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Il sogno di Bo
Il sogno di Bo
Il sogno di Bo
E-book324 pagine5 ore

Il sogno di Bo

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Info su questo ebook

Bo è il nomignolo del giovane protagonista dai gusti impresentabili, ossessionato dal bisogno di donarsi totalmente in un rapporto di devozione assoluta.

Bo troverà ciò che cerca ponendosi al servizio di una coppia di inflessibili padrone, ma sarà costretto ad immergersi in un'incalzante serie di rinunce finché, tagliato ogni ponte alle proprie spalle, non potrà far altro che addentrarsi ancor più nel vortice dei propri desideri fino alle estreme conseguenze.

Ma il coronamento di un sogno produce soltanto soddisfazioni? Oppure talvolta è preferibile confinare i sogni a distanza di sicurezza dalla realtà?

La risposta di Bo a queste domande, sempre presenti nel corso delle sue riflessioni, sarà coerente con la strada che ha imboccato? O infine Bo saprà sottrarsi alla tirannia della propria sessualità esigente?
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9791220322904
Il sogno di Bo

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    Anteprima del libro

    Il sogno di Bo - Anna Pulizzi

    633/1941.

    I

    Un cancello, un parco sufficientemente vasto da tenere la villa al riparo da sguardi indiscreti ed alberi secolari che vegliavano sulla quiete autunnale; questo il primo approccio che offriva il nuovo mondo nel quale Bo stava per entrare. E di sua iniziativa, si potrebbe dire, il che inviava una nota stonata nell’armonia dello scenario che egli amava immaginare.

    Era arrivato fin lì con la propria auto e in qualche modo anche tale dettaglio mal si adattava alla complessa scenografia partorita dalla sua fervida immaginazione.

    Aveva parcheggiato in uno spiazzo sterrato poco distante, concedendosi una breve passeggiata fino al luogo dell’incontro; non perché desiderasse godersi il panorama, respirare aria pulita o gustare qualche istante di solitudine lontano dal caos cittadino. Piuttosto, sentiva naturale il bisogno di presentarsi appiedato all’appuntamento, benché non gli fosse stata fatta alcuna richiesta in tal senso.

    Era in anticipo di qualche minuto, nel solco di un’abitudine che non aveva mai osato abbandonare; si accese una sigaretta e si sforzò di camminare lentamente, assaporando dopo molto tempo quel genere di tensione in cui non aveva mai trovato nulla di sgradevole; quindi la gettò via dopo appena poche boccate. In quel punto il muro di cinta si interrompeva ed attraverso il passo carraio si poteva ammirare almeno una parte del parco e la stradina che conduceva all’abitazione.

    Bo premette il pulsante del citofono in perfetto orario, almeno stando alle assicurazioni del proprio orologio. Passò qualche secondo, prima che una voce femminile gracchiasse un proveniente dall’altra parte del mondo.

    Bo pronunciò chiaramente il proprio nome e restò in attesa. Seguirono attimi di silenzio, durante i quali fu colto dal timore di aver sbagliato indirizzo; ricontrollò il numero civico sulla targhetta fissata al muro di cinta, quindi lo confrontò con l’appunto che aveva scarabocchiato sul giornale che teneva con sé, pensando alla possibilità di un errore o di qualche altro equivoco che avrebbe mandato a monte le sue speranze.

    Fu colto da un brivido lungo la schiena quando udì la serratura aprirsi con uno scatto; la stessa voce, dal tono questa volta più gradevole, lo invitò a richiudere alle proprie spalle il cancelletto pedonale, ma tale direttiva non aveva nulla di perentorio e sembrò quasi un amichevole suggerimento. Bo eseguì e ritornò con la mente alla realtà della situazione, poiché non vi era dubbio che quel rumore di metallo perfettamente oliato, quel suono meccanico ed asettico che schiudeva la strada verso la realizzazione di un sogno, collimava con ciò che nella sua mente aveva preso forma durante i precedenti giorni d’attesa.

    Poteva ancora voltarsi per guardare verso l’esterno, attraverso le sbarre del cancello, ma non avrebbe più desiderato superarlo di propria iniziativa. Si sentì finalmente a casa.

    Il parco era curato ed emanava il forte profumo dell’erba tosata. Gli alberi non avevano perduto che poche foglie e la stradina disegnava tra la vegetazione un lungo percorso ad ampie curve che non offriva la possibilità di vedere se per caso qualcuno lo stesse già attendendo sull’uscio dell’abitazione. Tale pensiero lo mise in agitazione e Bo cominciò a camminare velocemente, poi accennò qualche passo di corsa e infine, sentendosi un po’ ridicolo, riprese un’andatura normale.

    Bo provò la vaga sensazione che qualcuno lo stesse osservando nascosto tra gli alberi e si guardò intorno alla ricerca di una conferma, ma inutilmente; non vi era alcuna ragione che potesse spingere qualcuno ad appostarsi per spiarlo. In quel silenzio umido di pioggia recente ebbe tempo per abbozzare l’idea che quel cammino solitario costituisse la cornice ideale di un approdo felice. Sapeva che il modo più rapido per restare delusi passa sempre attraverso il corteggiamento delle proprie aspettative e si sforzò per sottrarre un po’ di spazio alla fantasia. Una villa in campagna era certamente meglio di poche stanze in un condominio, per ciò che riguardava la praticità e la discrezione, ma di per sé non significava affatto che vi abitassero persone all’altezza del compito.

    Raggiunto un largo spiazzo ghiaioso in fondo al quale erano parcheggiate alcune auto, Bo vi camminò tenendosi prudentemente su un lato, come un gatto che deve attraversare uno spazio inesplorato. La villa, ora completamente visibile, conservava ancora qualche elemento architettonico appartenente ad un ricco passato, ma doveva essere stata ristrutturata di recente ed offriva un aspetto ibrido, né moderno né antico, forse volutamente vistoso e tutto sommato abbastanza pacchiano.

    Vi erano pochi gradini e Bo salì lentamente fino ad un portone in legno color abete, lucidato con cura, che si aprì non appena Bo accennò a suonare il campanello, quasi come se dietro allo spioncino qualcuno avesse controllato il suo arrivo.

    Sull’uscio comparve una giovane donna, abbigliata con una veste color verde foglia lunga fino ai piedi, calzati da sandali dal tacco alto. Le spalle e le braccia erano rigorosamente coperte da un corpetto dello stesso colore, in un insieme che sfuggiva ai dettami di ogni moda ma che conservava comunque il sapore di un’eleganza d’altri tempi.

    Quasi istintivamente, Bo portò davanti a sé il giornale con l’annuncio, sottolineato a dovere. Il portone si aprì ancora un poco, consentendogli di fare ingresso in un atrio in stile neoclassico, ai lati del quale due rampe semicircolari in marmo bianco si ricongiungevano al piano balconato superiore.

    Di qui disse semplicemente la donna dopo aver dato alla serratura un paio di mandate ed avergli rivolto un’occhiata che a Bo parve assolutamente priva di interesse. Lui la seguì in direzione di un corridoio laterale, per poi giungere in una piccola stanza quasi del tutto spoglia, se si escludeva la presenza di un armadio senza ante ed un pesante tavolo in legno accostato ad una parete.

    Il giornale gli venne strappato via di mano ed una voce che finalmente si adattava alla scenografia del momento gli ingiunse di raggiungere la parete opposta.

    Bo eseguì. Quella determinazione nel tono e nei gesti ottenne il paradossale effetto di rassicurarlo. La donna non si era rivolta a lui direttamente, ma aveva emanato l’ordine in maniera secca, impersonale.

    Là, nell’angolo aveva detto, e qui giunto Bo si chiese se era meglio porsi con le spalle al muro oppure se ci si attendeva che restasse con il naso a pochi centimetri dallo spigolo. Decise di adottare la prima soluzione.

    Lei prese un cesto di vimini da uno degli scaffali e lo gettò a terra a pochi passi dai suoi piedi. Ancora una volta gli ordini sembravano non essere rivolti a nessuno.

    Gli oggetti nel sacchetto e i vestiti nella cesta disse aspramente.

    Era la prima volta che Bo indugiava con lo sguardo su di lei; notò i suoi capelli ondulati biondo miele, gli occhi chiari ma dal colore indefinibile e la mano che reggeva una corta frusta da fantino, con il laccio assicurato intorno al polso. L’aveva immaginata più matura, certamente non anziana ma comunque in grado di emanare l’intrinseca autorevolezza dei propri anni.

    Nella cesta vi era effettivamente un sacchetto di plastica e Bo iniziò a svuotare le tasche della giacca deponendovi il contenuto. Non vide la donna avvicinarsi e non notò l’ombra di una mano alzarsi; fu raggiunto da un sonoro ceffone su una guancia, quindi da un manrovescio che lo colpì vicino all’occhio dalla parte opposta.

    Sbrigati ! gli disse guardandolo dritto in faccia e scandendo le sillabe di quell’imperativo come se intendesse farsi comprendere attraverso la lettura labiale. Nel suo sguardo non vi era traccia di cattiveria, anzi un elemento di giocosa vivacità libera da ogni imbarazzo.

    Bo accelerò i movimenti, senza riuscire a sostenere quello sguardo diretto. Si tolse la giacca, la camicia, le scarpe ed i calzoni, gettando il tutto alla rinfusa nella cesta. Si chiese per un istante se poteva bastare, ma decise di non rischiare; così si levò rapidamente anche la canottiera e per ultimi gli slip, che appallottolò nascondendoli in un moto di strano pudore al di sotto degli altri indumenti.

    Era nudo, come aveva desiderato, sotto occhi indagatori che ne giudicavano le fattezze; per qualche secondo nessun altro ordine venne emanato e Bo se ne restò lì, senza osare coprirsi i genitali e in una posizione alquanto goffa, eretta ma piegata nello stesso tempo, lo sguardo rivolto ad un punto imprecisato della stanza. Si domandò che cosa potesse pensare quella donna alla vista del suo corpo depilato, abitudine che egli adottava lasciando intonso solo un piccolo triangolo che metteva in risalto il pube.

    Lei lo osservò per qualche istante senza far trasparire alcun giudizio, quindi percosse col frustino il piano del tavolo.

    Sdraiato qui sopra ordinò. Bo si sdraiò in posizione supina. Lei lo raggiunse con una serie di bracciali di varia dimensione. Due di essi gli vennero applicati ai polsi e due alle caviglie; il più grande, nero e borchiato come quelli che solitamente sono destinati ai cani di grossa taglia, gli fu sistemato intorno al collo. Ogni bracciale disponeva di un anello al quale si potevano applicare delle catene, ottenendo così il tipo di impedimento desiderato.

    Da quella posizione, Bo notò che anche la donna portava un collare di pelle nera al quale era fissato un piccolo anello e ne concluse subito che non doveva avere uno scopo puramente decorativo; attraverso la scollatura intravide il suo corsetto ricamato, tenuto chiuso dai lacci che per qualche motivo erano rimasti negligentemente slegati.

    Gli venne ordinato di voltarsi in posizione prona e di unire le braccia dietro alla schiena; comparve quindi una corta catena, che venne fissata agli anelli dei polsi e quindi assicurata alla parte posteriore del collare.

    Siediti fu l’ordine successivo, ma la cosa in quel momento si dimostrò più difficile del previsto; una frustata sulle gambe impose a Bo un maggior impegno nell’esecuzione della direttiva.

    Le braccia erano adesso immobilizzate in una posizione dolorosa poiché i polsi, tra loro congiunti, erano stati tirati il più possibile verso le spalle. Una volta seduto, gli fu ordinato di sollevare le gambe tenendole unite; la ragazza fissò ad entrambi gli anelli un’altra catena, sufficientemente lunga da permettergli di camminare a piccoli passi.

    Tale disposizione, pensò Bo in quegli istanti, evidenziava il fatto che non doveva essere la dominatrice a chinarsi per raggiungere le caviglie da imprigionare, bensì la vittima stessa a dover favorire le operazioni decise dai suoi superiori. Questa considerazione, insieme all’impedimento fisico a cui veniva progressivamente sottoposto, cominciò ad eccitarlo ed egli sentì il sangue affluire nelle parti basse, dando vita ad un’erezione incontrollabile. Ebbe paura di essere colpito in quel punto, ma in breve si accorse che la cosa non avrebbe provocato particolari reazioni da parte della sua aguzzina.

    Una volta fatto rimettere in piedi, la donna passeggiò intorno a lui con sguardo indagatore e leggermente divertito, come compiaciuta dal lavoro eseguito. Bo si trovava nel mezzo della stanza, la testa un poco piegata all’indietro dalla tensione della catena e tutto il corpo esposto ad eventuali supplizi. Non era ciò che esattamente sperava? L’aveva immaginato mille volte prima di quel giorno, ma vi erano particolari non nuovi che tuttavia la memoria delle passate esperienze tendeva a cancellare, come il persistente dolore dei muscoli tirati in posizioni anomale, il sudore che gli rigava i fianchi, il timore costante del dolore fisico.

    Il silenzio non durò che pochi istanti. Bo iniziò ad essere istruito sul comportamento che ci si attendeva da lui; la cosa lo rassicurò, regalandogli la convinzione che vi sarebbe stato un seguito, che tutto quell’esercizio di bondage amatoriale non costituiva altro che un preliminare in vista di scenari successivi certamente più gratificanti.

    Venne subito chiarito un particolare che sul momento lui accolse con stupore e subito dopo con soddisfazione; la donna disse di chiamarsi Licia ed aggiunse di essere una semplice addetta alla preparazione delle persone, o per usare le sue parole esatte, dei candidati.

    Adesso sarai portato dalla signora per un primo esame e ti verranno rivolte delle domande. Devi sempre rispondere ‘Sì, signora’ oppure ‘No, signora’, a meno che non ti vengano richiesti altri particolari. Se rifiuti di rispondere a una domanda o se sarai considerato reticente, verrai immediatamente messo alla porta. Tale appellativo deve essere utilizzato nei confronti di chiunque ti rivolga la parola, in questa casa. Hai capito?

    disse Bo annuendo col capo e ricevendo in risposta una sonora frustata sulle cosce.

    Lo sapevo. Ho appena finito di dire che devi aggiungere ‘signora’ al termine delle risposte. Ma qui abbiamo a che fare con un cretino, evidentemente... Ci sono alcune regole di comportamento che è meglio imparare subito aggiunse girando intorno a quel corpo legato ed osservandolo come se si fosse trattato di un’opera frutto di inattese abilità artistiche. Quindi si fermò davanti a Bo e gli stuzzicò il sesso eretto con la punta del frustino.

    Una di queste regole dice che non bisogna mai sollevare lo sguardo sulle superiori, a meno che la cosa non venga espressamente richiesta. Bo puntò lo sguardo verso il pavimento, ansioso di fare buona impressione.

    Così va bene. Non ci si muove dalla posizione assegnata. Una volta davanti alla signora, te ne starai sull’attenti per tutto il tempo che sarà necessario e se farai qualcosa di storto ci sarò sempre io al tuo fianco per ricordartelo. Giusto? domandò assestando un colpetto di frustino sui testicoli. Bo si piegò in avanti, riassumendo però subito la posizione eretta.

    Sì, signora

    Licia gli si avvicinò, si appoggiò con una mano sulle sue spalle e con l’altra prese a stuzzicargli un capezzolo. Parlò quasi sottovoce, avvicinando le labbra ad un orecchio.

    Non mi sembri un novellino, ma te lo dico lo stesso. E’ meglio se mantieni un atteggiamento sottomesso, anche un po’ intimorito. E’ un consiglio. Fai vedere che sei obbediente e anche rassegnato alla tua condizione. Ci sono parecchi schiavetti che passano di qui, sai? Non sei certo il solo e neanche il primo. E la selezione è molto dura. Per cui datti da fare concluse con un lieve sorriso accompagnato da una strizzatina d’occhi.

    Quindi applicò un corto guinzaglio al collare, del tipo utilizzato per i cani pericolosi, dando poi uno strattone. Lui la seguì docilmente lungo la stanza, sforzandosi di mantenere il passo senza costringere Licia a tirare; quando lei abbassò l’impugnatura al livello dei suoi fianchi, Bo comprese che avrebbe dovuto camminare chinato in avanti, correndo il rischio di cadere ad ogni passo.

    E fu in quella posizione che dovette uscire dalla stanzetta, ripercorrere la strada verso l’atrio e qui giunti, salire le scale. Ma con una certa lentezza, poiché la catena che univa le caviglie era troppo corta e rendeva problematico salire i gradini senza inciampare.

    Arrivati al piano superiore, percorsero lo stretto pianerottolo fermandosi poi a pochi passi da una porta, dove Bo dovette restare con la faccia contro il muro, in attesa di essere ricevuto. La signora, così come Licia l’aveva chiamata fino a quel momento, doveva essere occupata e venne naturale a Bo domandarsi se in quegli istanti erano presenti nella villa altri ‘candidati’. Licia prese posto su una sedia nel corridoio e gli impose di reggerle la frusta tra i denti.

    Ora l’atteggiamento della donna pareva più caldo e a tratti addirittura dolce, come quando gli domandò se ricordava tutte le istruzioni ricevute. Egli non poteva che rispondere annuendo con il capo, ma ebbe il tempo per riflettere sui singolari criteri di accoglienza che vigevano in quella casa, rispetto alle sue passate ma non certo limitate esperienze nel settore.

    Passarono i minuti, lenti e silenziosi. Licia fumava e leggeva distrattamente una rivista posata sulle gambe accavallate, ma almeno un paio di volte gli strappò la frusta dalla bocca e lo colpì brutalmente sulle cosce , poiché lui s’era quasi impercettibilmente mosso dalla sua posizione; quindi gli aveva rimesso la frusta tra i denti ed aveva ripreso a leggere tranquillamente

    Finalmente la porta della camera si aprì e una voce femminile disse che potevano entrare. Bo venne fatto procedere fino al centro di un accogliente salotto il cui arredamento moderno contrastava con quello che aveva potuto osservare fino a quel momento

    Bo si sarebbe sentito completamente a proprio agio, se non fosse stato per quel membro che in spregio a qualsiasi direttiva continuava a puntare oltraggiosamente in avanti e a pulsare, testimoniando un’eccitazione che in quei frangenti egli giudicava del tutto inopportuna.

    La signora, così come l’aveva definita Licia, in quel momento era in piedi e voltata di spalle; Bo aveva avuto modo di osservarla solo per un attimo, giudicando il suo abbigliamento piuttosto elegante ma entro i limiti della normalità. Oppure la ‘signora’ poteva essere l’altra donna che in quel momento era seduta con le gambe accavallate sul divano. Per una serie di motivi, Bo si era atteso da parte loro un genere di abbigliamento più consono alla situazione ed al proprio immaginario: corsetteria ricamata che lasciava visibile l’abbondanza del seno e calze con riga che scomparivano negli stivaloni dal tacco alto. Si pentì subito della banalità delle proprie aspettative.

    Dopo averlo squadrato con una breve occhiata, la signora che era in piedi prese posto dietro ad una scrivania, mentre l’altra restò accomodata sul divano con un braccio disteso sulla spalliera.

    Vennero radunati dei fogli sul tavolo e si udirono rumori di cancelleria, mentre Bo continuava ad osservare le gambe della donna, non potendo levare lo sguardo ad un’altezza diversa. Adorava le scarpe dal tacco alto ma poco vistose, adatte al passeggio o ad una giornata di lavoro in ufficio; nulla a che vedere con quelle calzature bizzarre che comparivano nei negozi di articoli erotici.

    E la signora alla scrivania portava un modello che ben si addiceva a quelle fantasie, come testimoniava il fatto che la sua erezione non accennava a diminuire. Le calze, velate e color visone, rivestivano di una sottile aura argentea la sagoma delle gambe.

    Il tono della donna era imperioso e nello stesso istante privo di qualsiasi imbarazzo, come capita a chi è avvezzo al comando e trova del tutto naturale essere obbedito.

    A Bo vennero richiesti alcuni particolari circa le precedenti esperienze in condizione di schiavitù e lui si domandò per un momento se fosse il caso di rispondere in maniera davvero dettagliata ed esauriente. Preferì limitarsi all’essenziale, parlando dei suoi superiori più recenti e lasciando da parte le esperienze troppo lontane nel tempo.

    Quasi come se gli avessero letto nel pensiero, fu invitato a ricordare e descrivere i suoi primi passi nel campo della subordinazione. Si trattava di una curiosità insolita e per qualche istante Bo non seppe come replicare a quella richiesta.

    Quindi decise di narrare gli aneddoti della sua adolescenza che riteneva più emblematici, sforzandosi di fornire un resoconto soddisfacente ma il più possibile conciso.

    Ricordava bene le vessazioni a cui si era sottoposto fin da ragazzo, ma i coetanei che talvolta lo malmenavano non erano animati da un perverso piacere di dominio e di ciò Bo si rendeva amaramente conto. I loro soprusi erano saltuari, ispirati alla logica del momento, non erano il frutto di una condizione gerarchica prestabilita. Egli avrebbe desiderato, allora come in seguito, rendere ufficiale e in qualche modo immodificabile la propria posizione. Invece, coloro che avevano abusato della sua remissività potevano il giorno successivo rivolgersi a lui da pari a pari e tale confusione di ruoli finiva per infastidirlo provocando un profondo imbarazzo ed una perenne  insoddisfazione.

    In alcune occasioni tuttavia era giunto abbastanza vicino alla realizzazione dei propri desideri; la prima volta la cosa aveva avuto inizio in un pomeriggio dedicato allo studio, a casa di un compagno di scuola. Forse l’amico provava un piacere sadico nel pizzicare Bo ogniqualvolta questi commetteva errori nel ripetere a voce alta la lezione, ma nei giorni successivi tale gioco bizzarro aveva assunto uno stile piacevolmente rituale. Dai pizzicotti si era passati agli schiaffi e quindi, su suggerimento della stessa vittima, alle cinghiate sulle gambe nude. In breve tempo, lo studio era divenuto un semplice pretesto; non appena entrava in casa dell’amico, Bo si spogliava completamente e veniva frustato con la cintura dei pantaloni oppure, per rendere ancora più dolorosa la prova, con un cavo elettrico.

    Talvolta il dolore era così insopportabile che Bo chiedeva di essere legato, in maniera tale da non potersi sottrarre al supplizio. Eppure non era mai stata la sofferenza fisica in se stessa ad attrarlo, bensì la valenza simbolica della punizione, attraverso la quale si evidenziava la sua condizione di individuo sottomesso. Viceversa, per l’amico sembrava contare maggiormente la misura del dolore inflitto e tale contrasto di interessi doveva risultare prima o poi esiziale al rapporto che si era instaurato.

    Bo amava essere cavalcato dal suo compagno di scuola e camminare per ore a quattro zampe su e giù per i corridoi e le stanze, con un artigianale morso tra i denti e le corde che gli segnavano il viso; amava anche essere percosso come una bestia da soma per via della lentezza nel procedere in quella posizione, ma non riusciva a sopportare l’idea che tali manifestazioni avessero come unico fine quello di addestrare un corpo ad una sofferenza via via crescente. Non gli interessava minimamente sapere fino a quale punto avrebbe potuto resistere ed anzi temeva che un dolore eccessivo l’avrebbe prima o poi spinto ad un gesto di ribellione, mettendo così a nudo i limiti delle proprie convinzioni.

    Bo avrebbe invece desiderato avere rapporti carnali con il proprio compagno, ma soltanto in qualità di strumento del piacere altrui; non perché attratto sessualmente dall’amico, bensì come coronamento di una scenografia nella quale egli doveva rivestire il ruolo di semplice oggetto al servizio di una volontà dominante. Nelle ore passate a scuola, il comportamento dei due non era tale da far sorgere il minimo sospetto, ma quando capitava di potersi parlare senza essere ascoltati, Bo confessava in tutta onestà al compagno i propri desideri in vista dei successivi incontri. Riteneva giusto, affermava con convinzione, essere penetrato, utilizzato come un contenitore per le necessità sessuali del padrone, senza ricercare per se stesso alcuna soddisfazione. E amava confessare di essere del tutto inesperto in quel campo, di non essere mai stato penetrato prima di allora, cercando così di rendere quel genere di sacrificio ancora più degno d’attenzione.

    Anche sotto questo aspetto egli rimase deluso; nei momenti di solitudine, pensava che non fosse logico da parte sua suggerire al proprio padrone ciò che era meglio fare. Con tale atteggiamento egli veniva meno al principio basilare su cui poggiava una sottomissione autentica. A prima vista l’amico appariva permeabile a quei suggerimenti, ma finiva invariabilmente per ignorarli e soprattutto non acconsentì mai ad avere contatti sessuali di alcun tipo. Il rapporto si trascinò quindi stancamente, galleggiando sul rito del dolore e sottraendosi alla monotonia soltanto mediante la sostituzione degli strumenti utilizzati per il supplizio.

    Terminate le scuole superiori, i due si lasciarono e per un paio d’anni non ebbero più contatti. Poi si ritrovarono quasi per caso e Bo s’illuse di potersi rimettere a servizio. Ricordava il pomeriggio passato nella casa dell’amico ritrovato, in presenza di quella ragazza dai riccioli biondi che s’era interposta definitivamente tra loro. Lei aveva guardato Bo per tutto il tempo con un’aria strana, come se sapesse sul suo passato molto di più di quanto egli non desiderasse, ma si trattava senza dubbio di un’impressione dettata dai sensi di colpa. Non ebbe il coraggio di essere esplicito, né domandò di essere accolto a qualsiasi condizione, come avrebbe desiderato.

    E naturalmente gli sarebbe piaciuto moltissimo sottomettersi ai voleri di una coppia, cosa che avrebbe costituito per lui un’esperienza al momento nuova e oltremodo eccitante. Tastò la periferia dell’argomento, attendendo da loro un segnale positivo; notò che la sua presenza provocava invece una certa irrequietezza e che c’era nell’aria una tensione nuova, sconosciuta. Scoprì con imbarazzo di essere di troppo, come avrebbe dovuto immaginare fin dal primo istante.

    Quel loro ultimo incontro aveva avuto anche l’effetto di rendere Bo consapevole della propria diversità e stranamente fino ad allora egli non aveva mai letto la cosa in questi termini. Non aveva mai indagato a fondo circa la natura dei propri gusti erotici e si era fermato a considerarli certamente bizzarri ma nello stesso tempo apprezzabili al pari di quelli di chiunque altro.

    Forse erano stati quei riccioli biondi a svegliare in lui la convinzione che c’era un mondo di cose e di rapporti ‘normali’ dai quali egli sarebbe stato giocoforza escluso. E gli capitò allora di vedersi per la prima volta come un ragazzino che continua a giocare a soldatini mentre i coetanei li hanno già sostituiti con qualche passatempo più serio, apprestandosi ad imparare i giochi ardui degli adulti.

    Da quel giorno ogni occasione per lui gratificante nasceva gemella di un senso di colpa. Ma così come una macchia non è più tale quando la si osserva da anni, allo stesso modo egli s’era abituato a cacciare in un angolo il disagio che talvolta lo assaliva. E ciò accadeva quando vedeva una coppia scambiarsi effusioni o quando udiva i discorsi degli amici, indovinandone le aspirazioni così spietatamente ordinarie.

    Diventato adulto, Bo ebbe numerose altre occasioni e per un certo periodo divenne un assiduo lettore di annunci erotici. Trovare un dominatore era quanto mai facile, ma nessuno fino a quel momento era riuscito a soddisfare pienamente le sue esigenze. La maggior parte di loro, uomini o donne che fossero, quasi sempre pretendevano un compenso in denaro per ogni incontro e oltre a ciò finivano per stancarsi assai presto degli schiavi che, come lui, non potevano offrire somme cospicue.

    Altri, certamente i più insopportabili agli occhi di Bo, amavano di tanto in tanto ribaltare i ruoli, chiedendogli di impugnare gli strumenti del dominio e di interpretare la parte che meno gli si addiceva.

    Ciò che in sostanza avrebbe voluto dire, lì in piedi di fronte ad una probabile nuova padrona, era che mai nessuno fino a quel momento lo aveva posseduto veramente. Egli non aveva mai incontrato

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