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Il Circolo di Scacchi
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E-book125 pagine1 ora

Il Circolo di Scacchi

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Sfonda l’equivalenza dell’avere con il dare, stessa fine riserva per il tale e per il quale, forza sovrumana di Scelta e di Bellezza
 
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2018
ISBN9788828331551
Il Circolo di Scacchi

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    Anteprima del libro

    Il Circolo di Scacchi - Giampaolo Ravani

    Bellezza

    Prologo

    Esistono luoghi su questa Terra ove si concentrano linee di altri mondi che hanno proporzioni e fattezze umane.

    Così, per questa volta, una piccola città d’acque, Treviso, farà da innesco a questo breve racconto che di Scelta e di Bellezza vuol dare a suo modo conto.

    Non si tratta, badate bene, dei soliti personaggi e nemmeno delle viuzze, dei canali o dei palazzi, piuttosto di qualcosa di più recondito e profondo che reclama, tra le frasi, l’intuizione di ciascun lettore.

    Esiste poi chi, per sua natura, è destinato ad accender fiamma, sovvertire o, per meglio dire, portare fuori l’Individuo dal tracciato solco. A voi la scelta che egli sia una visione, un pensiero o semplicemente la riduzione del concetto in carne ed ossa.

    Esiste infine il Tempo che a volte muta il ritmo in un intervallo, in una pausa, in una sorta di vacanza ove viene compresa l’essenza, lasciando le correnti colmare pacifiche le differenze dei potenziali stati.

    Una vacanza …

    In effetti, a pensarci, quello di cui aveva bisogno Delirio era proprio una semplice vacanza.

    Nessuna premeditazione, nessun segnale, nessun motivo apparente!

    Semplicemente i due infermieri si erano distratti e lui era scattato.

    Giardino, muro di cinta, labirinto cittadino.

    Delirio, zizzagando tra le vie, era riuscito a prendere un po’ di vantaggio da chi s’era messo furiosamente sulle sue tracce.

    Concentrato nella fuga per tutto quel tempo non vide altro che spigoli di case ed imbocchi di vicoli e di strade, fino a che giunse quasi a ridosso alle imponenti mura di S. Nicolò.

    Quella mirabile architettura gotica rallentò il ritmo dei suoi passi, proprio dove le acque del placido fiume Sile iniziano a lambire i bastioni cittadini.

    Costeggiandoli iniziò a considerare gli oggettivi termini della sua fuga.

    Un attimo!

    Gli era bastato un attimo per cambiare completamente ciò che sembrava dover rimanere per sempre tale. Troppe volte si era ritrovato a fantasticare rinchiuso nella sua cella che stentava a credere ai suoi movimenti in tutta quell’aria aperta.

    Forse è solo un sogno … si disse infine, … però … aggiunse, … mi scricchiolano le ossa.

    Lasciò la chiesa e prese, dopo aver superato una specie di castello lì vicino, la via interna alle mura di S. Teonisto.

    Alcuni carri ad andatura sostenuta lo sopravanzarono alzando una nuvola di polvere che lo avvolse, sentì degli ordini militari provenire da dietro il muro di cinta della caserma alla sua destra mentre un frastuono alle sue spalle lo costrinse per un attimo a voltarsi. Arrivò infine a porta Cavour presidiata da un picchetto armato. Passare di lì sarebbe stato troppo pericoloso, non conveniva, quei soldati potevano essere già stati avvertiti della sua fuga, per cui decise di imboccare i portici in direzione del centro.

    Uscire dalla città non gli sarebbe stato facile, che così com’era vestito poi, lo vedeva bene negli occhi dei passanti che incrociava, destava sospetto.

    Ma quando fu giunto in piazza Duomo, in mezzo a tutta quella gente per suo conto indaffarata, con quel bel sole alto che scaldava, iniziò a credere in cuor suo di poterla fare franca. Addirittura lo sfiorò il pensiero che avessero desistito dall’inseguirlo.

    - In fin dei conti - pensava, - che cosa gliene può importare di uno come me lì dentro.-

    La piazza nella sua forma irregolare s’ammorsava attorno ad un’ampia gradinata inducendo lo sguardo a salire con essa, in una sorta di legatura ad intreccio, fino alle sei imponenti colonne che del Duomo sono assieme presentazione e facciata.

    Delirio, attraversandola, cercò istintivamente d’abbracciarne la totalità ed il particolare assieme, mentre gli alti alberi parevano rendere omaggio al momento col loro filtrare la luce sui palazzi.

    Alcune immagini riflesse, delle parole captate e la sensazione di stare diventando invisibile alle masse, gli infusero uno strano coraggio.

    Un leone, col suo manto levigato e rosso, gli parve esser lì da una vita in sua attesa.

    Imboccò la viottola che sta giusto in mezzo tra il Duomo e la Chiesa di S. Giovanni Battista. Collo sguardo salì veloce i gradini della lunga e stretta scala addossata alla parete del Battistero, fino ad incocciare per un attimo i mattoni nudi dell’imponente campanile tozzo, che di Venezia è storia e simbolo del predominio su Treviso.

    Alcuni passi e si ritrovò in quello slargo compreso tra la via, il Duomo ed il campanile con di fronte una strettoia a cuneo profonda tra due pareti tanto vicine da toccarsi quasi.

    Un poco in alto, incastonata tra i mattoni, in marmorea ed eterna posa, una Baccante gli ricordò il senso del suo stare a questo mondo.

    Un freddo mistero lo colse.

    Levò lo sguardo fino alle cupole del Duomo scoprendole in una prospettiva d’inarrivabile bellezza.

    Cos’erano se non le vele gonfie di un invincibile bastimento?

    Niente di più di qualche secondo in quella domanda che non cercava risposta alcuna, e si riscoprì nel bel mezzo del distratto andirivieni quotidiano.

    In quello stato imboccò Calmaggiore, completamente dimentico della sua natura evasa.

    Le vetrine, i caffè, le donne vestite alla moda; tutto allora sembrava avere un senso, riconducendo i suoi pensieri a qualcosa di compiuto.

    Una sensazione beata e l’idea di conoscere da sempre quel luogo, lo resero osservatore curioso ed attento.

    Sulla via i palazzi parevano fronteggiarsi tra variopinti motteggi in dialetto e delle note di Lira accordate, coi fili, in consistenza diversi, che tessevano delle tele di ragno sospese tra i balconi, le finestre ed i stendardi.

    Era da molto che Delirio non vedeva le cose eppure, in quel suo scomposto vagare, gli sembrò non fosse passato, dall’ultima volta, nemmeno un secondo. Poi uno scalpicciare di cavalli lo destò giusto in tempo per realizzare qualcuno alle sue spalle pronunciare il suo nome.

    Un brivido gli corse lungo la spina dorsale e tutto ciò che fin lì era stato si concentrò in un preconcetto a coesa e vana difesa.

    Non vide allora che una moltitudine di visi rivolgerglisi addosso, pronunciando, ciascuno per proprio conto e ciascuno nel proprio modo, silenziosi interrogativi di condanna.

    Non concesse alla sorpresa nemmeno un istante, scartò le persone a lui più vicine e cominciò a correre a gambe levate.

    Piazza dei Signori di solito così pacifica ed accogliente, coi suoi colori caldi e le linee abituate ad un abbraccio schietto, si scoprì tramite e simbolo aprendo la scena al sole ed alla tempesta.

    Attraversarla gli costò un dispendio di forze enorme fino al momento in cui trovò di chiave la volta, obbligando la folla, che a stringere le fila s’era coalizzata in intesa, a mutare il blocco in un passaggio di varco.

    La corsa giù a capofitto sulle sconnesse pietre fin sotto ad un portico lo fece irrompere, in tutta foga, nella piazza delle prigioni completamente deserta.

    Lì una fontana diffondeva incontrastata il suo canto, Delirio le si avvicinò, vi si rivide riflesso per un istante poi, a lunghi passi, andò ad infilarsi tra i verticali profili di due palazzi dalla giusta ed opposta parte.

    Una passerella, il Botteniga ed i Buranelli sull’altra sponda.

    Sospeso sopra quel ponte fu sorpreso nel rivedere Purezza e Lucentezza accompagnarsi insieme in quel filamentoso ed ondivago fondale. Alcuni ciottoli, dei sassi levigati e qualche pesce sicuro a contrastare la corrente raccontavano, ciascuno per proprio conto, della loro dimensione immersa. Un riflesso di cielo terso s’increspò in tremolio sul pelo dell’acqua, confondendosi tra i colori accesi delle case e dei giardini lì affacciati.

    Alcuni ricordi lo confusero in un’emozione; sapore di libertà ed armonie del suo paese di origine, coi suoi paesaggi incontrastati, le sue vette, le sue valli, i suoi prati.

    Quanto tempo fosse passato nemmeno poteva dirlo.

    Secoli, anzi no, millenni, infine tutto si coagulò in quel presente istante.

    Ripreso il cammino notò, poco più avanti, alcune donne inginocchiate intente a lavare i panni. Dalle loro mani affondate nell’acqua usciva una biancastra scia che si diffondeva morbida tra i fluttui, e subito Delirio l’intese come un filo d’antica essenza che andava a ritrovarsi, dissolvendosi, nella placida corrente.

    Colse uno ad uno gli sguardi di quelle donne; alcuni canzonatori e spensierati, altri civettuoli e sorridenti ed uno solo stranamente profondo e silenzioso.

    Fece un cenno con la mano, sorrise a tutte, avrebbe

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