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Compagni di letto (eLit): eLit
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E-book188 pagine2 ore

Compagni di letto (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Restaurare un hotel non è un affare a buon mercato, ma Mia Fletcher non è disposta ad accettare l'aiuto finanziario che Ethan Hamilton le propone. Purtroppo però l'affascinante albergatore non è un uomo che accetta un no come risposta. Così da un flirt che aveva i toni freddi della contrattazione, il loro rapporto si trasforma in qualcosa di molto più piccante ed esplosivo, tanto da trascinare entrambi in notti infuocate a cui è impossibile sottrarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2018
ISBN9788858985373
Compagni di letto (eLit): eLit
Autore

Kelly Hunter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Compagni di letto (eLit) - Kelly Hunter

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Sleeping Partner

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance Extra

    © 2007 Kelly Stanley

    Traduzioni diAlda Barbi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-537-3

    1

    «Miss Fletcher?» chiese l’anziano portiere incartapecorito, smagliante nella sua tunica chiara con turbante.

    Mia annuì e si girò a fissare l’hotel decrepito davanti a sé: le colonne maestose in marmo e gli stucchi sgretolati del portico; la magnifica scalinata d’entrata, resa grigia dagli anni e dal passare di molti piedi.

    Il giardino incolto, pieno di piante...

    «Benvenuta a Penang, Perla d’Oriente» disse l’uomo con sussiego. «E all’Hotel Cornwallis, cuore splendente della Georgetown coloniale.»

    L’hotel era situato nel cuore del distretto coloniale dell’isola, in effetti, e aveva un certo fascino consunto e antiquato, ma splendente? Mia rivolse uno sguardo divertito al portiere.

    «So ciò cui sta pensando» disse lui. «Che l’hotel è vecchio e necessita di ristrutturazione. Ma sessanta anni fa, quando io ho iniziato a lavorare qui, era davvero una gloria da contemplare.»

    «Le credo.»

    Rajah, come si leggeva sulla targhetta appesa con discrezione all’abito, si illuminò. «Potrebbe tornare a essere così. L’amore potrebbe fare il miracolo.»

    L’amore e un pozzo di soldi.

    «Appena la maledizione sarà spezzata.»

    «Esiste una maledizione?»

    «Certo, altrimenti come avrebbe fatto l’hotel a ridursi in questo stato?»

    «Magari con anni e anni di negligenza?»

    «Anche quello» disse l’uomo. «Informerò il signor Ethan del suo arrivo. La stava aspettando. Tutti la aspettavamo.» Rajah le spalancò la porta. «Miss Fletcher.»

    «Mia» precisò lei, chiedendosi solo tardivamente come avesse fatto a sapere chi era.

    «Miss Mia» disse il vecchio con occhi scintillanti. «Benvenuta a casa.»

    2

    Quella non era casa sua.

    Qualsiasi cosa intendesse dire il vecchio portiere, quell’hotel non era mai stato la casa di Mia. Lei era stata allevata a Sydney, era andata a scuola là. Abitava là... in un appartamento elegante ed esclusivo affacciato su Harbour Bridge. Aveva scelto quell’appartamento per la vista spettacolare sul porto e perché si trovava a soli due isolati degli uffici della Fletcher Corp, dove lei passava molto del suo tempo. Quella era casa sua, non quell’hotel coloniale malandato in una città che le era estranea e che si trovava a mezzo mondo di distanza.

    Anche se lo aveva appena ereditato da una madre che non aveva mai conosciuto.

    Il vecchio portiere aspettava che entrasse con i suoi occhi gentili e accoglienti. Casa o non casa, quel posto ora era suo e lei avrebbe fatto il suo dovere.

    Era la figlia di Richard Fletcher, la sua unica figlia, e futura erede di una ricchezza cospicua. E ne sapeva parecchio a proposito di doveri.

    Poteva farcela.

    Ma quanto duro sarebbe stato per lei immergersi in una vita che non aveva mai conosciuto?

    Duro, sì.

    Tuttavia era abituata anche a quello. Con un sorriso rapido per Rajah, inspirò a fondo, raddrizzò le spalle ed entrò.

    Era il ritratto di sua madre. Aveva la stessa corporatura delicata, lo stesso volto da elfo di Lily.

    Ethan Hamilton restò in piedi in cima alla scalinata maestosa e fissò la donna che Rajah stava facendo entrare nella hall. La osservò dal suo punto di vista privilegiato, lieto di non essere visto al momento.

    La ragazza osservava intorno curiosa, lo sguardo attratto, come succedeva a tutti, dal soffitto dal quale pendeva un lampadario a bracci antico. Tutti i seimila pezzi di cristallo erano stati tagliati a mano, e poco importava che non funzionasse da anni. Mia sorrise più con l’aria di una bimba meravigliata che di un’ereditiera, e il cuore di Ethan vacillò.

    Osservò Ayah, l’anziana responsabile dei servizi, affrettarsi verso di lei. Vide la figlia di Lily tendere la mano per salutarla, e Ayah prenderla e portarsela contro il viso avvizzito. Non se lo era aspettato, e non le piaceva neppure, anche se mascherò bene l’imbarazzo. Ayah parlò brevemente e Mia Fletcher scosse il capo, l’espressione un po’ malinconica. Qualunque fosse la domanda, la risposta fu no. Mia liberò la mano, spostò un ciuffo di capelli corvini e lunghi dietro l’orecchio e si guardò di nuovo intorno.

    Avrebbe notato l’esecuzione superba delle balaustre in legno di rosa intagliato che fiancheggiavano la maestosa scalinata? Avrebbe visto, oltre la consunta passatoia persiana, gli squisiti marmi colorati delle scale sottostanti? Avrebbe colto la magia? O avrebbe rilevato solo il decadimento e l’usura?

    Lei lo guardò.

    Dopo un momento lunghissimo, iniziò a salire le scale. Sarebbe dovuto scendere lui a salutarla, comportandosi da gentleman e non da statua, ma un solo sguardo di lei gli aveva fatto scordare le buone maniere. Quando lo raggiunse, gli rivolse un sorriso neutro e gli porse la mano.

    «Mister Hamilton, sono Mia Fletcher» disse.

    «Lo so.» Le prese la mano piccola e calda, cercando di tenere a bada il fremito di desiderio che lo percorse come una lama. Aveva già sperimentato il desiderio, e aveva fatto in modo di controllarlo. Mollò in fretta la mano: al diavolo le buone maniere! La sensazione rimase.

    «Come fa a sapere chi sono? E come faceva a saperlo Rajah?» chiese lei.

    «Somiglia a sua madre.» Eccetto gli occhi. Gli occhi di Lily erano castani scuri, caldi. Gli occhi di sua figlia erano grigi come il cielo d’inverno. Occhi freddi e circospetti che soppesavano e giudicavano con una meticolosità che lui avrebbe apprezzato, se non fosse stata diretta a sezionare lui. Gli occhi di suo padre, pensò Ethan, ricordando vagamente l’uomo austero, dai capelli scuri e gli occhi grigi, tristi. «Non ha mai visto una sua foto?»

    «No.» Gli occhi ammalianti si rabbuiarono. «So molto poco di mia madre, Mister Hamilton. Fino a tre giorni fa, quando i suoi avvocati mi hanno contattata, le avrei detto che ero orfana, che ha sposato mio padre, mi ha partorita ed è morta dopo breve.»

    «Ha pensato che fosse morta per tutti questi anni?» Ethan la fissò piuttosto scioccato.

    «Ora mio padre mi dice che lei ci ha lasciati subito dopo la mia nascita. Pare che si fosse innamorata di un altro, un vedovo con un bimbo.»

    Lui annuì.

    «Lei è il figlio, dunque?»

    «Sì.» Non c’era altro da dire.

    Lei raddrizzò le spalle, pronta all’attacco. «Mi chiedevo... è rimasta con lei e suo padre?»

    «È rimasta» affermò lui, cercando di immaginare ciò che le passava per la testa. «È morta tra le sue braccia, sei giorni fa.»

    Mia annuì e guardò altrove, quasi la ferisse vederlo. «Le mie condoglianze per la sua perdita.»

    La sua perdita. E lei? «Tutto qui?»

    Scosse le spalle più confusa che incurante. «Non conosco lei, non ho mai conosciuto mia madre. Non so perché non abbia mai cercato di contattarmi e non so perché mi abbia lasciato questo hotel.» Guardò il lampadario. «Cosa dovrei farne?»

    «Questo dipende da lei» replicò Ethan, lottando per rimanere fermo davanti alla sua incertezza. Se voleva restaurarlo, l’avrebbe aiutata. Se voleva raderlo al suolo o venderlo subito, le avrebbe dato una mano. Lo aveva promesso a Lily. «Ho preparato il rendiconto finanziario degli ultimi tre anni.» Accennò a un faldone nero sul tavolo vicino. «L’hotel è in perdita, lo è sempre stato. Le valutazioni sulla terra e l’immobile sono all’interno.»

    «Immagino che non abbia a portata di mano alcun dato sulle spese stimate per un restauro?» chiese lei.

    «È tutto lì. Magari prima di iniziare a guardare tutte quelle cifre è meglio che si sieda, con un bicchiere di acqua ghiacciata e un ventaglio a portata di mano.»

    «Oh.» Sorrise ironica. «È così tanto.»

    «Di più. Consideri i valori e le stime indipendentemente, ma sono notevoli. Ho preso accordi per incontrare qui l’avvocato, domani a mezzogiorno, per una lettura del testamento di sua madre. Io sono l’esecutore testamentario. Non ci sono sorprese, l’hotel è suo, senza ipoteche o problemi. Ci sono alcuni piccoli lasciti in denaro allo staff. È tutto.»

    Lei inspirò a fondo ed espirò con lentezza.

    «Vuole che cambi l’orario?»

    «No, mezzogiorno va bene» replicò lei.

    «Lo staff dell’hotel le ha preparato una suite. C’è anche l’ala nord del piano superiore. Non è stata usata per anni, ma se rimane potrebbe decidere di farne la sua residenza.» Non sapeva come dire ciò che andava specificato con una certa delicatezza, per cui optò per un approccio diretto. «I suoi genitori vivevano lì.»

    «La suite per me va benissimo» fu la replica cortese. «Grazie per averla preparata.»

    E ora l’invito. Non sapeva bene come fare a estenderglielo, visto che fino a tre giorni prima lei non sapeva nulla di nessuno di loro. Ma aveva promesso di fare anche quello. «Mio padre le porge anche lui un invito ad andare a stare da lui. Ha una casa sull’altro lato dell’isola.»

    Lei lo fissò in silenzio.

    «È anche invitata ad approfittare dei servizi offerti dal Gruppo Hamilton, se dovesse averne bisogno. Il nostro fiore all’occhiello è il nostro hotel qui a Georgetown; la nostra sede è qui, ma abbiamo anche altre filiali a Kuala Lumpur, Singapore, Hong Kong e in Cina.» Lei pareva confusa, pensò, come se non capisse bene ciò che le veniva offerto. «Io e mio padre vorremmo che si sentisse una di famiglia.»

    «È molto generoso da parte vostra» disse lei freddamente. «Ma no.»

    Troppo presto, lo sapeva. «No a cosa?»

    «No a tutto quanto. Ho una famiglia, Mister Hamilton, e va bene così com’è. Ho anche dei soldi, per quel che conta. Non cerco niente di più, né in un campo né nell’altro.»

    «Allora perché è venuta?»

    «Perché dovevo farlo» sbottò lei. «Avevo una madre che non ho mai conosciuto, un padre che rifiuta di parlarmene, un hotel in decadimento che a un tratto rientra tra le mie responsabilità, e un bisogno cocente di risposte. Mi dica, Mister Hamilton, lei cosa avrebbe fatto?»

    Aggressiva. A Lily sarebbe piaciuta. Sorrise un poco all’idea. «Parli con mio padre, potrà darle alcune risposte.»

    «No!» Fece un respiro profondo, cercando di ritrovare la calma. «Giusto o sbagliato, al momento io provo una buona dose di risentimento verso suo padre. Apprezzo la sua offerta di ospitalità, peccato che non sia giunta ventiquattro anni fa. Ma non mi serve adesso. Troverò da sola le mie risposte.»

    «Potrebbero non piacerle» la avvertì.

    Il sorriso che gli rivolse era decisamente agrodolce. «Lo so.»

    Dunque, il suo primo incontro con Ethan Hamilton sarebbe potuto andare meglio, pensò Mia, ferma in mezzo alla stanza dell’hotel con la valigia a fianco. Aveva cercato di essere composta e distaccata, o al limite educata e formale. Ma il suo corpo snello e bellissimo e gli occhi neri come la notte l’avevano ipnotizzata; il suo tocco l’aveva destabilizzata al punto che aveva faticato a ricordare il proprio nome. Figurarsi se poteva pensare a come comportarsi.

    Lui le aveva parlato della somiglianza con la madre, mettendola sulle difensive. Sentendosi offrire ospitalità e una famiglia si era irrigidita. Aveva scelto l’approccio spinoso, emotivo. Anche se, in effetti, qualche ragione da parte sua c’era.

    Da tre giorni a questa parte aveva cercato di venire a patti con la notizia che sua madre non era affatto morta molti anni prima. Che era vissuta, e bene, per tutti i suoi ventiquattro anni e nemmeno una volta, nemmeno una, si era degnata di contattarla. Se c’era una perdita, era quella. Se c’era dolore, quella era la ragione.

    Non sapeva niente di sua madre e non aveva neppure una minima idea sulla gestione di un hotel. Ne sapeva appena un briciolo in più su Penang. Si sentiva stanca, confusa e a chilometri di distanza dal proprio elemento.

    Forse era per quello che non riusciva a levarsi di mente la stretta di mano di Ethan Hamilton.

    Sospirando, si passò una mano sul collo, osservò la stanza e sospirò di nuovo. Il soffitto altissimo con stucchi elaborati era pieno di crepe e scrostato dal tempo; le condutture idrauliche arrugginite correvano lungo due delle pareti a fianco di cavi elettrici molto creativi. Qualcuno aveva progettato alcuni punti luce a muro ma non si era mai preoccupato di terminare il lavoro, decise Mia osservando i cavi esposti. O quello, o era morto mentre cercava di compiere l’opera.

    Le lenzuola sul letto matrimoniale fatto alla perfezione erano sottili come la carta e il motivo di ciliegi in fiore ricamato sul copriletto era sbiadito. La lampada sul comodino semicircolare accanto al letto, però, era una meraviglia in bronzo antico e la cornice attorno allo specchio avrebbe potuto custodire un capolavoro dell’arte rinascimentale senza sfigurare.

    Il bagno faceva venire davvero i brividi con gli asciugamani ingrigiti dai lavaggi numerosi, la vasca macchiata e i sanitari ingialliti. Non ci avrebbe messo piede, in quella vasca.

    Una orchidea bianca e solitaria riposava in un vaso di cristallo panciuto sul lavabo. Vedendola, Mia rise. Rise per l’eccentricità di tutto quanto e per il potenziale incredibile di quel posto. Non importava che il restauro dell’hotel non fosse un’opzione praticabile e sensata, almeno finanziariamente. Non le serviva il faldone nero di Ethan Hamilton, colmo di cifre e calcoli, per capirlo. Voleva concedersi il lusso di chiudere gli occhi e di sognare.

    Sarebbe stato il suo progetto, non una delle solite

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