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Il compagno di classe
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E-book363 pagine5 ore

Il compagno di classe

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Info su questo ebook

Un uomo emerge dal passato di Serena

con una borsa di pelle e un enigma

cronologico insolubile, uno strano oggetto

che sembra appartenere a due epoche diverse

e intorno al quale fioriscono le ipotesi più surreali ma anche strani e inquietanti interessi.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2021
ISBN9791220322980
Il compagno di classe

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    Anteprima del libro

    Il compagno di classe - Anna Pulizzi

    633/1941.

    – I –

    Ero sicura di averlo già visto da qualche parte e il modo in cui mi osservava sembrava gridare forte che lui ricordava bene quando e dove. Si aggirava con aria indecisa tra gli scaffali del reparto narrativa straniera e potevo osservarlo quando transitava oltre i passaggi ad arco tra la saletta in cui mi trovavo e gli altri ambienti della libreria. Era un uomo forse sulla cinquantina e di media statura, con i capelli brizzolati e un po’ scarmigliati tra le tempie e la nuca, la fronte ampia ed il viso ovale dai lineamenti piuttosto gradevoli. La sua camicia azzurra con le maniche arrotolate poco sotto i gomiti scendeva a fasciare con qualche difficoltà l’addome, impietosamente stretto da una cintura color senape. I pantaloni leggeri a quadrettoni grigi lasciavano immaginare qualcosa della tenacia necessaria per imporsi un paio di taglie sotto la soglia della comodità e si arrestavano a non meno di quattro dita dai mocassini traforati dello stesso colore, portati senza calzini. L’uomo distribuiva nervosamente lo sguardo lungo le file di volumi, quindi lo dirigeva verso di me per distoglierlo l'attimo successivo e deporlo senza convinzione su un libro preso forse a caso, le cui pagine lasciava scorrere tra le dita come per udirne il fruscio. Difficile dire se di quella figura non mi fossero del tutto nuovi i lineamenti, lo sguardo inquieto, le movenze di chi non sa bene su quale gamba poggiare il peso o un insieme di queste ed altre cose. Non posso certo ricordare i volti di tutti coloro che frequentano più o meno assiduamente la mia libreria, ma quell’uomo non era di sicuro un cliente abituale e per una serie di impalpabili ragioni ne avevo subito tratto la conclusione di averlo incontrato in circostanze che esulavano dal mio lavoro.

    In quel momento non potevo dedicargli troppa attenzione. Nella saletta, seduta ad un lato del tavolo, Carla stava rispondendo con una certa sicurezza alle domande del piccolo pubblico presente. All’inizio mi era sembrata stranamente impacciata, benché quella non fosse certo la sua prima presentazione, ma col passare dei minuti aveva assunto maggior sicurezza ed il mio ruolo di animatrice del dibattito poteva dirsi concluso. Cercai di concentrarmi sulla conversazione in corso, con i pensieri che si divertivano a rincorrere l’immagine dello sconosciuto in un girotondo di domande senza risposta.

    Carla è una cara amica, oltre ad essere un’autrice feconda e piuttosto apprezzata. Forse le manca qualcosa in fatto di originalità, ma non ho mai trovato un modo accettabile per trasmetterle tale sensazione. Non le è mai piaciuto definirsi una scrittrice e ricordo che non si stancava di ripeterlo; la sua professione restava quella di insegnante, mentre l’attività di autrice poteva essere considerata come il traguardo di chi è riuscito a dare concretezza ad una passione. Mi era stata particolarmente vicina nei momenti bui dopo la mia separazione da Davide, aiutando nostro figlio Valerio a superare un periodo che temevo fosse per lui abbastanza sconvolgente. Valerio da allora le è rimasto affezionato e quando capita la rivede volentieri o insiste perchè la inviti a cena, cercando poi invariabilmente di renderla partecipe dei suoi incostanti interessi di quindicenne. Ed è questo uno svago a cui lei non si sottrae, forse nel timore di ferire le aspettative del suo giovane amico.

    In quell’ultimo periodo avevo visto Carla più raramente, ma per me era stato un piacere mettere anche in quell’occasione la libreria a disposizione per la presentazione della sua ultima fatica: una sorta di documentario romanzato sull'odissea di un piccolo orfano mauritano approdato sulle coste d'Europa insieme ad altri migranti che lungo il viaggio finiscono per diventare la sua nuova famiglia. Una storia vera, più o meno, a tratti toccante ma mai di proposito, se non altro perchè il lettore reagisce con fastidio all'idea che gli si vogliano tirare fuori le emozioni con le pinze.

    Carla ha uno stile sempre gradevole e riesce a spaziare tra argomenti e scenari diversissimi ma invariabilmente avvincenti. Vorrei saper scrivere come lei, che si mantiene lontana da grandi ambizioni e si accosta alla scrittura per un intimo piacere che su di me non riesce a far presa se non per brevi periodi. Il mio rapporto con la letteratura transita invece attraverso la cassa del negozio e non scruta quasi mai verso orizzonti più nobili. Nel remoto passato ho tentato anch’io, come forse chiunque, di fare delle mie emozioni o fantasie qualcosa di leggibile, ma in modo saltuario, senza reale convinzione né desiderio di migliorarmi.

    Ero contenta per Carla e notavo la sua soddisfazione. Quel pomeriggio il numero dei suoi estimatori aveva superato le più rosee aspettative. Non partecipavo quasi mai in prima persona alle presentazioni, ma in questo caso ero stata ben contenta di lasciare ogni altra incombenza ai miei due collaboratori ed avevo introdotto brevemente il lavoro dell’autrice, lasciando poi la parola a coloro che volevano porre domande e ponendone qualcuna io stessa quando la conversazione sembrava languire. Ecco un’altra cosa che non saprei fare; fornire cioè risposte soddisfacenti alle curiosità talvolta bizzarre degli astanti senza incertezze, premiando ogni domanda con il dovuto rispetto e quindi incoraggiando la successiva. Non potevo non pensare che quella sua disposizione andasse a braccetto con la pazienza di cui sono armati anni di familiarità con l’insegnamento scolastico.

    Per una manciata di minuti l’uomo era scomparso alla vista; poteva essersi diretto verso l’uscita o essere tornato sui suoi passi, magari raggiungendo il reparto saggistica oppure quello dedicato ai libri per l’infanzia. L’avevo notato poco prima mentre indugiava brevemente davanti agli scaffali della poesia, a cui non ho mai riservato un reparto apposito e che ho condannato a giacere su pochi ripiani, accomunando molto democraticamente gli autori più noti a quelli meno conosciuti.       Per un istante mi ero illusa di poter collocare quel volto, se non accanto ad un nome almeno ad un episodio, una circostanza. Lo spesso sipario dietro cui si nascondeva la risposta si agitò brevemente lasciando intravedere qualcosa sullo sfondo, ma per un tempo troppo breve. Uno degli insegnanti del liceo che frequentava Valerio? No, era da escludere. Forse il titolare di un negozio in cui ero entrata ultimamente? Uno dei dipendenti di qualche casa editrice? Nemmeno. O forse bisognava andare a cercare un po’ più indietro nel tempo? Ecco, forse sì, in quella direzione la strada verso la soluzione sembrava farsi un po’ meno accidentata. Un vecchio collega di Davide, un suo amico incontrato quando vivevo con colui che per me nel frattempo era diventato solo più il padre di Valerio? No, ero ancora fuori strada e comunque qualcosa mi suggeriva che quel volto l’avevo visto ben più di una volta.

    Anche se non mi stava conducendo in nessun luogo particolare, era un peccato dover lasciare cadere una traccia mentale rischiando in seguito di non ritrovarla, ma cercai ugualmente di riportare l’attenzione ai miei doveri di padrona di casa. Nel concludere l’incontro con i lettori me la cavai con poche battute, lessi brevemente la lista dei romanzi precedenti di Carla, tutti peraltro presenti in libreria e qualcuno anche in edizione economica, quindi invitai gli interessati che già avevano acquistato una delle sue opere ad avvicinarsi al tavolo per avere la dedica dell’autrice. Lei non aveva più bisogno di me ed avrei potuto alzarmi per andare a vedere se quel tipo era ancora nei pressi, avvicinarmi e chiedere se potevo essergli utile in qualcosa, mettendo così fine ai miei interrogativi e alla sua evidente titubanza. Mentre mi alzavo per lasciare Carla alle prese con i suoi estimatori, trasalii incrociando lo sguardo dello sconosciuto che mi stava nuovamente fissando, questa volta dal fondo della saletta. Era entrato senza che me ne accorgessi, non si era seduto ed ora non accennava a mettersi in fila dietro agli altri. Se ne stava lì, parzialmente mimetizzato in una selva di volti anonimi, forse con l’intento di dimostrarmi che stava cercando di stabilire con me un contatto visivo. Restammo alcuni secondi a guardarci, prima che volgesse di nuovo lo sguardo altrove. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e rimase fermo ad esplorare il piccolo ambiente con l’aria un po’ sperduta. Quindi fece per andarsene, mi rivolse l’ennesima occhiata, si rese conto che non avevo cessato di osservarlo e finalmente uscì con l’andatura di chi non ha una meta precisa.

    Carla vergava in fretta una riga di dedica e restituiva il libro insieme ad un ringraziamento; i riccioli biondi che lasciava scendere sulle spalle si agitavano graziosamente per un attimo quando un lettore si tratteneva per regalarle parole di apprezzamento. E fu in quei momenti che presero forma i contorni di una nuova ipotesi. Niente più di una sensazione momentanea che non riuscirei a descrivere se non dicendo che l’immagine del misterioso personaggio era emersa per un istante dalla stessa nicchia di memoria in cui era archiviata la poesia. Non una poesia in particolare, ma la poesia come genere letterario; quell’uomo in qualche modo aveva avuto a che fare con un evento del passato in cui trovava posto anche la poesia.

    Mia figlia vorrebbe sapere come si fa a diventare una brava scrittrice disse la signora in longuette a mezze maniche, con le mani ad artiglio sulle spalle di una bambina paffuta e dallo sguardo vitreo. Carla le restituì il libro arricchito di autografo e rivolse un sorriso bonario alla bimbetta. Era una domanda banale alla quale personalmente non avrei saputo rispondere senza qualche esitazione.

    Intanto, per scrivere bene bisogna leggere molto. Poi bisogna conoscere a fondo l’argomento di cui si vuole parlare e quindi bisogna documentarsi bene. Ma soprattutto occorre studiare a fondo i caratteri dei personaggi sentenziò con aria innocente. Il viso della mamma si allargò in un'espressione di gioia.

    Hai sentito, Melissa? Si deve leggere e studiare, e molto. Cosa che tu non fai mai!

    Lo sguardo della fanciulla sembrò destarsi per un attimo, quindi scivolò lungo il piano del tavolo cercando una via di fuga dal disincanto. Forse Carla si rese conto di essersi antipaticamente aggiunta alla lista di coloro che esortavano la bimba ad impegnarsi di più nello studio e mi indirizzò un’occhiata intrigante.

    Grazie! aggiunse la donna. Senza mollare la presa sulle spalle della piccola, le fece compiere un giro su se stessa e la guidò rapidamente verso l'uscita.

    Permette? Ragionier Caglieri esclamò un uomo sulla settantina con il pizzo alla Pirandello, tenendo il libro in una mano e porgendo l'altra in un inchino eccessivo. Lei sorrise ed accettò la stretta energica, mentre lui si chinava ancora un poco. Per un istante pensai che volesse prodursi in un baciamano e vidi Carla irrigidirsi, ma lui lasciò subito la presa ed allungò il libro aprendolo col gesto attento e delicato che si riserva ad un'opera d'arte.

    "Ho molto apprezzato la sua ultima fatica, come s'intitolava, sì, L'estuario dei sogni. Anzi, a questo punto dovrei ben dire la penultima" si corresse con aria divertita. Si riferiva al romanzo precedente, incentrato su una storia d'amore e portato a termine due anni prima non senza una serie di incertezze e difficoltà di cui Carla m’aveva resa partecipe. Si trattava di un'opera di cui lei continuava ad andare poco fiera, ma almeno a giudicare dalle vendite s'era trattato fino a quel momento del suo titolo più apprezzato. Sapevo che lei osservava con una certa inquietudine l'allargarsi della forbice tra i propri gusti e quelli del pubblico.

    Una vera odissea del cuore, se così posso esprimermi continuò l’uomo, scuotendo la testa. Ed un vero capolavoro. Ma so già che tornerò presto a porgerle i miei complimenti anche per quest’ultimo gioiello letterario. Ah, scriva pure al ragionier Caglieri, se non le dispiace precisò dando sottolineatura vocale al titolo di studio un attimo prima che venisse vergata una dedica tra le meno banali di un variegato repertorio.

    Poi fu la volta di un omaccione con la camicia aperta su una profusione di peli arricciati, che si avvicinò al tavolo spingendo avanti a sé un ragazzotto dall’aria intimorita.

    A mio figlio piacciono tutti i suoi libri proclamò con piglio accusatorio, quindi piegò un angolo della bocca in un’espressione meno malevola.

    Non è vero, Sebastiano? Il fanciullo ci pensò un po’ su, quindi assentì con rapidi cenni della testa; il padre gli prese il volume dalle mani e lo porse all’autrice.

    Allora, a Sebastiano con gratitudine e con l’augurio di una piacevole lettura pronunciò Carla mentre scriveva.

    Decisi che era venuto il momento di liberarmi dei miei dubbi. Percorsi la saletta distribuendo sorrisi, passai sotto l’entrata ad arco che la divideva dagli altri ambienti e mi guardai intorno, esitando. Lì di fronte c’era l’angolo-bar e poco oltre un’area lettura con poltroncine e qualche tavolino, utile accorgimento per coloro che amavano trascorrere un po’ di tempo in compagnia di un libro e magari di un tè o di un bicchiere di vino. Era stata certamente una bella idea quella di dare alla libreria, almeno per sommi capi, le sembianze di un caffè letterario.

    L’uomo però non aveva fatto sosta al bancone né all’area lettura, in quel momento deserta. Una giovane coppia e due anziane signore si trovavano invece nel reparto saggistica, mentre più in là c’era solo l’uscita di emergenza che dava sul cortile del caseggiato. Tornai indietro, passai nuovamente davanti alle volte della saletta e mi fermai un attimo nella stanza della narrativa straniera, dove invece c’era un discreto numero di persone ma non quella che avevo intenzione di avvicinare.

    Da qui si accedeva alla stanza adiacente l’entrata, dove su un lungo tavolo erano poste in bella vista le ultime novità librarie, abitualmente le più richieste, oppure si poteva salire lungo una scala a chiocciola per accedere alle due aree del piano superiore, una delle quali riservata alle guide turistiche, alle mappe e ai volumi fotografici, mentre nell’altra per problemi di spazio dovevano convivere i libri di storia e di filosofia insieme a quelli a tema religioso, mistico, esoterico, paranormale o comunque legati all’indagine su presunti misteri del tipo più svariato.

    Mi guardai intorno indecisa, quindi raggiunsi la scala e salii al piano superiore, scoprendo con disappunto che in quel momento non vi era nessuno, ad eccezione di una ragazza che se la rideva di gusto passeggiando tra gli scaffali e parlando al cellulare. Non vi erano altri ambienti in cui prolungare la ricerca, per cui tornai al piano terra e raggiunsi Silvia, una dei miei due collaboratori, in quel momento di presidio alla cassa.

    Serena, scusa, mi dai il cambio due minuti? domandò appena mi vide. Spinse quasi con difficoltà la piccola tastiera verso il terminale e si alzò, passandosi una mano lungo un fianco con una smorfia.

    Certo. Non stai bene?

    No, tutto okay, solite cose. Arrivo subito disse prendendo la borsa e alzandosi. Sapevo che le solite cose si riferivano al suo ciclo quasi sempre problematico, accompagnato da nausea e dolori alla schiena.

    Se vuoi andare a casa, vai. Io e Luciano oggi ce la caviamo le dissi mentre si allontanava. Lei fece un cenno di diniego con la mano senza voltarsi e scomparve in direzione della toilette. A quanto pareva l’innominato era passato solo per darmi un’occhiata e poi se n’era andato. Un comportamento strano, che però in qualche modo poteva dar corpo all’ipotesi che prima o poi si sarebbe rifatto vivo. Molti tra coloro che avevano assistito alla presentazione arrivarono alla cassa insieme ad una copia del nuovo romanzo della mia amica, pagarono il dovuto e mi rivolsero i complimenti di rito avviandosi verso l’uscita. Qualche minuto dopo apparve anche Carla, che mi osservò con un sorriso inespressivo.

    Grazie, Sere! disse poi con aria un po’ malinconica.

    E di che? Non è andata bene? domandai preoccupata. Lei alzò le spalle e lasciò passare qualche attimo in silenzio, quindi allargò le braccia e guardandosi intorno si produsse nel più giocondo dei sorrisi.

    Ah, ecco! mormorai.

    Mi sembra quasi di essere una scrittrice

    Ma lo sei!

    No, voglio dire, una scrittrice come quelle vere precisò annuendo con vigore.

    I tuoi lettori sono sicurissimi che tu lo sia già insistei alzandomi per lasciare di nuovo il posto alla mia collega. Questa si lasciò andare sulla sedia con l’espressione nauseata.

    Non va? le domandai. Silvia era una ragazza piuttosto taciturna e dai modi distaccati, proprio il contrario di ciò che in genere è richiesto a chi lavora in un negozio, ma possedeva doti non comuni per ciò che riguarda quegli aspetti del marketing che a me in verità sfuggono. Non appena assunta, qualche anno prima, mi aveva convinta a rivoltare come un calzino la disposizione dei testi in tutta la libreria e si era notato subito che la clientela aveva gradito quella piccola rivoluzione.

    E’ sempre così. O quasi rispose lei sconsolata, drizzando la schiena e rivolgendo le sue attenzioni allo schermo.

    Problemi? si informò Carla.

    Problemi ciclici spiegò Silvia dondolando la testa.

    Rinnovo l’invito. Vai a casa a riposarti supplicai.

    Forse ci vorrebbe una camomilla suggerì Carla. O anche una tisana. Con lo zenzero è l’ideale. A me ad esempio ha aiutato molto anche lo yoga. C’è una posizione molto efficace, una specie di arco. Per te che sei giovane non è affatto complicata. Praticamente si sta con la pancia a terra, si sollevano i talloni verso la schiena mentre si alza il busto. Senza esagerare eh, molto lentamente. Si chiama dhanurasana. E’ indicata proprio per i dolori mestruali.

    Silvia annuì senza convinzione e provò a rilassarsi contro lo schienale della sedia.

    Di solito se mi stendo per un’oretta, mi passa. Serena, mi sa che dovrò approfittare del tuo invito disse arricciando il naso e carezzando il mouse col palmo della mano.

    Brava, così si fa! la incoraggiai.

    Se te la senti, prova a fare come ti ho detto. Vedrai che funziona insisté Carla. Da quando riuscivo a ricordare, aveva sempre avuto con lo yoga un rapporto assiduo, che da tempo si era rassegnata all’idea di non riuscire a trasmettermi.

    Ci proverò! promise Silvia alzandosi. Mise la borsa a tracolla e si avviò verso l’uscita. Grazie per l’aiuto

    Stasera ti chiamo e mi dici come va le dissi aprendole la porta.

    "Ah, Silvia!

    Sì?

    Non aveva molto senso continuare ad interrogarsi sul volto di una persona che in quegli istanti non ero nemmeno sicura di aver già incontrato. Tutte le congetture dei minuti precedenti mi parvero improvvisamente inconsistenti. Forse si era trattato solo di un abbaglio e di alcuni fili che vi avevo tessuto intorno. Forse l’uomo cui non ero riuscita ad assegnare né un nome né una circostanza non mi aveva dedicato più attenzione di quanto facesse chiunque altro e magari era un normalissimo lettore in cerca di un buon libro ma indeciso sulla scelta.

    Per caso, prima hai visto uscire un tipo, più o meno sui cinquanta, capelli sale e pepe, camicia azzurra da tranviere...

    Silvia ci pensò su un istante.

    Sì, mi pare di sì. Perché?

    No, così replicai, senza sapere come motivare quella curiosità.

    E’ uscito senza comprare niente aggiunse Silvia stringendosi nelle spalle.

    – II –

    Che hai fatto, oggi? domandai. Valerio se ne stava da mezz’ora seduto in cucina a passare i pollici sullo smartphone inviando e ricevendo messaggi. Con un impercettibile movimento delle spalle mi comunicò che non c’era nulla di cui valesse parlare. I sofficini sfrigolavano nella padella. Era il suo piatto preferito e li osservai con ostilità, rimandando ancora una volta progetti di rivoluzione culinaria; il mio tentativo di introdurre Valerio alle virtù di un’alimentazione più varia s’era arresa anche quella sera al provocante fascino dei piatti che chiedevano solo di essere scongelati e scaldati, guadagnando tempo ma pagandolo con la bassa qualità degli ingredienti.

    Valerio è sempre stato un bravo ragazzo, ma non potevo certo ignorare che ogni valutazione dipendeva essenzialmente dal parametro utilizzato. Era tale rispetto ai suoi coetanei o così mi sembrava; a differenza di molti tra costoro aveva una discreta e magari anche soddisfacente base culturale, non si prestava in maniera acritica ad inseguire la moda del momento e non si lasciava coinvolgere più di tanto per il bisogno di adeguarsi agli altri. Almeno per il momento poteva bastare ai miei sensi di madre forse poco attenta ai dettagli.

    Fare i genitori è un lavoro pericoloso; lo è innanzitutto per i figli e in seconda battuta anche per se stessi, specie quando si è soli e non si ha modo di confrontare le proprie decisioni con qualcuno che inevitabilmente ti presenta le cose sotto una visuale diversa. Quel qualcuno infatti se n’era andato ormai da anni e tutto sommato era stata una fortuna. Conservava però il diritto, almeno per un giorno alla settimana, di influenzare negativamente Valerio, poiché io sapevo bene che Davide non sarebbe mai stato capace di dare una briciola di buon esempio a suo figlio se non per errore. Quello che stava tramontando era proprio uno di quei giorni e naturalmente friggevo di curiosità, o meglio di sospetto. Ero una Penelope apprensiva che cercava di tessere la sua tela a ritmo indiavolato, convinta che un’altra Penelope ostile avrebbe disfatto in un giorno quel che avevo tessuto in una settimana; per ovvi motivi l’operato di Davide sembrava essere molto più facile del mio. Ma questo non giustificava l’idea di arrendersi alla sorte.

    Allora, perchè non mi racconti che cosa hai fatto? Come sta tuo padre?

    Bene

    Mi fa piacere. E che avete combinato voi due, tutto il giorno?

    Valerio fece scivolare il cellulare su un angolo del tavolo e continuò a guardarlo, preparandosi a dar prova della sua insuperabile capacità di esporre l’essenziale usando il minor numero possibile di parole.

    Niente. Abbiamo fatto un giro, poi siamo stati a casa

    E non avete visto nessuno?

    Un suo amico

    Girai i sofficini sull’altro lato e rimasi a fissare il velo di parmigiano grattugiato che andava sciogliendosi sopra gli spinaci nella padella a fianco. Non avevo mai conosciuto un amico di Davide che non mi avesse lasciato un’impressione meno che inquietante. Di sicuro lui non aveva mutato il tipo di frequentazioni, ora che viveva da solo.

    Un amico? E come si chiama? Lo conosco?

    Si chiama Maurizio. E’ bravissimo a carte, conosce tutti i giochi e tutti i trucchi. E’ riuscito anche a battere papà, due volte

    Valerio riagguantò il cellulare quasi nel momento in cui un sordo ronzio annunciava l’arrivo di un messaggio. Sentii il sangue salirmi lungo il collo fino alle orecchie e posai il cucchiaio di legno sul piano della cucina come se temessi di romperlo.

    Metti via quel coso! ordinai. Valerio mi rispose con un’aria indecisa e obbedì. Qualcosa nel mio sguardo dovette comunicargli che tutta la mia calma era evaporata in un soffio.

    Avete giocato a carte? domandai, gelida. Lui alzò le spalle, regalando occhiate distratte ad ogni angolo della stanza.

    Solo un po’. Per far passare il tempo

    Tu, tuo padre e quel suo amico?

    Sì, ma così, mica a soldi si giustificò, avendo naturalmente colto il nocciolo della questione

    Non aveva senso prendersela con Valerio e soprattutto non aveva senso spaventarlo inutilmente. I ricordi presero a sgomitare nella mente gareggiando per conquistare il premio riservato al più angosciante. Davide in piedi dall’altra parte del letto, quasi statuario, mentre promette solennemente che non toccherà mai più un mazzo di carte. Davide seduto in penombra coi capelli che gli scorrono disperati tra le dita, mentre confessa che buona parte dei nostri risparmi se n’è andata la sera prima sul tavolo da gioco. Ancora Davide anni prima, durante quel nostro viaggio in Scozia, ma questa volta sorridente, con gli occhi a fessura che sembrano esplorare attraverso il vento qualcosa che sta oltre la serenità che ci illudiamo di aver agguantato. Ed è forse questa l’immagine più triste, perchè di tutti i momenti belli vissuti insieme forse non ve n’è più uno che giurerei d’aver vissuto realmente. Non gli avrei mai permesso di avvicinare Valerio al vortice della sua schiavitù.

    Non importa. Ti avevo detto di non giocare con lui. Mai, per nessun motivo. Ti ricordi? dissi con calma, ma senza poter impedire alla mia voce di svelare emozioni opposte. Valerio rispose con una smorfia e la sua attenzione sembrò catturata dalle piastrelle del pavimento. Levai le padelle dal fuoco e sedetti di fronte a lui, tendendo un braccio lungo il tavolo come se volessi afferrare qualcosa al di là della mia portata.

    Vale! Ehi, è importante. Non c’è bisogno che ti spieghi il perchè, giusto? Non sei più un ragazzino, queste cose le capisci anche da solo. Non è così?

    Sì, ma mica sono come lui, io. Era solo una partitella. Mi hanno sfidato

    Chi? In che senso ti hanno sfidato?

    Niente, diceva Maurizio che Bestia è un gioco per uomini col sangue freddo, non per ragazzini

    Bestia?

    Sì, è un gioco. E’ come la briscola. Più o meno. Però più difficile

    Ah davvero? E non si puntano soldi?

    Avevamo le fiches. Le ha portate Maurizio, le sue sono più belle di quelle di papà. Però c’erano solo le fiches, non i soldi.

    Valerio osservò la padella fumante che si stava raffreddando a poca distanza. Sapeva bene quanto fosse difficile per me accettare certe cose ma era chiaro che colpevolizzarlo o anche solo farlo sentire complice delle mancanze paterne non poteva essere la strada giusta. Al contrario, avrebbe potuto spingerlo ancora di più nel seducente territorio della trasgressione, col risultato che la volta successiva avrebbe ripreso a mescolare il mazzo di carte e me l’avrebbe tenuto nascosto.

    C’erano o non c’erano state avvisaglie preoccupanti nel comportamento di Valerio, nel recente passato? Ero io che stavo ponendo dettagli insignificanti sulla cresta delle mie paure oppure c’erano già sufficienti motivi per allarmarsi? Quei gratta e vinci che gli avevo trovato in tasca poche settimane prima, ad esempio. Non era forse vietata la vendita di quei malefici cartoncini ai minorenni? Eh no, avevo subito scoperto, pentendomi di aver creduto per un istante che si rinunciasse ad un qualsiasi mezzo per tirar su quattrini. Ne circolavano anche a scuola, aveva ammesso Valerio rifugiandosi nel rassicurante territorio del così fan tutti. A quanto pareva la cosa non turbava gli insegnanti più di tanto, a condizione che non ci si mettesse a raschiare le icone della fortuna durante la lezione. E quei pomeriggi che troppo spesso trascorreva nella sala giochi vicina a casa e aperta da poco, dove non mancavano quelle specie di slot machine che funzionano col sistema del ticket redemption? Una trovata furbesca e criminale per avvicinare i giovanissimi al gioco d’azzardo. Non si vincono soldi ma buoni accumulabili e poi convertibili in premi di vario tipo. Ero anche passata sopra con colpevole disinvoltura a certe scommesse con alcuni suoi amici del vicinato riguardo a cose futili come il risultato di una partita di calcio o qualche altro evento, perchè non vi avevo visto nulla di male finché non avevo iniziato ad accostare l’uno all’altro i tasselli di un terribile sospetto. Forse stavo amplificando i miei timori e Valerio non stava facendo nulla di così pericoloso, ma non potevo sottrarmi all’idea che l’influenza di Davide alla lunga avrebbe potuto trasformare qualsiasi innocente passatempo in una prigione senza via di fuga.

    Da che cosa poteva originare questa insana passione per il gioco, ammettendo che esistesse davvero e che ad essere insani non fossero invece i miei timori? Dal desiderio di disporre di denaro facile? Non eravamo certo ricchi ma potevamo ben dire di non aver mai vissuto in ristrettezze economiche e Valerio non era nemmeno il tipo di ragazzo attratto da oggetti o capi d’abbigliamento di pregio, come invece lo erano almeno alcuni tra i suoi compagni di scuola. Allora di che si trattava? Sapevo che la passione per il gioco aveva solitamente poco a che vedere con l’avidità e la smania di guadagno, ma che invece poteva scaturire da una smodata inclinazione per il rischio, indipendentemente dalle fortune materiali. Al giocatore cronico l’azzardo interessa più dell’eventuale vincita ed era questa una cosa che avevo appreso fin da quando più o meno all’età di Valerio mi ero innamorata di Dostoevskij. Forse uno psicologo avrebbe potuto dire in merito qualcosa di più preciso ed è risaputo che nello studio dell’analista finisce per andarci non il disturbato bensì le sue vittime. Infine non avevo alcuna idea di come proporre a Valerio di recarsi da un terapeuta, non avrei saputo motivare questa decisione senza regalargli un surplus di inquietudine e non ero nemmeno sicura che fosse una buona soluzione.

    E’ strano ma soprattutto frustrante non riuscire a trovare le parole giuste per far breccia nella logica di un adolescente. In fondo qualunque adulto è stato anche ragazzo e dovrebbe aver conservato in qualche tasca le chiavi d’accesso alla sensibilità di quella stagione. Non

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