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Il prezzo del segreto: Harmony Destiny
Il prezzo del segreto: Harmony Destiny
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E-book180 pagine2 ore

Il prezzo del segreto: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Segreti e vendette tra le vigne 1/3

Quando Tamsyn Masters scopre che Ellen - la madre ritenuta morta - è invece viva, decide che è arrivato il momento di pretendere qualche chiarimento. Durante la ricerca della donna incontra Finn Gallagher, affascinante milionario disposto a tutto pur di proteggere Ellen da quella che reputa una minaccia: la ricomparsa di una figlia perduta. Fra Tamsyn e Finn ha così inizio una spirale di menzogne e passione.

Quando la situazione precipita e il tempo a loro disposizione sta per scadere, le bugie vengono a galla e Finn dovrà scegliere fra Tamsyn e la verità. Non potrà averle entrambe...
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2018
ISBN9788858977255
Il prezzo del segreto: Harmony Destiny
Autore

Yvonne Lindsay

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il prezzo del segreto - Yvonne Lindsay

    successivo.

    1

    «Cosa vuol dire che te ne vai? Mancano quattro settimane e mezzo a Natale! Siamo così presi con ospiti ed eventi che non riusciamo neanche a muoverci. Ascolta, parliamone. Se non sei felice, possiamo aggiustare le cose. Ti troviamo qualcos'altro da fare.»

    Tamsyn sospirò. Trovarmi qualcos'altro da fare. Certo, come se questo potesse aiutarla in quel momento! Non poteva biasimare Ethan: il fratello voleva solo aiutarla, come aveva fatto per tutta la vita. Ma la situazione ormai andava oltre la sua portata. Per questo doveva andarsene.

    Era da un po' che pensava di prendersi una vacanza. Lavorare alla tenuta Masters, che oltre a essere la casa di famiglia era un'azienda vinicola e un resort di lusso alla periferia di Adelaide, non la appagava da molto tempo, ormai. Si sentiva irrequieta, come se quello non fosse più il suo posto... al lavoro, a casa, in famiglia, persino nel fidanzamento.

    La débâcle della sera prima non aveva fatto altro che dimostrare quanto avesse ragione.

    «Ethan, ora non posso parlare. Sono in Nuova Zelanda.»

    «In Nuova Zelanda? Pensavo che fossi rimasta da Trent qui ad Adelaide, ieri sera.» L'incredulità del fratello le giunse chiara attraverso il vivavoce della macchina a noleggio.

    Tamsyn contò fino a dieci, lentamente, prima di rispondergli. «Ho rotto il fidanzamento.»

    Ci fu un breve silenzio. «Tu cosa?» Sembrava quasi che Ethan temesse di non aver sentito bene.

    «È una lunga storia.» Deglutì per ricacciare indietro il dolore che ormai si era trasformato in una morsa nel petto.

    «Le orecchie ce le ho.»

    «Non adesso, Ethan. Io non... non posso.» La sua voce si ruppe e le lacrime scesero incontrollabili sulle guance.

    «Io lo ammazzo» grugnì il fratello, protettivo come sempre, dall'altra parte del mare della Tasmania.

    «Non farlo. Non ne vale la pena.»

    Ethan sospirò e lei percepì la preoccupazione e la frustrazione in quell'unico suono. «Quando torni?»

    «Non... non lo so. Al momento è un po' tutto per aria.» Probabilmente non era l'occasione migliore per comunicargli che aveva comprato un biglietto di sola andata.

    «Be', perlomeno il tuo assistente è in grado di sostituirti. Zac è aggiornato su tutto?» Anche se sapeva che il fratello non poteva vederla, Tamsyn scosse la testa e si morsicò il labbro. «Tam?»

    «Ehm... no. L'ho licenziato.»

    «Tu co...?» Ethan si bloccò di colpo quando fece due più due, giungendo al proverbiale quattro come risultato. Nonostante ciò, non riuscì a eliminare l'incredulità dal proprio tono. «Zac e Trent?»

    «Già» confermò, la gola serrata su quell'unica sillaba.

    «Stai bene? Ti raggiungo, dimmi solo dove sei.»

    «No, non è il caso. Starò bene tra un po'. Ho solo bisogno...» Inspirò. Non riusciva nemmeno a trovare le parole per spiegare ciò di cui aveva davvero bisogno. Poteva dirgli solo qualcosa che avrebbe capito. «Ho solo bisogno di stare un po' da sola, di spazio per riflettere. Mi dispiace andarmene così. È tutto sul mio computer, conosci la password, e le prenotazioni sono riportate anche sul calendario alla parete. In ogni caso, resto raggiungibile per telefono.»

    «Possiamo cavarcela, non ti preoccupare.»

    La convinzione del fratello maggiore non era confortante quanto lo sarebbe stato un suo abbraccio, ma per il momento avrebbe dovuto farsela bastare. «Grazie, Ethan.»

    «Nessun problema. Tam, chi si prenderà cura di te?»

    «Lo farò io» rispose decisa.

    «Penso davvero che dovresti tornare a casa.»

    «No, so quello che faccio. È importante per me, ora più che mai.» Questo però doveva dirglielo, anche se sapeva che non avrebbe apprezzato. «Ho intenzione di trovarla, Ethan.»

    Silenzio, poi un altro sospiro. «Sei sicura che sia il momento giusto per andare a cercare nostra madre?»

    Erano passati alcuni mesi, ormai, ma lo shock della scoperta che la madre – che da anni e anni credevano morta – era invece viva e vegeta in Nuova Zelanda le riverberava ancora nella mente, praticamente ogni minuto di ogni giorno.

    Scoprire dopo la sua morte che il padre aveva mentito loro per tutto quel tempo era una cosa; apprendere che il resto della famiglia gli aveva retto il gioco in quella menzogna era un'altra. Rendersi conto, poi, che la madre aveva scelto di abbandonarli, di non cercare nemmeno di mettersi in contatto con loro... be', quello aveva suscitato talmente tante domande che Tamsyn aveva cominciato a mettere in dubbio persino se stessa.

    «Non riesco a immaginare un momento migliore, e tu?»

    «Io, invece sì. Sei ferita, sei vulnerabile. Non voglio che tu debba patire un'altra delusione. Torna a casa, lascia che assuma un investigatore in modo da sapere cosa ci aspetta.»

    Riusciva a immaginarsi il fratello, la fronte corrugata, le labbra strette a dimostrare la sua preoccupazione. «Voglio farlo da sola. Ne ho bisogno. Ascolta, non sono lontana da quell'indirizzo che mi hai dato un paio di mesi fa. Sarà meglio che vada» fece per concludere.

    «Hai intenzione di bussare alla sua porta senza alcun preavviso?»

    «Perché no?»

    «Tam, ragiona. Non puoi presentarti da una persona e annunciare semplicemente che sei la figlia perduta da tempo.»

    «Solo che non sono perduta, no? Sapeva benissimo dove eravamo, tutti quanti. È lei che se n'è andata e non è più tornata.»

    Non riuscì a celare il dolore nella propria voce. Un dolore che aveva fatto a pugni con il risentimento e con la collera e con così tante altre domande senza risposta che Tamsyn era riuscita a malapena a dormire una notte tranquilla da quando aveva saputo che la madre era ancora viva. Che la donna di cui aveva fantasticato, una madre che l'aveva amata e che non l'avrebbe mai abbandonata, in realtà non era mai esistita. Aveva così tante domande e si era convinta di essere abbastanza forte da affrontare le risposte. Ne aveva bisogno per poter voltare pagina, perché tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento era fondato su bugie e invenzioni. Il tradimento di Trent era stato l'ultima goccia. Non sapeva più chi fosse, ma era pronta a scoprirlo.

    La voce di Ethan irruppe nei suoi pensieri. «Fammi un favore: trova un motel o un posto qualsiasi e dormici su prima di fare qualcosa di cui potresti pentirti. Possiamo riparlarne domani mattina.»

    «Ti farò sapere com'è andata» replicò Tamsyn ignorando la richiesta del fratello. «Ti chiamo tra qualche giorno.»

    Terminò la telefonata prima che Ethan potesse aggiungere altro e ascoltò attentamente la voce metallica del GPS che la informava che avrebbe dovuto svoltare di lì a cinquecento metri. Ebbe una morsa allo stomaco. Doveva farlo. Per quanto fosse irrazionale ed estraneo al suo carattere, lei che pianificava tutto fino all'ultimo dettaglio, aveva bisogno di farlo.

    Rallentando, svoltò e varcò l'imponente ingresso che immetteva in un lungo viale. Arrestò l'auto e chiuse gli occhi per un istante. Era arrivato il momento: presto si sarebbe ritrovata faccia a faccia con la madre che non vedeva da quando aveva tre anni. Rabbrividì.

    Preso un profondo respiro, riprese ad avanzare sulla strada fiancheggiata da vigne rigogliose. Il fatto che si potesse già intravvedere la prima uva, nonostante fosse solo la fine di novembre, preannunciava una vendemmia eccezionale.

    Seguì la via che si inerpicava su per la collina finché, dopo un tornante particolarmente stretto, si ritrovò davanti alla casa, una grande costruzione di due piani, fatta di pietra e legno di cedro, che dominava la sommità. Serrò le labbra: evidentemente non era stata la mancanza di soldi a tenere lontano la madre, rifletté. Era così che Ellen Masters aveva usato il denaro che il marito le aveva mandato negli ultimi venti e passa anni?

    Tamsyn usò quella rabbia come sprone per scendere dall'auto e arrivare alla porta. Ora o mai più. Prendendo un altro profondo respiro, sollevò il batacchio di ferro battuto e lo lasciò ricadere con un colpo sonoro. Dopo pochi istanti sentì dei passi all'interno, e i nodi allo stomaco stritolarono ciò che restava della sua determinazione.

    Che cosa diavolo ci faceva lì?

    Finn Gallagher aprì la porta e dovette costringersi a non indietreggiare. Riconobbe la donna che aveva davanti con certezza assoluta: era la figlia di Ellen.

    Quindi la principessina finalmente aveva deciso di far visita alla madre. Troppo tardi, a suo parere. Decisamente troppo tardi.

    Le fotografie che aveva osservato, nel corso degli anni, non le rendevano giustizia, e aveva l'impressione di non vederla al meglio, in quel frangente.

    Il suo sguardo acuto colse subito i lunghi capelli castani scompigliati, e le ombre scure che le cerchiavano i grandi occhi marroni in un viso che sembrava di porcellana. Quegli occhi erano così simili a quelli della madre... La donna che, insieme al compagno Lorenzo, gli aveva fatto da madre quando la sua famiglia si era disintegrata.

    Aveva gli abiti stropicciati, che comunque mettevano in risalto un corpo perfetto. La gonna le accarezzava i fianchi per scendere poi lungo le gambe snelle a fermarsi appena sopra le ginocchia, non abbastanza lunga da essere obsoleta e non abbastanza corta da essere inappropriata.

    Tutto l'insieme rifletteva appieno l'ambiente privilegiato in cui era cresciuta. Finn aveva delle difficoltà a non provare risentimento, conoscendo le privazioni che aveva dovuto patire la madre che aveva lottato con le unghie e con i denti per costruirsi una vita dignitosa. Evidentemente la famiglia Masters badava ai propri membri, tuttavia non a quelli che si allontanavano dall'ovile, a quelli che non si adattavano alle regole.

    Riportò l'attenzione sul suo viso e notò che le labbra tremarono lievemente prima di piegarsi in un sorriso nervoso.

    «Buongiorno. Mi chiedevo se... è qui che vive Ellen Masters» esordì.

    La voce era tremula, come se avesse la gola chiusa; nella luce del tardo pomeriggio, notò anche i segni evidenti lasciati dalle lacrime sulle guance. Finn si sentì fremere dalla curiosità, ma la tenne a freno. «E lei è...?» domandò, pur conoscendo già la risposta.

    «Oh, mi scusi.» Gli porse la mano. «Sono Tamsyn Masters. Sto cercando mia madre, Ellen.»

    Finn le strinse la mano, notando immediatamente la freschezza della pelle, la fragilità delle dita quando le avvolse nelle proprie. Stroncò sul nascere l'istinto di protezione; c'era qualcosa che non andava nel mondo di Tamsyn Masters, ma non era un suo problema.

    Il suo problema era tenerla lontana da Ellen.

    2

    «Non c'è nessuna Ellen Masters, qui» rispose mentre le lasciava la mano. «Sua madre la stava aspettando?»

    Lei ebbe il buon gusto di arrossire. «No. Speravo di farle... ehm, una sorpresa.»

    Una sorpresa? Non le era passato per la mente di chiedersi se la madre avrebbe voluto, o potuto incontrarla? Tipico di quelli del suo genere, rifletté con rabbia. Ragazzi viziati cresciuti nella bambagia convinti che il mondo giri intorno a loro. Lo conosceva bene, quel genere, sfortunatamente fin troppo: il genere che si aspetta sempre di più, a prescindere da quanto uno possa dare. Gente come Briana, la sua ex: bella, all'apparenza compassionevole, cresciuta in un ambiente ricco di possibilità ma, alla fredda luce del giorno, niente più di un'avara egoista.

    «È sicura di avere l'indirizzo corretto?» domandò dopo qualche istante, celando la propria collera.

    «Be', pensavo...» Dalla borsa recuperò un foglio stropicciato dove aveva scritto l'indirizzo. «È questo, no? Sono nel posto giusto?»

    «Questo è il mio indirizzo, però Ellen Masters non vive qui. Mi dispiace, a quanto pare ha fatto un viaggio a vuoto.»

    La vide crollare davanti a lui, ogni particella del corpo che perdeva vitalità. Gli occhi si velarono di lacrime e un'espressione disperata le congelò i lineamenti delicati in una maschera di tristezza.

    Finn provò di nuovo la tentazione di proteggerla, insieme al desiderio di dirle dell'ingresso nascosto che aveva superato lungo il viale per arrivare alla villa, quello che conduceva al cottage dove Ellen e Lorenzo avevano vissuto negli ultimi venticinque anni, tuttavia li ignorò.

    Sapeva che Tamsyn Masters era adulta, legalmente, da dieci anni. Che cosa l'aveva spinta a cercare Ellen? E più importante ancora, perché non l'aveva cercata prima, quando avrebbe potuto fare la differenza?

    «Io... oh, be', mi spiace averla disturbata. Evidentemente mi sono state fornite delle informazioni sbagliate.»

    Infilò di nuovo le mani nella borsa, questa volta per estrarne un paio di occhiali da sole che infilò senza troppa grazia, per nascondere alla vista lo sguardo tormentato. Mentre lo faceva, Finn colse la banda bianca che aveva sull'anulare della mano sinistra. Un anno prima aveva letto che si era fidanzata... che il fidanzamento fosse finito di recente? Per questo era venuta in cerca della madre?

    Qualunque cosa fosse, non erano affari suoi.

    «Nessun disturbo» rispose prima di restare a guardarla tornare alla macchina e fare dietro front. Non appena fu ripartita, senza perdere un solo secondo prese il cellulare e compose il numero che conosceva a memoria. Scattò direttamente la segreteria e lui si lasciò sfuggire un'imprecazione a denti stretti. «Lorenzo, chiamami» disse alla voce automatica che gli chiedeva

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