dell’evoluzione, il risultato ha dato origine a un mix particolarmente tossico, che avvelenerà la ricerca scientifica per decenni. Scienziati di spicco, esattamente come Darwin, non hanno nascosto la loro convinzione che le donne rappresentassero la metà inferiore dell’umanità.

    In effetti, oggi è difficile leggere ciò che famosi pensatori vittoriani hanno scritto sulle donne e non rimanere scioccati. In un articolo pubblicato su Popular Science Monthly del 1887, il biologo dell’evoluzione George Romanes, amico di Darwin, elogia, con una certa sufficienza, le qualità nobili e amabili delle donne, tra cui bellezza, tatto, allegria, devozione, buon senso. Insiste anche, come Darwin, che le donne non potranno mai sperare di raggiungere le stesse vette intellettive degli uomini, per quanto ci provino: «Dal suo costante senso di debolezza e dalla dipendenza che ne consegue, emerge, nella donna, anche quel desiderio profondamente radicato di compiacere il sesso opposto che, iniziato sotto forma di terrore di una schiava, finisce come devozione di una moglie».

    Nel frattempo, nel famoso libro The Evolution of Sex del 1889, il biologo scozzese Patrick Geddes e il naturalista John Arthur Thomson sostengono che la donna e l’uomo sono tanto diversi l’una dall’altro quanto lo sono gli ovuli passivi e lo sperma vitale. «Le differenze possono essere evidenti o esigue, ma per cancellarle sarebbe necessario far ripartire l’evoluzione su una nuova base. Ciò che è stato deciso tra i protozoi preistorici non può essere annullato da un atto del Parlamento» affermano, rivolgendosi evidentemente alle donne che stavano lottando per ottenere il diritto al voto. L’argomentazione di Geddes e Thomson, esposta in oltre trecento pagine, e che include tabelle e tratteggi di animali, delinea la loro visione della donna come complementare all’uomo – lei casalinga e lui capofamiglia che porta a casa il pane – ma, certamente, non in grado di raggiungere il suo stesso livello.

    Un altro esempio è rappresentato dal cugino di Darwin, Francis Galton, ricordato come il padre dell’eugenetica e per la sua dedizione nella misurazione delle differenze fisiche tra le persone. Tra i suoi progetti più stravaganti c’era una mappa della bellezza della Gran Bretagna, che aveva realizzato verso la fine del XIX secolo osservando di nascosto le donne in varie regioni e stilando una classifica dalle più brutte alle più attraenti. Brandendo righelli e microscopi, uomini come Galton hanno reso il sessismo incontestabile. Operando misurazioni e standardizzazioni, hanno rivestito con l’apparenza della rispettabilità scientifica quelle che altrimenti sarebbero state considerate imprese ridicole.

    Affrontare questo establishment scientifico composto solo da uomini non è stato facile. Ma per le donne del XIX secolo – donne come Caroline Kennard – la posta in gioco era altissima. Combattevano per i loro diritti fondamentali. Non erano nemmeno considerate cittadine a pieno titolo. Fu solo nel 1882 che, nel Regno Unito, alle donne sposate fu concesso di possedere e controllare beni immobili. E, nel 1887, solo due terzi degli stati americani consentivano a una donna sposata di tenere per sé i propri guadagni.

    Kennard e altri membri del movimento femminile compresero che il dibattito sull’inferiorità delle donne poteva essere vinto solo a livello intellettuale. Come facevano i biologi maschi che le attaccavano, dovevano servirsi della scienza per difendersi. La scrittrice inglese Mary Wollstonecraft, vissuta un secolo prima, esortava le donne a istruirsi: «… finché le donne non riceveranno un’educazione più razionale, il progresso delle virtù umane e il miglioramento della conoscenza subiranno continui arresti» ha scritto in Sui diritti delle donne nel 1792. Le più importanti suffragette vittoriane utilizzarono argomenti simili, usando l’istruzione che erano riuscite a ottenere per mettere in discussione ciò che veniva scritto sulle donne.

    La nuova e controversa scienza della biologia evolutiva divenne un obiettivo specifico. Antoinette Brown Blackwell, che si ritiene sia stata la prima donna a essere ordinata ministro della Chiesa protestante negli Stati Uniti, obiettava che Darwin avesse trascurato le questioni legate al genere e al sesso. Nel frattempo, la scrittrice statunitense Charlotte Perkins Gilman, autrice del racconto femminista La carta da parati gialla, capovolse il concetto di darwinismo per sostenere la causa delle riforme. Riteneva che metà della razza umana fosse stata mantenuta a un livello inferiore di evoluzione rispetto all’altra metà. Grazie alla parità, le donne avrebbero finalmente avuto la possibilità di dimostrarsi all’altezza degli uomini. Era in anticipo rispetto ai suoi tempi da molti punti di vista: metteva in discussione lo stereotipo relativo alla divisione per genere dei giocattoli, e aveva previsto che un numero sempre maggiore di donne avrebbe lavorato e avrebbe cambiato la società del futuro. Ma ci fu anche una pensatrice vittoriana che sfidò Darwin sul suo stesso terreno e scrisse un libro, appassionato e persuasivo, che, fondandosi su evidenze scientifiche, sosteneva che le donne non sono inferiori agli uomini.

    MI SEMBRA CHIARO CHE LA STORIA DELLA VITA SULLA TERRA PRESENTI UNA CATENA ININTERROTTA DI PROVE CHE DIMOSTRANO L’IMPORTANZA DELLA DONNA

    Le idee non convenzionali possono provenire da ogni luogo, anche da quelli più convenzionali.

    La città di Concord, nel Michigan, è proprio uno di questi. Con poco più di tremila abitanti, è un angolo di America con una popolazione quasi completamente bianca. L’attrazione più importante della zona è una casa ben conservata, risalente all’epoca successiva alla guerra civile, rivestita da assi di legno chiaro. Nel 1894, non molto tempo dopo la costruzione di questa casa, un’insegnante di mezza età, proprio qui a Concord, pubblicò alcune delle idee più radicali della sua epoca. Il suo nome era Eliza Burt Gamble.

    Non sappiamo molto della vita personale di Gamble, tranne che non aveva avuto altra scelta che essere indipendente. Aveva perso il padre a soli due anni e la madre quando ne aveva sedici. Rimasta senza alcun sostegno, si guadagnava da vivere insegnando nelle scuole locali. Secondo alcuni racconti, nella sua carriera raggiunse traguardi impressionanti. Si sposò ed ebbe tre figli, due dei quali morirono prima della fine del secolo. La vita di Gamble avrebbe potuto essere già tracciata, come accadeva per la maggior parte delle donne della classe media del tempo. Avrebbe potuto diventare una casalinga tranquilla e sottomessa, come quelle celebrate da Coventry Patmore. Invece, si unì al movimento delle suffragette, che raccoglieva un numero sempre maggiore di partecipanti, per lottare per la parità di diritti delle donne, e divenne una dei più importanti esponenti della sua regione. Nel 1876 organizzò la prima conferenza sul suffragio femminile nel

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