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Ti amo, ti odio, ti amo (eLit): eLit
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E-book177 pagine2 ore

Ti amo, ti odio, ti amo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Jolie Tanner e Cole Rees si ritrovano isolati su una funivia durante una tempesta. Non si vedono da anni e lui la scambia per una snowboarder, cosa che lei si guarda bene dallo smentire. Quando la cabina su cui si trovano precipita, loro sono costretti a rifugiarsi in una baita in attesa dei soccorsi e a condividere uno spazio molto ristretto: quello del sacco a pelo. Solo allora lui la riconosce, ma ormai è troppo tardi: sono entrambi nudi e ansanti.
LinguaItaliano
Data di uscita4 gen 2021
ISBN9788830524477
Ti amo, ti odio, ti amo (eLit): eLit
Autore

Kelly Hunter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Ti amo, ti odio, ti amo (eLit) - Kelly Hunter

    sbagliato?»

    1

    Dieci anni dopo

    Jolie Tanner ebbe l'impressione di trasportare un corpo morto, tanto era difficile. Ma non esisteva altra soluzione, per cui tirò e spinse finché alla fine la scatola fu sulla slitta, fissata per bene. Che importava se le scatole di cartone non erano fatte per sopportare quel trattamento? Questa non aveva scelta.

    Era ora di partire. Anzi, era tardi, ma Jolie tornò verso la baita con gli stivali da neve che raspavano per fare attrito sul ghiaccio. Richiuse la porta a chiave. Dentro la baita, era tutto a posto. Pulito, in ordine, totalmente impersonale. Missione compiuta.

    Salì sulla motoslitta al posto del guidatore e si diresse verso la cabina più grande, non lontana, accingendosi poi a scaricare la scatola dalla motoslitta su quella che attendeva, facendo diverse smorfie per l'ulteriore sforzo richiestole. Da lì, si diresse verso la torre di controllo della pista da sci e parcheggiò la slitta al suo posto, accanto alla porta.

    L'attrezzatura della motoslitta era di Hare. Così come la giacca pesante che lui aveva insistito si mettesse, prima di permettere a Jolie di andare alla baita. La radio con la trasmittente che aveva in tasca era pure sua. Aveva preso vita pochi minuti prima, quando Hare, nel suo ruolo ufficiale di direttore delle piste da sci, le aveva detto di sbrigarsi perché il tempo si stava mettendo al peggio e l'ultima cabina che scendeva a valle sarebbe dovuta partire cinque minuti prima, e lei avrebbe fatto bene a trovarvisi a bordo.

    Tutto al suo posto. Jolie staccò lo slittino e lo ripose nel ripostiglio. Ogni cosa al suo posto, una frase che Hare ficcava bene in testa a ogni dipendente, lì in montagna. Tutto dove doveva essere, o si veniva licenziati da Silverlake Mountain e non restava che andare a valle, a lavorare nei bar, ristoranti e noleggi sci di Queenstown.

    «Fatto?» mormorò Hare quando lei scivolò nella sala di controllo, chiudendosi la porta alle spalle.

    «Fatto.» Jolie appese le chiavi della motoslitta al portachiavi accanto alla porta, e mise la radio a ricaricarsi, sul banco. Estrasse di tasca le chiavi della baita e le porse a Hare. Non c'era un posto specifico, per quelle. «Mamma ha detto di darti anche queste.»

    Hare, invece di prenderle, si sfregò le braccia. Jolie le posò allora sul banco. Francamente, non voleva vederle mai più e non poteva biasimare Hare di provare lo stesso desiderio.

    «Non mi è mai andata bene, quella sistemazione» borbottò Hare.

    «Sì, be', mi sa che non sei l'unico.» Vero, e non solo per Hare. Tutti gli altri esibivano un silenzio ostile e minaccioso, un meccanismo di difesa che era antecedente alla sua adolescenza. «Ma ora è finita.»

    La morte aveva un suo modo di definire le cose.

    «Come sta tua madre?» chiese l'omone. «Va al funerale?»

    «No» replicò Jolie, infastidita. «Certo che no. Stava per recarsi a passeggiare lungo il Lago Wanaka, invece. Immagino che gli darà l'addio laggiù.»

    «Lavora al bar stasera?» chiese Hare.

    Jolie annuì.

    «Sì. Sei invitato a scendere a valle a brindare per il morto stasera, a proposito. Discretamente, ovvio, ma è offerto dalla casa. È il modo per avere una veglia quando non ti fanno una veglia.»

    «Lei lo amava» disse Hare, brusco. «Concedile almeno questo, se non altro.»

    «Lo so. È solo che...» L'amarezza non le si addiceva, per cui cercò di evitarla. Ma aveva trascorso il pomeriggio intero a rimuovere ogni traccia di sua madre dalla vita auto-indulgente di James Rees, ricordando nel frattempo ciò a cui sua madre aveva rinunciato per lui, e quanto aveva ricevuto in cambio. «Lo so.»

    Non era colpa di Hare se era di cattivo umore. Non era colpa sua se era stato lo sfortunato datore di lavoro incaricato di tenere a bada la giovane Jolie, la prima volta in cui Rachel Elizabeth Tanner era salita alla baita per stare con il suo amante sposato. Non era colpa di Hare se si era dovuto sorbire Jolie ogni volta, in seguito, finché la ragazza non si era reputata abbastanza grande da non avere più bisogno di babysitter.

    Hare le aveva insegnato a sciare, l'aveva introdotta alla montagna e l'aveva tenuta al sicuro da tutto, a parte l'amara realtà.

    Niente poteva tenerla al riparo da quella.

    Le cose erano cambiate per Jolie, dopo che la storia di James Rees con Rachel Tanner era diventata di pubblico dominio. Le amiche di Jolie l'avevano mollata e lei non aveva più avuto davvero voglia di farsene di nuove. E quando i ragazzi avevano iniziato a notare Jolie, numerosi, lei aveva scoperto che le ex amiche potevano tramutarsi in nemiche arrabbiate e gelose, che sapevano esattamente dove colpire per farla stare male ancora di più.

    «Resti a Queenstown per un po'?» chiese Hare. «Dai una mano a tua madre finché non si sistema?»

    Jolie fece spallucce. «Posso restare un paio di settimane. Poi dovrò tornare al lavoro a Christchurch.»

    «Ho sentito che hai avuto un posto da disegnatrice.»

    «Sì.» Il puro talento e la follia le avevano procurato un lavoro da grafico per una ditta che si occupava di effetti speciali dei film. Il puro talento e la follia la tenevano là. In cambio, non doveva venire a patti con la realtà ogni giorno. La realtà era sopravvalutata.

    «Non potresti farlo da qui?»

    «Perché mai dovrei volerlo?»

    «Non so.» Hare parve esitare. Si grattò la testa e si aggrondò. «Potrebbe essere diverso per te, qui, ora che James è morto.»

    «Non vedo perché. Hannah è ancora qui, Cole è ancora qui. La vedova di James è qui.» La reclusa Christina Rees. «E possiedono ancora mezza città. Non hanno mai reso le cose facili a una Tanner.»

    «Non è stato facile per nessuno» consentì Hare, cupo. «Potrebbe essere l'occasione per seppellire vecchi malumori.»

    «Ora tu sei razionale» disse Jolie. «Ma l'interazione tra i Tanner e i Rees non è mai stata razionale.»

    «Non è obbligatorio che continui così.»

    «Sì, invece» rispose Jolie, dolce, e si aprì a Hare, perché l'omone era sempre stato gentile con lei e la conosceva meglio di tanti altri. «Hare, non voglio tornare e a Queenstown. Qui non ho fatto che nascondermi dalla gente. Ho indossato maschere perché la gente vedesse ciò che si aspettava di vedere. Una ragazzina del tutto a suo agio in un bar pieno di sconosciuti. La figlia provocante dell'amante di James Rees. Una sirena, del tutto calata nel suo ruolo. Tutte maschere, mentre a Christchurch...» Jolie fece spallucce. «Ho trovato infine il coraggio di togliermi la maschera e di essere me stessa. Mi piace esserlo.»

    «Ti sei fatta degli amici, allora?»

    «Non proprio.» Spallucce di nuovo. «Non ancora. Ma almeno, non ho nemici. Non è poco, no?»

    «Già» replicò Hare, burbero.

    Ora lo aveva messo in imbarazzo e si era esposta. Non era il massimo. Tempo di scappare. «Sei pronto per mandare a valle quella cabina?»

    «Sto aspettando un altro passeggero.»

    «Chi?» La pista da sci era stata chiusa dopo mezzogiorno, date le previsioni del tempo pessime. Jolie immaginò che tutti gli altri dipendenti e gli sciatori fossero scesi a valle ore prima. Tutti eccetto Hare, che viveva sulla montagna in una baita a mezzo chilometro dal complesso principale.

    «Cole.»

    «Cole chi?» Ma Hare non rispose, né la guardò negli occhi. Lo stomaco di Jolie iniziò a contrarsi con forza. «Cole Rees è qui, sulla montagna?»

    «È salito un paio d'ore fa. È su all'osservatorio.»

    «A fare che

    Hare si strinse nelle spalle.

    «Ma... come può essere qui?» Aveva progettato la sua incursione alla baita in un momento in cui nessun membro della famiglia Rees potesse essere nelle vicinanze. «Perché non è al funerale del padre?»

    «Non ho chiesto. Quell'uomo non mi pareva incline a conversare, Jolie. Cercava spazio.»

    E ora avrebbe condiviso lo spazio con lei, per tutto il tragitto fino a valle. Solo Cole Rees, Jolie Tanner e una scatola colma delle tracce della storia durata dodici anni tra sua madre e il padre di Cole. «Grande» borbottò. «Davvero grande. Non è possibile inviare a valle un'altra cabina, in cui mettere Cole da solo?» la funivia consisteva in diverse cabine da otto posti e il viaggio durava dodici minuti, da cima a valle.

    «No» disse Hare. È appena giunta la notizia di una bufera in arrivo. Sei fortunata se lascio partire questa.» Guardò fuori dalla finestra a tre strati della cabina di controllo e annuì. «Ora di andare, ragazza. C'è Cole.»

    Jolie seguì lo sguardo di Hare. Eccolo là. Cole Rees, grande come la vita. Intento a scendere lungo il sentiero, diretto alla cabina, i capelli nero corvino scarmigliati e il bel volto teso contro il vento. Un uomo così implacabile, imprevedibile e totalmente sexy, che lo stomaco di Jolie si attorcigliò. Questo avvenne prima che si concentrasse sul suo odio per tutto ciò che era legato ai Tanner. «Grande, davvero grande» commentò, tetra.

    Jolie afferrò un cappello di pelo logoro dalla selezione di vecchi oggetti smarriti, con il paraorecchie, e se lo gettò sopra la cuffia di lana. Lo avrebbe reso in seguito. Aggiunse una sciarpa pesante nera, occhiali da sci, sempre dagli oggetti smarriti, e quando Hare la guardò rimase impassibile.

    «Desumo tu intenda tenere la mia giacca» disse.

    «Te la rendo domani.» Non per la prima volta quel giorno, Jolie si complimentò con se stessa per avere scelto la sua tenuta da sci più vecchia. Un completo unisex, acquistato anni prima durante una breve fase in cui aveva tentato di occultare la propria femminilità. Gli stivali da sci erano neri, tozzi, sciupati e senza fronzoli. Niente di femminile neppure in quelli.

    «I capelli» commentò Hare.

    «Oh.» Si tolse cappello e occhiali, sollevò e rigirò le trecce ramate, le infilò sotto la cuffia e infine si rimise il cappello. I capelli rossi ereditati dalla madre erano un tratto distintivo. Gli uomini ne erano affascinati. I parrucchieri se li contendevano. Jolie non se ne crucciava, a dire il vero, ma ora voleva solo nasconderli. Tirò giù i paraorecchie. «Meglio?»

    «Sembri il cugino di E.T. dall'Alaska» commentò Hare. «Immagino sia quello che vuoi, no?»

    «Sì» rispose, riposizionando gli occhiali da sci.

    «Potresti anche essere te stessa» suggerì Hare.

    «No, non potrei. Ti presento J.T., J sta per Josh. Lavora per te.»

    «Vai, adesso» la esortò Hare, roteando gli occhi. E mentre Jolie si chinava ad abbracciare il suo vecchio mentore, lui la sgridò. «Be', almeno non baciarmi J.T.

    «Come vuoi.» Jolie gli diede una pacca da uomo sul braccio. «Ti aspettiamo al bar stasera?»

    «Se il tempo migliora» borbottò Hare, burbero, sbirciando lo schermo del computer, occupato al momento da una mappa satellitare. «Il che è poco probabile. Di' a tua madre che verrò domani sera.»

    «Okay.»

    «E dille che mi spiace per la sua perdita, e ti prego di dirglielo per bene.»

    «Lo dirò per bene» rispose Jolie, esitando appena per via della profonda comprensione che Hare dimostrava nei confronti della madre. La sfrontata proprietaria del bar, Rachel Tanner – e tutti sapevano che quel bar era un dono di James Rees – avrebbe ottenuto poca simpatia dagli altri, riguardo alla morte di James. E lei avrebbe pianto il suo amante in un silenzio solitario. «Farò pratica, prima.»

    Hare fece roteare di nuovo gli occhi e guardò il cielo, fuori dalla finestra della torre. «Kia waimarie, piccola.» Buona fortuna. «Tieni giù la testa e guardati le spalle, mentre vai.»

    Hare attese che Jolie fosse uscita prima di sfregarsi il braccio dolorante, sospirando. La ragazza non sbagliava a voler evitare Cole Rees, soprattutto quel giorno, ma che ce la facesse era un altro paio di maniche. Era molto probabile che, durante il percorso fino a valle, Cole Rees guardasse una seconda volta il giovane con lui. Ed era altrettanto probabile che iniziasse a fare due più due. Troppe contraddizioni.

    Hare dava lavoro ai teenager sulla montagna solo se avevano esperienza e sicurezza, ma non li accettava mai se erano piccoli. Mai.

    E non ne aveva mai avuti con la pelle color alabastro, le guance delicate e, semmai un uomo avesse potuto ignorare quelle labbra, con occhi color delle nubi da neve.

    Sarebbero stati gli occhi di Jolie a tradirla. Nessuno aveva occhi come le donne Tanner. Non di quel colore. Non con quella... sfida che vi albergava. Un mix da sirena, un pizzico di consapevolezza misto a una vulnerabilità quasi dolorosa.

    Era un dato di fatto: un uomo si poteva perdere in quegli occhi e non tornare mai più a galla.

    Lo aveva visto accadere.

    Era stato testimone della strage che ne era derivata.

    «Occhi a terra, ragazza» sussurrò. «Dai una chance a quel povero figliolo.»

    Cole Rees abbassò il capo e affrettò il passo verso la cabina. Il tempo si adattava perfettamente al suo umore: brutto e imprevedibile. Le sue emozioni erano un garbuglio irritante di tristezza e rimpianto, rabbia e sfida. Non era stato in grado di presenziare al funerale del padre, non per tutto il

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