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Gli imperi delle Sabbie
Gli imperi delle Sabbie
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E-book186 pagine2 ore

Gli imperi delle Sabbie

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Info su questo ebook

Anno 1030: Le armate di Bisanzio assediano la città fortezza di Aleppo, capitale della Siria e regno dei tenebrosi Emiri Neri, i principi negromanti.
Giunto alla testa dei suoi soldati, il nashrakar Vardan, nobile d'Armenia, si unisce alle truppe imperiali, in vista dello scontro decisivo. Ma il tradimento alligna nelle armate bizantine, e il principe armeno, ridotto in catene da chi credeva amico, scoprirà suo malgrado come appena al di là delle sabbie roventi di Aleppo si celino gli  orrori e le meraviglie di un mondo sconosciuto, fatto di satrapie remote, antichi palazzi d'oro, e maledizioni sorte dal sangue.
Un'avventura che condurrà Vardan fino alle più lontane plaghe d'Oriente, là dove, sotto una mezzaluna d'acciaio, s'incrociano le spade della vendetta...
LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2020
ISBN9788894469653
Gli imperi delle Sabbie

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    Gli imperi delle Sabbie - Andrea Gualchierotti

    VALUSIA 5

    ANDREA GUALCHIEROTTI

    GLI IMPERI

    DELLE SABBIE

    A cura di Francesco La Manno

    Introduzione di Carlomanno Adinolfi

    Copyright

    ISBN: 978-88-944696-5-3

    Valusia n.5

    Curatore: Francesco La Manno

    Illustrazione: Andrea Piparo

    Progetto grafico e impaginazione: Mala Spina

    Prima edizione ottobre 2020

    Copyright (Edizione) ©2020

    Italian Sword&Sorcery Books

    Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta e diffusa con sistemi elettronici, meccanici o di altro tipo senza l’autorizzazione scritta dell’autore.

    Questo libro è un’opera di fantasia. La sua pubblicazione non lede i diritti di terzi. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

    Associazione Culturale Italian Sword&Sorcery

    Via Lanza, 40

    15033 – Casale Monferrato (AL)

    C.F. 91033550061

    Cell. 3384480217

    https://hyperborea.live/negozio/

    Email: francescolamanno@hotmail.it

    L’IMMAGINARIO ORIENTALE

    CARLOMANNO ADINOLFI

    L’Oriente ha sempre esercitato un fascino particolare nella cosiddetta civiltà occidentale. Pensiamo al sogno febbrile di Alessandro Magno di conquistare il mondo oltre il Gange, alla maledizione dei generali romani che sognavano di sottomettere i Parti, al viaggio di Marco Polo, alla stessa idea fissa di Cristoforo Colombo di voler raggiungere le Indie viaggiando verso ovest – probabilmente in questi giorni in cui la terra che ha scoperto sta abbattendo le sue statue se ne starà pentendo – fino ad arrivare al Japonisme e alla moda ottocentesca di imitare l’arte estremo orientale o di riempirsi le case di qualunque tipo di oggetto proveniente dalle Indie o dal Pacifico. Per non parlare dell’influenza che a cavallo tra ‘800 e ‘900 la spiritualità orientale ha avuto sull’esoterismo occidentale, dalla teosofia fino ai dovuti chiarimenti di personalità come Guénon e Evola che più di una volta hanno cercato di riportare la cultura orientale nel suo alveo originale dopo le storpiature di una certa borghesia annoiata che vedeva nell’esotismo una fuga dalla decadenza. Storpiature che poi hanno forse trovato il massimo esempio negli ultimi decenni con le riletture che hanno portato a manifestazioni di buddhismo o induismo che oramai ben poco hanno di quello originale ma che sembrano più che altro prodotti di Hollywood, soprattutto in certi ambienti radical-chic i cui esemplari in terribili babbucce e vestaglie colorate si incontrano nei festival d’oriente con le loro bancarelle che hanno ben poco di spirituale ma molto di commerciale e che tanto ricordano la canzone Magic Shop di Franco Battiato.

    I motivi possono essere molteplici. In qualche modo la terra dove sorge il sole ha sempre richiamato un concetto di Origine e sicuramente è stato influente il credere che le popolazioni asiatiche avessero con le loro tradizioni e la loro religiosità un approccio più puro e più vicino alle radici e quindi meno contaminato dalla decadenza. Una cosa che durante l’espansione coloniale si è pensato anche dell’Africa con il concetto del buon selvaggio, eppure per l’Oriente e l’Asia c’era una componente molto più autentica. Al di là del fatto che la spiritualità orientale si presta molto di più a speculazioni filosofiche di alta profondità c’è anche da notare che l’Asia e l’Oriente sono state le sedi di grandi imperi, di civiltà perdute raffinate e potenti, di ricchi e feroci regni conquistatori che hanno sempre attirato il nostro immaginario. Dalle civiltà mesopotamiche al grande impero di Gengis Khan, dalla civiltà dell’Indo alla Persia achemenide, dalle dinastie Ming e Qing fino all’impero del Sol Levante, per non parlare dei califfati arabi e della dominazione ottomana. Soprattutto le terre lontane ad est sono spesso state considerate l’ultimo luogo in cui potesse esistere qualcosa che l’occidente sempre più razionale, industrializzato e moderno sembrava aver cancellato dall’universo ma che tutti in qualche modo avvertivano come ancora esistente e impossibile da estirpare del tutto: la magia. E poi, non va dimenticato neanche in quest’era oscura dominata dal politically correct, c’è un’altra componente che ha sempre mosso l’immaginario umano: il fascino erotico. Dal kamasutra indiano alle danze balinesi, dalle geishe nipponiche alle odalische velate ma anche da parte femminile la fascinazione per alcune figure più romantiche e fantasiose che non reali di principi orientali aitanti ed esotici per lo più turchi o arabi, che spesso hanno portato a fantasie estreme di rapporti di dominazione con fruste e catene (prima degli scadenti saghe di 50 sfumature e Harmony già esistevano Angelica alla corte del Gran Sultano o le Spicy Stories dei racconti e fumetti pulp…).

    A tutto questo però si è contrapposto anche un senso di paura e spesso repulsione che il nostro mondo ha provato verso l’Oriente. Sicuramente con il mondo arabo e ottomano a causa degli scontri che hanno fatto scorrere fiumi di sangue per secoli, dalle invasioni alla reconquista, dalle crociate al fronte orientale della Prima guerra mondiale fino ad arrivare ai giorni nostri. Ma anche il resto dell’Oriente asiatico ha in qualche modo respinto tanto quanto ha attratto, proprio come un dipolo magnetico. La purezza primitiva dei popoli asiatici era accompagnata quasi sempre anche da una brutalità feroce che se là appare del tutto naturale risultava come risulta tuttora del tutto inconcepibile e causa d’orrore agli occhi occidentali. La legge del taglione, le mani amputate ai ladri, le torture cinesi, la brutalità degli eserciti asiatici verso i nemici ma anche verso i civili, l’abitudine di mozzare teste e ornarsi con esse dei primi samurai, alcune primitività per noi inconcepibili della società indiana. Ma anche, accanto al fascino per certe dottrine esoteriche, anche la repulsione verso alcune figure per noi quasi aliene e demoniache – forse perché troppo influenzati da un certo dualismo manicheo di stampo cristiano – di molte religioni orientali, sopravvissute anche dopo la contaminazione Indo-Arya. Pensiamo ai demoni della religione tribale del buddhismo mongolo, fatta di demoni vendicatori e sanguinari circondati da teschi e serpenti che fanno rabbrividire il culto maledetto del secondo capitolo della saga di Indiana Jones, ma anche il culto della dea Kali dei Thug, i Naga e i serpenti giganti delle civiltà nate intorno all’Oceano Indiano o i demoni posti a guardia dei templi nipponici. Ecco dunque che accanto al fascino si è sempre sviluppato parallelamente un timore e spesso un odio che si è manifestato via via attraverso lo scontro con Arabi e Ottomani, con il temere l’arrivo dei Tartari, con l’allarme per il Pericolo Giallo. Un timore archetipico che ci portiamo appresso fin dai tempi delle guerre persiane o dell’invasione degli Unni.

    Perché bene o male si è sempre avuta l’impressione che i nostri mondi fossero troppo diversi, proprio come – usando la stessa similitudine di prima – due poli che con le loro opposte ma forse complementari forze hanno mosso e sviluppato la storia della civiltà umana. E che se smettessero di essere poli complementari, perché uno dei due travolge l’altro o peggio ancora perché annullatisi l’un l’altro negando la propria cultura e le proprie tradizioni, la civiltà stessa dell’umanità ne verrebbe mortalmente compromessa.

    Ma andiamo ora a rimescolare tutti gli ingredienti che abbiamo visto: mistero e magia, grandi civiltà perdute, mitici sovrani e condottieri, mostri e demoni religiosi per noi quasi incomprensibili se non in un incubo, brutalità primordiale e purezza selvaggia, sogni erotici con donne sensuali e bellissime e conquistatori forti e virili. Ovviamente chiunque stia leggendo ha già in mente un concetto, chiaramente delineato da questi ingredienti: Sword & Sorcery. Perché sì, se c’è un mondo che non ha bisogno di chissà quali fantasie letterarie per essere sede di un’ambientazione Sword & Sorcery è proprio l’Oriente asiatico. E se ci pensiamo il genere Sword & Sorcery orientale è molto più diffuso e meno di nicchia di quanto pensiamo. In pochi forse conoscono i racconti orientali di Robert Ervin Howard – il papà di Conan – come quelli di Kirby O’Donnell alla ricerca del tesoro di Gengis Khan nella perduta Shahrazar o di Cormac Fitzgeoffrey alle prese con la Terza Crociata e con i Seminatori del Tuono o del Sikh Lal Singh, per fortuna arrivati fino a noi grazie alla Elara edizioni con il volume Il Signore di Samarcanda e altre storie. E ancor meno forse sono coloro che conoscono le storie pubblicate negli anni ’30 in Oriental Stories, il magazine legato a Weird Tales dedicato proprio ai misteri d’oriente, in cui oltre ad Howard scrivevano Clark Ashton Smith, Edgar Hoffman Price e Frank Owen. Eppure, anche se lo Sword & Sorcery orientale ufficiale è poco conosciuto, se pensiamo alla stragrande maggioranza di avventure e storie ambientate in oriente o anche appartenenti alla cultura orientale, esse hanno tutti gli ingredienti del genere. Pensiamo alle favole delle Mille e una Notte: dalle avventure di Sinbad il Marinaio alla lotta del secondo dei Tre Monaci contro il genio crudele e demoniaco fino alla storia della lampada di Aladino. Ma anche qualunque storia nata nel mondo arabo pre-islamico che racconta di djinn che infestano il deserto o le antiche rovine del Medio Oriente. Tornando di qua pensiamo alla saga di videogiochi di Prince of Persia che ha poi influenzato la visione Disney di Aladdin, che forse è ancor più Sword & Sorcery dell’originale. O lo splendido fumetto di Jean Dufaux, Croisade, che reimmagina una terza crociata in cui djinn, demoni del deserto, mostri creati dall’uomo, non morti e immortali, stregoni con l’anima nera votata agli inferi si scontrano con cavalieri ben lontani dall’essere senza macchia e senza paura, divisi tra il dovere religioso e donne di una bellezza tale da causare guerre tra sultani e re. E mi perdonino gli snob della cinefilia così come i puristi del genere, ma non è in qualche modo Sword & Sorcery anche quel capolavoro di serie b di John Carpenter che è stato Grosso Guaio a Chinatown?

    Ma anche allontanandosi dalla narrativa fantastica, ci sono stati molti fatti storici, anche se ammantati di leggenda, che sembrano usciti da una saga heroic fantasy. Pensiamo all’epopea di Ungern Khan, il Barone Pazzo, descritta per la prima volta in Bestie, Uomini e Dei di Ferdynand Ossendowski: le steppe sconfinate; un rampollo della nobiltà teutonica che incontra lama dotati di poteri sovrannaturali; lui stesso definito la reincarnazione di un demone oscuro, Mahakala; guerrieri tibetani con maschere demoniache che prendono una città di notte terrorizzando i soldati nemici e rovesciando un impero; il Dalai Lama e il Panchen Lama che pregando invocano dei e demoni per cambiare il corso della storia; le parole di Pio Filippani Ronconi che descrivono la marea rossa che si scaglia contro Ungern come guidata da una occulta saggezza derivante da forze promananti da una sorta di magia infera.

    D’altronde lo stesso Ungern aveva deciso di volgere lo sguardo a oriente proprio perché ad occidente vedeva solo decadenza, razionalismo e materialismo che avevano portato l’uomo ad allontanarsi dalla divinità. Era proprio verso est, verso il sorgere del sole, che l’uomo avrebbe riscoperto la sua vera natura, attraverso la magia, il sangue e la guerra, vivendo senza fronzoli con la purezza brutale e barbarica che aveva creato i grandi imperi. E alzi la mano chi in questo non vede lo Sword & Sorcery.

    ANDREA GUALCHIEROTTI

    GLI IMPERI

    DELLE SABBIE

    I

    Il patto degli Emiri Neri

    Davanti ai bastioni di Aleppo, un coro di dannati saliva verso il cielo.

    Travolti da una tempesta d’acciaio, diecimila uomini agonizzavano sotto il sole abbacinante della Siria, bestemmiando mentre gli stendardi d’oro del Basileus di Costantinopoli giacevano laceri nel sangue.

    Un impressionante banchetto sembrava essere stato imbandito a beneficio di corvi e avvoltoi, e infinite vittime turche, arabe e bizantine, immobili là dove la morte le aveva colte, mostravano ancora sul terreno la traccia degli schieramenti scontratisi acciaio contro acciaio.

    In quell’oceano di morte, rosseggiante nella cupa luce del tramonto orientale, un drappello di sei cavalieri si faceva largo con noncuranza fra i corpi straziati, ancora coperti dalle cotte di maglia ormai inutili. Poco lontano, mentre i destrieri risalivano il pendio sabbioso segnato di pietre, fuochi purpurei si accendevano sulle mura di Aleppo, le luci confuse assieme ai bagliori del crepuscolo.

    "Rivoltate ogni corpo, cercate ovunque. Trovatelo!"

    A parlare, una nota d’isteria nella voce, era stato uno dei due uomini che guidava la fila di cavalieri. Sotto il mantello di seta che gli copriva le spalle s’intravedeva la stoffa delicata di una dalmatica color ocra, bordata di porpora, e la lama che gli pendeva dal fianco appariva un mero ornamento incrostato di granati e pietre dure. Nonostante gli occhi neri come l’inchiostro e la pelle abbronzata, non aveva i tratti degli orientali che erano in sella al suo fianco, e ogni dettaglio, nel suo portamento aristocratico, mostrava che non aveva combattuto.

    All’opposto, colui che lo affiancava portava in capo l’elmo appuntito dei guerrieri arabi, e sul viso una barba aguzza che rendeva il suo profilo simile a quello di un falco; i bracciali d’ottone sbalzato e i gioielli che ne coprivano gli avambracci lo indicavano chiaramente come un signore d’Oriente. E tale era non certo per mero lignaggio, come mostravano l’intrico di cicatrici che gli solcava le mani e la spietata insensibilità ai gemiti dei morenti, eredità della battaglia da poco conclusa.

    Subito, udito l’ordine, i cavalieri restanti incitarono gli animali, disperdendosi veloci nel caos di quel giorno di rovina. Una prima linea color zaffiro sul confine del cielo giungeva ad annunciare la sera. Osservandola, l’arabo ghignò: "Parola di Yazim Al-Abbas! Placa il tuo animo, nobile amico. Il nashrakar Vardan è stato circondato dalle mie schiere nel cuore della battaglia, assieme a tutti gli altri principi d’Armenia. È impossibile che lui o qualcuno dei suoi georgiani sia sfuggito al turbinare delle sciabole dei miei lupi del deserto! Giace sicuramente fra i caduti, e se anche fosse vivo starebbe trascinando le membra sanguinanti sulla sabbia: saranno gli sciacalli a finirlo! In ogni caso non temere, i sette Emiri d’Aleppo – li benedica Allah - hanno promesso cento dhiram d’argento a colui che riporterà il capo mozzato di tuo cugino dinanzi i loro seggi! E invero, anche tu ti sei ben guadagnato il loro favore, Teodoro di Sinope!" Concluse maligno.

    Accigliato, il patrizio del Ponto rispose con un cupo cenno del capo.

    Il sangue di migliaia di uomini gli lordava indelebile le mani di traditore, ma era stata ben’altra infamia a condurlo in quel giorno al fianco degli alleati arabi dei sovrani di Aleppo.

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