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Quando il diavolo bussa alla porta
Quando il diavolo bussa alla porta
Quando il diavolo bussa alla porta
E-book354 pagine5 ore

Quando il diavolo bussa alla porta

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Info su questo ebook

John Turner ha vissuto nella menzogna per gran parte della sua vita. Cresciuto nella cittadina rurale di Magnolia Ridge, in Georgia, aveva concesso solo a una persona di conoscerlo veramente: la sua migliore amica, Chloe. Per il resto del mondo erano una coppia perfetta ma lei, in realtà, gli stava solo facendo da una copertura.

Matt Kinsley, un poliziotto di San Francisco, si trasferisce dalla metropoli alla ricerca di una vita più tranquilla per riconnettersi con le sue radici meridionali. Ricominciare da capo a Magnolia Ridge significa rinchiudersi nell’armadio, ma Matt scopre che con la compagnia di John non sarà poi un grande problema per lui.

Mentre i due iniziano a pensare una possibile relazione, un orribile omicidio sconvolge la città ma finisce per unire John e Matt in modi che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Matt deve decidere a chi essere leale, mentre John resiste all’impulso di scappare di nuovo. Insieme, dovranno scoprire chi è il vero diavolo prima che un’altra vita venga distrutta.
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2022
ISBN9791220703499
Quando il diavolo bussa alla porta

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    Anteprima del libro

    Quando il diavolo bussa alla porta - Cate Ashwood

    1

    «Volete dei biscotti insieme a quel pollo?» chiese Ilene, la madre di John, mentre finiva di preparare il cestino da picnic. «Li ho appena sfornati…»

    «Ho mai rifiutato il tuo cibo?» chiese John mentre le girava intorno, avvicinandosi alla macchina per il ghiaccio sul bancone. Afferrò due barattoli di vetro e poi li riempì con tè zuccherato e fette di limone prima di metterci i coperchi.

    «Immagino sia stata una domanda stupida,» disse mentre avvolgeva quattro biscotti caldi in un tovagliolo e li metteva sul fondo del cestino. Lanciò un’occhiata a Chloe e chiese: «E tu, tesoro? Mi è avanzata un po’ di torta di more da ieri sera.»

    Sua madre era una bella vecchietta paffuta e adorava cucinare per sfamare le persone. Diceva sempre che era il suo modo di compiere il volere di Dio, non si poteva sentirne lo spirito se il tuo stomaco brontolava.

    «Sono a posto, signora Turner, ma grazie per l’offerta.» Chloe sorrise con tutto il viso, dai suoi occhi verde brillante alle guance color mela e alle sue labbra carnose. Faceva risuonare il nome di tutti come fosse un complimento.

    «Farai meglio a iniziare a chiamarmi mamma, oppure anche Ilene. Tu e Johnny state insieme da troppo tempo per chiamarmi Signora Qualcosa, per l’amor del cielo.»

    Chloe arrossì, ma la sua espressione era allegra. «Mi dispiace, signora Ilene.»

    Ilene soffocò una risata e alzò gli occhi al cielo. «È già abbastanza. Per adesso.» Si voltò verso John con il cestino da picnic e disse: «Ecco fatto, figliolo. Ora dammi un po’ di zucchero prima che ve ne andiate.»

    Non c’era bisogno di chiedere a John di abbracciare e baciare sua madre, ma Ilene comunque glielo ricordava sempre. «Ci vediamo domattina. Da’ la buonanotte a papà da parte mia.»

    «Lo farò. È in città a prendere un po’ di vernice per la tua veranda sul retro, ma dovrebbe tornare presto.»

    «Cavolo, gli avevo detto che l’avrei fatto io domani.»

    Ilene iniziò a pulire il bancone, apprestandosi a preparare la cena. Stava sempre cucinando qualcosa. «Beh, lo conosci. Non crede nel rimandare le cose.»

    Dato che non avevano programmato di dipingere il portico per i prossimi tre giorni, John non pensava di aver rimandato nulla, ma sapeva che era meglio non discutere. «Beh, ringrazialo e poi lo ripagherò quando ci vediamo.»

    Ilene agitò la mano, scacciando una mosca o suo figlio, chi poteva dirlo. «Adesso andate. Divertitevi e fate attenzione, d’accordo?»

    «Sì, signora.» Aveva quasi ventisette anni, ma a volte quando era a casa, si sentiva ancora un bambino. Probabilmente gli sarebbe stato d’aiuto smettere di fare la spesa nel frigorifero di sua madre, ma non era quello il punto.

    Quando John scese dalla veranda, dovette tirarsi su la maglietta, sentendola appiccicarsi addosso nell’aria calda e pesante. Marzo, nella Georgia del Sud, era sempre stato un mese strano con molta pioggia e molto caldo, ma quell’anno era ancora più opprimente del solito. Mise il cestino da picnic nel retro del pick-up prima di aprire la portiera del passeggero per Chloe. A lei non piaceva molto quando faceva cose del genere, si sentiva come se... come diceva? La trattasse come una bambina? Negasse la sua uguaglianza? Non riusciva a ricordarsi le parole esatte, ma lo faceva comunque, almeno quando sua madre guardava dalla finestra sul retro.

    «Sei proprio un cocco di mamma, John Turner,» disse Chloe mentre saliva sul pick-up. Lanciò un’occhiata alle sue spalle e probabilmente scoprì sua madre a guardarlo. «Se tu fossi mio figlio, ti direi di prepararti da solo il tuo maledetto pranzo.»

    John si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia, esclusivamente per fare scena, ed entrambi lo sapevano. «Se fossi tuo figlio, sarebbe imbarazzante.»

    Chiuse la portiera e si sistemò al suo fianco. Mentre lui si metteva al volante, Chloe disse: «Se tu fossi mio figlio, questo non sarebbe necessario.»

    «Vero.» John amava sinceramente la sua famiglia, e loro amavano lui; lo credeva davvero con tutto il cuore. Allo stesso tempo, però, non desiderava essere una cosa per cui sua madre avrebbe pianto e pregato. Era stato già abbastanza brutto quando sua sorella, Melonie, era tornata a casa incinta, rifiutandosi di dire loro chi fosse il padre. L’avevano quasi rinnegata. Ma un figlio gay? Di sicuro sarebbe stato cacciato dalla famiglia. O almeno sarebbe stato su tutte le liste di preghiera della contea, chiacchierato alle sue spalle. Cavolo, metà di quei pii uomini che sedevano accanto a sua madre in chiesa lo avrebbe picchiato a sangue non appena lo avesse saputo. E considerava alcuni di loro come amici, aveva lavorato con loro nella squadra di manutenzione stradale. No, non era il caso che si venisse a sapere.


    «Come sta tua sorella?» chiese Chloe accanto a lui, cambiando argomento.

    La strada si restringeva a una corsia mentre si allontanava da casa. «È ancora sposata con quello stronzo.» John non era un fan di suo cognato. Non solo il ragazzo era un alcolizzato, ma era uno stronzo totale. John era abbastanza sicuro che avesse iniziato a picchiare sua sorella, ma non aveva modo di dimostrarlo. «Sto pensando che potrei legarlo al mio portellone e portarlo a fare jogging la prossima volta che Mel mi dice che è inciampata e ha sbattuto la faccia contro una porta.»

    Chloe emise un mormorio di fastidio e frugò nella borsetta alla ricerca delle sigarette. «Tanto per cominciare, non ho ancora chiaro il motivo per cui l’abbia sposato. O, diavolo, perché l’abbia scelto, se è per questo.»

    Nemmeno John ne era così sicuro. Sì, era incinta e sì, i loro genitori erano stati piuttosto insistenti sul non volere che fosse una madre single. Eppure, c’erano cose peggiori che crescere un bambino da soli. Molto peggiori. «Penso che forse stesse solo sperando di trovare qualcuno che la amasse, che le facesse pensare di poter essere qualcosa... più di qualunque cosa credesse di essere prima.» Quella era la sua ipotesi migliore.

    «Qualcuno avrebbe dovuto dirle che avrebbe trovato molto di più dentro di sé. Probabilmente già dopo il liceo.»

    «Dovremmo dirlo a tutti,» disse John mentre svoltava sulla strada sterrata fuori città. Girò intorno alle buche come meglio poteva, ma in alcuni punti era quasi impossibile. «Almeno si è laureata.» Era incinta di otto mesi e sposata con un coglione, ma ce l’aveva fatta. Quello già la diceva lunga su di lei. «E ho ottenuto la nipote più carina del mondo, quindi ecco.»

    Chloe rise e gli diede una gomitata, passandogli la sua sigaretta. «Hai un debole per quella bambina. Non risparmierai mai abbastanza per trasferirti... dove cavolo pensi mai di trasferirti, se continui a viziarla.»

    John tirò una lunga boccata. Non fumava spesso, ma quando lo faceva, gli piaceva moltissimo. «Qualcuno deve pur farlo. Mel non può permetterselo dato che lo stronzo si beve lo stipendio.»

    «Forse dovrebbero farlo i tuoi genitori visto che...» Chloe sembrò ripensare a quello che stava per dire, «dato che sono i nonni e tutto il resto.»

    «Ti è uscito il sangue quando ti sei morsa la lingua proprio ora?»

    «Solo un po’.» Si spostò sul sedile, si tolse la cintura di sicurezza e iniziò a togliersi i jeans. John non era troppo sorpreso, ma di solito aspettava che arrivassero a destinazione prima di cambiarsi i vestiti. «Scusa, ora vuoi occupare tutto lo spazio del mio parabrezza?»

    «Non fare il bambino,» disse grugnendo mentre cercava di togliersi i jeans attillati dalle caviglie, «fa troppo caldo per questi pantaloni, ma tua madre inizierebbe a dire il rosario o qualcosa del genere se mi presentassi con questi.» Alzò un minuscolo paio di pantaloncini che sembravano più una cintura che altro.

    Con una risata, John disse: «Non è una bigotta.» Mentre Chloe si infilava i pantaloncini, aggiunse: «Probabilmente sarebbe meno entusiasta che ci sposassimo se ti vestissi in quel modo davanti a lei, però.»

    «Lo terrò a mente.»

    Stava scherzando, ne era abbastanza sicuro. Tuttavia, non avrebbe mai potuto saperlo con Chloe. Erano stati migliori amici da quando lei aveva appena sedici anni, quasi un decennio ormai, ma trovava comunque il modo di sorprenderlo. O terrorizzarlo, a seconda del suo umore. I tre anni in cui aveva lasciato lo Stato per andare al college erano stati i più duri della sua vita. In una città così piccola dove tutti conoscevano il suo nome, si sentiva incredibilmente solo senza di lei. Quando per la prima volta gli disse di aver incontrato qualcuno con cui uscire, ovvero uscire con un ragazzo etero per la prima volta, aveva pensato di ucciderlo.

    Si sentiva ancora in colpa per quanto fosse stato sollevato quando era tornata a casa. Suo fratello era appena stato ucciso in Afghanistan, la sua famiglia devastata. Chloe stessa sembrava un guscio scolpito, come se di lei non fosse rimasto altro che lacrime e dolore. Ma, nonostante ciò, una piccola parte di John era stata grata. Non che Billy fosse morto, ma che Chloe fosse tornata da lui. Non si era mai sentito così in vita sua, come un figlio di puttana egoista, e probabilmente non l’avrebbe mai più fatto.

    Ma era ancora grato.

    Il muschio spagnolo pendeva dagli alberi su entrambi i lati mentre si allontanava dalla strada verso la stazione di rifornimento di Mud Creek. Era l’ultima fermata per il rifornimento prima che le paludi prendessero il sopravvento.

    Chloe gli chiese: «Cosa stiamo facendo?»

    «Faccio benzina. Non vedi?»

    «Vuoi comprare la birra, bugiardo.»

    Sì, lo conosceva troppo bene. «Posso prendere benzina e birra, lo sai.» Saltò fuori e mise venti dollari di benzina nel suo pick-up. Quando ebbe finito, andò al finestrino di Chloe. «Vuoi qualcosa dentro?»

    «Vengo con te, ma devi portarmi attraverso il parcheggio.»

    John alzò gli occhi al cielo, ma le aprì la porta e si voltò. «C’è un motivo per cui non puoi semplicemente metterti le tue maledette scarpe?»

    «Fa troppo caldo per le scarpe, ma non voglio spalmarmi l’olio motore sui piedi.»

    Si girò e si appoggiò allo schienale in modo che lei gli potesse avvolgere le braccia intorno alle spalle e issarsi sulla sua schiena. Considerando tutto ciò che aveva fatto per lui, tutte le migliaia di modi in cui era stata lì per lui nel corso degli anni, qualche passaggio a cavalluccio era più che concesso. «E tu dici che vizio mia nipote.»

    Chloe baciò la nuca di John e poi gli diede un calcio con i talloni come se fosse un cavallo.

    Arrivati al negozio, uscì Jenny, una ragazza che John conosceva dai tempi del liceo, e gli tenne aperta la porta. «Come state?» chiese con il suo sorriso luminoso, il sole splendeva caldo sui suoi capelli biondi.

    «Stiamo bene, Jenn. E tu?» Provava sempre una piccola fitta di rimpianto quando s’imbatteva in lei. Quindici anni prima era stata vicina a essere ammessa a un programma per giovani artisti alla Juilliard. Finché un incidente al fiume non aveva infranto i suoi sogni. John non era stato presente, ma ne aveva sentito parlare in seguito. L’intera cittadina ne parlava.

    «Come sempre,» disse con una risata, «cosa avete in programma per stasera?»

    «Andiamo a pescare un po’ di pesce gatto per cena.»

    Chloe sbuffò una risata. «John prenderà i pesci. Io starò a guardare.»

    Jenny sorrise e disse: «Io i miei li compro.»

    «Sei sicura?» la prese in giro John, sorridendo mentre faceva qualche altro passo all’interno, «potresti venire con noi. Ti insegneremo come…»

    «Passo,» disse Jenny, ma gli sorrise ancora una volta prima di lasciar chiudere la porta.

    All’interno del negozio, il commesso sollevò un sopracciglio mentre John portava in groppa Chloe tra i corridoi, ma non disse nulla. «Prendi anche degli Slim Jim,» gli ordinò lei mentre tornavano nel reparto frigo.

    «Se mi fai prendere troppe cose, dovrò metterti giù.»

    «Le tengo io. Solo non fare niente di spericolato e non farmi cadere.»

    «Prometto che non lascerò cadere la birra, ma è tutto quello che posso fare.»

    Per quello lei gli morse l’orecchio.

    Quando ebbero finito il loro giro attraverso la corsia del cibo spazzatura, avevano probabilmente dato un bello spettacolo, ma, ancora una volta, il commesso non disse nulla. Ripensandoci, l’uomo aveva probabilmente visto cose molto più strane di quelle fatte da John e Chloe.

    John ammucchiò tutto sulla cassa e cercò di prendere il portafoglio. «Come va oggi, Cletus?» chiese mentre girava il braccio all’indietro così tanto che sentiva come se avesse tirato un muscolo. Chloe staccò una mano e gli porse la sua carta di debito. Poteva solo presumere che fosse stata nascosta nella sua tasca posteriore.

    «Annoiato,» disse il commesso mentre passava la carta di Chloe, tenendola da parte mentre l’apparecchio elaborava il pagamento. «Quando smetterai di chiamarmi così?»

    «Quando ti procurerai un nuovo paio di tute invece di indossare quelle vecchie di Cletus,» scherzò John. A dire il vero, non riusciva a ricordare il suo vero nome. Cletus era stato il precedente proprietario, andato in pensione quando John era solo un ragazzo.

    «Queste sono ancora buone. Non c’è bisogno di comprarne di nuove.»

    John osservò i buchi e le macchie d’olio. Anche la targhetta ricamata con il nome era sbrindellata lungo i bordi. «Potrebbero andare in giro da sole, sono così vecchie.»

    Il commesso sbuffò con una risata e guardò Chloe. «Perché lo stai ancora sopportando?»

    «L’abitudine, credo.» Chloe si staccò da John e si spostò finché lui non la mise a terra. Rimase sul pavimento di cemento a piedi nudi e si appoggiò al bancone, sorridendo al commesso mentre tirava fuori il telefono dalla tasca posteriore. «Senti qui,» disse, con tono scherzoso e gentile. «Facciamoci una foto con quelle vecchie cose così non le dimentichiamo, e poi puoi comprartene di nuove.» Si girò e scattò un selfie con l’uomo.

    Il commesso sorrise e alzò gli occhi al cielo. «Voi due siete i miei clienti più pazzi.»

    «E i tuoi clienti preferiti,» aggiunse Chloe.

    «Forse è così,» concordò con una risatina.

    La sua faccia brizzolata e la barba macchiata di nicotina probabilmente avrebbero scoraggiato alcune persone, ma non Chloe. Non poteva fare a meno di essere amichevole. Quando la cassa stampò la ricevuta, riconsegnò a Chloe la sua carta. John prese la borsa dal bancone e sorrise al vecchio. «Buon divertimento, Cletus,» disse mentre si chinava per lasciare che Chloe si arrampicasse di nuovo sulla sua schiena.

    «Sei fortunato che sono così vecchio o ti spaccherei il culo.» Non c’era una vera minaccia nel suo tono. Lui e John si prendevano in giro da anni.

    Dirigendosi verso il pick-up, Chloe disse: «Se entro Natale non avrà un nuovo paio di tute, con il nome giusto sopra, dobbiamo prendergliene qualcuna.»

    John alzò le spalle prima di aprire la portiera e farla entrare. «Dobbiamo prima ricordare il suo vero nome.»

    Chloe rise piano. «Scommetto che tua madre lo sa.»

    Probabilmente aveva ragione. Sua madre conosceva quasi tutti, anche la gente nuova che si era appena trasferita in città. Alla fine, John disse: «Che ne dici se andiamo a catturare qualche pesce gatto?»

    «Preferirei sedermi a bere quella confezione da sei e guardarti catturare il pesce gatto.»

    John saltò sul pick-up e si mise la cintura di sicurezza. «Lo dici come se fosse diverso da qualsiasi altra volta che siamo andati a pescare.»


    Quattro birre in... beh, una per John e tre per Chloe; era stata seria quando aveva detto di volersi bere l’intera confezione da sei e guardarlo pescare: John aveva catturato solo un pesce. Erano riusciti a mangiare tutto il pollo fritto, i biscotti al burro di mele, l’insalata di patate e i due pezzi di torta che sua madre aveva infilato nel cestino. John era pronto per un pisolino, ma si tirò a sedere e tenne d’occhio le canne da pesca che aveva incastrato tra una roccia e un albero. Raccoglieva aghi di pino e godeva del semplice conforto di stare con qualcuno con cui poteva essere completamente se stesso.

    «Sai,» disse Chloe sedendosi con la birra in mano, «potremmo davvero sposarci.»

    John sbuffò in risposta.

    «No, pensaci. Potremmo sposarci e poi trasferirci. Potrei inventarmi una grossa offerta di lavoro da qualche parte, e potremmo semplicemente andare via insieme. Allora potresti fare la tua cosa, e io potrei fare la mia. O, almeno, potrei trovare qualcosa che vorrei fare. Forse.»

    A volte John si sentiva come quella canna da pesca. Bloccato tra una roccia e un luogo duro, tirato e strattonato. «Potrebbe funzionare, sì. Anche se non abbiamo davvero bisogno di sposarci per questo.» Le lanciò una lunga occhiata prima di chiederle: «Pensi davvero di poter fare questo a tua madre e tuo padre? So che sono passati alcuni anni, ma dopo che tuo fratello è morto...»

    Lei emise un lungo respiro, come se stesse soppesando la domanda nella sua mente. «Chissà? Non sarà mai più lo stesso per loro, per nessuno di noi, ma non posso rinunciare alla mia vita per compensare la perdita della sua, capisci?»

    Aveva ragione, ovviamente. E Billy non avrebbe voluto che lo facesse. Probabilmente, se ci avessero pensato, nemmeno i suoi genitori.

    «Oppure,» disse, sembrando di nuovo meno pensosa e più vivace, «potresti semplicemente fare coming out con i tuoi genitori e con questa piccola città squallida, e poi potremmo scappare e trasferirci in un posto grande dove nessuno ci conosce.»

    «Starei davvero scappando, avendo ventisei anni?»

    Chloe avvolse il braccio intorno alla spalla di John. «Lo è lo stesso quando scappi da loro ogni giorno.»

    «Giusta osservazione.» Lei aveva ragione. Stava sempre già scappando di casa.

    «Hai solo intenzione di aspettare finché non muoiono? O cosa? Andartene senza parlare mai con loro della tua vita reale? Incontrare un ragazzo di cui ti innamorerai e con cui sarai felice ma che loro non conosceranno mai?»

    Avevano quella conversazione su base mensile, davvero. Praticamente ogni volta che Chloe beveva qualche birra o, Dio non volesse, tequila, lo spingeva, lo esortava e lo faceva pensare, e dannazione a tutto. Lui la amava, ma odiava il modo in cui lo faceva riflettere. «Non lo so,» disse onestamente, «è solo più facile in questo modo, sai? Non mi piace smuovere le acque, non l’ho mai fatto.»

    «Sì, incontrare sconosciuti online e masturbarsi nelle chat room nella tua casetta proprio accanto ai tuoi genitori è molto più facile che avere una vita reale.»

    Ahia. «Ehi, ho una vita reale, con un lavoro e la mia famiglia, te, i miei amici...»

    Chloe diede uno schiaffo a una zanzara e si tolse il cadavere insanguinato dal ginocchio. «La maggior parte dei tuoi amici sono stronzi.»

    Non poteva negarlo. Del resto, non erano veri amici. Chloe era l’unica cosa reale che aveva. I suoi genitori erano grandi, fintanto che amavi Gesù, non bevevi, non fumavi, non amavi il cazzo, e potevi almeno mantenere i tuoi affari vergognosi (vedi anche: sesso prematrimoniale) un segreto per la città e per il pastore. E, naturalmente, anche per loro. Sua sorella era una persona straordinaria. O almeno aveva il potenziale per esserlo, ma era sul punto di lasciare che la vita la riducesse in polvere. Sua nipote, Birdy, era un piccolo terremoto e prendeva quasi tutto il posto nel cuore di John, ma non era sicuro di poter rimanere nella sua vita se la sua famiglia lo avesse saputo, quindi sì.

    Chloe era davvero l’unica cosa reale nella sua vita, l’unica persona che lo amava con tutti i suoi difetti.

    «Sei l’unica con cui posso parlare, lo sai. Non so come farei se ti vedessi uscire e avere una vita.»

    «Almeno ci ho provato,» disse, appoggiando il mento sulla mano, il viso vicino al suo. «Mi ha tradito e ha fatto davvero schifo. Non era nemmeno così eccezionale.»

    John girò la testa per guardarla, avvolse il suo braccio intorno a lei. «Ti arrendi per un coglione?»

    «Beh, due coglioni.»

    Giusto. Si dimenticava sempre dell’unico ragazzo con cui era uscita prima dello stronzo che l’aveva tradita.

    L’alito di Chloe odorava di birra scadente e burro di mele mentre diceva: «Penso di dover, non so, capire cosa voglio per me prima di provare a capire cosa voglio con qualcun altro.»

    «Ha senso, credo.» John aprì una birra e la passò a Chloe prima di prendere l’ultima per sé. Sapeva che non l’avrebbe finita, ma lo faceva per principio.

    «Quando eravamo più giovani, pensavi che a quest’ora saremmo stati più avanti nella vita? Voglio dire, mi sento come se la mia non fosse nemmeno iniziata.»

    «Sì, beh.» La sua risata spaventò un uccello e lo fece volare nel cielo al tramonto. «Cazzo, pensavo che a quest’ora sarei stata sposata, con un figlio e una carriera.»

    Le cavallette verdi avevano iniziato le loro canzoni. John sapeva che presto la palude sarebbe stata popolata da rane e altre cose del genere, ma non voleva ancora andarsene. C’era ancora un po’ di luce, ed essere lì con Chloe era troppo bello. «Che tipo di carriera?»

    Lei scrollò le spalle. Erano entrambi abbastanza all’oscuro di quello che volevano essere da grandi. «Non lo so,» disse, prendendo una lunga sorsata dalla sua birra, «forse una veterinaria? O un’infermiera? Qualcosa che aiuti le persone. Comunque qualcosa di meglio che rispondere al telefono e archiviare documenti in tribunale.»

    Sì, John ce la vedeva. Chloe che si prendeva cura dei bambini malati o delle vittime di ustioni o cose del genere. Sarebbe stata bravissima. «O una dottoressa,» aggiunse lui.

    «E tu?»

    «Cavolo, non lo so.» Proprio mentre stava per continuare, sentì un piccolo tonfo e la sua canna iniziò a vibrare. Si alzò e afferrò le pinze dalla cassetta degli attrezzi. Non ci volle molto per portare a riva il pesce, ma era di buone dimensioni. John aveva sempre odiato quella parte in cui la sua preda ciondolava, lottava contro di lui, sussultava mentre faceva scivolare le dita sotto le pinne laterali e tirava fuori l’amo dalla bocca. «Almeno sono ancora capace di prendere un pesce,» disse con un mezzo sorriso. Invece di prendere il coltello, quello che la sua prozia preferita gli aveva venduto per un penny quando aveva nove anni, gettò il pesce nel frigorifero. L’acqua ghiacciata lì dentro l’avrebbe raffreddato, addormentato, prima che morisse. John sperava sempre che fosse il modo più gentile di farlo.

    «Non ci sono molti soldi da guadagnare, immagino,» scherzò, «dato che ogni altro idiota in città può fare lo stesso.»

    «Tutti idioti tranne te.»

    John sapeva che era sbronza quando rise. «Ehi, lo so fare, ma semplicemente non lo faccio. C’è differenza.»

    «Uno di questi giorni scoprirò il tuo bluff e te lo farò dimostrare.»

    «Ma non oggi,» disse, prendendo le scarpe. Sembrava tesa e iniziò a raccogliere le sue cose nella borsa.

    John si guardò intorno nella luce crepuscolare, ma non vide nulla di strano. «Cosa c’è che non va?»

    Chloe indicò nell’acqua. «Non è un tronco che va alla deriva verso la riva,» disse.

    «Merda.» Sapeva esattamente di cosa stesse parlando. C’erano alligatori nell’acqua, ma di solito se ne stavano da soli, non erano aggressivi finché gli stavi alla larga. Ma nemmeno a John piaceva metterli alla prova, specialmente quando aveva Chloe con sé. «Sali sul pick-up. Prendo io la nostra attrezzatura.»

    Chloe si affrettò a raccogliere le lattine di birra e i pochi mozziconi di sigaretta che avevano lasciato. «Faremo prima se ti aiuto a mettere via,» disse, cercando di raccogliere tutto ciò che poteva. Non avevano una gran fretta, in realtà, ma John vide che la lunga coda nell’acqua si avvicinava sempre di più, come se fosse su una rotta a senso unico senza deviazioni. Probabilmente non ne sarebbe venuto fuori nulla. Probabilmente l’animale li avrebbe visti e si sarebbe voltato. Forse. Ma a John non piaceva fare affidamento su quelle variabili.

    «Prendo io questa roba. Hai capito?»

    Lei sbuffò e lo guardò incazzata per averle dato degli ordini, ma si alzò e si allontanò come le aveva detto.

    Per fortuna, nella sua collera non lo chiuse fuori dal pick-up.

    Pochi minuti dopo, erano all’interno dell’abitacolo e osservavano l’alligatore salire sulla riva, camminare per qualche metro e voltarsi. «Gesù,» disse, ridendo senza fiato, «immagino che non fosse troppo interessato, dopotutto.»

    «O l’unica cosa a cui era interessato ha già messo via tutto ed è scappata,» sottolineò Chloe.

    «Per fortuna, non lo sapremo mai.» Quando John avviò il pick-up, disse: «Ricordami domenica di tornare a ricontrollare di non aver lasciato nulla. Odio gettare rifiuti qui, ma non ho voglia di sfidare la sorte una seconda volta oggi.»

    «Perché non domani?» chiese mentre John sobbalzava sul sentiero, sollevando rocce e terra rossa con le sue gomme.

    Odiava risponderle e doverle spiegare il motivo. Come se la tradisse. «Beh, è sabato sera, quindi...»

    «Oh, giusto.» Non sembrava affatto scoraggiata, ma alzò gli occhi al cielo. «Meno male che abito a venti miglia da te. Sarei incazzata se dovessi nascondermi nel mio appartamento tutta la notte quando esci e trovi qualcuno da scopare.»

    John reclinò la testa di lato e le sorrise. «Ma lo faresti comunque, giusto? Perché sono io?»

    «Probabilmente. Perché sono un’idiota.» Scosse la testa e cercò di non ridere. «Farai meglio a ripagarmi per quelle birre adesso.»

    «Sono stato pagato oggi. Ti porterò soldi e ciambelle domattina.»

    «Ci sta.»

    Si avvicinò e gli stampò un grande bacio sulla guancia.

    In momenti come quelli, non gli importava così tanto della sua vita. A volte sembrava che potesse schiacciarlo, ma ridere e parlare con la sua migliore amica, lasciare che lei lo prendesse in giro, vedere quanto entrambi si prendessero cura l’uno dell’altra, non era affatto male.

    2

    Il caldo appiccicoso del tardo pomeriggio rendeva Matt irrequieto. Distrarsi con programmi spazzatura in TV non migliorava le cose. Niente sembrava attirare la sua attenzione. Si spostò sul tessuto grigio pallido del suo divano, alla ricerca di un posto più fresco. Ma era tutto inutile, impossibile da trovare.

    Essendo cresciuto in California, Matt pensava di sapere cosa fosse il caldo. Ma scoprì che ancora non ne aveva idea. Era a malapena marzo e l’aria a Magnolia Ridge, in Georgia, era carica di una forte umidità che gli aderiva alla gola e lo terrorizzava al pensiero di cosa avrebbero portato luglio e agosto.

    L’orologio segnava le nove, ma a Matt sembrava essere molto prima. Non si era ancora abituato al tempo di Magnolia Ridge, che era tre ore avanti rispetto alla sua città natale, ma si sentiva indietro di circa un secolo rispetto al resto del mondo.

    La prima volta che aveva messo piede in Georgia, erano bastati dieci minuti prima che iniziasse a sentirsi come a casa.

    In realtà, il luogo in cui era cresciuto era molto diverso dalla Georgia rurale, ma la pace e la tranquilla semplicità di Magnolia Ridge richiamavano qualcosa nel sangue di Matt. Senza nemmeno vedere il luogo in prima persona, la città, il senso di atemporalità, gli parlava

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