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Genesi di un comunista
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E-book83 pagine1 ora

Genesi di un comunista

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Info su questo ebook

l resoconto integrale orale di Mao sulla sua vita al giornalista americano Edgar Snow  nel corso di una visita nell'allora territorio sovietico dello Shensi-Kansu-Ningsia.
LinguaItaliano
EditoreGAEditori
Data di uscita9 gen 2021
ISBN9791220247320
Genesi di un comunista

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    Genesi di un comunista - Mao Tse-Tung

    ROSSO

    Mao Tse-Tung

    GENESI DI UN COMUNISTA

    L’INFANZIA

    Sono nato nel 1893 nel villaggio di Shaoshan, nel distretto di Hsiangtang, provincia dello Hunan. Mio padre si chiamava Mao Jen-sheng (Mao Shun-sheng) e mia madre, da ragazza, Wen Chi-mei.

    Mio padre era un contadino povero. Ancora giovane, trovandosi gravemente indebitato, fu costretto ad arruolarsi nell’esercito e vi rimase per parecchi anni. Dopo la ferma ritornò al villaggio dove, col piccolo commercio e con altre attività, riuscì a mettere da parte un po’ di soldi e a riscattare la sua terra.

    Arrivammo a possedere 15 mu di terra e a essere perciò considerati contadini medi. La nostra terra dava 60 tan di riso all’anno: i cinque membri della famiglia ne consumavano complessivamente 35 (7 tan a testa) e il ricavato della vendita dei rimanenti 25 tan permise a mio padre di mettere insieme un po’ alla volta la somma necessaria all’acquisto di altri 7 mu di terreno. La produzione della nostra terra raggiunse così 84 tan di riso all’anno e questo portò la nostra famiglia alla condizione di contadini ricchi.

    Quando possedevamo soltanto 15 mu di terra, io avevo 10 anni e in casa eravamo in cinque: mio padre, mia madre, mio nonno, un fratellino piccolo e io. Quando acquistammo gli altri 7 mu mio nonno morì, ma quasi subito dopo nacque un altro fratellino e potemmo perciò continuare a disporre di un sovrappiù di 49 tan di riso all’anno; su questa base la prosperità di mio padre aumentò rapidamente.

    Anche la vendita e il trasporto dei cereali, attività alla quale mio padre aveva cominciato a dedicarsi fin da quando era un contadino medio, contribuì al nostro benessere finanziario. Divenuto poi contadino ricco, mio padre continuò a dedicare a questo commercio la maggior parte del suo tempo. Prese un bracciante fisso e mise noi figli e la moglie a lavorare la terra. Io cominciai a lavorare in

    campagna a sei anni. Mio padre non aveva un locale per i suoi affari: si limitava ad acquistare cereali dai contadini poveri e a trasportarli in città dove i mercanti glieli pagavano un prezzo più alto. Durante l’inverno, quando si doveva pilare il riso, mio padre assumeva un altro bracciante: così, in quel periodo, eravamo in sette a mangiare. Mangiavamo frugalmente, ma avevamo sempre cibo a sufficienza.

    All’età di 8 anni cominciai a frequentare la scuola elementare del villaggio e vi rimasi fino ai tredici anni. Al mattino presto e alla sera tardi lavoravo nei campi: durante il giorno leggevo i Dialoghi di Confucio e i Quattro Libri. Il mio insegnante cinese era sostenitore del metodo severo. Era duro, aspro e molto spesso picchiava gli alunni. Io non potevo sopportare un simile trattamento e un giorno, avevo dieci anni, scappai dalla scuola e, non osando tornare a casa dove certamente mi avrebbero picchiato, mi avviai genericamente verso il centro della vallata dove pensavo che ci fosse la città. Vagai per tre giorni finché la mia famiglia riuscì a ritrovarmi. Mi accorsi allora che avevo girato sempre intorno allo stesso posto e non mi ero allontanato da casa per più di 8 li.

    Dopo questa avventura dovetti constatare, con grande sorpresa, un certo miglioramento nelle mie condizioni di vita. Mio padre mi teneva in maggior considerazione e il maestro si era notevolmente ammansito. Il risultato ottenuto dalla mia protesta mi impressionò molto. Era stato uno sciopero vittorioso.

    Non appena cominciai a scrivere qualche carattere mio padre volle che tenessi la contabilità di casa e che imparassi subito a usare l’abbaco. Dovetti ubbidire e lavorare la notte sui conti. Mio padre era un principale molto severo. Non sopportava di vedermi in ozio e se non c’erano conti da registrare mi assegnava qualche lavoro nei campi. Era un uomo irascibile e spesso picchiava me e i miei fratelli. Non ci dava mai soldi e anche il cibo era misero. Il quindici di ogni mese faceva uno strappo con i suoi dipendenti dando uova col riso, mai però carne. A me non dava né uova né carne.

    Mia madre era una donna gentile, generosa e comprensiva, sempre pronta a dividere con gli altri ciò che possedeva. Aveva pietà dei poveri e dava loro riso quando, nei tempi di carestia, venivano a chiederne, ma era costretta a farlo all’insaputa di mio padre che non approvava gli atti di carità. Spesso in casa ci furono dei litigi a questo proposito.

    In famiglia, i partiti erano due. Uno era mio padre: il potere. L’opposizione era invece costituita da me, da mia madre, da mio fratello e qualche volta anche dal bracciante. Tuttavia il fronte unito dell’opposizione era spesso diviso da divergenze di opinioni. Mia madre era favorevole a una politica di attacco indiretto: era contraria a tutte le manifestazioni esterne dei nostri sentimenti e ai tentativi di aperta ribellione contro il potere. Diceva che quella non era la via cinese.

    Raggiunti i 13 anni scoprii di possedere un validissimo argomento nelle discussioni con mio padre, proprio sul terreno da lui preferito, ossia la citazione dei Classici. Le accuse che mio padre più spesso mi muoveva erano quelle di comportamento non filiale e di pigrizia. Io ribattevo citando i passaggi dei

    Classici in cui si diceva che gli anziani devono essere gentili e pieni di affetto verso i giovani. Contro l’accusa di pigrizia mi difendevo dicendo che i grandi devono lavorare più dei ragazzi e che quindi, avendo mio padre un’età tripla della mia, era naturale che dovesse lavorare di più e aggiungevo che quando avessi avuto la sua età sarei

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