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Balliamo?
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E-book156 pagine2 ore

Balliamo?

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Info su questo ebook

Holly Lamb lavora come segretaria di Black Fellon all'Hopechest Ranch e... è innamorata del suo capo. Però Blake proprio non sembra accorgersi di lei, e ci vorrà lo zampino di Joe Colton perché lui si sogni di farle da cavaliere a una festa. Holly vede nel ballo la sua grande chance per farsi notare e si fa aiutare dalla madre per apparire al meglio. E quando Blake la vede non può credere ai propri occhi. Ma la conquista è un duro lavoro...
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2021
ISBN9788830531369
Balliamo?
Autore

Cara Colter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Balliamo? - Cara Colter

    Copertina. «Balliamo?» di Colter Cara

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Hasty Wedding

    Sl The Coltons

    © 2001 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Elisabetta Elefante

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3053-136-9

    Frontespizio. «Balliamo?» di Colter Cara

    1

    La lama era fredda e affilata, la punta del coltello le premeva sulla base del collo.

    Un attimo prima, Holly Lamb sedeva tranquilla nel suo ufficio. Un attimo dopo aveva un pugnale puntato contro la gola e attendeva che la sua vita le scorresse davanti agli occhi.

    Non accadde nulla. Forse perché, pensò fissando negli occhi il ragazzo che la minacciava, nella sua vita non era mai accaduto nulla che valesse la pena rivedere.

    Un’infanzia qualunque, il liceo, la laurea e poi un lavoro come segretaria. Niente cottarelle, niente sbandate adolescenziali, nessuna grande passione.

    In compenso, considerando i ventisette anni della sua esistenza priva di eventi significativi, Holly non aveva nemmeno dei rimpianti. Non desiderò di aver accettato d’andare a fare bungee jumping dal ponte di Prosperino né di aver visto la Cappella Sistina o scalato l’Everest.

    Solo una cosa, se mai, rimpiangeva: di non essere mai andata a letto con un uomo.

    Strano che le venissero in mente certi pensieri proprio mentre qualcuno le teneva un coltello a serramanico puntato sulla giugulare; strano che in quel momento così drammatico e pieno di tensione lei si appigliasse al segreto che custodiva gelosamente da quasi otto mesi.

    Da qualche parte, trovò la calma necessaria per reagire. «Mettilo giù, ti prego» suggerì, sorprendendosi del tono pacato che era riuscita a simulare.

    «Prima dimmi dov’è mia sorella.» La voce apparentemente dura del suo assalitore era venata da una sorta di disperazione.

    «Non so nemmeno chi sia tua sorella.» Holly lo guardò negli occhi. Era poco più che un ragazzino. Doveva avere quindici, sedici anni al massimo.

    Aveva capelli scuri e profondi occhi marroni. Era più alto di lei, ma molto magro. Indossava un paio di jeans sdruciti e una sudicia T-shirt nera.

    «Siete tutti uguali» sibilò, furente. «Pensate che non m’importi niente di mia sorella, solo perché ho fatto degli errori. Ma che cosa ne sapete voi? No, non capite niente...»

    Holly lo studiò con attenzione. E il suo istinto le disse che non aveva a che fare con un delinquente. Quando parlò, la sua voce era piena di compassione e di tenerezza. «Invece una cosa la capisco, l’amore.»

    Lo disse con convinzione, sebbene quello fosse un argomento in cui non si sentiva per niente ferrata. Non aveva mai regnato amore in casa Lamb. Suo padre e sua madre avevano divorziato quando era molto piccola e lei si era addirittura convinta che fosse stata colpa sua.

    Mentre le sue compagne di università avevano avuto i primi flirt al liceo e poi i primi fidanzati al college, lei aveva studiato.

    Eppure aveva parlato col cuore. E il ragazzo sembrò colpito dalle sue parole, perché le staccò il coltello dalla gola. L’espressione feroce di poco prima svanì mentre incurvava le spalle, come assalito da un’immane spossatezza. «Sono talmente stanco...»

    «Lo so.» Glielo leggeva negli occhi scavati.

    «Sono tre settimane che la cerco. Non ho più nessuno, a parte lei.»

    Holly annuì e si allungò a toccargli un braccio. Il giovane si irrigidì, ma non si tirò indietro.

    «L’ho cercata presso la famiglia che l’aveva ospitata prima che mi spedissero in riformatorio, ma non c’era più. Non hanno saputo dirmi dov’era. È così piccola. E io le avevo promesso che sarei andato a prenderla.»

    Holly lo ascoltò con attenzione, mise meglio a fuoco il suo viso. E si rivide davanti il visetto di una bambina dell’Hopechest, così piccina che si metteva ancora il dito in bocca. «Lucille...» mormorò. Il giovane alzò la testa di scatto, riconoscendo quel nome. «Tu devi essere Tomas, suo fratello.» Gli vide spuntare le lacrime agli occhi. «Mi aveva detto che saresti venuto. Ti stavamo aspettando.»

    La mente allenata di Holly passò rapidamente in rassegna il dossier di Lucille. Madre tossicodipendente. Padre morto. Nessuno che si fosse mai preso cura di quei due bambini, a casa.

    «Non sapevo dove cercarti» si scusò quasi col giovane. «In questi ultimi mesi c’è stato un certo scompiglio, qui, e avevamo smarrito alcuni documenti. Ma Lucille era sicura che saresti venuto.»

    Tomas le si avvicinò come un soldato ferito, il capo chino, le spalle come ricurve sotto il peso di un fardello insostenibile. Lentamente, le posò una guancia sulla spalla.

    Holly fu pronta ad accoglierlo in un abbraccio e ad accarezzargli i capelli.

    Fu allora che Tomas cominciò a piangere.

    Il coltello cadde per terra. E quando Holly sentì che la porta si apriva, lo spinse sotto la scrivania con la punta di un piede.

    Guardando alle spalle del ragazzo, incrociò lo sguardo preoccupato del suo capo, Blake Fellon, direttore dell’Hopechest Ranch.

    Aveva occhi grigi, profondi e pacati. Evocavano in lei la superficie di un lago di montagna, sulla quale si riflettevano grosse nuvole scure e picchi frastagliati. Occhi che denotavano una straordinaria forza di carattere e una profonda saggezza.

    Anche i tratti decisi del viso trasmettevano le stesse sensazioni. La leggera frattura al setto nasale conferiva un che di minaccioso alla sua espressione, ma la linea squadrata del mento e gli zigomi sporgenti denotavano una fierezza senza compromessi.

    Fisicamente poi, poteva sembrare un atleta. Sfiorava il metro e novanta, aveva spalle ampie, fianchi snelli, addominali piatti.

    Quel giorno, come ogni volta che sapeva di dover trascorrere la giornata in ufficio, aveva optato per un abbigliamento comodo: jeans, camicia a quadri lasciata aperta sul collo, comodi mocassini ai piedi. I capelli castani erano tagliati corti, più per motivi di praticità che per altro.

    Aveva un’aria bonaria, quasi distratta, dietro la quale però si nascondeva il cervello attento e preciso di un computer. Conoscendolo ormai da otto mesi, Holly sapeva che Blake Fellon dirigeva l’Hopechest Ranch con un’apparente disinvoltura che non aveva certo acquisito durante le lezioni di economia al MBA, dove si era laureato col massimo dei voti.

    Jennifer, la sua più cara amica, le aveva dato qualche informazione sul conto di Blake. Terminati gli studi, quasi tutte le compagnie citate sulle riviste di economia gli avevano fatto una corte spietata, pronte a sborsare cifre da capogiro per averlo nel loro staff. Blake aveva detto di no a tutte per venire a dirigere un ranch nel quale venivano accolti e aiutati dei ragazzini in difficoltà.

    Adesso lo vide fiutare l’aria e quasi percepire la tensione che sembrava regnare nella stanza.

    «Ciao, Holly. Tutto bene?» Aveva parlato con la voce suadente che un cowboy avrebbe usato per calmare un cavallo imbizzarrito.

    Tuttavia il ragazzo sussultò, si girò di scatto e cercò con gli occhi il coltello per terra, asciugandosi il viso col dorso di una mano.

    «Questo è il fratello di Lucille Watkins, Tomas» gli spiegò Holly. «Lucille ci ha sempre detto che se non fossimo riusciti a trovarlo ci avrebbe trovati lui, te lo ricordi?»

    «Come no? Ce lo ripete in continuazione.» Blake si fece avanti. «Ciao, Tomas. Sono Blake Fellon, direttore dell’Hopechest

    «Puoi anche essere il direttore di Sing Sing, per quello che m’importa. Dove hai portato mia sorella? Pensavo di trovarla qui, ma questa sembra una città fantasma. Non c’è anima viva, in giro.»

    «Abbiamo avuto un piccolo problema, ultimamente» rispose Blake vago. E guardò Holly come per chiederle che cosa gli avesse detto.

    Niente, gli rispose lei con gli occhi. Non essere duro con lui. È talmente fragile...

    «Che genere di problema?» l’assalì il ragazzo.

    «Lucille sta bene. Ma l’acqua del nostro pozzo era stata contaminata.»

    Il ragazzo impallidì. «E lei l’ha bevuta? Dimmi la verità! Davvero sta bene?»

    «Non ho nessun motivo di mentirti. È stata in ospedale per qualche giorno un paio di mesi fa, ma si è ripresa in fretta. Come vedi, ora abbiamo portato via tutti i ragazzi, per precauzione. Anche se la situazione ormai è sotto controllo.»

    Holly comprese che Blake non voleva spaventare il ragazzo raccontandogli tutti i dettagli di quella drammatica vicenda, cioè che qualcuno aveva intenzionalmente versato nelle cisterne dell’acqua potabile alcune lattine di DMBE, una sostanza altamente tossica.

    Quella mattina Blake era uscito per incontrarsi con Rafe James, un investigatore privato suo grande amico, e con Rory Sinclair, un agente speciale dell’FBI, che ancora indagavano per dipanare quell’intricata matassa. All’incontro aveva partecipato anche Kade Lummus, del dipartimento di polizia di Prosperino.

    Holly era davvero ansiosa di sapere se c’erano nuovi sviluppi. Trovava inconcepibile che qualcuno avesse intenzionalmente tentato di avvelenare i ragazzi dell’Hopechest, creature sfortunate con cui aveva da tempo instaurato un legame molto forte. Al punto di sentirle quasi sue.

    Soltanto un mostro, un essere privo di cuore e di coscienza, poteva far questo ai suoi bambini. Bambini provati, che avevano alle spalle storie raccapriccianti di maltrattamenti, di violenza, situazioni familiari devastanti. Bambini fragili e indifesi, che venivano ogni giorno da lei a cercare aiuto e conforto. Le chiedevano d’imbucare una lettera o di cercare loro un numero di telefono. E si fermavano a mangiucchiare uno dei biscottini al burro di cui Holly teneva una scorta inesauribile sulla scrivania, o a leggere uno dei giornalini che trovavano nel portariviste, davanti al caminetto.

    Rimanevano perché Holly non li costringeva mai a parlare; ma quando parlavano, lei smetteva di fare quello che stava facendo, si sedeva accanto a loro sul divano e li stava ad ascoltare.

    Non rientrava nelle sue competenze, nessuno la pagava per dispensare abbracci e sorrisi. Ma forse era stato proprio il tempo che trascorreva con quei bambini a infondere sicurezza alle sue parole quando aveva detto a Tomas che capiva l’amore.

    Il rapporto che aveva con quei bambini riempiva la sua vita come mai le era successo; perciò Holly era così curiosa di sapere da Blake se c’erano novità sulle indagini.

    Ma se c’era una cosa che aveva imparato in quegli ultimi mesi, da quando lavorava lì, era che per Blake i bambini venivano al primo posto. Sempre.

    Glielo aveva insegnato senza bisogno di dirglielo a parole. Lo aveva fatto interrompendo frettolosamente una conversazione telefonica con un generoso finanziatore dell’Hopechest quando si era visto piombare nell’ufficio un ragazzino in lacrime, per essersi sbucciato un ginocchio. O chiedendole di annullare tutti gli appuntamenti per fare un

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