Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La conquista della leggerezza
La conquista della leggerezza
La conquista della leggerezza
E-book240 pagine3 ore

La conquista della leggerezza

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il testo tratta del percorso attraversato da una ragazza, faticosamente

ma anche tenacemente, all'interno dei suoi pensieri, le tante paure e

insicurezze. La sua vita è combattuta tra due poli: da una parte

l'ossessione per l'inadeguatezza del suo corpo rispetto ai canoni che si

è imposta, l'insicurezza relativa alle sue capacità e, più in generale,

al suo valore come persona, dall'altra la forte necessità di trovare

un'identità propria e vincere paure, fissazioni e pensieri

autosabotanti. Nel viaggio che percorre, non privo di ostacoli, si

scontra con relazioni familiari complesse, il poco accogliente gruppo

dei pari e lo sport che pratica con passione, anch'esso non scevro da

difficoltà di vario genere. Il percorso verso una maggiore

consapevolezza racconta il dialogo e le lotte interiori che la ragazza

sviluppa, ricerca e dai quali in parte viene travolta.
LinguaItaliano
Data di uscita28 dic 2020
ISBN9791220309783
La conquista della leggerezza

Correlato a La conquista della leggerezza

Ebook correlati

Biografie e memorie per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La conquista della leggerezza

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La conquista della leggerezza - Agnese Belardi

    Khalo

    1

    Lucia si girò per l’ennesima volta nel letto e decise che ne aveva abbastanza. La sveglia segnava le 3.09 e dalle 23.30, ora in cui si era coricata, non era riuscita ad addormentarsi neanche per dieci minuti. Sentiva un’irrequietezza motoria incredibile, aveva bisogno di alzarsi a causa del nervosismo che l’aveva pervasa, ma era troppo stanca per farlo realmente. Quello di cui necessitava era una notte di riposo, ma la sua mente non collaborava, rimbalzava da un pensiero all’altro senza sosta, ogni idea che le saltava nel cervello la faceva sobbalzare e le provocava le palpitazioni. Non riusciva assolutamente a controllare il ragionamento. Alternava momenti in cui si faceva assorbire completamente dall’agitazione più furiosa ad altri in cui tentava di razionalizzare le preoccupazioni che turbinavano a vuoto nel suo cervello. Era un flusso continuo che non accennava a rallentare. Le venne in mente che avrebbe potuto alzarsi a bere un po’ di acqua e poi provare a ritornare a letto, come a prendersi una pausa prima di tentare nuovamente. Subito dopo le venne l’idea di approfittare della sua incursione in cucina per fare uno spuntino, ad esempio una merendina confezionata. La successione di pensieri, sensazioni ed emozioni che si susseguì fu rapida e automatica, come se non avesse bisogno di una guida, una conversazione tra due interlocutori esperti di quel tema. Molto esemplificativo della frequenza con la quale si era verificato questo dialogo interiore.

    Una merendina a quest’ora? Ora basta, ho già mangiato abbastanza.

    Ma a cena stasera ho mangiato in maniera piuttosto sana ed ho mangiato solo 2 biscotti a fine pasto.

    Due biscotti sono anche troppi considerando che non ne devo mangiare nessuno. Quindi non devo mangiarli altrimenti ingrasso, devo perdere peso, non aumentarlo.

    Ma ho voglia di mangiare qualcosa…magari scelgo qualcosa di più leggero, come una mela. Ecco, una mela può essere perfetta, così mangio qualcosa di dolce, che mi riempie lo stomaco, ma allo stesso tempo leggera, con meno calorie.

    Ma tra 3 ore mi alzo, aspetto la colazione per mangiare, adesso bevo soltanto un po’ di acqua.

    Decise di alzarsi dal letto e si diresse in cucina, dove si versò dell’acqua fresca dalla bottiglia prelevata dal frigorifero. La sensazione fu inizialmente di benessere, refrigerio, come se le si fossero schiariti i pensieri improvvisamente in testa. Pensò: Vedi, Lucia, non c’è bisogno di mangiare perché non hai fame, avevi soltanto sete e voglia di alzarti. Si sentì sollevata, più leggera e rassicurata. Forse non era veramente così ossessionata dal cibo come credeva. Ripose la bottiglia al suo posto e scolò l’ultimo sorsino rimasto nel bicchiere. Stava per lasciare la cucina, quando le tornò prepotente in mente il pensiero della mela che non aveva ancora mangiato. Si rispose che aveva appena convenuto con se stessa di non aver fame, ma si sollevò brusca una voce che le diceva che una mela non avrebbe potuto farle alcun male, anzi, nelle diete viene sempre consigliato di fare spuntini a intervalli di ore regolari a tutto beneficio del metabolismo. Quindi non sarebbe stato un problema quella mela, tutt’altro. Tutto sommato era uno spuntino leggero, poco calorico, in grado di saziarla anche se si rendeva perfettamente conto di non aver fame, inoltre, le avrebbe donato soddisfazione per la sua consistenza scrocchierella e per di più le avrebbe richiesto del tempo per mangiarla tutta. Era ottimo l’alimento che aveva identificato per lo spuntino sotto vari punti di vista, Lucia si ripeté che in più i dietologi consigliavano di non rimanere digiuni a lungo. A volte si rendeva immediatamente conto di fornirsi delle scuse, ma nonostante lo smascheramento, non riusciva a resistere e cedeva consapevolmente a quelle bugie, fingendo di esserne convinta. All’improvviso si sentì di fronte ad un evento inevitabile e giustificato, sentiva come se fosse cambiato scenario tutto d’un colpo, ora aveva uno sguardo diverso, sapeva cosa voleva e poteva farlo in quel momento. Così si portò davanti al cesto della frutta sul tavolino e lo scrutò con attenzione. Scelse con cura una bella mela rossa, la più grande di tutte, era anche l’unica a non avere ammaccature. Era perfetta e le faceva gola. Già sentiva dentro di sé salire l’anticipazione della soddisfazione che le avrebbe procurato il mangiarla. La prese in mano e come un fulmine a ciel sereno una voce disse: Ma non prendere la più grande, è notte, poi non la digerisci bene, tutte le sue calorie ti vanno dritte nella tua buzzona grassa.

    La pervase un’ondata di schifo che si riversava nei suoi confronti per la voglia di mangiare da sola, di notte, nascosta agli occhi dei suoi genitori in camera a dormire.

    Allora spuntò fuori un’altra idea: quello era un momento suo, soltanto suo, nessuno poteva scoprila, nessuno poteva giudicarla, era da sola e poteva decidere lei in autonomia cosa fare. Quello era un segreto suo e di nessun altro. Una mela non l’avrebbe fatta ingrassare così tanto, invece la soddisfazione di mangiare in quel momento sarebbe stata enorme. E in ogni caso, l’indomani avrebbe potuto mangiare un biscotto in meno a colazione ed il gioco sarebbe stato perfetto. Era deciso: la mela rossa e grossa doveva essere sua. E in quel preciso istante.

    La lavò ed ebbe cura di asciugare alla perfezione la vasca dell’acquaio della cucina, visto che sua mamma aveva sempre tenuto molto all’ordine e alla pulizia e si sarebbe subito accorta che c’era qualcosa di strano. Ripose la spugna e lo strofinaccio e si mise a sedere su una sedia di fronte alla fruttiera. Finalmente addentò la mela tanto bramata, sentì il succo che le colava ai lati della bocca e si asciugò istintivamente usando due dita, mentre masticava quel pezzo così buono, dolce e croccante. Aveva voglia di masticare, mangiare qualcosa che impiegasse del tempo, uno yogurt, seppure le piacesse tantissimo, non le avrebbe procurato una soddisfazione così grande. Morse ogni lato fino al torsolo, che ricercò con attenzione e perizia. Si sentiva sazia a quel punto, ma aveva ancora voglia di mangiare. Si insinuò la solita voce che diceva: Adesso butti il torsolo, ti lavi i denti e torni a letto. Puoi fare colazione domani mattina.

    Ma ormai Lucia aveva innescato un impulso che non voleva arrestarsi. Pensò di mangiare un’altra mela, ma già si sentiva lo stomaco gonfio, le si sarebbe espanso ancora di più e si sarebbe sentita male. Era davvero spiacevole quella sensazione di pienezza, gonfiore, brontolio, che fa diventare la pancia grande come un pallone, tende la parete addominale in una maniera tale che sembra di esplodere da un momento all’altro. Per non parlare della sensazione di avere difficoltà a muoversi, come se fosse rallentata, avvolta in una coperta ingombrante che la rendeva goffa. Provava un malessere generale che non riusciva pienamente a spiegare.

    Decise che non avrebbe mangiato un’altra mela, anche perché aveva mangiato già due frutti dopo cena ed era ancora un po’ gonfia a causa loro. Pensò che effettivamente nell’ultimo periodo trascorreva molto del tempo con la sensazione di pienezza e gonfiore addominale, da una parte era davvero spiacevole, ma dall’altra non sapeva come avrebbe potuto fare diversamente. E non voleva comportarsi in maniera diversa, perché se da un lato si odiava, dall’altra si sentiva tranquillizzata da tutto ciò. Era irrazionale e a lei non piacevano le argomentazioni aleatorie, senza un minimo di concretezza, ma questa faccenda in qualche modo era diversa, era un segreto soltanto suo e il fatto che fosse astratto, principalmente rinchiuso nella sua testa rappresentava un punto a suo favore.

    Allora negoziò di nuovo con la sua voce più saggia, arrivando al compromesso che avrebbe mangiato soltanto un biscotto, uno solo, e sarebbe corsa a lavarsi i denti.

    Poi il pensiero le balenò improvviso in testa: Come faccio a costringermi a prenderne soltanto uno dalla confezione, senza rischiare di mangiare anche gli altri?. Una soluzione poteva consistere nel provare a estrarne uno, chiudere la busta, riporla e portarsi il biscotto in camera al piano di sopra, così sarebbe stato meno semplice e immediato accaparrarsi il secondo, e poi il terzo. Decise che avrebbe agito in questo modo. Aprì la dispensa che conteneva le cianfrusaglie per la colazione e si trovò davanti a quattro diverse offerte: una confezione aveva biscotti grandi ripieni di cioccolata, un’altra al suo interno mostrava delle merendine ripiene e ricoperte di cioccolata, un pacco conteneva confezioni monoporzione di biscotti leggeri e un’altra busta i classici biscotti che aveva sempre mangiato dalla nonna. Pensò di aprire la confezione monodose e mangiarne soltanto uno, avrebbe mangiato gli altri a colazione, così da coprire anche le tracce. Anche perché, se proprio avesse dovuto mangiare qualcosa di dolce nel cuore della notte, sarebbe stato molto meglio se si fosse trattato di qualcosa di leggero, almeno quello che riportava il numero inferiore di calorie sull’incarto. Così selezionò il pacchettino contenente una dose ed estrasse due biscotti, non uno come programmato, ma d’altronde la scelta era caduta su biscotti leggeri e questo comportava una sorta di sacrificio. Poi pensò che sarebbe stato meglio uno, anzi, che non ne avrebbe dovuto mangiare nessuno.

    Ma sì, solo uno.

    O due.

    Aveva deciso, due, ma si sforzò a chiudere la confezione immediatamente e salì in camera a trangugiarli. Una volta giunta in camera da letto poteva finalmente concedersi il lusso di trangugiarli, ma il mangiarli non le trasmetteva la soddisfazione che aveva anticipato nella sua testa. Il primo morso fu piacevole, il biscotto era buono, aveva ragionato tanto sul come e quando mangiarlo, e poi pensò che tutti in casa erano convinti che togliersi qualche soddisfazione ogni tanto non costituisse un problema, anzi, fosse un dovere verso noi stessi. Questa era un’altra considerazione che la autorizzava. Non ci si poteva mica privare di tutto ciò che di piacevole c’era nella vita.

    Ma allo stesso tempo stava facendosi strada il senso di colpa che la faceva sentire grassa, malata, disgustosa, fuori controllo, non all’altezza delle altre sue compagne magre e che figuriamoci se avrebbero mai commesso un misfatto del genere. Era lei ad essere sbagliata, ingorda e ossessionata dal cibo, non pensava ad altro e purtroppo le si poteva leggere addosso. Si considerava grassa, soltanto alcune volte riusciva ad essere obiettiva e a riconoscere di non essere obesa, ma di essere soltanto qualche chilo in sovrappeso. Delle volte invece si faceva talmente schifo da sentirsi la persona più ripugnante sulla faccia della Terra. Aveva quella pancia disgustosa e ridicola, si vergognava a indossare vestiti che lasciavano intravedere le sue forme. E quando poi si sedeva, si vedevano le fossette tra i rigonfiamenti del grasso, l’immagine di sé che aveva fissa in testa la rappresentava come tutta composta da rotoli. Si sentiva a disagio continuamente, si sentiva grassa e brutta, le altre ragazze erano tutte più in forma di lei. Nel suo turbinio di pensieri tristi ed umilianti figurava anche il continuo confronto tra lei e le altre, a quanto chiunque fosse più magro, agile, elegante e spigliato nei movimenti, non come lei che era goffa e per nulla aggraziata quando camminava. Le faceva schifo anche soltanto toccarsi la pancia, la disgustava, le provocava vergogna, ma allo stesso tempo non smetteva di sfiorarsela e stringere i rotoli quando era da sola. Anche lavarsi sotto la doccia e strofinarsi le mani piene di sapone sul corpo costituiva un momento da non perdere per criticarsi aspramente, umiliarsi, sentirsi ancora più nuda ed indifesa. Poteva vedere e toccare contemporaneamente il grasso che plasmava le sue curve sui fianchi, sulla pancia, sulle cosce, sulle braccia molli e rotonde. Chissà quanto avrebbe dovuto scavare per trovare un abbozzo di soddisfazione per quello che era. In alcuni giorni le generava troppo schifo anche soltanto guardarsi allo specchio mentre si strizzava la pancia e pensava che, se riusciva a vederla in tutto il suo orrore, voleva dire che c’era, era reale, più reale che poteva percepire soltanto toccandola.

    Mentre mangiava i pensieri le giravano in testa in automatico, come se fosse entrata in un vortice che la risucchiava. Ingurgitò l’ultimo pezzo di biscotto e corse in bagno a lavarsi i denti. Sperava che insieme al sapore che aveva in bocca, il dentifricio spazzasse via anche tutta la roba che aveva appena buttato giù nello stomaco, ma sapeva che non era possibile. Si faceva schifo, si odiava per quello che faceva e per tutte le conseguenze che questo suo comportamento provocava. Lasciava adito a effetti fisici e psicologici. Stava male da entrambi i punti di vista.

    Pensava continuamente che avrebbe dovuto affrontare la situazione di petto e risolverla, tutto sommato, gli altri sembravano considerare il cibo per quello che era, relegandolo al posto che meritava, cioè di una cosa utile dalle tre alle cinque volte al giorno ed in quantità normali, non un pensiero ed un’attività fissi. Era stufa di sentirsi diversa, di vedersi grassa, di vergognarsi per il suo aspetto e per questi suoi eccessi, per la fatica che faceva per non esagerare ancora di più con il cibo e per tutta l’importanza che rivestiva per lei. Non poteva essere il cibo l’elemento preminente nella vita di una ragazzina di 12 anni.

    Una volta tornata a letto si mise le mani sulla pancia, si tastò e provò di nuovo disgusto: perché mangiare in modo da provocarsi gonfiore, disagio e malessere? Decise che avrebbe seriamente dovuto affrontare la situazione e che magari sarebbe stato più semplice del previsto, bastava provarci. Non poteva certamente continuare in quel modo. Sì, giusto, doveva darsi una mossa, se non ci avesse provato lei, su chi avrebbe potuto contare? Senza pensare alla vergogna che sarebbe derivata dal dover raccontare a qualcuno quelle cose così disgustose.

    Mentre nella sua mente si susseguivano questi pensieri, sentiva insorgere in lei un’attivazione fisica che la rendeva piena di energia e felice. Sì, felice, finalmente aveva trovato il piglio giusto per prendere in mano le carte e condurre lei stessa il gioco. Sarebbe dimagrita e non avrebbe più dovuto ragionare tanto di cibo, non avrebbe più dovuto dipendere dal mangiare. Pensò che sin dalla colazione successiva avrebbe iniziato a mettere in pratica il suo piano. Non sapeva bene come e cosa fare, ma aveva già svolto tante ricerche, per cui era in possesso di tutte le informazioni di base sulla corretta alimentazione e le caratteristiche dei cibi, quindi bastava usarle.

    La attraversò un pensiero che fu in grado di smontare temporaneamente il suo entusiasmo: Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare.

    Pensò che non importava e che ce l’avrebbe fatta. Lucia doveva farcela, non doveva più vergognarsi. In qualche modo avrebbe trovato la strada giusta. Le sue mani erano ancora aperte e

    distese sulla sua pancia e il pensiero di mobilitarsi e finalmente cambiare atteggiamento nei confronti del cibo la faceva sentire incredibilmente più magra, come se il problema fosse più affrontabile e la sua pancia meno grande.

    Erano già le 4.30 quando spense la luce sul comodino per cercare di dormire.

    2

    La sveglia suonò alle 6.30, si stiracchiò nel letto e si alzò di colpo. Lucia era sempre stata energica sin dal momento del risveglio, la sua capacità di ragionamento era nitida, senza rallentamenti nello scorrimento degli ingranaggi. Si sentiva bene e aveva voglia di scendere in cucina a fare colazione, così si sarebbe subito messa alla prova. Quella mattina avvertiva la carica espandersi e fluire veloce e copiosa all’interno del suo corpo, come se si stesse per celebrare un evento importante e da tanto tempo atteso. I suoi genitori erano già in cucina, sua mamma in pigiama, ma con il trucco ed i capelli già sistemati, suo padre che si stava infilando le scarpe per uscire di casa. Sua madre Roberta la accolse con un sorriso enorme e la abbracciò forte, le dette un bacio sulla fronte e le indicò la colazione pronta sulla tovaglietta. Mentre raggiungeva la sua sedia, assegnatale ormai da anni di routine familiare, suo padre si alzò dal divano per incamminarsi verso la porta, girò la testa per dirle uno striminzito: Ciao!, si fermò a dare un bacio a sua moglie e uscì.

    Lucia si accomodò sulla sedia, di fronte alla fruttiera, come durante la notte appena trascorsa, e le vennero automaticamente in mente delle scene di ciò che aveva combinato. Provò una fortissima vergogna. Ma allo stesso tempo si gongolava per la decisione che aveva maturato poche ore prima: sarebbe diventata in grado di gestire il suo modo di mangiare, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito.

    Sulla tovaglietta sua mamma aveva appoggiato, come sempre, una bella tazzona di latte con cacao, i cereali al cioccolato, un cestino pieno di merendine e una confezione avviata di biscotti. Lucia rimase un po’ ferma a pensare cosa avrebbe potuto mangiare in maniera da tenere fede al suo buon proposito, così da inaugurarlo con il piglio giusto. I cereali al cioccolato assolutamente no, dato che erano troppo calorici; le merendine avevano la cioccolata dentro e fuori, idem come per i cereali; i biscotti erano quelli ripieni di cioccolato. Pensò che in casa c’era una quantità di cioccolata da far invidia a Willy Wonka, tutto ciò che era sulla sua tovaglietta conteneva cacao. Si sentì leggermente irritata perché era costretta a mangiare cibo molto calorico, nonostante fosse intenzionata realmente a mangiare in maniera più sana. Come avrebbe potuto fare? Si ricordò della confezione di biscotti che aveva avviato poche ore prima, si alzò e la cercò nella dispensa, ma non la trovò, evidentemente qualcuno aveva finito il lavoro che lei aveva iniziato quella notte. Peccato, poteva essere l’occasione per mangiare dei biscotti leggeri e tra l’altro in numero minore rispetto alle volte precedenti, visto che ne mancavano già due. Intravide la confezione che conteneva le monoporzioni e ne estrasse una, soddisfatta. Bene, stava proseguendo secondo il suo proposito, ce la stava facendo. Avrebbe preferito non bere il latte con tutto quel cacao dentro, così avrebbe portato avanti la sua decisione alla perfezione. Le dispiaceva, però, dire alla mamma che non lo voleva, avrebbe dovuto buttarlo e poi non avrebbe saputo quale spiegazione porgere. Pensò di berne soltanto la metà, data la quantità a uso familiare che conteneva quella tazza. Aprì il pacchettino di biscotti e zuppò il primo nel latte. Oddio com’era buono…sapeva di cioccolato e si era ammorbidito, si scioglieva letteralmente in bocca. Buonissimo. Così arrivò al termine dei biscotti e si fissò a osservare il latte. Era golosissimo e ne era rimasto soltanto poco meno di mezza tazza.

    Nella sua testa ecco che si scatenò un’altra battaglia: Questo lo lascio, ho già mangiato abbastanza e non lo voglio più. Sarei felicissima se mi alzassi lasciando un poco di latte nella tazza, vorrebbe dire che sono riuscita a trattenermi dall’ingozzare tutto come un maiale.

    Ma è così buono e poi fino alle 10.30 non mangerò più niente…ho mangiato meno biscotti rispetto alle altre mattine ed è probabile che mi venga fame.

    Dai, se per una volta sento la fame non muore nessuno, anzi, vuol dire che sono stata brava!.

    Ma dai, il latte non è così pesante come i biscotti, posso berlo senza sentirmi troppo in colpa. Su, via, lo finisco, è un peccato farlo avanzare, mi dispiace anche per la mamma che me lo ha preparato. Magari le dico di non mettermi il cacao da domani..

    Fece per alzarsi e mentre riportava la tazza, ormai vuota, nel lavandino ed il resto delle cose nella dispensa, le cadde l’occhio su un pezzo di biscotto che era rimasto sotto alla tazza, non era sicuramente di quelli che aveva scelto lei, data la consistenza diversa e il ripieno al cioccolato. L’impulso a mangiarlo fu immediato

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1