Gemma tentatrice (eLit): eLit
Di Kelly Hunter
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Kelly Hunter
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Anteprima del libro
Gemma tentatrice (eLit) - Kelly Hunter
Immagine di copertina:
LightFieldStudios / iStock / Getty Images Plus
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Priceless
Harlequin Mills & Boon Modern Romance Extra
© 2006 Kelly Stanley
Traduzione di Alda Barbi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-348-9
1
Erin Sinclair era abituata al traffico. Traffico dell’ora di punta, ingorghi, traffico da giorni di pioggia... e ora, traffico da aeroporto. Sydney era una città pittoresca e vitale con un ponte da cartolina e un porto più blu del blu, ma le sue strade alle otto di qualsiasi lunedì mattina erano intasate.
I tassisti lo sapevano bene.
I suoi passeggeri si erano presentati in ritardo, ma lei li aveva trasportati al terminal delle partenze internazionali in tempo record grazie a un’infilata di semafori verdi. Le avevano lasciato una mancia notevole, essendo troppo di fretta per attendere il resto. Magari per loro non era stato un inizio di giornata eccellente, per lei sì. Ora non le serviva altro che un cliente da riportare in città.
La sua zona di attesa, quella per i taxi di lusso, era appena all’esterno delle porte del terminal degli arrivi. Non c’era nessun altro taxi al momento, e nessuno che attendesse un passaggio, il che non la fece desistere. Infilò la vettura sul lato con destrezza e scese. Non avrebbe dovuto attendere molto.
Come richiesto, era vestita di nero. Stivali neri da escursionista, calzoni neri quasi regolamentari, T-shirt nera. Un berrettino nero da chauffeur giaceva dimenticato sul sedile passeggeri anteriore.
L’uomo che avanzava faticosamente attraverso le porte del terminal degli arrivi non vestiva di nero ma, cavoli, sarebbe stato perfetto con quel colore. Aveva invece optato per stivali consumati con la punta in acciaio, calzoni verdi da scaricatore e T-shirt grigia, ma Mister Uomo Medio finiva lì per lasciare spazio alla fantasia, poiché il corpo sotto quegli abiti da lavoro era a dir poco superbo.
Aveva spalle larghe, fianchi stretti ed era snello, ma dotato di muscoli potenti. I capelli neri erano tagliati con cura e il suo volto si avvicinava alla perfezione massima permessa dalle divinità. Aveva l’aria stanca, di una stanchezza che non aveva nulla a che fare con un volo lungo e pesante, ma molto a che vedere con un’usura profonda dell’anima. Era chiuso in se stesso, il che probabilmente era un bene, perché l’intero universo femminile non si sarebbe potuto salvare di fronte a un suo sorriso.
Si guardò intorno e si avviò verso Erin, la quale si diresse sul retro del proprio taxi e aprì il baule con un’abile mossa delle dita. Ora l’uomo le stava accanto e da vicino lei poté vedere che aveva gli occhi colore del caramello, del tutto adeguati al resto del corpo. Gli scoccò un sorriso e si accinse a prendere la sua borsa voluminosa in tela grezza.
«Faccio io.» Aveva una voce profonda e calma.
«Ha a che vedere con il mio genere sessuale?»
«Preferisco pensare che abbia a che vedere con il peso.» Le rivolse uno sguardo veloce, che tuttavia fu decisamente intenso. Erin ne avvertì la forza, perché le penetrò fino in fondo all’anima. «Lei non è grande e grossa, no?» mormorò infine.
Erin lasciò andare il respiro che non si era accorta di avere trattenuto e si scostò un ricciolo di capelli corti dagli occhi. Certo, era alta un metro e sessanta e piuttosto snella, non era una novità. Forse il tipo non l’aveva valutata a fondo, dopo tutto. Se lo avesse fatto, non sarebbe sbottato in quel commento sulla sua taglia.
Mentre lui richiudeva il baule, Erin si avviò ad aprirgli lo sportello, restando in attesa che salisse.
L’uomo la guardò, guardò lo sportello e un sorriso lieve gli increspò le labbra. Ovviamente non era abituato neppure a vedersi aprire lo sportello dell’auto.
«È certo di desiderare un servizio di taxi di lusso?» gli chiese, asciutta. «Perché i taxi normali sono appena un po’ più in là.»
Lui sbirciò la lunga fila di taxi regolamentari e tornò a guardarla. «Un passaggio sul taxi di lusso mi farà arrivare in città più in fretta?»
«Solo nella sua immaginazione.»
Il sorriso si fece di una frazione più ampio.
«Dal punto di vista dei vantaggi, ho tre giornali diversi da farle leggere durante il viaggio e posso ordinarle un caffè.»
«Un caffè buono?» chiese lui.
«Un caffè eccezionale.»
«Espresso, liscio, due zollette» disse lui, e salì.
Gli uomini sono così facili, a volte.
Erin chiuse lo sportello e salì a sua volta. «Dove?»
«Albany Street, Double Bay.»
Bene. Erin prese il cellulare, ordinò il caffè, si immise nel traffico e si accinse a rendere il suo servizio di lusso. «Giornale? Ho il Sydney Morning Herald, The Australian o il Financial Review.»
«No.»
«Musica?» Aveva qualcosa per tutti i gusti.
«No.»
Okay. Non aveva neppure l’aria di voler conversare, ma lei fece comunque un tentativo. «Dunque, da dove arriva?»
«Londra.»
«È stato via a lungo?» Dall’accento era chiaro che era australiano.
«Sei anni.»
«Sei anni a Londra? Ininterrottamente? Non c’è da meravigliarsi se ha l’aria stanca.»
«Magari prendo il giornale» disse lui, incontrando il suo sguardo nello specchio retrovisore.
«Questo significa fine conversazione?»
«Giusto.»
Gli passò il Sydney Morning Herald in silenzio. Forse era un atleta famoso, un calciatore che tornava a casa dopo che la sua squadra aveva subito una sconfitta pesante. Forse aveva fallito il rigore vincente e faticava a sopravvivere all’umiliazione. Sì, doveva essere così. «Non è un calciatore, per caso?»
«No.»
«Un poeta?» Anche così poteva funzionare, perché avrebbe avuto un paio di cosette da insegnare a Byron a proposito di come apparire sexy, inafferrabile e al contempo bisognoso di cure e coccole.
«No.» Aprì il giornale, lo spiegazzò deciso.
Bene. Forse doveva dimenticarsi del suo passeggero taciturno e concentrarsi sulla guida. Poteva farlo, nessun problema.
Cinque minuti dopo si fermò davanti al Café Siciliano, abbassò il finestrino posteriore e una giovane cameriera tutta curve porse un espresso al passeggero, in confezione da asporto, con due zollette.
«È già zuccherato, queste sono in più, in caso le servissero» spiegò la ragazza.
«Lei è un angelo» replicò l’uomo con la sua voce profonda, e la ragazza arrossì e batté le ciglia.
Cavoli! Erin schiacciò il pulsante e richiuse con lentezza il finestrino. A lei non aveva dato dell’angelo per avergli procurato il caffè. Ingrato. Incrociò il suo sguardo nello specchietto e fu quasi certa che lui nascondesse un sorriso ironico.
«Le fate non possono essere angeli» dichiarò lui, solenne. «È tutta un’altra storia.»
«Mi fa piacere che lo abbia chiarito.» Aveva degli occhi così speciali. E un volto mozzafiato. Erin si rimise in strada più bruscamente del solito. Basta moine, era ora di portare a destinazione quell’uomo.
E poi il motore perse un colpo. Brutto segno. Ne perse qualche altro mentre lei accostava all’angolo più vicino e si infilava in una strada laterale e poi, con un gorgoglio deciso, la Mercedes di lusso ultimo modello non diede più cenni di vita.
«Pare che ci siamo fermati» annunciò lui.
Oh, adesso aveva voglia di parlare. «Beva il suo caffè» gli disse, cercando di avviare il motore. Il motorino d’accensione girava, ma il motore sputacchiava come una vecchietta cui fosse andato di traverso il tè bollente.
«Potrebbe essere il carburante» suggerì lui.
«Potrebbero essere molte cose.» Erin tamburellò con le dita sul volante e valutò le varie opzioni. Prima cosa. «Devo trovarle un altro passaggio.»
«No» replicò lui. «Deve solo alzare il cofano, così possiamo dare un’occhiata a ciò che non va.»
«È un meccanico?»
«No, ma conosco le macchine.»
«Be’, ci si avvicina.» A Erin piacevano le macchine, le piaceva guidarle, ma non sapeva nulla su come ripararle. Aprì il cofano, scese dall’auto e si affiancò all’uomo, fissando il motore immacolato. «Che può fare senza attrezzi?»
«Controllare i fusibili e i contatti» disse, e si accinse a farlo con una sicurezza che la rassicurò.
Aveva delle belle mani, al contempo forti e delicate. Cercò un anello, un braccialetto, ma non portava alcun tipo di gioiello. A certe persone non servono ornamenti.
«E io che pensavo che la cavalleria fosse scomparsa.» Non poteva fare molto per aiutarlo, se non spostarsi per lasciargli modo di vedere meglio. Si appoggiò al paraurti e attese. «Salva spesso la gente? Non è un pompiere, magari? Servizi di croce rossa?»
«Lei valuta sempre gli uomini dal lavoro che fanno?» chiese lui, concentrato sul motore.
«Non sempre. A volte li valuto dalle parole dolci e dal bel volto, ma non funziona in tutti i casi.»
«Posso immaginarlo.»
«Ovviamente, ci sono anche i segni zodiacali» aggiunse, pensosa.
«Vuol dire che giudica una persona a seconda del suo giorno di nascita?» Ora aveva catturato la sua attenzione, totale e del tutto incredula.
«Ehi, valutare un uomo è difficile. A una ragazza servono tutti gli aiuti possibili.»
«Sì, ma l’astrologia?»
«Credo che lei sia uno Scorpione. Umorale, intenso...» Incredibile a letto. Il solo pensiero la innervosì. «Ma mi potrei sbagliare.»
«Ho la sensazione che sbagli spesso.»
Erin notò che non le aveva detto che si era sbagliata. Interessante. «Lei è uno Scorpione, giusto? Lo sapevo.»
Lui la guardò, esasperato. «Non ha alcun significato.»
«No, significa che senza nessuna informazione accessoria sono in grado di iniziare a valutare un uomo. Almeno in teoria.» Attese un momento. «Siamo abbastanza compatibili.»
«Difficile crederlo» fu il commento asciutto.
Erin represse una risata. «Sì, con quella faccia così carina è un bene che non esageri con le paroline dolci, o potrei trovarmi nei guai.»
Il sorriso fu lento ad affiorare ma, quando arrivò, la lasciò sconvolta. «Sto cercando di risparmiare le paroline dolci» disse lui.
«Per quale motivo?»
«Per dopo.»
Oh, accidenti. «Immagino come potrebbe essere» replicò lei, senza fiato. Quell’uomo avrebbe dovuto portare esposto un segnale, decise. Del tipo: Pericolo! Assumere a proprio rischio!. Sarebbe stato un servizio utile al genere femminile, perché se lui avesse deciso di conquistare una donna l’avrebbe fatta sciogliere. Lei stessa sentiva già un certo calore sulle guance, un fuoco alla bocca dello stomaco, e solo per quel sorriso pigro e sornione. E non ci stava neppure provando. Non sul serio.
«È saltato un fusibile del sistema a iniezione.»
Di quale, suo o dell’auto? «Davvero?»
«Meno male che ce ne è uno di scorta.»
«Già.» Lo guardò piegarsi per sostituirlo e non le rimase che osservarlo, bramosa, cercando di non perdere il fiato un’altra volta.
«Ora può provare a riaccendere il motore.»
«Oh, bene.» Erin si avviò alla sua postazione. L’auto si accese subito, facendo le fusa come una gattina ben nutrita. «Funziona.»
«Non ne sia così sorpresa.» L’uomo abbassò il cofano.
«Non sono sorpresa, le sono grata. Davvero.» Fece una pausa. «Succederà ancora?»
«Difficile dirlo» rispose lui, risalendo.
Grazie per la risposta definitiva. La soluzione più facile era guidare l’auto e stare a vedere. Se si fosse fermata di nuovo, avrebbe chiamato l’officina. Nel frattempo, Mister Uomo Internazionale del Mistero voleva andare a Double Bay.
Con una rapida inversione a U e una sgommata, si reimmisero nel traffico mattutino di Sydney.
La fata tassista aveva ragione, sei anni passati lontano da casa erano tanti, pensò Tristan Bennet mentre ingoiava l’ultimo sorso del suo caffè tiepido, ma sorprendentemente buono. Si era sistemato con una certa facilità a Londra; aveva il suo lavoro, il suo appartamento, e anche sua sorella si era trasferita laggiù, ma non poteva negare di non essersi mai sentito davvero a casa. Si era trasferito per lavoro, aveva viaggiato in tutta Europa per lo stesso motivo, ma a un certo momento l’entusiasmo giovanile aveva lasciato il posto al cinismo annoiato e a un crescente senso di futilità. Il fuoco era svanito, la passione si era intorpidita. E poi c’era stata quell’ultima indagine, gli orrori della quale lo avevano lasciato sfinito e dolorante a chiedersi se avesse voglia di tornare a gettarsi nella mischia.
Era stata sua sorella Hallie a suggerirgli di prendersi un po’ delle meritate ferie arretrate e tornarsene per un periodo in Australia. La terra del cuore, gli aveva detto. Il posto ideale per combattere i demoni e trovare la pace. L’unico posto adatto.
E quindi, eccolo lì. Perseguitato da incubi che non riusciva a scacciare e quasi certo di chiedere troppo alla vecchia casa che conteneva la sua porzione di ricordi dolci e amari.
«È questa a destra» disse mentre si affiancavano al vecchio edificio a due piani coperto di assi, con la veranda intorno. La fata annuì, sterzando nel vialetto, e spense il motore.
«C’è qualcuno che la aspetta?» chiese, corrugando la fronte.
«No.» Suo padre si era preso un anno sabbatico in Grecia, i suoi fratelli e sorelle erano sparsi per il globo, ma non importava. Non era necessario che fossero lì per sentirne la presenza. Era a casa.
«Conosco un ottimo servizio di pulizie, se le serve» disse lei.
Okay, magari la casa appariva un po’ trascurata e il giardino era incolto. Niente che non potesse sistemare. «Posso pulire io» dichiarò. Non avrebbe avuto molto altro da fare.
«Non ha idea di che effetto abbiano quelle parole su una donna» disse lei, girandosi a guardarlo e offrendogli l’impatto di un paio di vivaci occhi