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Letteratura migrante in Germania. Paradigma della “creolizzazione” culturale europea
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E-book194 pagine2 ore

Letteratura migrante in Germania. Paradigma della “creolizzazione” culturale europea

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La grande sfida di un mondo dove persone e pensieri si muovono a velocità elevate - grazie soprattutto a Internet - è proprio quella della creolizzazione delle culture, di cui la Letteratura migrante è paradigma. L’argomento viene analizzato, dopo breve ricostruzione storico-filologica nella Germania postbellica, nei suoi fondamenti epistemologici, evidenziandone i dirompenti aspetti creativi. Accogliere tal rinnovamento, senza temere che la nostra millenaria tradizione culturale possa venirne profanata, è oggi il compito di una critica attenta ai fenomeni sociali e ai movimenti storici che, mentre influìscono sulle letterature, di fatto configurano - a vent’anni dalla caduta del Muro - una nuova Weltanschauung per gli europei del terzo millennio.
LinguaItaliano
Data di uscita6 ago 2012
ISBN9788864589893
Letteratura migrante in Germania. Paradigma della “creolizzazione” culturale europea

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    Anteprima del libro

    Letteratura migrante in Germania. Paradigma della “creolizzazione” culturale europea - Massimiliano Sbenaglia

    Salento

    Introduzione

    L’ umana storia da sempre è stata attraversata da movimenti di persone e popoli. Quello delle migrazioni – si sa – è un fenomeno antico quanto l’umanità, pur avendo assunto nei millenni diverse forme e direzioni, con diversi mezzi e destinazioni, ma sempre sotto la stessa spinta: il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, la speranza di una terra promessa, o spesso anche la ricerca di un’avventura altrove.

    Nel secolo ormai trascorso tale fenomeno ha interessato – e continua a interessare – in buona parte molti cosiddetti sud che migrano verso quel nord chiamato Europa, nato nella leggenda come l’approdo di una fanciulla asiatica, rapita e condotta a Creta dal divino Zeus per dar vita ad una stirpe nuova.

    In genere – soprattutto nei processi migratori degli ultimi vent’anni – a partire sono i più giovani e i più robusti, ovvero quelli con maggiori possibilità di successo. Fuggono da una vita di povertà e di miseria, o dalla mancanza di libertà a causa di regimi oppressivi. Scelgono la via dell’espatrio o dell’esilio volontario con una fuga coraggiosa: abbandonano la casa, gli affetti, a volte anche un lavoro, per assecondare l’aspirazione legittima ad una vita migliore o comunque a una vita diversa che sia degna di essere chiamata tale.

    Il fenomeno migratorio – ormai di dimensioni bibliche – qui ci interessa non sotto l’aspetto storico o sociologico o politico o statistico (se non in forma marginale e integrativa), ma solo o soprattutto sotto l’aspetto letterario, quale possibile contributo alla nascita di una letteratura cosiddetta ‘interculturale’. Un aspetto leggibile in chiave generale, caratteristico di ogni presenza straniera di rilevante consistenza (e quindi in molta misura interessante anche l’Italia[1]), anche se in questa sede calato e studiato nello specifico della realtà tedesca.

    Infatti, come esiste una letteratura in lingua inglese praticata da individui non britannici di nascita o di origine – e lo stesso vale per la letteratura italiana, francese, spagnola, e così via – ne esiste anche una in lingua tedesca, forse molto più diffusa e per certi versi molto più promettente, per la presenza di validi autori (soprattutto italiani e turchi), che con le loro opere hanno contribuito fortemente alla nascita e alla crescita di una letteratura interculturale europea.

    Per lo studioso, dunque «si tratta di arrischiare la [sua] scienza dentro una mischia aperta e irregolare, dentro un nuovo ordine plurale»[2], per cogliere la capacità di una lingua di farsi strumento e tramite di culture che non le appartengono originariamente, ma i cui rappresentanti hanno scelto di adottarla, plasmarla, mescolarla per poi ricrearla, dandole nuova vita e colmandola di valori per molti aspetti ancora inespressi.

    Si sa che gli incontri tra uomini e tra popoli hanno sempre dato luogo a scambi linguistici e culturali: dall’incontro tra civiltà araba e greca, poi greca e romana, all’incontro-scontro tra romani e popoli cosiddetti barbarici; dagli influssi della cultura ebraica su quella cristiana (la poesia biblica giunta a noi nel suo nuovo abito latino…), agli scambi tra popoli europei e agli apporti di culture più lontane, come quella cinese, quella indiana…

    Il multiculturalismo, il plurilinguismo, la creolizzazione sono fenomeni che da sempre accompagnano la storia umana; da sempre i popoli migrano, i singoli prendono la strada dell’esilio. Oggi il mondo sembra più piccolo, i confini più vicini, i luoghi d’incontro, di scontro, si moltiplicano, è impossibile contenere i flussi di persone come quelli di pensiero: gli scambi vanno accelerandosi e le frontiere, anche se geograficamente definite, diventano sempre più labili dal punto di vista delle culture.

    Stiamo vivendo un’epoca in cui i letterati migrano da un pae­se all’altro e da una lingua all’altra (basti pensare a Chiellino, Özdamar o Zaimoglu in Germania; Kundera, Hajdari o Glissant in Italia), contribuendo così a realizzare quella situazione di ‘creolizzazione’ in cui «gli elementi culturali più lontani ed eterogenei possono, in alcune circostanze, essere messi in relazione. Con risultati imprevedibili»[3].

    Certamente non si tratta di affrontare il discorso con facile ottimismo, secondo il quale due o più culture possono accostarsi e accettarsi acriticamente, senza conflittualità. L’accoglienza del ‘diverso’ può essere (e quasi sempre è) dolorosa: per chi ospita, ma anche per chi è ospitato, comportando quasi sempre qualche rinuncia, qualche cedimento. L’arricchimento verrà in seguito, soprattutto per chi avrà saputo rischiare.

    Né si può pensare che creolizzare, creare scambi interculturali, possa significare annullare due entità nella creazione di una terza che trae elementi dall’una e dall’altra. Si tratta piuttosto di rendere possibili delle relazioni, di creare un luogo di scambio dove i soggetti in questione continuano a esistere separatamente, ciascuno con le proprie caratteristiche, ma arricchito l’uno dall’altro[4]. Non si danno relazioni se non tra due o più elementi, l’annullamento di uno di questi elementi nell’altro comporterebbe il venir meno della possibilità stessa della relazione, vera essenza della ‘creolizzazione’, che non è quindi un risultato ma un modo di rapportarsi e di intendere la cultura.

    Del resto lo stesso mito della lingua unica, in cui si riconoscano tutte le civiltà, è decisamente tramontato (e comunque, per fortuna, mai realizzato e irrealizzabile)[5]: riassumere tutte le culture in una sola lingua comporterebbe un impoverimento, un blocco, una situazione di stasi (dovuta all’impossibilità di scambio e rinnovamento) che sarebbe la morte della Cultura stessa. Il movimento, lo scambio, il fluire – invece – sono di sicuro essenziali alla sua sopravvivenza.

    Proprio per ciò è importante uno sguardo attento al ‘diverso’ che spontaneamente e generosamente ci viene incontro, perché portatore di possibile rinnovamento. Una letteratura incapace di rinnovarsi, di accogliere i nuovi stimoli che le condizioni epocali le offrono, corre il rischio del ristagno, del logorio, dell’invecchiamento.

    La grande sfida di un mondo dove persone, pensieri e sogni si muovono a velocità elevate – grazie soprattutto a Internet – è proprio quella dell’ibridazione, della creolizzazione delle culture: accogliere questa necessità di rinnovamento, senza temere che la nostra millenaria tradizione culturale possa venir profanata, è oggi il compito di una critica attenta ai fenomeni sociali e ai movimenti storici che inevitabilmente influiscono anche sulla/e letteratura/e.

    E nel seguire questa traccia si dovrà sempre considerare la diversità come un valore, come il fatto che il prodotto di due culture non è composto semplicemente di due metà, ma di uno più uno, e si dovrà sempre poter fare riferimento ai punti di partenza, per un effettivo incontro tra culture che si muovano verso la ‘interazione’ interculturale.

    Per la verità la lingua tedesca, come anche quella italiana, sta affrontando questo avvicinamento in ritardo, anche se in modo diverso rispetto alle altre lingue europee, in quanto l’impatto con le altre culture non è frutto di imposizione e di scontro, ma di incontro di civiltà. Scrivere in una lingua non materna sarà pur sempre una scelta sofferta, ma «positiva perché avvenuta in nome di un futuro comune e non di un passato da sanare»[6].

    Essendo diverse le premesse storiche della letteratura della migrazione in Germania rispetto a quelle che hanno originato le letterature coloniali e post-coloniali, bisognerà adottare parametri critici differenti, modificare gli schemi concettuali finora utilizzati e crearne di nuovi, come stanno facendo gli studiosi che si sono a vario titolo impegnati in queste ricerche.

    Bisogna innanzitutto partire da una prospettiva comparatistica, che tenga conto (per quanto possibile in un campo così vasto) delle culture di provenienza dei singoli autori. A ciò si dovrebbe aggiungere una valutazione delle influenze apportate dalla cultura che potremmo dire di arrivo (in opposizione a quella di partenza): sarà bene valutare ciò che in questo incontro è fonte di scambi e ciò che invece crea conflitti. Inoltre è necessario superare la logica binaria di una cultura che opprime l’altra imponendole i propri valori e le proprie strutture, andando anche oltre il concetto di culture distinte in base a lingua, nazione, territorio…

    Insomma, si tratta di scavare in quel concetto di diversità (fremde) vissuta dagli immigrati italiani e turchi in Germania, protesi alla ricerca di una problematica identità europea, per fare emergere il valore aggiunto di una estetica della diversità, che nasce da una memoria migrante, in grado di capovolgere e stravolgere vecchie ancestrali concezioni chiuse e dal respiro corto, fino a giungere – attraverso modelli letterari, soprattutto di italiani e turchi, che raccontano la diversità – a dimostrare come una corretta Letteratura Interculturale possa in definitiva contribuire a rinnovare complessivamente il patrimonio letterario europeo.

    Ma a condizione però che si sia in grado di ripensare l’intera problematica della diversità, rifondandola questa volta su basi teoriche tali da tentare di sradicare il concetto di fremde: e con ciò il lavoro di ricerca[7] si conclude evolvendosi ambiziosamente verso obiettivi più generali, fino a prospettare una creolizzazione globale della cultura europea (e non solo!) di cui la letteratura migrante rappresenta un paradigma importante, oltrecché una testimonianza diretta.

    In tal senso una ricerca sulla letteratura migrante, quale opportunità di superamento dei pregiudizi culturali, risulta di forte attualità, tant’è che si può sostanzialmente ipotizzare che, indirettamente, finisce col fornire anche un importante contributo – a vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino – all’abbattimento dei tanti muri ancora esistenti!

    1 Risale a poco più di quindici anni fa la nascita di quella che Armando Gnisci ha definito la letteratura italiana della migrazione (cfr. A. Gnisci, Creolizzare l’Europa, Meltemi, Roma 2003, p. 75). Sulla questione della letteratura straniera in Italia, considerata in un’ottica di innovazione interculturale, cfr. anche – tra gli altri – P. Calefato, P.G. Caprettini, G. Colaizzi (eds.): Incontri di culture, UTET, Torino 2001; É. Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1998; A. Prete, S. Dal Bianco, R. Francavilla (eds.), Stare tra le lingue, Manni, Lecce 2003; F. Sinopoli, Poetiche della migrazione nella letteratura italiana contemporanea: il discorso autobiografico, in: Studi (e testi) italiani, Semestrale del Dipartimento di italianistica e spettacolo dell’Università di Roma La Sapienza, 7, 2001, pp. 189-206.

    2 A. Gnisci, op. cit., p. 26.

    3 É. Glissant, op. cit., p. 20.

    4 Gëzim Hajdari spesso sottolinea l’opportunità di sostituire il termine integrazione, che comporta un’idea di sopraffazione culturale, con il termine interazione (Cfr. G. Hajdari, Spine nere, Besa, Nardò 2004, passim).

    5 Per questo motivo non ci sembra di poter condividere la tesi dello scrittore estone Emil Tode, secondo il quale «fino a quando non c’è una lingua europea, non può nascere una letteratura europea come fonte di identità» (cfr. E. Tode, Inchiostro, in M. Fortunato - M.I. Gaeta (eds), TransEuropaExpress. Scrittori della nuova Europa, B.U.R., Milano 2005, p. 237).

    6 Così si è espresso Carmine Chiellino nel suo intervento al Convegno nazionale su Migrazione e letteratura: la parola come luogo d’incontro, organizzato dalla fondazione ISMU, il 4 maggio 2004.

    7 La presente pubblicazione riprende sostanzialmente la tesi di laurea da me sostenuta con il prof. Mauro Ponzi presso l’Università La Sapienza di Roma il 27 novembre 2007 (titolo originale: La Migrantenliteratur in Germania: paradigma dell’avanzante creolizzazione culturale europea).

    Capitolo I

    Vivere la diversità d’immigrato in Germania tra vecchie e nuove identità: aspetti storici e sociologici

    I.1 – Nascita e fasi delle comunità di immigrazione

    A partire dagli anni Sessanta la Germania è diventata un paese a forte processo immigratorio, grazie anche alle politiche promosse a livello governativo per favorire l’accoglienza dei rifugiati e il reclutamento di lavoratori stranieri, anche se poi ha tardato a riconoscersi come tale, tanto che solo negli anni Novanta sono state promosse le prime significative riforme della legge sull’immigrazione e sull’accesso alla cittadinanza tedesca.

    Il fatto è che fin dai tempi della prima ricostruzione, dopo il secondo conflitto mondiale, i vari governi tedeschi che si sono succeduti «hanno più volte negato il fatto che la Germania fosse diventata un paese di immigrazione. Dichiarazioni come Deutschland ist kein Einwanderungsland si scontrano oggi con la presenza di circa sette milioni di stranieri residenti nel paese, la maggioranza dei quali vive in Germania da più di due decenni o rappresenta la terza generazione d’immigrati nella loro famiglia»[8].

    Una negazione in evidente contrasto con quelle due politiche di cui si parlava sopra, afferenti la prima all’accettazione di rifugiati e richiedenti asilo[9] e la seconda al reclutamento di lavoratori stranieri[10], che hanno invece favorito – di fatto – lo stabilirsi di una popolazione d’immigrati in uno stato che ufficialmente non si riconosceva come un paese di immigrazione.

    Lo status ufficiale di questi stranieri residenti non è ancora ben chiaro e fin dagli anni Novanta è al centro di numerosi dibattiti, anche se ormai esiste ed è condivisa una definizione legale di straniero, che va sotto il nome di Ausländer, inclusiva di qualsiasi persona che sia priva della cittadinanza tedesca[11].

    Ma nello stesso periodo d’inizio anni Novanta, si assiste anche alla comparsa di un modo nuovo di affrontare la questione dell’integrazione degli immigrati, un tempo considerata prevalentemente da un punto di vista socio-economico; si comincia cioè a trattare il problema dell’integrazione degli immigrati in termini di più o meno compatibilità culturale.

    La cultura entra così sempre più frequentemente nei dibattiti politici, mentre le comunità di stranieri sembrano rimanere legate alla cultura d’origine e non volersi

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