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Il Paradiso Galleggia Molto Basso in Questi Giorni
Il Paradiso Galleggia Molto Basso in Questi Giorni
Il Paradiso Galleggia Molto Basso in Questi Giorni
E-book190 pagine3 ore

Il Paradiso Galleggia Molto Basso in Questi Giorni

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Info su questo ebook

Esplora il labirinto della natura umana, lo spirito di avventura, le profondita' dell'Amore, la confusione, il permanente legame tra la vita e la morte in questi 15 emozionanti racconti brevi:
Un Uomo, Una lucida analisi, Il diavolo delle cose buone, Il ritorno dalla montagna Fuji, Un mattino morale, Meglio che un gatto, Il trauma, Il Paradiso galleggia molto basso in questi giorni, Memoria immense, Galoppo freddo, L'Embrione, ...E qualcosa di piu', La scoperta dell'isola Rezoon, Il Palazzo della Fame, Non sono un sopravvissuto.

BUONA LETTURA!
LinguaItaliano
Data di uscita26 mar 2015
ISBN9786050368000
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    Anteprima del libro

    Il Paradiso Galleggia Molto Basso in Questi Giorni - Simona Dancila

    Simona Dancila

    IL PARADISO GALLEGGIA MOLTO BASSO IN QUESTI GIORNI

    UUID: ad823da2-d318-11e4-86fa-1ba58673771c

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    UN UOMO

    Nello specchio sono severa, luciferica, la luce blu dietro di me ed i limoni gialli che sono nel vassoio hanno qualcosa di cosmico. I capelli ben raccolti permettono agli occhi di perforare. I grandi orecchini di vetro viola contengono la cucina in miniatura, la cucina che amo tanto con struttura esagonale e con piastrelle color pesca. Chi diavolo si trucca in cucina come me?!

    Sono troppo elegante per una maestra, troppo chiusa in questa levigata immagine. Si può notare che sono stata allevata dalle suore… Devo innamorarmi; strano che questa idea mi venga a quaranta anni, non perché le suore mi hanno allevato in un sottosviluppo carnale, ma perché questa mattina è cosi profonda che voglio nuotare ed uscire alla superficie, al di sopra del vapore del caffè, più in alto del profumo dei giacinti del rotondo vaso nero, più in alto del mio stesso profumo ... ed improvvisamente ho lunghi pensieri. Lunghi nel passato e nel futuro come quelle alghe che sentono se l’acqua è fredda o calda... e vogliono l’acqua calda, cercano le correnti calde.

    Devo innamorarmi! Lo dice il rossetto bruciando sulle labbra e le pareti dell’entrata dipinte con farfalle e le scarpe grigie con fiocco color viola. E la borsetta che mai dimentico in nessun posto. Il soprabito fa la mia linea perfetta ma anche mi fa apparire un po più vecchia, le mie mani sembrano di cera, le infilo nelle tasche e tocco il fazzoletto ricamato, fuori di moda.

    Devo innamorarmi- questo e il pensiero che mi aiuta ad uscire fuori dalla porta. Del primo uomo disponibile. Lo giuro! Lo giuro in quel modo idiota e complicato insegnatomi dalle suore, che fa espandere il giuramento per tutto il corpo come un veleno. Giuro che lo venererò! Che Dio mi protegga, non so da dove mi vengono queste stupidità. Vado fuori dal palazzo con la testa china, guardando avidamente l’asfalto. Posso vedere le mie calze disegnate, calze con vene, così belle, e vedo piedi di uomini che non voglio guardare in faccia. Giuro di venerarlo...

    Come mi hanno deformato la mente queste suore! Sono sicura che durante la notte, nel più stretto segreto erano delle sfrenate, ed ogni cosa che facevano con grande pietà e tutta la loro solenne attitudine ed i gesti impregnati di devozione e di sorrisi da Madonna ed il lucidare dei candelabri, tutti, tutti erano destinati soltanto alla gioia personale. E gli oggetti sacri, oh, non voglio nemmeno pensarci! E gli oggetti laici da cui ricavavano oggetti sacri, tutto cosi pesante, e l’aria piena di visioni...

    Il mio rapporto con Ermenegildo appariva in tutto il suo orrore: non c’era un rapporto ma una catena di fantasie dalla quale io immaginavo fosse legato, ma realisticamente parlando era completamente libero e indipendente: un uomo interessato solamente al suo ufficio, al castello cartaceo che costruiva e demoliva continuamente, la zuppa delle due ed il caffè delle nove. Per tirarlo fuori da questa indolenza dovrei essere sensazionale, ma non sono sensazionale. La mia mediocrità si estende sino a trascorrere i pomeriggi in vestaglia, sotto il fico mangiando dolci. Ecco perché ho bisogno finalmente di innamorarmi anche se fosse Ermenegildo. Comunque sia.

    Mi fermo in un piccolo portico e prendo il telefonino, anche se so che detesta essere disturbato a quest’ora. Lo immagino elegante e cupo studiando un dossier con la penna in mano e mi auto-affascino.

    - Lo so che ti disturbo ma ho dei problemi.

    - Non mi disturbi ma sai che ho lavoro sino alla testa. Che problemi hai?

    - Il marito...

    - Quale marito, sapevo che non eri sposata, che diamine, è tutto sottosopra oggi?!

    - Beh, sono sposata ed ho un orribile marito che mi dà problemi. Devo divorziare senza alcun ritardo ed ho pensato che tu, come avvocato, mi puoi aiutare.

    - Si, certo si, posso ma non sapevo...

    - È un bruto, Ermenegildo, credimi, non lo posso più sopportare!

    - Incredibile, al di là di ogni immaginazione, perché non me lo hai detto prima? Perché mi hai mentito?

    - Perché... - e piagniugolando solo per impressionarlo, ho chiuso il telefono.

    Ero stata sensazionale senza alcun dubbio e questo ha tirato fuori Ermenegildo dalla sua indolenza, ma rischiavo di perderlo per sempre, e non è facile perdere un avvocato che odora sempre da raffinato intellettuale, che guida con noncurante distacco, come un grande attore che non può essere preso in giro da donnette... E perché no!? Lascia che pensi che sono la donna più perversa del mondo e non solo una insipida maestra. Sento una vera voluttà quando penso ad un marito puzzolente e svergognato che posso portare di fronte all’onorevole signore che è Ermenegildo. Da questo antagonismo eruppero così tante emozioni che mi fermo e compro un gelato. Galleggio in un aroma di vaniglia di fronte ad una vetrina piena di fiori, come una jungla condensata, ma non è proprio questa la felicità. Non è questa la felicità. Mi compro ancora un gelato; non è questa la felicità…

    Vado dentro e mi compro delle orchidee. Non è questa la felicità! Alla fine il telefono squilla e non lascio cadere nulla. Ermenegildo si sforza di essere calmo e staccato.

    - Capisco che hai problemi, sei in una situazione veramente brutta ed è solo colpa tua! In ogni modo, vieni con lui questo pomeriggio nell’ufficio e lo forzerò a scrivere una dichiarazione. Cercherò di sistemare tutto.

    - Oggi, nel pomeriggio di oggi?- balbetto .

    - Si, nel pomeriggio di oggi, non hai detto che non ce la fai più? O puoi ancora farcela?

    Questo tipo di scherzi mi irrita molto; rispondo che andrò e dopo aver chiuso il telefonino comincio ad odorare con insistenza le orchidee. Camminavo e le odoravo come se fosse la mia sola cosa da fare, il mio solo problema. Finalmente le spingo nel sacchetto e mi guardo intorno avidamente. Dove trovare quel bruto di marito? In teoria esistono milioni di questi mariti, ma praticamente non se ne vede alcuno. In pratica tutti sembravano degli angeli e quando li trafiggevo con gli occhi cambiavano la direzione dello sguardo con imbarazzo e vergogna. La stazione ferroviaria! Sì, ho ricordato che la stazione ferroviaria è in fase di rinnovazione e che dei detenuti vi lavorano. Grazie a Dio ho ancora del cervello in testa! Vado a piedi per rafforzarmi, apparire forte, muscolosa, anche mascolina.

    Adesso non rifiuterei di bere una birra, ma sono troppo elegante per una cosa simile, maledetto stigma del monachesimo precoce che ha lasciato la sua impronta su di me. Il vestito nero e il soprabito leggero color d’oro, mi facevano sudare.

    Si stava facendo caldo sotto le nuvole madreperlacee dove stava fermentando la primavera lattiginosa. Passavo attraverso veli aerei che mi gonfiavano i capelli e la sciarpa bollente e quando ho visto la mia faccia decisa riflessa in un parabrezza non mi sono riconosciuta.

    La stazione ferroviaria era avvolta in nebbia e polvere. Le luci gialle conferivano un aria di epoca e guerra: cumuli di macerie si estendevano sino alla fumosa nebbia nella quale si sentivano battiti di martello e brevi e duri echi, provocati dalle ombre spezzate che stavano lavorando. I detenuti. i Jean-Valjean con figure infernali, di età non terrestre, con spalle di pietra. Tremavo, ma il coraggio non mi lasciò. Il marciapiede rullava portandomi sempre più vicina, tra loro, e si fermò bruscamente verso la fine del gruppo dove un gigante si rimboccava le maniche della camicia a scacchi. Avevano il permesso di indossare camicie a scacchi? Ma era davvero elegante, veramente abbronzato come un bagnino, davvero umano. Feci ancora un passo ma lui acchiappa un grosso martello e rompe il margine del marciapiede esattamente vicino alla mia scarpa grigia con fiocco viola, piuttosto impolverata ma ancora molto elegante come una mummia in uno spettacolo di varietà. Alzò ancora una volta il grande martello e pensai: se mi romperà le gambe sarò costretta a strisciare sino a casa e poi, per il resto della mia vita...

    -Vai indietro donna! Non vedi che stiamo lavorando?

    La voce, mio Dio, dove era la mia voce? Stavo cercando di tirarla fuori dalla pancia e non potevo. E quella stupida pietà dai suoi occhi come se io, Io e non lui, fossi la condannata ai lavori forzati e tutti i possibili Orrori.

    - Picchia, vai picchia! - ho detto esasperata tra i denti, ma mi sono ritratta proprio quando lui voleva spingermi di lato e perdendo l’equilibrio si appoggiò sulla colonna dove ero attaccata.

    -Avrei un lavoro per Lei…

    - Qualche cosa da fare? Solo se hai soldi da accordarti con il Servo. E se non hai paura di girare per la città con un...

    - No, non sono spaventata. Non sopravvalutarti. Cercherò di accordarmi con il guardiano.

    Portavo sempre con me una somma di denaro di scorta per ogni eventualità ed ho ottenuto per lui un permesso di libera uscita per qualche ora, e questo solo perché:

    - È un uomo che rispetta la propria parola, sei fortunata - questo è quanto mi disse il Servo.

    Quando uscimmo da quei cumuli di macerie prendo il suo braccio e subito sento la puzza e tutta la forza refrattaria del corpo privato di ogni sensibilità. Tanto meglio. Ermenegildo sarà veramente scioccato. E io sarò sensazionale!

    L’uomo mi guardava attentamente ed a un certo punto mi forza a fermarmi chiedendo:

    - Cosa devo fare?

    - Niente di complicato, soltanto pretendere che sei mio marito, un cattivo marito. Ti compenserò...

    - Sono affamato. - mi dice.

    - Beh, sì, mangiamo prima.

    Infatti era molto meglio così. Avevo un sacco di cibo che si rovinava nel frigorifero e poi non mi volevo presentare con un marito affamato, perché questo crea una cattiva impressione.

    Nella entrata con farfalle sulle pareti l’uomo provò a levarsi gli scarponi come chi entra in una fiaba, ma gli dico che non è necessario. Mio Dio, mi rendo conto che tutte le mie sedie sono piccole come sedie per bambole; scelgo la più robusta e faccio sedere al tavolo questo marito. Levo il soprabito, mi metto le pantofole e riscaldo tutto ciò che poteva essere riscaldato.

    Il detenuto ingurgita tutto senza differenze, ed a poco a poco si rilassa.

    - È tutto molto buono, grazie. Posso fare un bagno?

    Un bagno! Questo non è nei miei calcoli: lo voglio sporco. Mento che i rubinetti sono rotti, lui sa che mento ma non sa perché. O forse...

    - Almeno lavarmi le mani…

    Gli mostro il lavandino della cucina e la saponetta al profumo di fragola. Mentre si lava schiacciando la saponetta, chiamo Ermenegildo e gli dico che saremo lì in mezz’ora. Vorrei cambiarmi ma ho paura di lasciarlo solo.

    - Hai delle sigarette?

    - No! - mento io.

    Ho qualche pacchetto in una collezione ma sarebbe stato stupido darle a lui.

    - Almeno una?

    - No, non fumo.

    - Neanch’io fumo.

    Mi serve tempo per capire questo. Tempo ed aria che prendo a bocca aperta. Va verso la porta:

    - Andiamo a farlo, allora... Belle pareti, come in paradiso.

    Mi cambio le scarpe e la sciarpa ed andiamo. Nella strada prendo il suo braccio con lo stesso risultato negativo di prima.

    - Che cosa devo fare?

    - Dire che sei mio marito e che non vuoi divorziare, non accetti di dare alcun tipo di dichiarazione; devi essere più testardo che puoi.

    Non so perché ma le gambe mi diventano deboli. Lui se ne accorge e mi sostiene. No, questo non è il marito bestiale che mi serve; sono spaventata che possa far capire che sta solo facendo una parte.

    - Se tutto va bene ti do mille euro - gli dico con sicurezza.

    Lui tace, assente, e non capisco se la somma è troppo grande o piccola.

    Entriamo nell’ufficio arredato con insipidi quadri. Ermenegildo indossa un vestito con profondità ultramarine, nel quale appare molto alto e severo. Tiene la testa alzata e ci invita a sedere.

    - Capisco che tutti e due volete divorziare?

    - Questo è quanto la stupida puttana meriterebbe.

    Io e Ermenegildo teniamo i denti stretti in un modo civilizzato, ma sentii veramente che era stata toccata una corda che non sapevo esistesse dentro di me. Mi viene la voglia di toccarmi, di auto scoprirmi. Ermenegildo ha la forza di dire:

    - È molto semplice. Qui abbiamo un questionario da completare.

    L’uomo appallottola il foglio si carta nel pugno e lo lancia sul pavimento. Recita molto meglio che mi aspettassi, quasi lo ammiro.

    - Mi ha promesso che mi darà soldi e metà dell’appartamento, altrimenti non avrà nessun divorzio. Prima il documento per l’appartamento e il denaro. Ora!- urla lui minaccioso.

    Ermenegildo ha lo sguardo di un sorcio che cerca un buco nel muro. Sono quasi sicura che l’ho perso e nella mia brucente indignazione schiaffeggio una guancia del puzzolente, ma la palma non si attacca sulla guancia non rasata; prende la mia mano nel movimento sollevandomi e, con la faccia completamente scura, ringhia:

    - Andiamo a casa!

    Lo seguo, infatti non vedo l’ora di sbarazzarmi di questo disgraziato. Recita la sua maledetta parte anche nella strada, con irritante intensità. Dopo aver girato l’angolo fischio tra i denti:

    - Lasciami stare, vai al diavolo, ti darò i soldi ed è finita!

    Ma lui neanche mi guarda. Non posso credere che quanto gli dico non gli interessi e non mi presti alcuna attenzione. Andiamo dentro il palazzo, lo ricorda molto bene, andiamo sopra, prende le chiavi dalla mia borsetta e apre la porta, si piazza direttamente nella poltrona della sala da pranzo e mi guarda schifato. Schifato?! Non so perché non chiamo la Polizia.

    - Vuoi un caffè?- sento me stessa chiedere.

    - Si, con zucchero.

    Preparo il caffè e mi sento interessante. Metto dei pasticcini su un vassoio e metto un pacchetto di Pall Mall mentolate vicino, come una decorazione. Dio mio, scopro che sono umana. Una tonnellata di umanità è sepolta dentro di me. Vorrei piangere tanto mi ammiro. E lui, lui sta aggiustando la serratura della porta, al diavolo tutti e due! Quando mi vede si alza dalle ginocchia e mi mostra le mani.

    - Adesso posso fare un bagno?

    Non aspetta più una risposta, scompare e posso sentire l’acqua scorrere su di lui. Mi scrollo. Metto il vassoio nel piccolo tavolo della sala da pranzo e copro tutto con un tovagliolo. È impossibile che tutto questo stia succedendo. Vado fuori ed origlio alla porta del bagno. Sì, qualcuno è dentro e si sta lavando. Sentendo che sono alla porta mi grida allegramente:

    - Portami un accappatoio o qualcosa, se vuoi.

    Mi affretto verso il guardaroba. Perché non ci ho pensato prima? Perché non mi è venuto in mente? Quelle idiote di suore... il corpo dell’uomo... l’adorazione… poi qualcosa è scoppiata nella mia testa, un gioco di fuoco, una luna rotta in pezzi di vetri, un’inequazione!

    Lo so che la mia pelle esiste: qualcuno la solleva dal suolo come se fosse un fluido vestito, la allunga bene sul letto, poi il buio diventa più denso. Il presente va fuori da me. Dopo questo ho la fresca sensazione che sono affogata nella menta, nella menta bianca e forte, da su a giù e da giù a su ancora ed ancora sino a che i secondi si legano di nuovo in una linea resistente. Le verità colpiscono

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