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Il Re bello
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E-book197 pagine2 ore

Il Re bello

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"Il Re bello" di Aldo Palazzeschi. Pubblicato da Good Press. Good Press pubblica un grande numero di titoli, di ogni tipo e genere letterario. Dai classici della letteratura, alla saggistica, fino a libri più di nicchia o capolavori dimenticati (o ancora da scoprire) della letteratura mondiale. Vi proponiamo libri per tutti e per tutti i gusti. Ogni edizione di Good Press è adattata e formattata per migliorarne la fruibilità, facilitando la leggibilità su ogni tipo di dispositivo. Il nostro obiettivo è produrre eBook che siano facili da usare e accessibili a tutti in un formato digitale di alta qualità.
LinguaItaliano
EditoreGood Press
Data di uscita19 mag 2021
ISBN4064066069698
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    Il Re bello - Aldo Palazzeschi

    Aldo Palazzeschi

    Il Re bello

    Pubblicato da Good Press, 2022

    goodpress@okpublishing.info

    EAN 4064066069698

    Indice

    L'ANIMA

    L'INGEGNERE

    L'ANGELO

    TRE DIVERSI AMICI E TRE LIQUIDI DIVERSI

    PICCOLO GIOIELLO SENTIMENTALE

    PER UNA BELLA DONNA (COMMEMORAZIONE)

    LA BOMBA

    IL BORSAIOLO

    ALLA MORTE NON SI SFUGGE

    LE DUE FAMIGLIE

    IL MENDICANTE

    IL GOBBO

    LA VEGLIA

    INDUSTRIA

    — Sua Maestà la Regina attende.

    Il conte Ercole Pagano Silf, gran Maresciallo di Birònia, dette queste parole rimase fermo nel mezzo della sala, sotto l'immensa scintillante lumiera veneziana, considerando la persona del Re.

    Ludovico XII, Re di Birònia, alzatosi in piedi incominciò a camminare assalito da una palese agitazione, da un tremito nervoso. Andava e veniva davanti alla specchiera della consolle, acciuffandosi gli enormi baffi orizzontali, neri e ferrigni, fulminando sè stesso coi terribili occhi rotondi dilatati, inarcando le spalle, spingendo in avanti il petto robustissimo, aggiustandosi dipoi la giubba azzurra gallonata d'oro. — Come a vent'anni — pensava Ludovico XII — peggio assai che a vent'anni, io mi sento oggi più impaziente e imbarazzato di allora.

    — Tutto è pronto? — chiese il Re.

    — Tutto, Maestà.

    — Fu pensato a tutto?

    — A tutto.

    Voleva Ludovico XII domandare se già la preghiera nella cappella Reale fosse incominciata ma non osava, non intendeva palesare di ammettere soverchia importanza a quel fatto soprannaturale, e non avrebbe voluto dopo rimproverarsene il torto. Era convinto che Dio, lo avrebbe meglio esaudito direttamente che per mezzo del prelato di corte, ma siccome altra volta ciò non era accaduto voleva che la formalità fosse adempiuta.

    E il conte Ercole Pagano Silf, al quale nulla sfuggiva del pensiero del Sovrano, comprese.

    — Monsignore vicario già da mezz'ora è genuflesso dinanzi all'altare acceso, dall'alba di stamane le Orsoline alzano al cielo la loro invocazione, Monsignora Superiora delle Clarisse fece eseguire il digiuno di preparazione, e nella cattedrale fu adempiuto il triduo solenne, al grido di tutte le vergini e le madri di Birònia.

    — Andiamo — disse il Re interrompendolo bruscamente.

    Il gran Maresciallo aprì la porta e, passato il Sovrano, lo seguì a capo basso per il lungo e deserto corridoio della Reggia.

    Giunti ad una porta si fermò il Re, il gran Maresciallo l'aprì, entrò, e fattosi a un passo dalla soglia annunziò:

    — Sua Maestà il Re.

    Nel mezzo di quella camera tappezzata di seta azzurra a gigli d'argento, cadente di ampi ricchissimi cortinaggi, cordoni e galloni, sopra una chese longue, sorretta da innumerevoli cuscini la Regina Sofia Clementina di Birònia era distesa, cerea, quasi dormente. All'annunzio aprì gli occhi con quel terrore rassegnato ch'hanno i moribondi davanti al sacerdote che porge loro gli ultimi conforti per l'ignoto viaggio, e li richiuse quasi subito stancamente sopita.

    Il conte Ercole Pagano Silf si ritirò, chiuse cautamente la porta, restò un momento a capo basso, si dette a girellare su e giù per il corridoio, e fermandosi davanti ad una finestra e levando in alto la testa e le braccia parve volesse dire: — Signore, esaudiscilo!

    ***

    Ludovico XII Re di Birònia, Re assoluto, tipo straordinariamente forte di soldato, aveva da poco varcati i quarant'anni, e regnava da dodici sul trono di Birònia. Era adorato dal suo popolo che vedeva in lui degnamente e fedelmente rispecchiata secondo quella tradizione la grandezza, simbolica ormai, di Ludovico il Grande di Birònia che quattrocento anni prima aveva riunito il Regno, dichiaratane l'indipendenza, fissatane la costituzione.

    Quando Ludovico XII passava fra le turbe riverenti e si volgeva da destra a sinistra coi tremendi baffi orizzontali e gli occhi sgranati, terribile, lanciando sguardi da sgherro d'operetta, le folle protese a capo chino e scoperto se ne sentivano invase beatamente e possedute tutte.

    — Come gli è grande!

    — Come Lui — ognuno diceva e pensava. — I baffi, gli occhi, la persona tutta!

    — Come gli è Re!

    — Che garbo da Sovrano!

    — Quanta maestà!

    Sarebbero stati tutti ben volentieri ventiquattro ore digiuni per offrire a lui un pranzo di gala, e si sarebbero sentiti tutti pieni, e se taluno avesse toccato un filo d'erba solo in Birònia non un cittadino sarebbe rimasto indietro d'un passo al suo Re per difenderlo.

    Era il Regno della Birònia come una patriarcale famiglia.

    Vicino alla figura fortissima del Re eravi quella della Regina, pallida e sofferente da varii anni per una nevrosi cardiaca che le si andava aggravando ogni dì, e la faceva rimanere sempre colla bocca aperta come i pesci.

    Raramente essa poteva mostrarsi al popolo così malata com'era, ma quando nelle grandi solennità dello Stato vi era costretta e gli compariva boccheggiando e dolorosamente sopita, ognuno guardandola in espressione desolata e amorosa pareva supplicare: — Signore! Perchè, perchè non l'hai esaudita? Perchè l'hai voluta sì infelice?

    ***

    S'era poco a poco addensata una nube sul limpido cielo di quel Regno, una nube che pareva oscurare dalla fronte del Re quella dell'ultimo cittadino.

    E quando il Sovrano assorto nel pensiero divenuto fisso, dava un enorme pugno sulla tavola, quello che si chiamava in Birònia il pugno di Ludovico, e venivano a quel modo prese le decisioni supreme dello Stato, e il giudizio inappellabile del Re era pronunziato, non si poteva più dire ch'esso fosse divinamente puro, che un riflesso di quella nube ne turbava la serenità.

    Il conte Ercole Pagano Silf, gran Maresciallo di Birònia, era il regolatore di quel pugno, e faceva colla sua parola, collo sguardo, coi suoi mezzi tutti a che il braccio del Monarca si movesse il più possibile in tempo, ed era riuscito, l'eminente uomo di Stato, a farglielo tenere su alzato per tre quarti d'ora interi e a fargli dare il pugno proprio nel momento giusto.

    Quando Ludovico XII, allora Principe ereditario di Birònia, sposò la principessa Sofia Clementina Spifz Mai de Burgo Manèro, nove mesi in punto da quel giorno benedetto vide la luce la bella principessa Eufrasia ora diciottenne. Esultò il popolo all'avvento, e non molto tardò a nuovamente esultare quel popolo sapendo che un nuovo dono regale attendeva dall'augusta coppia e fu la principessa Angelica, alla quale seguì a breve distanza, quello delle principesse Giovanna Francesca, e Maria Carolina. E siccome era tradizione dei Ludovichi avere numerosa e fiera prole seguirono dipoi gli avventi delle principesse Olimpia, Zelinda, Zaira, Colomba.

    E fin qui nulla avrebbe turbato la pace del nostro Sovrano e del Regno tutto della Birònia se a tale punto, per la fatica dei parti troppo frequenti non ne fosse uscita turbata la salute della Regina Sofia Clementina, che venne assalita da una ancor lieve affezione di cuore per la quale i medici del regno e quelli chiamati dai regni limitrofi, si pronunziarono per un certo periodo di riposo dai doveri coniugali, e sopratutto a che Sua Maestà non avesse dovuto subire a breve scadenza le fatiche di una nuova gestazione e di un parto conseguente, per non dover gravemente risentirsene in salute.

    Attese fiducioso il Re di Birònia, e non appena l'augusta consorte parve guarita andò a lei con tutto il suo poderoso slancio e la più ardente speranza sicuro che quella sarebbe stata la sua ultima fatica e insieme il coronamento di tutte le altre.

    Non mentì il sangue Ludovico, la graziosa signora potè in breve fare annunziare a tutto il popolo suo che l'avvento troppo lungamente anelato era prossimo.

    Tutto fu alla Corte preparato colla sicurezza nel cuore, e primo il Re, dopo quasi due anni di tregua, dopo la malattia della Regina, certo sarebbe giunto quello ch'era aspettato in Birònia come il messia, l'erede, colui che doveva essere Ludovico XIII.

    Giunse il parto assai scabroso per la debolezza della Sovrana che fu dovuta sostenere con farmachi, e quando il Gran Maresciallo si presentò a darne annunzio al Re, che aspettava trepidante, comprese il Re da quello sguardo.

    — No! No! — gridò Sua Maestà — Vai via sai, brutto pagliaccio che non sei altro, via!

    E questa nuova principessa fu chiamata Geltrude.

    ***

    Da quel giorno si oscurò la pace del felice Stato.

    — Sangue Ludovico! — urlava ora spaventosamente il Monarca come un'invocazione una minaccia e una bestemmia.

    Le nove principesse erano state segregate all'ultimo piano della Reggia, e venivano condotte a prendere aria per i giardini nelle ore che il Re dava udienze, acciò egli, attratto a carezzarle per quel dolce istinto paterno che è in tutti gli uomini, non venisse assalito dal pensiero orribile, che lo turbava dì e notte, proprio nel momento che le piccole teste gli erano fra le mani e non si sentisse lanciato a stritolarne una senza potersi rendere responsabile del suo operato.

    Cadeva il Regno nelle mani dei Ludovichi Giulii, ramo bastardo dei Ludovichi, e che viveva fuori Regno. Senza dubbio essi avrebbero stretto alleanza cogli Sgòrpi, dominatori di quattro secoli prima, vinti e cacciati da Ludovico il grande con soli settantasette uomini. E sulla piazza dei Settantasette era il monumento equestre di Ludovico il Grande. La Birònia sarebbe divenuta un lacchè della Sgorpìa. Tutto finiva, la tradizione eroica, tutto cadeva, era la fine dei Ludovichi!

    E tutto perchè una donna, una pallida donna dannata non riusciva a dare alla luce che delle miserabili principesse. Quale gastigo! Era dunque maledetta? Che aveva in corpo costei? E quella che aveva adorata e stretta nelle estasi pure della giovinezza prese a odiare come il peggiore nemico. Per la sua mano, per la sventura che l'aveva segnata tutto cadeva, Birònia, dinastìa, Ludovichi, la pace, tutto! E sapeva che il popolo con lui ne soffriva quanto lui.

    Il conte Ercole Pagano Silf, aveva tentato di condurre il sovrano a riflettere, si sarebbe potuta ritoccare la costituzione ed ammettere la donna al regno. La bella principessa Eufrasia sarebbe stata una regina meravigliosa.

    — Mai! — urlava il Re. — Mai!

    Sotto il regno dei Ludovichi la femmina era stata amata solamente come tale, ma non le era stato concesso da nessuno dei dodici Re l'ombra di accesso nelle cure dello Stato. Furono le donne dei Ludovichi sagge ed ottime spose, e migliori madri; giunse taluna ad occuparsi colle proprie mani della cucina della Reggia, non più in là. Che direbbero gli occhi di Ludovico il Grande dalla Piazza dei Settantasette nel vedere un giorno una gonnella ai suoi piedi, sul suo trono, per la festa della costituzione?

    — Mai!

    Il buono e saggio Maresciallo aveva anche consigliato qualche strattagemma per salvare la situazione e il Regno dalla rovina, avrebbe potuto il Re segretamente giacersi con altra donna, fingere una nuova gestazione della Regina, operare sapientemente il baratto, come in mille altri casi del genere erasi usato.

    — Mai!

    E su questa faccenda il conte Ercole Pagano Silf non era mai riuscito ad attaccare un filo solo al braccio del Monarca e il pugno Ludovico era sempre caduto disperatamente senza pietà e fuori di tempo.

    Non c'era che una via, sottoporre la Regina ad un'ultima estrema prova e fu fatto. I medici, dopo avere preparata l'augusta donna al cimento, e avere cercato prima ogni mezzo per sollevarla e rinforzarla, si espressero che pure essendo assai pericoloso il farlo si poteva tentare, e fu l'avvento, il decimo, della principessa Genovieffa.

    E siccome Sua Maestà aveva resistito, pure soffrendo orribilmente, Ludovico XII con tutta la furia della sua disperazione la costrinse brutalmente ad un undicesimo fatto del genere che fu l'avvento della principessa Penelope, durante il quale la Regina fu dichiarata perduta.

    Nè si sa come riuscì dipoi a tenersi in vita, ma rimase in condizioni tali da non potersi più sollevare, e colla bocca sempre aperta come i pesci.

    ***

    Era avvenuto da due anni il parto tragico della principessa Penelope.

    Il Re compariva ora solo, come un vedovo, nelle grandi solennità dello Stato, guardava torvo, minaccioso, il popolo suo, ultimamente aveva firmato una sentenza di morte colla più grande naturalezza di questo mondo, cosa mai avvenuta in Birònia. Tutto il Regno ne era turbato, sconvolto.

    Consultati ancora una volta e chirurghi e ostetrici e specialisti e fattone venire uno apposta dall'America, dopo due anni sua Maestà si era ridotto a questo ultimo inumano tentativo pure nella certezza che la Regina vi sarebbe rimasta definitivamente uccisa.

    Ma che voleva dire ormai? S'ella avesse dato alla luce l'anelato erede? L'eroe! S'ella moriva, moriva sì eroicamente per la sua patria! E il conte Ercole Pagano Silf, e tutti i dignitari e medici della corte, e lo stesso monsignore Vicario, e Monsignora Superiora delle Clarisse, e Monsignora Generalissima delle Rocchettine ve l'avevano persuasa.

    E allorchè il Grande Maresciallo di Birònia fu ad annunziare che Sua Maestà la Regina lo attendeva nella camera dell'appartamento ufficiale dove la prima volta l'aveva stretta fra le sue braccia possenti, folle di amore e di desiderio, vergine, forte e bella, si sentì invaso da un tremito convulso, egli andava per l'ultima volta da lei quasi morente, ella si era rassegnata a soggiacere ancora una volta, poteva darsi che gli rimanesse cadavere fra le braccia, pareva che l'odio gli si placasse in cuore e vi rinascesse l'amore, per quella donna che poco a poco aveva dovuto odiare, ma che tutto il suo istinto avrebbe portato all'adorazione. Certo, prima di darle quella suprema stretta le sarebbe caduto ai ginocchi ed avrebbe pianto con lei come un fanciullo in una più viva commozione di quando soli a vent'anni si dettero il primo bacio, ora che la sorte dopo tanto amore li aveva rabbiosamente divisi.

    Due ore dopo la porta della camera regale fu aperta ne uscì il Re, e vi entrarono con premura il medico e il chirurgo della Corte e le infermiere e cameriere, e di lì a poco il Vicario. Il Gran Maresciallo che aveva vegliato e forse sperato e pregato, seguì in silenzio Sua Maestà che rientrò senza dir motto nelle sue stanze.

    ***

    Il sangue Ludovico che mai non mentì ebbe ragione anche questa volta e pochi giorni dopo il popolo di Birònia seppe quello che doveva aspettare.

    — Santa creatura!

    — Angelo sulla terra! — Gridava ogni cittadino.

    — Ella muore per noi!

    — Per salvare la sua patria diletta!

    La Regina fu dovuta assistere durante la pericolosissima gestazione quotidianamente con farmachi, caffeina, morfina e cocaina e strofanto. Il Re rimase torvo, cupo, levando ora la testa al cielo in atto che voleva essere di preghiera ma che pareva di atroce minaccia e di bestemmia, ora l'abbassava alla terra quasi volesse schiacciarla tutta come un rettile sotto il tallone, ora fissando paurosamente gli occhi sbarrati sul povero Maresciallo che sembrava divenuto la causa di tutta la sventura.

    Quando il conte Ercole Pagano Silf comparve tremante ad annunziare al Sovrano che Sua Maestà la Regina era stata assalita dal tremito del parto questi gli fu addosso e afferratolo per la nuca lo schiacciò a terra: «Odi, brutto pagliaccio che non sei altro, vai, annunzia al popolo l'erede

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