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Anni senza luce
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E-book1.039 pagine15 ore

Anni senza luce

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Info su questo ebook

"La guerra ti arriva addosso come un cane rabbioso anche se provi a scansarla" afferma Cecile in una Parigi liberata, mentre il vortice del secondo conflitto mondiale cede il posto ad un mondo nuovo.

Oltre a lei, nell'Europa travolta dalla catastrofe, altri personaggi hanno compiuto scelte dettate dall'angoscia o dal coraggio, dagli ideali o dall'interesse personale: un malvivente parigino, un giornalista inglese, un pilota tedesco ed una sua amica molto particolare, un ufficiale nazista, un'operaia italiana, una coppia di fidanzati polacchi, un giovane soldato sovietico. Persone le cui strade si incrociano attraverso il gioco del caso, nel dramma che si dipana dall'Atlantico al Volga e dal Mare del Nord al deserto libico, sullo sfondo di una ricostruzione storica accurata.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2021
ISBN9791220322973
Anni senza luce

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    Anteprima del libro

    Anni senza luce - Anna Pulizzi

    figlia

    agosto 1939

    – I –

    Armand Lemaire osservò il suo orologio da polso, un Longines con cassa rettangolare in oro, vinto nel corso di una memorabile serata al tavolo da poker, scoprendo con soddisfazione di essere in ritardo di dieci minuti. Dopo i violenti temporali dei giorni precedenti che avevano provocato numerose vittime ed allagamenti in buona parte della Francia, il tempo era tornato al bello ed anche a Parigi s’era riaffacciato il sole.

    Percorreva con tutta calma rue de Amsterdam in direzione nord verso place de Clichy dove, se tutto era filato liscio, qualcuno lo stava già aspettando. Perchè arrivare in orario, si domandò abbozzando un sorriso, o addirittura in anticipo? Perchè non lasciare che il colonnello Figuier si torcesse nervosamente le mani nell’attesa? Armand aveva deciso di prendersela comoda. Dopotutto era lui ad impugnare il manico del coltello, a dettare le condizioni. Altrimenti, uscendo di casa alla stessa ora, sarebbe stato più comodo percorrere rue de Petrograd per un breve tratto e giungere all’appuntamento in perfetto orario.

    No, invece. Tra due uomini quello più forte è sempre il più calmo, pensò Armand ricordando una delle massime preferite di Jean ‘il profumato’, il maestro di vita che molti anni prima l’aveva preso per mano ancora adolescente e nel giro di poco tempo l’aveva trasformato in un uomo. Uno di quelli rari, che primeggiano perchè non perdono mai il controllo della situazione né cedono allo sconforto.

    Il vecchio Jean, il cui soprannome evidenziava non tanto la predilezione per i profumi quanto l’avversione per acqua e sapone, era passato a miglior vita già da parecchio tempo ma, Armand ne era certo, sarebbe stato fiero di lui almeno quanto un padre può esserlo di un figlio abile e intelligente.

    D’altra parte Armand aveva già inquadrato Figuier nel corso del loro primo incontro: una mezza tacca nel vero senso dell’espressione, il classico pollo nato apposta per essere spennato. E per di più indossava una divisa, con tanto di galloni.

    Armand continuò a rimuginare tra sé, senza allungare il passo; sorrise all’idea che un giorno qualcuno avesse assegnato a quel bellimbusto il comando di un reparto militare. Forse aveva proprio ragione quel tipo, non ne ricordava più il nome, a dire che al mondo ci sono uomini così cretini che si deve dar loro una divisa per non farli morire di fame.

    Il colonnello era quasi svenuto, due settimane prima, quando Armand gli aveva mostrato le fotografie di cui era in possesso. Nudo e semiavvolto dalle lenzuola, Figuier era quasi irriconoscibile, specialmente nelle immagini in cui la donna si frapponeva tra lui e l’obiettivo. Ma il fotografo, un vecchio amico di Armand, era un professionista e non aveva preteso nemmeno troppo per quel genere di lavoro. Era stato in gamba, soprattutto nell’insonorizzare la macchina fotografica, il cui meccanismo di scatto avrebbe potuto tradire l’inganno. E brava era stata anche Françoise, la moglie di Armand, nel ruolo di femme fatale.

    Beh, non brava in quel senso, o comunque non soltanto in quello, bensì per via di alcuni dettagli decisivi, come ad esempio indurre il colonnello a coricarsi alla luce del giorno senza accostare le tende (‘è molto più eccitante’ aveva assicurato), oppure a non invadere il campo visivo del fotografo.

    Questa signora non somiglia affatto a sua moglie aveva detto Armand, accendendosi una sigaretta e mostrando alla vittima le immagini del ricatto. Lentamente, aveva posato le foto sulla scrivania dell'ufficiale e con la punta delle dita le aveva distanziate delicatamente l’una dall’altra, come le cinque carte di una mano fortunata al poker.

    Ricordava ancora la faccia esterrefatta del povero Figuier; gli ci era voluto un buon mezzo minuto per mettere a fuoco i risvolti della faccenda, come se qualcosa in lui non volesse ammettere che l’amore di Françoise fosse solo una messinscena per incastrarlo.

    No, infatti aveva aggiunto Armand, mostrando con un ghigno alcuni denti gialli e malandati direi che somiglia di più alla mia socia in affari… Sì, sembra proprio lei concluse soddisfatto.

    L’altro non s’era ancora ripreso ed aveva strabuzzato gli occhi.

    E’ impazzito? Che significa tutto questo?

    Eh, mio caro colonnello aveva risposto lui scuotendo la testa  considerando l’aumento dei prezzi in questo periodo, fotografie di qualità come queste al giorno d’oggi possono valere tranquillamente cinquemila franchi.

    Quindi aveva guardato in faccia Figuier, attendendo una reazione. Il duello verbale era proseguito ancora per qualche minuto, ma Armand non aveva alcuna intenzione di mettersi a trattare e il prezzo dell'estorsione era rimasto invariato.

    Stando alle informazioni fornite da Françoise, per Figuier non sarebbe stato difficile procurarsi quella cifra in breve tempo. Cosicché dopo aver compreso che non gli restava altro da fare se voleva evitare uno scandalo, l’ufficiale aveva ceduto, senza perdere l’espressione impettita che mal si sposava con i suoi occhi bovini ed i baffetti corti e curati.

    La prima tranche del pagamento, equivalente alla metà del dovuto, doveva essere versata quella mattina in place de Clichy, magari sorseggiando un Pernod ad un tavolo del cafè Wepler. Il resto a breve scadenza, insieme alla consegna al colonnello delle foto e dei negativi.

    Armand accelerò involontariamente il passo. Mettere le mani su quella somma lo eccitava e nello stesso istante destava in lui un’insolita inquietudine. Aveva dovuto faticare per  per guadagnarsi il rispetto nei bassifondi cittadini in cui aveva trascorso la maggior parte dei propri anni. Tra le dritte che ricavava dall'esperienza c'era anche l'idea che di solito i colpi facili sono anche i più rischiosi, poiché si tende a sottovalutare i pericoli e trascurare i dettagli. E mettere le mani su cinquemila franchi in questo modo poteva ben dirsi un lavoretto facile.

    Si fermò davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento, dove un commesso stava disponendo in bella vista una panoplia di cappelli femminili. Ciò gli ricordò che sarebbe stato opportuno essere generosi con Françoise, che aveva svolto la parte più impegnativa del lavoro e che ora stava attendendo a casa la felice conclusione dell'operazione. Quella sera l'avrebbe portata in qualche bel ristorante a festeggiare come si conveniva, quindi avrebbero alzato il gomito oltre misura in  una certa taverna di rue Mansart dove ognuno conosceva le disgrazie dell'altro ed offriva da bere quando le proprie erano in vacanza.

    Armand s'era domandato qualche volta con chi si sarebbe accasata Françoise se molti anni prima lui non si fosse fatto avanti per conquistarla. Un modesto operaio, un impiegatuccio senza ambizioni, un ottuso funzionario della Gendarmeria?  Lei aveva un passato senza ombre e non frequentava ambienti equivoci, ma almeno in quella occasione s'era rivelata un'ottima complice e non aveva fatto troppe storie nemmeno quando lui le aveva proposto di assecondare le voglie di un altro uomo. Il loro dopotutto continuava ad essere un matrimonio felice e nonostante qualche inevitabile periodo critico in cui in casa volavano piatti e sberle, tutto alla fine si sistemava senza strascichi ed entrambi scoprivano di amarsi come e forse ancor più di prima.

    Armand tornò coi pensieri alla gravità del momento. Guardò con la coda dell’occhio nella direzione da cui era arrivato e cercò di cogliere indizi che avvalorassero i propri inspiegabili timori.

    Lungo il marciapiede procedevano nel suo stesso senso una coppia anziana a braccetto, una giovane ed elegante signora, un merciaio che spingeva un carretto di panni. Gettò un’occhiata verso il marciapiede opposto ma i suoi sensi navigati non colsero nulla di insolito. Eppure c’era nell’aria qualcosa che gli impediva di restare rilassato, come invece avrebbe potuto e dovuto.

    Cercò di concentrarsi sui particolari dell’operazione e su tutto ciò che avrebbe potuto andare storto. Françoise gli aveva detto che il colonnello era un uomo ambizioso, finalmente vicino alla promozione e desideroso di ottenere il comando di un’unità operativa, obiettivo che gli stava particolarmente a cuore. A prima vista poteva sembrare strano che Figuier potesse subire discredito come conseguenza di una scappatella; quando mai un militare viene biasimato dai propri compagni d’arme per essersi concesso un passatempo tanto virile?

    Tuttavia il colonnello doveva la sua posizione (nonché eventuali avanzamenti di carriera) al fatto di aver sposato molti anni prima la sorella di un suo superiore in grado che, se Françoise non aveva mal compreso, comandava un corpo d’armata o qualcosa del genere. E l’energica Laetitia, moglie del Figuier, non era una di quelle donne che chiudono un occhio davanti alle scappatelle del marito. Esisteva perciò senz’altro il rischio che un tale episodio potesse debordare dall’ambito famigliare e guastare i rapporti con l’influente cognato, compromettendo così gli obiettivi che il colonnello si prefiggeva e ciò proprio nel momento in cui si era vicini ad una nuova guerra europea, eventualità che chiunque considerava quasi inevitabile.

    Armand sbucò in place de Clichy convinto che nessuno lo stesse seguendo e puntò dritto verso il dehor del cafè Wepler, cercando di individuare il suo uomo. Una volta giunto sull’altro lato della piazza lo riconobbe subito, seduto da solo ad un tavolino, all’ombra dell’ampio tendone del locale. In abiti borghesi e col fedora calato sulla fronte l'ufficiale confermò in Armand l'idea rassicurante di avere a che fare con un ometto senza polso, incapace di reazioni sorprendenti e ansioso di uscire al più presto da una situazione incresciosa.

    Gli bastò un'occhiata per giudicare che tra gli altri avventori seduti ai tavoli lì vicino non vi fosse un poliziotto pronto a coglierlo sul fatto nel momento più delicato dell'operazione. Figuier leggeva il giornale con aria tranquilla davanti ad un bicchiere di vino bianco. Non sembrò particolarmente agitato quando si avvide di una presenza alle sue spalle. Si voltò e notò l’alta figura di Armand, fermo ad un passo di distanza.

    Ah, è lei! proruppe l’ufficiale. Aprì la cassa dell'orologio a cipolla che teneva in un taschino del gilet e inarcò le sopracciglia con aria di rimprovero.

    E' in ritardo. Temevo non venisse più. Non si siede?

    Perchè dovrei sedermi?

    Come desidera. Allora, ecco, questo è quel che avevamo concordato. Se vuole controllare… disse Figuier traendo una busta da una cartella in pelle e porgendola al suo estorsore.

    Armand prese velocemente la busta e senza aprirla la inserì nella tasca interna della giacca.

    Se non ci sono tutti, sa già quel che succederà, non è vero?

    Naturalmente rispose Figuier tornando con lo sguardo sul tavolino, come se la parentesi dell’incontro l’avesse distratto dalla lettura di un articolo interessante. Armand fece per andarsene, poi si voltò verso la sua vittima, toccandosi il cappello a mo’ di rispettoso saluto.

    La prossima settimana, stesso giorno e ora, stesso posto. Con tutto quel che manca avvertì.

    Veda anche lei che non manchi nulla gli disse di rimando l’ufficiale e per un istante ad Armand sembrò di intravedere sul volto dell'uomo l’abbozzo di un sorriso, un’impercettibile incurvatura verso l’alto delle labbra. Si voltò e tornò a grandi passi da dove era venuto. Poi, come istigato da un misterioso richiamo, voltò a destra verso rue Jean-Baptiste Biot, convinto che quel tragitto assai più lungo potesse tenere a distanza i cattivi pensieri.

    Fino a quel momento era andato tutto bene e i soldi si trovavano nella parte interna della sua giacca. Se Figuier avesse voluto spifferare tutto alla polizia, l’avrebbero arrestato nel momento in cui metteva le mani sul denaro, quindi di che cosa si stava preoccupando?

    Dopo appena pochi passi si infilò nell'androne di un caseggiato e si sistemò in un angolo in ombra, con le spalle al muro. Quindi tirò fuori la busta e l’aprì velocemente, estraendo il contenuto. Erano banconote da cinquanta franchi, così come convenuto. Le avrebbe contate più tardi con calma, ma ciò fu sufficiente a tranquillizzarlo. Per un istante aveva preso in considerazione l’idea di essere stato imbrogliato nel più infantile dei modi.

    Tornò sulla strada e riprese a camminare a passo spedito, compiendo un lungo percorso quasi a semicerchio che l’avrebbe ricondotto a casa. Perchè Figuier era così rilassato e perchè non gli era sembrato per nulla irritato? Armand continuò a soppesare, gettare via e quindi riconsiderare sotto ogni luce possibile le proprie impressioni, fino a quando non oltrepassò il portone del caseggiato dove abitava senza aver notato nulla che potesse in qualche modo allarmarlo.

    C’era una Peugeot 201 nera parcheggiata proprio in mezzo al cortile e lì accanto stazionava l’autista, un tipo allampanato che gettò la sigaretta a terra e la schiacciò per bene sull’acciottolato con la punta della scarpa.

    Armand pensò che in quella casa nessuno aveva un'auto del genere  e si chiese a chi potesse appartenere, ma subito un'ombra gli oscurò il viso facendo scomparire il mezzo sorriso cui stava indulgendo, sentendosi finalmente al sicuro.

    Il gesto dell’autista era sembrato volutamente ostentato, come se volesse far capire a qualcuno che intendeva spegnere definitivamente il mozzicone lasciato cadere a terra. Chiaro come la luce del sole che quello doveva essere un segnale.

    Non si trascorre tutta la gioventù in mezzo al rischio, al sospetto ed alla tensione, senza ricavarne una particolare abilità di percezione, un senso aggiuntivo che consente quasi di annusare la presenza di una minaccia, così come un qualsiasi animale avverte l’onda sismica ben prima che il terreno cominci a tremare. In un istante Armand si domandò se era ancora in tempo per voltarsi e fuggire, ma la risposta arrivò subito, sotto forma di due massicce figure che uscirono da dietro i battenti aperti del portone, dove s’erano nascosti, chiudendo ogni possibilità di fuga verso la strada.

    Nello stesso istante l’autista cominciò a camminare verso di lui. Armand esaminò velocemente le varie vie di fuga, per scoprire che non ne era rimasta nessuna. I tre uomini l'avevano quasi raggiunto quando un'altra auto si affacciò nell'androne e andò a fermarsi a poca distanza. Si aprì la portiera e ne emerse la sorridente figura del colonnello Figuier.

    Ah, signor Lamaire chiamò ad alta voce il colonnello, come se avesse riconosciuto un vecchio amico. Armand si domandò da quanto tempo conoscesse il suo nome. Pochi istanti dopo i due uomini erano uno di fronte all’altro, attorniati dai tre poliziotti.

    Ci stavamo chiedendo quanto tempo ci mettesse ad arrivare. Ma già, noi eravamo in macchina e lei a piedi. Comunque non si disturbi, la sua cara mogliettina mi ha gentilmente consegnato le fotografie, compresi i negativi. Non è stato poi molto difficile convincerla. Si scusa con lei per non averla potuta attendere, ma aveva un appuntamento urgente dalle parti del carcere femminile concluse con aria rattristata.

    Armand ragionò in fretta su ciò che poteva ancora fare, quindi levò lo sguardo sopra la spalla del colonnello e gridò, rivolto ad un punto al fondo del cortile Presto, Victor!.

    Due poliziotti si voltarono di scatto, mentre Armand assestò una potente gomitata nello stomaco del terzo, che si piegò in avanti; si girò di scatto e gli assestò un pugno sulla mandibola, mandandolo in terra, quindi tentò di raggiungere nuovamente la strada. Gli altri due però reagirono velocemente e bloccarono Armand dopo una breve colluttazione.

    Il suo patetico tentativo era fallito ed ora che si trovava con i polsi ammanettati dietro alla schiena, comprese che s’era trattato di un gesto istintivo e disperato, più che un valido sistema per porsi in salvo.

    Da parte sua Figuier, che in quegli istanti aveva perso il sorriso ma non la calma, gli si parò di nuovo davanti e gli toccò un paio di volte una spalla con il pomo argentato del del suo bastone da passeggio.

    Al tempo in cui lei portava ancora i calzoni corti, io andavo all’assalto delle linee tedesche, sull’Aisne. Ho combattuto in trincea, Lamaire, e ho imparato non solo ad ammazzare gli unni, ma anche a schiacciare i pidocchi. Compresi quelli con due zampe come lei. Ho compreso fin dal primo momento le intenzioni della sua pollastra, mio caro. Ma sono stato al gioco perché lo trovavo divertente. Divertente sotto molti aspetti, come può ben immaginare.

    Il colonnello infilò una mano nella tasca interna della giacca di Armand e ne estrasse la busta col denaro.

    Dimenticava di ridarmi questi gli disse agitando a mezz’aria il mazzetto di banconote. Tentata estorsione aggiunse mentre i suoi baffetti vibravano di eccitazione. E per una relazione mai avvenuta tra me e la sua consorte, e della quale infatti non esiste alcuna prova. Dico bene? domandò rivolgendosi ad uno dei poliziotti, che socchiuse gli occhi in un cenno di conferma.

    Quindi i tre agenti spinsero Armand sul sedile posteriore della Peugeot, che superò l'androne immettendosi sulla strada.

    Figuier alzò lo sguardo verso i ballatoi che davano sul cortile, dove s'era già assiepato un discreto numero di persone. Soprappensiero, lasciò picchettare la punta del suo bastone sul selciato, quindi scosse la testa e risalì sulla sua auto.

    – – – – – – – – – –

    Per puro caso Cecile non si trovava a casa della sorella Françoise la mattina in cui questa venne arrestata. Avrebbe dovuto andare da lei sul presto per ridarle un paio di scarpe che aveva portato ad aggiustare da Daniel il ciabattino, che Cecile frequentava per le occasionali riparazioni, per l’impegno legato alla comune militanza politica e anche perché era un bel ragazzo. Ma a quell'ora Daniel si trovava chissà dove ed il padre Antoine, con cui mandava avanti la bottega, si era scusato dicendole che le scarpe non erano ancora pronte. Così aveva dovuto ripassare più tardi.

    Una vera fortuna, poiché in caso contrario i poliziotti guidati fino in rue Boursault dal colonnello Figuier l’avrebbero certamente trattenuta in commissariato per accertamenti. E per i membri del partito comunista quelli non erano i giorni più indicati per avere a che fare con la polizia. Cecile non sapeva il perché dell’arresto, ma non ne era stupita. Non era la prima volta che Armand ne combinava qualcuna delle sue, né che Françoise accettava di farsi coinvolgere.

    I vicini di casa non seppero darle che vaghe informazioni, oltre al fatto che la polizia aveva portato via la donna e poi aveva aspettato che Armand facesse ritorno. A quanto pareva c’era anche stata una breve colluttazione nel cortile, Armand aveva provato a fuggire, ma evidentemente senza successo.

    Dopo essere salita fino al ballatoio, Cecile percorse una decina di metri e si fermò davanti alla finestra della cucina. Rimosse un lungo frammento di legno dell’intelaiatura esterna e vi infilò due dita, voltandosi per controllare che nessuno stesse osservando le sue mosse. Estratta una piccola chiave dal nascondiglio, aprì la serratura di una porta a vetri ed entrò in casa. Quindi posò la scatola con le scarpe di Françoise e si guardò intorno. Era un piccolo alloggio formato da una camera da letto, un ampio tinello dotato di un angolo cucina ed un ripostiglio. Il bagno si trovava sul ballatoio, in comune con altri due alloggi dello stesso piano.

    Cecile s’era aspettata di vedere sedie e tavoli rovesciati, cassetti aperti sul pavimento ed altri segni del passaggio della polizia, che durante le perquisizioni utilizza metodi spesso più punitivi che efficaci. Invece si accorse con soddisfazione che le cose erano andate diversamente. Sembrava evidente che in casa i due non nascondevano alcun malloppo o che comunque gli sbirri non avevano dovuto cercare nulla. Forse non erano stati arrestati per un furto, ne concluse Cecile.

    Era facile riconoscere l’impronta di Françoise tra quelle mura; gli ambienti della casa sembravano in buono stato, ma al di là della prima impressione si notavano gli indizi di un’attenzione superficiale verso i dettami dell’ordine e della pulizia. Un cumulo di indumenti avviluppati giaceva a terra in un angolo della camera da letto e Cecile decise di risistemarli, estraendoli ad uno ad uno dal garbuglio per poi stenderli e ripiegarli sul letto. Forse Armand aveva qualche motivo per nascondere i calzini sotto il comodino poiché alcuni di essi, appartenenti a paia differenti, giacevano a terra facendo capolino in mezzo a batuffoli di polvere accumulatisi indisturbati nel corso delle settimane.

    Cecile sistemò alla meglio i vestiti dividendoli dai capi da lavare, quindi aprì un cassetto del comò per riporre alcune paia di calze e notò le eleganti mutande di cotone a coste, le sottovesti estive, i bustini leggeri e le guepiere all’ultima moda. Françoise non si faceva mancare nulla in fatto di biancheria intima.

    Prese un paio di calze di rayon e le fece scorrere tra le dita. La sorella aveva sempre avuto un debole per le calze eleganti e inoltre aveva un compagno che sapeva come procurargliele. Così accanto a quelle più dozzinali, nel cassetto vi erano anche delle calze sottilissime che, come le aveva confidato la commessa di un negozio, non erano affatto di seta bensì di un tessuto americano di nuova produzione.

    Le osservò in controluce, ammirandone la trasparenza cristallina e quasi temendo di danneggiarle le avvolse delicatamente e le ripose nel sacchettino in cui erano custodite. Non erano molte le donne di Parigi in grado di comprare calze come quelle, ma sicuramente Armand le aveva avute senza bisogno di passare da un negozio.

    Richiuse il cassetto e sedette sul letto con le mani tra le ginocchia, guardandosi intorno. Non vi era alcun motivo di restare ad attendere; forse Françoise era stata solo trattenuta per essere interrogata, ma qualcosa le diceva che questa volta doveva essersi messa in guai seri, correndo dietro al suo filibustiere.

    Si conoscevano fin da ragazzi, quei due. Armand aveva sempre provato un debole per sua sorella e l’aveva corteggiata a lungo. Françoise faceva invece la preziosa e si accompagnava ad altri ragazzi verso i quali non provava nulla di particolare. Cecile aveva tre anni meno della sorella e a volte, quando di sera le due ragazze andavano a coricarsi, Françoise amava contare ad alta voce sulla punta delle dita i ragazzi con cui era stata nel corso della sua ancor breve esistenza, fingendo di dimenticarne qualcuno e forse deliziandosi all’idea di essere la più corteggiata del quartiere.

    Cecile allora aggiungeva i nomi dei ragazzi che ricordava e che mancavano alla lista, scoprendo che di alcuni la sorella non teneva conto poiché il rapporto con loro era stato troppo fugace o superficiale. L’ammirava perché, essendo più grande di lei, mieteva una quantità di successi, ma non condivideva i medesimi valori e sentiva già da allora che la sua vita avrebbe seguito rotaie diverse.

    Poi Armand aveva rotto il naso all’ennesimo partner di Françoise e s’era imposto alla sua attenzione nell’unico modo che lei considerava ammirevole. Così era nata quella coppia che dopo anni, tra alti e bassi e litigi e urla e qualche saltuario schiaffo o cazzotto, si trascinava in mezzo a piccole gioie e prolungati affanni.

    Cecile non aveva mai potuto sopportare Armand ma non aveva cercato di dissuadere la sorella dalla decisione di accettare le sue avances, sapendo inutile ogni tentativo in tal senso. I tipi come Armand piacciono alle donne come Françoise e questo poneva fine al discorso.

    Infine era accaduto che una sera Armand alzasse il gomito quanto bastava per non saper più riconoscere i confini del lecito, allungando poi le mani vogliose su Cecile. Lei sapeva che qualsiasi tentativo di divincolarsi avrebbe solo incoraggiato i suoi propositi e così gli aveva assestato un pugno in faccia che l’aveva quasi messo fuori combattimento. Ma lui si era riavuto subito e prendendola per i capelli con rabbia aveva aperto la porta e l’aveva sbattuta violentemente fuori di casa, facendola quasi volare giù dal ballatoio.

    Per una volta qualcuno poteva dire di aver spaccato il naso ad Armand ed era stata lei, una donna. Era accaduto proprio in quella casa, qualche anno prima, mentre Françoise stravaccata sulla sedia osservava la scena ridendo, completamente ubriaca come gli altri amici presenti.

    Da allora faceva visita alla sorella solo quando lei le chiedeva qualche favore, mentre con Armand scambiava appena il saluto. D’altra parte, lui da quel giorno la guardava come se fosse diventata trasparente e in ultima analisi, era la conclusione di Cecile, quel pugno in faccia era servito ad ottenere il rispetto di un uomo che non conosceva altro linguaggio.

    Richiuse la porta di casa e rimise la chiave nella fessura da cui l’aveva estratta. Quindi scese le scale e si recò al comando di polizia che non distava molto dalla vicina stazione. Era possibile che Françoise si trovasse lì oppure presso un altro commissariato, o infine alle prigioni della Petit Roquette quasi dalla parte opposta della città, dato che il fatiscente penitenziario di Saint-Lazare era stato demolito qualche anno prima.

    Al commissariato non seppero dirle nulla, tranne il fatto che lì dentro Françoise non era mai arrivata e che doveva essere stata portata da un’altra parte. In compenso chiesero a lei se conosceva il motivo dell’arresto, per poi consigliarle di rivolgersi in un paio di altri luoghi troppo lontani da raggiungere a piedi.

    Decise di rimandare le ricerche all’indomani. Tornò a casa e preparò qualcosa per il pranzo senza dire nulla alla madre di quanto era successo. Ultimamente la salute dell’anziana era peggiorata e le era stata diagnosticata una debolezza cardiaca di ignota origine. Se per Françoise il tutto si fosse risolto con pochi giorni di detenzione, non ci sarebbe stato motivo di caricare la madre con un ulteriore fardello emotivo.

    Quindi si cambiò in fretta e uscì incamminandosi verso la bottega di Daniel, dove si tenevano le riunioni settimanali della cellula comunista di quartiere. Da qualche tempo a Parigi tirava una brutta aria per gli aderenti al Pcf e le sedi cittadine erano spesso oggetto di attenzioni particolari da parte della polizia; vera o falsa che fosse, era opinione diffusa che tra gli iscritti abbondassero gli informatori appositamente infiltrati dal ministero degli Interni per esercitare un controllo capillare sulle iniziative del partito.

    Il laboratorio in cui Daniel e suo padre Antoine riparavano le scarpe, borse e cinture nonché ogni sorta di oggetti in pelle, era un bugigattolo scarsamente illuminato di Epinettes, ma dotato di un ampio retrobottega su due piani; a livello terra c’era un vasto locale deposito parzialmente adibito ad ufficio, con un tavolo, delle sedie e un angolo cottura. Una scala a chiocciola conduceva al piano soppalcato, dove Daniel aveva ricavato una camera da letto dotata di una semplice brandina, un piccolo armadio ed uno scrittoio.

    Talvolta lui si tratteneva a dormire sul luogo di lavoro, in particolare nei periodi in cui aveva dei lavori urgenti da portare a termine. Questi spazi venivano talvolta utilizzati per le riunioni ma anche, più raramente, per dare ospitalità a qualche militante giunto da fuori città.

    Cecile arrivò a destinazione a riunione già iniziata e la discussione s'era già fatta piuttosto animata. Qualcuno, quasi sicuramente Marcel, il segretario di sezione, doveva aver deciso di anticipare di un poco l'incontro e come spesso avveniva lei non era stata informata della cosa. Le sarebbe piaciuto avere il tempo di intrattenersi con Daniel prima che arrivassero gli altri compagni e non sopportava che le loro occasioni di incontro fossero così saltuarie. D'altra parte il ragazzo continuava a mantenere un atteggiamento enigmatico e sopravviveva in Cecile il dubbio che lui non avesse nemmeno capito di essere in cima alla lista dei suoi pensieri.

    O forse Daniel l'aveva capito benissimo ma non aveva verso di lei interessi che varcassero i confini dell'amicizia ed era questa l'ipotesi che Cecile trovava meno sopportabile.

    Quando lei entrò nel retrobottega, gli altri si interruppero per salutarla. Il massiccio Marcel sedeva a metà del tavolo e gli altri avevano preso posto tutt'intorno, mentre l'ambiente era già saturo di fumo delle sigarette, nonostante la finestrotta sul cortile fosse rimasta aperta. Un fiasco di vino campeggiava ancora mezzo pieno su un lato del tavolo.

    Daniel era seduto su uno dei voluminosi sacchi di cascami ammonticchiati in un angolo del locale. I suoi capelli biondo cenere e la mandibola squadrata un poco prominente sembravano in contrasto con uno sguardo che sembrava tradire quasi invariabilmente noia o disinteresse per tutto ciò che avesse a che fare con la realtà.

    Al contrario, Cecile sapeva che Daniel era un tipo affidabile, generoso ma non certo sprecone, sempre disposto a inseguire fantasie ma all'occorrenza assai concreto. E si rendeva conto che ogni suo difetto non avrebbe potuto fare a meno di apparirle nelle vesti di una virtù.

    Cecile si domandava spesso il perché un ragazzo così bello non fosse perennemente circondato da ammiratrici, ma nello stesso istante temeva di incontrarne qualcuna ogni volta che per qualche motivo faceva ingresso nella bottega. Non aveva mai avuto il coraggio di chiarire le cose con lui una volta per tutte, né di metterlo con le spalle al muro attraverso atteggiamenti inequivocabili. Preferiva rimandare, nell'attesa di un momento più opportuno che forse non si sarebbe mai presentato. Guardandolo mentre si arrotolava soprappensiero una sigaretta là nell'angolo, Cecile giunse alla conclusione che entrambi stavano soltanto continuando a prendere a calci le occasioni della vita.

    Hanno arrestato Françoise esordì con tono neutro, senza rivolgere uno sguardo diretto né a Daniel né a nessun altro.

    E naturalmente anche Armand aggiunse.

    Uno dei presenti si alzò e le offrì la sedia, che lei accettò voltando così le spalle a Daniel e sistemandosi velocemente una ciocca di capelli. Tutti conoscevano la famiglia di Cecile.

    Motivo? domandò Marcel, che sembrava aver colto quell’interruzione con un po’ di fastidio. I capelli corti e brizzolati sul volto dai lineamenti legnosi gli conferivano un aspetto a dir poco taurino. Anche lui sapeva bene che Armand e Françoise erano lontani dalla politica come può esserlo un pesce dalle nuvole.

    Il motivo non me l’hanno detto

    Mi dispiace, Cecile. Spero non sia niente di serio disse Pierre, un dei giovani convenuti. Dopo una pausa di pochi istanti durante i quali nessuno seppe che cosa aggiungere in proposito, tutti fecero ritorno alle questioni che avevano lasciato in sospeso. Non c’era altro da aggiungere sull’argomento, infatti. Che Armand di tanto in tanto finisse al fresco era considerata una delle cose più normali del mondo.

    Cecile avvertì il desiderio che Daniel le poggiasse una mano sulla spalla e che le dicesse qualcosa, fosse anche la più scontata delle espressioni di conforto, ma non accadde nulla. Forse non aveva nemmeno prestato attenzione a ciò che lei aveva detto. Continuò a guardare un punto fisso davanti a sé e provò a concentrarsi su quel che dicevano i presenti.

    Non occorreva un grande sforzo per comprendere quale fosse argomento all'ordine del giorno. Ovunque, nelle fabbriche come nelle sedi sindacali e di partito, non si parlava d’altro. La notizia, apparsa sui quotidiani a caratteri cubitali, aveva qualcosa di incredibile: il governo nazionalsocialista del cancelliere Hitler e quello socialista sovietico del compagno Stalin stavano per stringere tra loro un accordo i cui contenuti non erano chiari ma che certamente avrebbe stravolto i rapporti di forza europei. Nonostante ci fosse chi credeva che un simile evento avrebbe scongiurato una nuova guerra, bastava guardare una carta geografica per capire che se le due potenze decidevano di stringersi la mano, per una Polonia schiacciata nel mezzo la cosa non poteva certo essere rassicurante.

    A parte questo, il problema più immediato per i comunisti, in Francia come altrove, era la posizione che la sinistra avrebbe dovuto assumere da quel momento in avanti. Veniva prima la fedeltà alle direttive di Mosca e al nuovo corso politico partorito nelle due cancellerie, oppure gli ideali per i quali ci si era battuti nel corso di decenni di lotte?

    Il nazionalsocialismo hitleriano si era mostrato fin dalla sua apparizione come il nemico più feroce che la classe operaia avesse dovuto affrontare. Non solo i partiti della sinistra tedesca erano stati sciolti ed i loro rappresentanti eliminati fisicamente, ma l’ombra della reazione tendeva ora ad allargarsi ben oltre i confini della Germania. L’appoggio fornito ai franchisti in Spagna ne era un esempio eclatante ed il barbaro bombardamento di Guernica da parte della Luftwaffe aveva mostrato che le ragioni del proletariato e gli interessi della borghesia, di cui il nazismo era la manifestazione più sanguinaria, non potevano incontrarsi se non sul campo di battaglia.

    Invece ora che succedeva? Che il compagno Stalin, con mossa a dir poco sorprendente, tendeva la mano all’orco di Berlino. Il tutto mentre la stampa internazionalista, certamente incoraggiata da Mosca, prendeva a tessere le lodi del nazionalsocialismo, individuando il vero nemico non più nella ferocia nazista bensì regimi parlamentari dell'Occidente borghese.

    In Francia, mentre la reazione istintiva del partito socialista, ovvero la Sfio, esprimeva tutta la sua incomprensione verso un patto tanto anomalo, i comunisti erano invece combattuti tra la fedeltà a Mosca ed i richiami della coerenza ideologica. La situazione negli altri paesi europei non era molto diversa.

    Il comitato centrale non si è ancora espresso, per cui non mettiamo il carro davanti ai buoi decise Marcel incrociando le dita sotto il mento.

    Ma lo farà intervenne Daniel scacciando dal viso il fumo della sua sigaretta. Lo farà di sicuro nei prossimi giorni. Non è che possiamo far finta che non sia successo niente

    Infatti, non ho detto che non è successo niente replicò Marcel voltandosi verso di lui.

    Stiamo dando troppa importanza a queste notizie, secondo me intervenne Edouard. Il governo, i capitalisti, Daladier e tutti gli altri cercano di sfruttare quelli che sono dei normali colloqui diplomatici per dividere le forze dei lavoratori. Come hanno sempre fatto, del resto. E infatti la Sfio c’è cascata subito e Blum ne approfitta per marcare le distanze da Mosca. Non aspettava altro, la canaglia!

    Quel che dice o non dice Blum, non ha più molta importanza stabilì Marcel.

    Ah no? domandò ironico Bonnet, l’anziano professore, che tutti chiamavano solo per cognome. Suo fratello era partito volontario per la Spagna ed era caduto nella battaglia di Teruel appena un anno prima. Blum è la Sfio. Ancora adesso, anche se la sua stella sembra al tramonto. Quel che dice Blum conta eccome tra gli iscritti e vi dico una cosa... Questi accordi, o come dice Edouard, questi colloqui diplomatici, dovrebbero aprirci gli occhi. Noi e la Sfio dobbiamo trovare una linea comune e dare insieme una risposta. Qualsiasi altra soluzione andrebbe a premiare gli interessi di Daladier e della borghesia. Per cui, ragioniamo insieme ai vertici della Sfio sul da farsi senza saltarci subito agli occhi come sempre

    Non è che possiamo sempre illuderci, Bonnet ammonì Marcel scuotendo la testa. I socialisti hanno già preso le loro decisioni senza nemmeno consultarci, mi pare. O no? Che lo facciano per opportunismo o perchè sono complici di Daladier non mi importa. Non sono capaci di capire i grandi mutamenti in atto, sono statici, ragionano secondo schemi superati. Per quanto mi riguarda, mi fido di quel che ha deciso il compagno Stalin e dico che non è certo combattendo contro i tedeschi che riusciremo ad abbattere il potere borghese qui in Francia, così come in Inghilterra o altrove. Tu non vuoi che creiamo delle fratture con la Sfio, Bonnet, come se ci fosse ancora il Fronte popolare. Io ti dico invece che non dobbiamo creare fratture tra di noi, tra noi compagni, tra noi comunisti. Restiamo uniti in un blocco… aggiunse chiudendo il pugno e agitandolo davanti al proprio naso Un blocco, è chiaro? A Mosca hanno bisogno del nostro sostegno, tanto quanto noi abbiamo bisogno di seguire delle direttive precise

    Se a Mosca hanno così bisogno di noi, perché prima non hanno chiesto il nostro parere? intervenne Cecile, senza attendere che Marcel finisse di parlare. Questi la guardò come se non l’avesse mai incontrata prima e la sua espressione evidenziò chiaramente l’esistenza dell’interrogativo che forse avrebbe voluto manifestare a voce alta: ‘e questa donnetta che cosa ne vuole capire?’. Ma non disse nulla di simile, accettò l’interruzione e piegò la testa da un lato, parlando con tono improvvisamente condiscendente.

    Cecile cara, esiste un congresso ed esiste una linea politica che i partiti aderenti al Comintern si impegnano ad accettare e ad arricchire con la loro esperienza…

    Lo so che c’è il congresso del Comintern, grazie replicò freddamente Cecile interrompendolo di nuovo e cancellando sul volto di Marcel ogni traccia del suo irritante sorriso. So anche che l’ultimo congresso ha evidenziato l’importanza dei fronti popolari come strumento di opposizione ai regimi fascisti. O ci siamo già dimenticati di quando i fascisti marciarono sul palais Bourbon, cinque anni fa? Che sarebbe successo se una parte della sinistra li avesse combattuti e l'altra parte avesse stretto accordi con loro? Fronti popolari significa coalizioni democratiche che laddove necessario posso comprendere, e questo è detto chiaramente negli atti conclusivi del settimo congresso, perfino partiti borghesi. Ora però scopriamo che a Mosca si è deciso di fare l’esatto contrario, cioè accordarsi con il fascismo per combattere i regimi parlamentari borghesi. E tutto questo, ripeto, senza sentire il nostro parere né quello delle direzioni degli altri partiti comunisti

    Cecile era infuriata e si tratteneva a stento dall’alzare la voce. Non le piacevano i compagni come Marcel, quelli disposti a seguire come cagnolini le direttive di Mosca. Era convinta che in atteggiamenti come questo vi fosse molto di quella mentalità che la sinistra da sempre insegnava a combattere, ovvero il servilismo nei confronti del potente, qualunque nome esso porti.

    Marcel espresse il proprio disaccordo scuotendo sconsolatamente il capo, probabilmente privo di validi argomenti da opporre. Venne però in suo soccorso Pierre.

    Se il compagno Stalin ha deciso in questo senso, non pensi anche tu che vi siano delle buone ragioni? domandò a Cecile, con la stessa aria di indulgenza che la maggior parte degli uomini le rivolgeva, indipendentemente dalle convinzioni politiche. Dopotutto continuò il suo punto di vista è più completo di quello che possiamo avere noi quaggiù e non è il caso di ricordare in quante occasioni ha dimostrato le sue straordinarie capacità di intuizione. Non è vero, compagni?

    Gli altri annuirono convinti, come se quell’assioma ponesse fine ad ogni dubbio residuo. Cecile avrebbe voluto sentire la voce di Daniel, ma non osò voltarsi per paura che i presenti interpretassero il gesto come una prevedibile e molto femminile richiesta d’aiuto. Decise che se l’ambiente intorno a lei le era ostile per questioni che esulavano dalla politica, avrebbe dovuto battersi da sola.

    Ah, è così, allora! Quindi, poiché il compagno Stalin ne sa più di noi e non commette mai errori qualunque cosa decida, ditemi una cosa, compagni… Ma noi, che ci riuniamo a fare? Perché passiamo le serate a discutere qui dentro le strategie da adottare? Se credete davvero che lui abbia sempre ragione disse evidenziando il pronome col tono della voce allora tanto vale che ce ne stiamo a casa e che ci facciamo mandare ogni tanto una relazione scritta da Mosca che ci dica quel che siamo autorizzati a pensare. O no?

    I presenti sorrisero a quelle parole ma era evidente che alle loro orecchie lo sfogo di Cecile equivaleva pressappoco ad una bestemmia. Fu Marcel a porre fine alla discussione, alzandosi e mandando giù d’un fiato quel che restava del vino contenuto nel suo bicchiere. Evidentemente non aveva alcuna intenzione di prolungare il duello verbale, tanto meno con una donna, tanto meno con Cecile.

    Va bene, compagni. Ci vediamo questa sera in sede. Prevedo che si faranno le ore piccole. Il compagno Catelas ha fatto sapere che farà il possibile per venire a riferirci sugli ultimi avvenimenti. Daniel, ci sei anche tu?

    Questi sembrò destarsi solo in quel momento dalle sue riflessioni e rispose che purtroppo aveva del lavoro urgente da portare a termine per l’indomani. Cecile ne fu contenta e decise che non sarebbe andata nemmeno lei, nonostante fosse interessata come tutti gli altri agli sviluppi della situazione. Ma d’altra parte era convinta che nessuno avrebbe notato la sua assenza.

    I convenuti si alzarono ad uno ad uno e se ne andarono. Per ultimo Bonnet, che indossava sempre abiti a dir poco autunnali indipendentemente dalla temperatura. Si calò il basco sulla testa e prese sotto braccio la sua inseparabile cartellina.

    Non può funzionare disse quasi parlando a se stesso quando quasi tutti erano già usciti. Vedrete che non durerà. Stalin ha messo a segno un colpo astuto, come suo solito, ma credo che sappia benissimo anche lui che non può durare. Dopo che la Polonia sarà sconfitta, e lo sarà, l’esercito tedesco e l’armata rossa si fronteggeranno lungo il confine. Mio fratello diceva che quando due eserciti si trovano faccia a faccia, anche se c’è una tregua, un armistizio, un trattato di pace, quel che volete, di solito i fucili cominciano a sparare da soli

    Se ne andò con un’espressione quasi soddisfatta dipinta sul viso mentre anche il vecchio Antoine, rimasto silenzioso per tutto il tempo, tornava al suo bancone per riprendere il lavoro interrotto.

    Rimasta sola con Daniel, che sembrava preso da pensieri lontani, Cecile decise che non era il caso di prolungare la sua presenza nel retrobottega. Si alzò sistemandosi l’orlo del vestito e cercò le parole più opportune per un commiato, maledicendo il fatto che i rari momenti in cui si trovava faccia a faccia con Daniel non riuscivano mai ad attenuare un vago senso di imbarazzo.

    Vado disse semplicemente. Allora, ci vediamo

    Parli bene replicò lui alzandosi, finalmente sorridente. Sì, davvero, sei in gamba

    Oh, non sono venuta fin qui per parlare né bene né male. Ma a quanto pare hanno già deciso

    Devono decidere questa sera quale posizione assumere. Per Marcel l’unica cosa che non si può fare in questo momento è mostrarsi indecisi. E la pensano più o meno tutti così. Vedrai che questa stasera si prenderanno per i capelli. Poi domani mi racconti concluse Daniel rimettendo al suo posto il fiasco di vino. Lei lo aiutò togliendo i bicchieri dal tavolo.

    Per la verità, non ci vado nemmeno io disse.

    Ah no? E perché? domandò Daniel, stupito.

    Così, non mi va proprio. E poi devo sempre ancora sapere dove hanno portato mia sorella rispose lei, spazientita, facendo seguire qualche istante di silenzio, quanto bastava per capire che lui non avrebbe approfittato dell’occasione per proporle di passare insieme la serata.

    Mi dispiace per Françoise disse lui. Io purtroppo devo stare qui a lavorare. Altrimenti avremmo potuto andare… non so, magari al cinema. Stasera danno ‘Ragazze in pericolo’ al Marignan

    Che cosa? protestò lei Quella porcheria clericale? Non sapevo che ti piacessero i film di Pabst

    No, a me no. Ma pensavo che i drammoni strappalacrime piacessero a te. Daniel sapeva sfoggiare un sorriso di fronte al quale veniva naturale perdonargli qualsiasi insolenza, così che anche Cecile fu spinta a rispondergli con lo stesso tono scherzoso.

    Quando riterrai opportuno conoscermi meglio, magari saprai anche qualcosa di più circa i miei gusti cinematografici disse, quindi si incamminò veloce lungo il laboratorio e salutò Antoine prima di uscire.

    Ma forse quel giorno non sarebbe mai arrivato, pensò mentre camminava in direzione di Batignolles. Sospirò. In fondo Daniel l'aveva appena invitata a passare la serata insieme. Più o meno. Forse avrebbe dovuto accettare. O forse era meglio non mostrarsi sempre così disponibile.

    Oh, al diavolo Pabst! mormorò allungando il passo.

    – II –

    Leopold avrebbe festeggiato quella sera stessa la sua duecentesima ora di volo, entrando ufficialmente a far parte dei piloti novizi del ventunesimo gruppo caccia di stanza a Jesau, pochi chilometri a sud di Königsberg, nella Prussia orientale. Aveva trascorso la primavera e buona parte dell’estate a far pratica sugli Arado da addestramento, ma pilotare un ‘Emil’ era tutta un’altra cosa.

    Il Bf-109 era un vero gioiello della tecnologia più avanzata, forse il miglior aereo in assoluto, capace di raggiungere i cinquecentocinquanta chilometri orari in un tempo brevissimo e dotato di un armamento superiore a quello di ogni altro caccia nazionale o straniero.

    I velivoli della versione E di questo apparecchio prodotto dalla ditta Messerschmitt di Augsburg in Baviera, familiarmente chiamati Emil, rappresentavano inoltre il vertice dell’efficienza per ciò che riguardava la potenza del motore e le prestazioni. Tutti gli aspiranti piloti sognavano di affrontare il nemico seduti nell’abitacolo di un Emil, ma ciò poteva essere concesso soltanto ai più promettenti.

    Per entrare nel gruppo dei novizi del Ventunesimo occorreva però superare una prova aggiuntiva, non certo vincolante sul piano pratico ma fondamentale dal lato simbolico. E si sa che i riti di iniziazione hanno un valore particolare negli ambienti militari e non soltanto nei reparti dell’aviazione.

    Leopold sapeva esattamente ciò che ci si aspettava da lui, poiché era la stessa prova che ogni cadetto con alle spalle un certo numero di ore di volo aveva dovuto affrontare per non essere considerato fifone e inaffidabile; si trattava di una manovra che i comandanti vietavano rigorosamente agli allievi in quanto estremamente pericolosa per chi non avesse ancora raggiunto un'ottima padronanza del mezzo. C’era sempre il rischio che qualcosa andasse storto e in tal caso occorreva una buona dose di sangue freddo per riportare in assetto l’aereo impedendogli di andare fuori controllo e precipitare in vite.

    Tutto ciò in base al regolamento. Ma le disposizioni non avrebbero ragione di esistere se non vi fosse nessuno disposto a violarle e di solito l’eroe non vince rispettando tutte le norme. Per questo è tradizione del Ventunesimo che ogni aspirante novizio esegua un’imperiale, ovvero una virata che si effettua facendo perdere portanza ad un’ala e realizzando una figura che vista da terra somiglia molto all’elegante e maestoso volteggio di un’aquila. Vi sono diversi tipi di imperiale, almeno una delle quali attribuita a Max Immelmann, un pilota della Grande Guerra morto in circostanze poco chiare in seguito all’esplosione del suo Fokker. Nel caso di Leopold e delle aspettative dei colleghi, si trattava di un tipo di manovra abbastanza complicato per chi non avesse sviluppato una buona pratica di guida dei 109. Ma Leopold era convinto di avere una sufficiente conoscenza dell’Emil per portarlo ad eseguire docilmente questo passaggio.

    Dopodiché lo ‘jafu’, ovvero il comandante del gruppo, l’avrebbe chiamato nel suo ufficio per una solenne lavata di capo e per appioppargli la punizione di rito, consistente in diversi giorni di consegna. Ma questo sarebbe stato un dettaglio. Ciò che contava realmente era che i colleghi anziani gli avrebbero conferito la croce di fronde di quercia decorata con piume di falco, che naturalmente non era annoverata tra le decorazioni ufficiali ma che rappresentava l’ingresso nel mondo dei piloti ‘adulti’, sebbene ancora piuttosto inesperti.

    Solo da quel momento, divenuto pilota anche agli occhi dei colleghi, avrebbe potuto dare del tu ad un veterano. Leopold era affascinato dalla somma di regole non scritte che incorniciava lo stile di vita negli ambienti della Luftwaffe.

    Leopold aveva avuto il tempo per imparare che l'Emil non era un aereo facile. Non si ‘guidava da solo’ come tanti altri velivoli dei corsi di addestramento. Occorreva entrare in simbiosi con il mezzo e quasi diventarne parte, adeguandosi ai suoi ritmi estremamente variabili, assecondandoli e nello stesso tempo controllandoli con il giusto amalgama di dolcezza e sicurezza. L’Emil non sopportava i piloti svogliati e nemmeno quelli sgraziati, così come un purosangue non si fa montare da uno stalliere inesperto ed obbedisce solo agli ordini di un vero cavaliere.

    Queste erano state le prime cose che il suo istruttore gli aveva detto, prima ancora che potesse sedersi nell’abitacolo di un 109. Un abitacolo stretto e scomodo a dire il vero, ma anche questo particolare sembrava rientrare nell’ottica di chi pretendeva che non vi fosse spazio tra macchina ed aviatore, nulla che potesse ostacolare il processo di fusione tra le due nature, quella umana e quella meccanica. Ma a parte considerazioni dal sapore allegorico, sembrava davvero che questo aereo non fosse stato progettato per piloti di alta statura.

    Leopold prese posto ai comandi, osservando la coltre nuvolosa che stava lentamente transitando più a nord, in direzione del mar Baltico. Anche la visuale dal posto di guida lasciava parecchio a desiderare, ma d’altra parte la ricerca di un profilo più aerodinamico esigeva le sue contropartite.

    Dopo l’avviamento del motore eseguita del meccanico tramite manovella, Leopold azionò la frizione dello starter e mantenne il motore intorno ai milleottocento giri per riscaldarlo. Poco dopo iniziò il rullaggio, che a causa della scarsa visibilità anteriore avveniva spesso con l’ausilio di un aviere incaricato di controllare il corretto avvicinamento del velivolo alla pista. Quindi l'aereo raggiunse l’area di raduno mettendosi a lato del comandante di gruppo, il capitano Baumann, che decollò per primo. Quando venne il suo turno, Leopold rilasciò i freni e partì sentendosi quasi subito sballottare da una parte e dall’altra a causa del caratteristico serpeggiamento di coda del velivolo. L’aereo si staccò dal suolo e Leopold corresse col timone lo spostamento a sinistra che l’Emil era solito subire in quella fase a causa della rotazione dell’elica.

    L’aereo si portò in posizione con gli altri tre dello sciame. Uno sciame era costituito da quattro velivoli ed era il reparto di base per voli in formazione.

    Dopo aver raggiunto una certa altezza senza forzare le potenzialità dell’aereo, Baumann abbandonò il resto dello sciame e scendendo di quota compì una virata larga, quindi effettuò improvvisamente una decisa cabrata che lo portò fuori dalla visuale dei suoi sottoposti.

    Leopold e gli altri imitarono le stesse operazioni in rapida successione e poi diedero motore per risalire di quota. Nessun aereo cabrava come l’Emil, che poteva arrampicarsi nei cieli a più di sedici metri al secondo, raggiungendo quota cinquemila in cinque minuti e lasciandosi indietro ogni avversario che avesse tentato un’impresa analoga.

    Avvistò Baumann nell’angolo superiore del parabrezza e lo raggiunse salendo e addolcendo la cabrata, fino a porsi quasi al suo fianco. Anche gli altri due piloti, Theo e Heinz, si riportarono subito dopo in formazione. Leopold aveva fatto il corso insieme a loro e ne era nata una rivalità salutare che li spronava a migliorarsi solidificando nel contempo la loro amicizia. Ma quello era il giorno di Leopold e nessuno era disposto a rubargli la scena.

    La formazione effettuò ancora tre o quattro passaggi a bassa quota, realizzando una serie di figure senza raggiungere i limiti operativi degli aerei, poiché le esercitazioni di questo tipo erano fatte unicamente per mettere alla prova e se necessario consolidare la capacità di manovrare in sintonia con i colleghi.

    Poi lo sciame si portò quasi sulla verticale del campo e quindi si allontanò come per prepararsi alla virata discendente che preludeva all’atterraggio.

    D’un tratto Leopold si accorse che l’aereo del comandante si trovava perfettamente alla sua destra, a ore tre, mantenendosi per qualche secondo alla medesima velocità. Si voltò e incrociò per un paio di secondi appena lo sguardo muto di Baumann, prima che questi virasse scomparendo alla vista. Non avrebbe mai potuto autorizzarlo esplicitamente, ma con quella rapida occhiata il comandante gli ricordava che, se voleva, poteva dare inizio al tanto agognato rito di iniziazione. Per Leopold von Velen, rampollo di un’antica casata di militari prussiani, era arrivato il momento.

    Senza dare potenza al motore, puntò il muso dell’aereo verso l’alto perdendo rapidamente velocità fino a toccare il limite di stallo che con quell'assetto si collocava intorno ai 140 chilometri orari. Pregò che i suoi sensi ancora acerbi di novizio fossero sufficienti per capire il momento esatto in cui doveva dare inizio alla manovra vera e propria. Quindi pestò con decisione sulla pedaliera e spostò il timone verso sinistra. Quasi nello stesso momento spostò la barra in avanti e poi un po’ a destra.

    L’aereo cominciò a compiere velocemente un giro intorno alla punta di un’ala, che rimase praticamente ferma rispetto all’altra, la quale andava descrivendo nell’aria un cerchio immaginario. A causa di ciò, un’ala andava perdendo tutta la sua portanza mentre l'altra ne acquisiva in maniera pericolosa per chiunque non avesse saputo calcolare bene i tempi d’esecuzione.

    Leopold controllò la velocità mentre compiva la manovra. Se questa fosse stata eccessiva l’aereo avrebbe compiuto una specie di arco, mentre con velocità insufficiente poteva venirne fuori ugualmente qualcosa di accettabile, ma un pilota esperto l’avrebbe bocciata come un’imperiale da novellino vedendo il velivolo scendere lungo la stessa scia di salita.

    Il metodo giusto era quello che si otteneva facendo perno su un’ala in modo da dare l'impressione che essa fosse ferma nell'aria. Al di là del fatto che in combattimento questa manovra era praticamente inutile, essa rivelava tuttavia la capacità del pilota nel padroneggiare simultaneamente i principali comandi.

    A questo punto era importante non perdere il controllo dell’operazione poiché da quel momento cominciava la parte più complicata. Leopold si chiese se la sua manovra fosse stata fino a quel momento abbastanza elegante e se da terra l’avessero apprezzata così come era capitato a lui, la prima volta che l’aveva ammirata nel ruolo di semplice spettatore.

    Oltre il vetro dell’abitacolo le nuvole stavano ruotando velocemente e l’Emil iniziò a perdere quota inclinandosi su un lato. C’erano pochi secondi a disposizione per dare il via alla manovra correttiva, dopodiché il velivolo avrebbe iniziato un avvitamento incontrollabile, causato dall’ala di sinistra che aumentava progressivamente la propria velocità di rotazione. Doveva sfruttare l’aumento di velocità causato dalla perdita di quota, senza accelerare ulteriormente. Abbassò la cloche e la tirò dolcemente verso sinistra, anche se l’istinto gli avrebbe suggerito di fare l’esatto contrario, cioè cercare di virare dalla parte opposta per contrastare il movimento rotatorio. Ma non era necessario essere degli esperti per sapere queste cose, che anzi costituivano gli elementi teorici basilari del volo.

    Ora il muso dell’Emil puntava verso il basso e Leopold mantenne quella posizione finché la rotazione non cessò quasi del tutto, facendo uscire dallo stallo l’ala di destra, nuovamente sorretta dalla pressione dell’aria. Solo a quel punto l’aereo divenne del tutto controllabile e dopo una breve picchiata Leopold richiamò l’aereo aumentando nel contempo la potenza e facendo schizzare in alto il velivolo, mentre lui stesso veniva schiacciato contro lo schienale dalla forza di gravità e dalla spinta selvaggia fornita dai millecentosettanta cavalli del motore Daimler.

    Fu una risalita breve, quanto bastava per raggiungere nuovamente la quota precedente e per fornire agli astanti l’impressione che l’aereo fosse precipitato per poi tornare verso l'alto rimbalzando sull’aria.

    Poco dopo Leopold procedeva nuovamente in assetto orizzontale insieme al resto dello sciame. Si guardò intorno oltre il vetro da sei millimetri della cabina e vide alla sua sinistra Heinz che esultava levando le braccia, per quanto lo consentiva l’esiguo spazio all’interno dell’abitacolo. A quanto pare non aveva commesso errori.

    Quindi iniziò insieme ai compagni la manovra di rientro con una lunga virata che lo portò in linea con la striscia di cemento della pista d’atterraggio.

    Toccò terra riflettendo sul fatto che non si sarebbe mai abituato completamente alla velocità di atterraggio di quell’aereo, quindi attese che anche il ruotino di coda toccasse terra prima di azionare i freni. Il 109 era famoso per i cappottamenti in fase d’arrivo e l’Emil non faceva eccezione.

    Quando l’aereo rullò fino all’area di parcheggio, Leopold aveva ancora il cuore in gola ma riuscì a sorridere al pensiero che era finalmente diventato un pilota degno di questo nome.

    Attese che anche Baumann atterrasse prima di aprire l’abitacolo e mettere i piedi a terra. Theo ed Heinz gli si avvicinarono e gli batterono le mani guantate sulle spalle.

    Leo, sei stato grande. Mai vista un’imperiale come questa. Degna di un veterano lo rassicurò Theo. Anche Heinz era dello stesso parere ma Leopold attendeva con impazienza il giudizio di un vero 'adler', di un’aquila, così come veniva ossequiosamente chiamato un pilota che aveva già affrontato il combattimento, magari ai tempi gloriosi della guerra europea oppure, molto più di recente, in Spagna nella legione Condor.

    Nel mentre arrivò Baumann e dall’espressione neutra del suo viso non si riuscì a cogliere alcun elemento aggiuntivo.

    Velen, nel mio ufficio tra dieci minuti ordinò in modo burbero tirando dritto senza nemmeno guardarlo in faccia, mentre si toglieva i guanti.

    Guarda! disse Heinz indicando un ufficiale affacciato sulla balconata della torre di controllo. Leopold guardò in quella direzione e riconobbe Seidel, uno dei veterani del gruppo, sorridere mentre agitava il pugno a mezz’aria in segno di vittoria. Solo allora comprese di aver superato brillantemente la prova.

    – III –

    Angela! chiamò da un’estremità del bancone la signora Koll, proprietaria insieme al marito della gioielleria omonima sulla Jungfernstieg, una delle più eleganti e meglio frequentate strade di Amburgo.

    Angela ripose in fretta al suo posto il pendente che stava pulendo ed attraversò l’ampio locale. Fare la commessa non costituiva certo la sua massima ambizione, ma si trattava pur sempre di un impiego che le permetteva di mettere da parte un po’ di marchi per sé e di contribuire al bilancio famigliare. E poi era molto meglio lavorare in una gioielleria, dove non ci si inzaccherava le mani e non si arrivava a casa la sera con indosso gli odori della giornata, piuttosto di quella pescheria adiacente all’Alster dove aveva rischiato di trovare posto poche settimane prima.

    Accanto alla figura arcigna ed esangue della signora Koll vi era un cliente in uniforme da untersturmführer delle Ss, che le rivolse un garbato sorriso.

    Qualche tempo prima Angela si era divertita ad imparare con l’aiuto del suo ragazzo Leopold i vari gradi militari e sapeva distinguere senza errore quelli delle varie forze armate. La mostrina nera con tre diamanti sul colletto era propria di quel grado nelle Ss, ovvero l’equivalente di un tenente semplice nella Wehrmacht. Se invece avesse avuto una banda sottile sotto i diamanti si sarebbe trattato di un obersturmführer, cioè un tenente superiore, mentre i tre diamanti con la doppia banda era caratteristica dei capitani. Era uno schema facile da ricordare.

    Buongiorno. In che cosa posso esserle utile? domandò con tono formale, osservando per un istante gli occhi verde slavato dell’ufficiale, un ragazzo che giudicò non ancora trentenne con i capelli biondo scuro e la carnagione del viso leggermente abbronzata.

    Devo fare un regalo rispose lui ricambiando lo sguardo in modo insistente, finché Angela non distolse il suo. E' per mia sorella. Un pensierino per il suo compleanno. Ho pensato a quegli orecchini che ci sono in vetrina. Lì, vicino a quella parure in corallo. Ma naturalmente mi affiderò alla sua competenza se vorrà consigliarmi qualcosa di diverso. Purché sia di colore simile. A Wilma piacciono molto il grigio e l’indaco disse continuando a fissarla.

    Oh, sono sicura che piaceranno. Hanno un disegno molto moderno e raffinato commentò lei, attingendo dalla serie di frasi di circostanza che aveva imparato grazie all’eloquenza della signora Koll.

    Ma se desidera vedere qualcosa nello stesso stile, prima di scegliere, posso mostrarle qualche collezione. Ecco, prego disse invitandolo ad avvicinarsi al bancone ed estraendo un espositore di orecchini di tipo simile. Aveva imparato a non parlare di prezzi prima che fosse il cliente, eventualmente, a farvi accenno. Per cui decise di attirare l’attenzione dell’uomo su alcuni gioielli un po’ più costosi, cosa che la finezza del disegno poteva far intuire anche ad un occhio meno esperto.

    Lui vi gettò un’occhiata priva di interesse, per poi tornare a sorridere alla ragazza.

    Credo sia molto meglio prendere in considerazione un suo parere

    Quanti anni ha, sua sorella?

    Lui ci pensò su qualche istante di troppo e Angela venne colta dal sospetto che in realtà il regalo potesse avere una destinazione diversa.

    Venticinque

    Bene, direi allora che questi si accordano bene con una giovane donna dinamica, piena di vita, ecco. Mentre questi altri continuò sollevando con due dita delle perle grigie semiavvolte da supporti intrecciati e smaltati con metodo cloisonné color blu genziana sono più adatti per una ragazza di indole, diciamo, più riservata, più…

    Capisco la interruppe lui. A mia sorella non piacciono le cose troppo vistose. La sua è un’eleganza più… raccolta, capisce? Interiore, non sfarzosa spiegò tutto serio. E’ una ragazza che sa comprendere quale è il proprio posto e detesta la stravaganza. Anche nello stile esteriore, nell’abbigliamento, per intenderci concluse senza mascherare un velo di autocompiacimento. E lei decisamente le somiglia molto stabilì prima che Angela potesse replicare.

    Io? Beh, non so proprio…

    Si fidi. L’eleganza è per una donna di classe come il profumo per un fiore. Non deve sforzarsi per emanarlo, è sufficiente che presenti con naturalezza i suoi petali alla luce del sole. E lei, signorina Angela, non fa eccezione… Solo per chi sa apprezzare il profumo di un fiore, s’intende aggiunse con un’antipatica aria di complicità.

    Era un chiaro tentativo di corteggiamento, ma inaspettato ed Angela trasalì un poco, senza sapere che cosa dire. Ne approfittò lui per trarla dall’imbarazzo.

    Mi scusi se sono stato così sincero. Ecco, prenderò questi con la perla. Non vorrei che mi ritenesse tanto sciocco da ignorare un suo consiglio

    Lei preparò la confezione e legò il nastro formando impeccabilmente il fiocco sul pacchettino, nonostante fosse pervasa dall’agitazione.

    Tentò di convincersi che quel tipo si comportava nello stesso modo con qualunque ragazza avesse occasione

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