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L'Ombra Del Cavaliere
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L'Ombra Del Cavaliere
E-book426 pagine4 ore

L'Ombra Del Cavaliere

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Info su questo ebook

Cosa accomuna l'ordine Templare, Unis il faraone cannibale, Cartaphilus

l'ebreo errante e l'astro nascente della moderna archeologia Ugo Pagano?

Un intreccio arcano muove dalle infuocate sabbie della lontana

necropoli di Saqqara per approdare alle fredde e misteriose mura del

castello di Wewelsburg, la fortezza dell'occulto voluta da Himmler,

roccaforte e sede del nuovo ordine del Sole Nero. L'Armageddon si leva

dalla notte dei tempi per ergersi a minaccia globale dalle ceneri

visionarie di un terzo reich che ancora non si rassegna all'oblio, ma

quando l'Ankh, il nodo di Iside, la lancia di Longino, potenti simboli

di un lontano passato scateneranno il loro potere, nulla potrà opporsi

alla profezia testamentaria. Solo alcuni temerari ad innalzarsi a

baluardo, ad affrontare gli spiriti immondi che già si manifestano

all'orizzonte di un'alba tragica. Tutto sembra precipitare nel vortice

dell'irreale, luogo dove il vettore tempo si annulla e l'immortalità

eterna si eleva trionfante, ma è proprio dalle pieghe del tempo che la

scintilla salvifica, l'ombra di un antico cavaliere, prorompe in mille e

ancora mille faville, a descrivere nuovo racconto posto al tenue

confine dove la storia diventa leggenda e la leggenda storia.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2021
ISBN9791220320009
L'Ombra Del Cavaliere

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    Anteprima del libro

    L'Ombra Del Cavaliere - Giovanni Antonio Gravina

    Table of Contents

    L’Ombra del Cavaliere: Tra Damnatio Memoriae, Spiritualità e Mistero Di Giovanni Cardone

    BREVE PREFAZIONE

    Relazione critica

    Giovanni Antonio Gravina: L’ombra del Cavaliere

    REMINISCENZE DAL VOLUME IV DE L’ANGELO DELLA SPADA - Dolores Scriptor – (Gli affanni di uno Scrittore)

    PROLOGO

    CAPITOLO II – ABERRAZIONI

    CAPITOLO III – IL NODO DI ISIDE

    CAPITOLO IV – ANKH - (Il Simbolo della Vita)

    CAPITOLO V – IL SEGRETO

    (PALAZZO DE’ PAGANI)

    CAPITOLO VII – UNIS IL FARAONE (يونس الفرعون)

    CAPITOLO VIII – INTRIGHI

    (القلب والعقل)

    CAPITOLO X – IL SEPOLCRO MISTERIOSO

    CAPITOLO XI – PAURA

    CAPITOLO XII – L’OMBRA DEL CAVALIERE

    CAPITOLO XIII – SVELAMENTI

    CAPITOLO XIV – DEIR MAR GIRGIS (دير مار جرجس)

    (Cantus Tenebris)

    CAPITOLO XVI – IL SIMBOLO DELLA DEA

    CAPITOLO XVII – GUERRIGLIA URBANA

    CAPITOLO XVIII – IL SOLE NERO (الشمس السوداء)

    CAPITOLO XIX – IL SACRO FUOCO DEL SAPERE

    (Ignibus Imponit Sacris Imprudentia)

    CAPITOLO XX – NEL COVO DEL MALE

    CAPITOLO XXI – ECLISSI ANULARE

    (DEFECTUS CIRCUMSCRIBO)

    CAPITOLO XXII – ATHANASIUS

    CAPITOLO XXIII – SOTTO IL CIELO DE IL CAIRO

    (تحت سماء القاهرة)

    CAPITOLO XXIV – LA PIETRA FILOSOFALE (PHILOSOPHI LAPIS)

    CAPITOLO XXV – I NERI CIELI DELL’ABISSO

    (سماء الهاوية السوداء)

    CAPITOLO XXVI – ESPIAZIONE (EXPIATIO)

    CAPITOLO XXVII – PER IPÀZIA

    RINGRAZIAMENTI

    BIBLIOGRAFIA

    Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na

    L’Om­bra

    del Ca­va­lie­re

    Ti­to­lo | L’Om­bra del Ca­va­lie­re

    Au­to­re | Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na

    ISBN | 979-12-20320-00-9

    © 2020. Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all'Au­to­re

    Que­sta ope­ra è pub­bli­ca­ta di­ret­ta­men­te dall'Au­to­re tra­mi­te la piat­ta­for­ma di sel­fpu­bli­shing You­can­print e l'Au­to­re de­tie­ne ogni di­rit­to del­la stes­sa in ma­nie­ra esclu­si­va. Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re per­tan­to ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell'Au­to­re.

    You­can­print

    Via Mar­co Bia­gi 6, 73100 Lec­ce

    www.you­can­print.it

    in­fo@you­can­print.it

    "Co­sì per li gran sa­vi si con­fes­sa che

    la fe­ni­ce mo­re e poi ri­na­sce, quan­do

    al cin­que­cen­te­si­mo an­no ap­pres­sa;

    er­ba né bia­do in sua vi­ta non pa­sce,

    ma sol d’in­cen­so la­gri­me e d’amo­mo,

    e nar­do e mir­ra son l’ul­ti­me fa­sce."

    Dan­te  (Inf. XXIV 106-111)

    TE­STO DA ADOT­TA­RE NE­GLI ISTI­TU­TI LI­CEA­LI E

    NEL­LE UNI­VER­SI­TA’ PER TE­SI DI LAU­REA

    L’Ombra del Cavaliere: Tra Damnatio Memoriae, Spiritualità e Mistero Di Giovanni Cardone

    Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na nel ro­man­zo l’Om­bra del Ca­va­lie­re usa i quat­tro sen­si del­la scrit­tu­ra me­dioe­va­le o me­glio let­te­ra­le par­ten­do dal sen­so Al­le­go­ri­co, Ana­go­gi­co e Mo­ra­le, cer­can­do di uni­re due mon­di quel­lo egi­zia­no fat­to di al­chi­mia e di mi­ste­ro con la gran­de fi­lo­so­fia ari­sto­te­li­ca e neo­pla­to­ni­ca.   

    La mor­te è la più gran­de del­le pau­re esi­sten­zia­li con cui l'es­se­re uma­no ha da sem­pre do­vu­to con­fron­tar­si, da ciò è de­ri­va­ta la co­stru­zio­ne di una se­rie di for­ma­zio­ni di­fen­si­ve e reat­ti­ve de­sti­na­te a pla­ca­re l'an­go­scia con­nes­sa col ter­mi­ne del­la vi­ta bio­lo­gi­ca. La fi­ne del­la vi­ta uma­na vie­ne vis­su­ta co­me la scon­fit­ta per ec­cel­len­za, Mors vi­tam vi­cit La mor­te scon­fig­ge la vi­ta.

    Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na, a dif­fe­ren­za dell’An­ge­lo del­la Spa­da, ci por­ta in un mon­do do­ve ar­cheo­lo­gia, sto­ria, al­chi­mia e mi­ste­ro so­no al­la ba­se iden­ti­ta­ria del ro­man­zo mal nel con­tem­po vi è un dia­lo­go tra l’es­se­re e il di­ve­ni­re, tra be­ne e ma­le cer­can­do di rac­con­ta­re ‘l’Uo­mo’. Fin dal­le epo­che più re­mo­te l'uma­ni­tà ha quin­di do­vu­to fa­re i con­ti con quel­la fi­ni­tez­za ed in­cer­tez­za che è pro­pria di ogni es­se­re vi­ven­te e con i ti­mo­ri che da es­sa de­ri­va­no. La mor­te di­ven­ta quin­di un fat­to d'im­por­tan­za pri­ma­ria nel­la vi­ta so­cia­le e por­ta con sé si­gni­fi­ca­ti al­le­go­ri­ci e sim­bo­li­ci. Il ten­ta­ti­vo di esor­ciz­za­re ta­li pau­re e di ge­sti­re l'an­go­scia dell'in­cer­to è al­la ba­se del­la na­sci­ta e dell'evo­lu­zio­ne del­la cul­tu­ra in­te­sa co­me pro­du­zio­ne di idee, fan­ta­sie, mi­ti, cre­den­ze, co­stu­mi. Due de­gli ele­men­ti re­li­gio­si prin­ci­pa­li uti­liz­za­ti per se­da­re ta­li ti­mo­ri so­no co­sti­tui­ti dall'idea­zio­ne di una vi­ta po­st mor­tem in cui l'ani­ma del de­fun­to so­prav­vi­ve e la crea­zio­ne del ri­to del fu­ne­ra­le, qua­le pas­sag­gio che san­ci­sce il cam­bia­men­to di sta­tus. Inol­tre di­vie­ne ri­le­van­te che il ri­cor­do del­la per­so­na re­sti pre­sen­te tra chi so­prav­vi­ve e nel­le ge­ne­ra­zio­ni fu­tu­re. Si ge­ne­ra la ne­ces­si­tà di la­scia­re un se­gno del­la pro­pria pre­sen­za nel­la sto­ria uma­na, mo­ti­vo per cui si eri­go­no mo­nu­men­ti e si crea­no se­gni e sim­bo­li fu­ne­ra­ri. La ra­di­ce la­ti­na del­la pa­ro­la mo­nu­men­to è mo­neo il cui si­gni­fi­ca­to è ap­pun­to far ri­cor­da­re. Chi ha il suo no­me e la sua sto­ria ri­cor­da­ti nel tem­po sfug­ge all'oblio e al­la can­cel­la­zio­ne di sé e del­la sua per­so­na, all'eli­mi­na­zio­ne stes­sa del­la sua iden­ti­tà. Nel mon­do, so­prat­tut­to in quel­lo an­ti­co, si muo­re de­fi­ni­ti­va­men­te al­lor­quan­do si è ab­ban­do­na­ti e di­men­ti­ca­ti, quan­do non c'è più me­mo­ria di sé. Inol­tre la me­mo­ria del sin­go­lo in­di­vi­duo e del­le sue azio­ni pos­so­no con il tem­po di­ven­ta­re par­te del­la me­mo­ria cul­tu­ra­le. Que­sta, com­po­sta dai ri­cor­di del­le si­tua­zio­ni pas­sa­te, ha un ruo­lo cen­tra­le nel­la de­fi­ni­zio­ne dell'iden­ti­tà di un po­po­lo. La scel­ta di co­sa e chi far ap­par­te­ne­re a que­sto pa­tri­mo­nio di me­mo­rie col­let­ti­ve è fon­da­men­ta­le quin­di per de­fi­ni­re l'iden­ti­tà di un po­po­lo e la dam­na­tio me­mo­riae è cer­ta­men­te un ot­ti­mo stru­men­to at­to ad eli­mi­na­re per­so­nag­gi o si­tua­zio­ni sco­mo­de che non si vo­glio­no am­met­te­re all'in­ter­no del­la de­fi­ni­zio­ne iden­ti­ta­ria del­la pro­pria so­cie­tà. Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na in que­sto viag­gio del­la dam­na­tio me­mo­riae cer­ca di da­re una ria­bi­li­ta­zio­ne ai suoi per­so­nag­gi qua­li Ugo­ne dè Pa­ga­ni e il Con­te di Saint Ger­main _ Ca­glio­stro e quel per­cor­so che at­tra­ver­so i tem­pla­ri ci por­ta al­la sco­per­ta del San­to Graal. La com­ple­ta e to­ta­le di­stru­zio­ne del­la me­mo­ria dell'esi­sten­za di una per­so­na, sgo­men­ta e at­ter­ri­sce, vie­ne per­ce­pi­ta co­me una se­con­da mor­te. Qua­le pu­ni­zio­ne peg­gio­re può quin­di es­se­re in­flit­ta ad un es­se­re uma­no se non quel­la di far av­ve­ra­re la sua più gran­de pau­ra: es­se­re di­men­ti­ca­to? Pro­prio su que­sta pau­ra fa le­va la pra­ti­ca co­no­sciu­ta co­me dam­na­tio me­mo­riae con­dan­na del­la me­mo­ria. Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na crea una mac­chi­na del tem­po at­tra­ver­so la sua scrit­tu­ra, eser­ci­zio che uni­sce le ge­sta com­piu­te dai suoi per­so­nag­gi a quan­to vie­ne de­scrit­to nel Me­dioe­vo, da tem­po in con­si­de­ra­to nel no­stro im­ma­gi­na­rio quo­ti­dia­no, co­me è ca­pi­ta­to al­lo scrit­to­re, qua­si una sor­ta di scap­pa­to­ia per eva­de­re dal­la mo­no­to­nia del­la quo­ti­dia­ni­tà. Il fe­no­me­no si ma­ni­fe­sta a più li­vel­li co­me scri­ve Um­ber­to Eco: A un cer­to pun­to mi so­no det­to che, vi­sto che il Me­dioe­vo era il mio im­ma­gi­na­rio quo­ti­dia­no, tan­to va­le­va scri­ve­re un ro­man­zo che si svol­ges­se nel Me­dioe­vo. Ma una lun­ga tra­di­zio­ne con­for­ta­ta dal­la let­te­ra­tu­ra il­lu­mi­ni­sti­ca pri­ma e da quel­la ro­man­ti­ca poi, rin­no­va­ta ne­gli ul­ti­mi tem­pi dai mo­der­ni mez­zi di co­mu­ni­ca­zio­ne, con­cor­re a for­nir­ci un'im­ma­gi­ne del Me­dioe­vo buio e pro­fon­do che si ad­den­tra nell'età mo­der­na: il Me­dioe­vo del­le stre­ghe, dell'In­qui­si­zio­ne, del­le gran­di pau­re col­let­ti­ve. Un Me­dioe­vo, in­som­ma, che in real­tà cor­ri­spon­de a fe­no­me­ni di bre­ve o me­no bre­ve du­ra­ta pre­sen­ta­te­si nel­la no­stra Eu­ro­pa so­prat­tut­to nel pe­rio­do tra il XIV e il XVII se­co­lo. A que­sto pun­to emer­ge una con­si­de­ra­zio­ne che il no­stro scrit­to­re all’in­ter­no di que­sto ro­man­zo cer­ca di far emer­ge­re, la spi­ri­tua­li­tà che vi­ve nei suoi per­so­nag­gi, ma an­che in ogni uo­mo, ec­co per­ché il Me­dioe­vo, ve­ro o fal­so, ci cir­con­da: e, quan­do si par­la di sto­ria co­me di re­li­gio­ne, di fi­lo­so­fia co­me di scien­za, re­sta dif­fi­ci­le fa­re un di­scor­so com­piu­to sen­za chia­mar­lo di­ret­ta­men­te o in­di­ret­ta­men­te in cau­sa. Spe­cie do­po la com­ples­sa ri­vi­si­ta­zio­ne ot­to­cen­te­sca e nel­le no­stre cit­tà, che han­no su­bi­to ne­gli ul­ti­mi cen­to­cin­quant'an­ni un ba­gno ri­me­die­va­liz­zan­te.  Le scar­se e fram­men­ta­rie no­ti­zie che ri­guar­da­no il Me­dioe­vo, inol­tre, la­scia­no lar­go spa­zio all'im­ma­gi­na­zio­ne. Lo sto­ri­co del Me­dioe­vo si tro­va da­van­ti a pro­ble­mi in­sor­mon­ta­bi­li. Scri­ve Geor­ges Du­by: Con il fis­sar­si dei Lon­go­bar­di in Ita­lia e la di­sce­sa dei Ba­schi in Aqui­ta­nia, l'epo­ca del­le gran­di mi­gra­zio­ni di po­po­li si era in Oc­ci­den­te pres­so­ché con­clu­sa. Ma l'aspet­to dell'Eu­ro­pa nei pri­mi se­co­li del Me­dioe­vo, a cau­sa di que­sto im­bar­ba­ri­men­to, ri­sul­ta estre­ma­men­te con­fu­so agli oc­chi de­gli sto­ri­ci. In quel­le re­gio­ni in cui non mol­to tem­po pri­ma si era fat­to lar­ga­men­te uso del­la scrit­tu­ra, il suo im­pie­go an­da­va per­den­do­si. Al­tro­ve, es­so pro­gre­di­va mol­to len­ta­men­te. Le te­sti­mo­nian­ze giun­te fi­no a noi so­no per­ciò estre­ma­men­te ra­re. Le fon­ti più espli­ci­te so­no quel­le di ti­po pro­to­sto­ri­co, for­ni­te dal­la ri­cer­ca ar­cheo­lo­gi­ca. Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na in que­sto ro­man­zo si sen­te an­che lui ar­cheo­lo­go, cer­ca con le sue co­no­scen­ze di re­cu­pe­ra­re ma­te­ria­le do­cu­men­ta­rio im­per­fet­to, che nel­le ma­ni dei suoi per­so­nag­gi so­no per la mag­gior par­te e pa­le­se­men­te di in­cer­ta da­ta­zio­ne; per lo più es­si so­no espo­sti al ri­schio del ri­tro­va­men­to ca­sua­le e la lo­ro di­sper­sa, fram­men­ta­ria ri­par­ti­zio­ne, ren­de pe­ri­co­lo­sa ogni in­ter­pre­ta­zio­ne d'in­sie­me. L'im­por­tan­te, pe­rò, è sot­to­li­nea­re co­me il Me­dioe­vo che noi co­no­scia­mo, quel­lo del no­stro im­ma­gi­na­rio quo­ti­dia­no non sia af­fat­to quel­lo rea­le. Si è det­to che il Me­dioe­vo im­ma­gi­na­rio, ol­tre a quel­lo dei ca­va­lie­ri in ar­ma­tu­ra, è quel­lo del­le stre­ghe e del­le gran­di pau­re; il Me­dioe­vo oscu­ro dei ne­gro­man­ti e de­gli al­chi­mi­sti al­la ri­cer­ca del­la pie­tra fi­lo­so­fa­le e dell'eli­sir di lun­ga vi­ta. Con le pa­ro­le di Ho­ward Phil­lips Lo­ve­craft, en­tria­mo nel pie­no del­la no­stra con­si­de­ra­zio­ne: L'emo­zio­ne più vec­chia e più for­te del ge­ne­re uma­no è la pau­ra, e la pau­ra più vec­chia e più for­te è quel­la dell'igno­to.  Gran par­te del­la let­te­ra­tu­ra me­die­va­le, in ver­si o in pro­sa, è in­tri­sa d'or­ro­re. Le sa­ghe scan­di­na­ve so­no ric­chis­si­me di ele­men­ti or­ro­ri­fi­ci, ba­sti pen­sa­re al­la fi­gu­ra del dio-de­mo­ne Odi­no e al ge­nui­no ter­ro­re di Ymir, il gi­gan­te di ghiac­cio e del­la sua pro­ge­nie sen­za for­ma; l'an­glo­sas­so­ne Beo­wulf e i suc­ces­si­vi rac­con­ti dei Ni­be­lun­ghi in Ger­ma­nia so­no pie­ni di in­ter­ven­ti so­pran­na­tu­ra­li. Lo stes­so Dan­te Ali­ghie­ri è un pio­nie­re dell'at­mo­sfe­ra ma­ca­bra e i ver­si di Spen­ser, nel­la sua Re­gi­na del­le Fa­te, so­no in­tri­si di ter­ro­re fan­ta­sti­co. La let­te­ra­tu­ra Ar­tu­ria­na, nel­la Mor­te d'Ar­thur di Mal­lo­ry, ci of­fre mol­te si­tua­zio­ni spa­ven­to­se pre­se da bal­la­te an­co­ra più an­ti­che. Nel dram­ma eli­sa­bet­tia­no, con il suo Dr. Fau­stus, le stre­ghe di Mac­be­th, lo spet­tro di Am­le­to, e l'or­ri­bi­le ma­ca­bro di Web­ster, pos­sia­mo fa­cil­men­te ri­le­va­re la for­te pre­sa del de­mo­nia­co sul­le men­ti del­la gen­te, una pre­sa ac­cen­tua­ta dal­la pau­ra del­la stre­go­ne­ria vi­ven­te i cui ter­ro­ri, all'ini­zio i più fe­ro­ci in Eu­ro­pa, co­min­cia­no ad echeg­gia­re for­te­men­te nel­le orec­chie de­gli in­gle­si men­tre le cro­cia­te per la cac­cia al­le stre­ghe pren­do­no l'ab­bri­vo con Gia­co­mo I. Al­la pro­sa mi­ste­rio­sa ri­ma­sta nei se­co­li, si ag­giun­ge una lun­ga se­rie di trat­ta­ti sul­la stre­go­ne­ria e sul­la de­mo­no­lo­gia che val­go­no ad ec­ci­ta­re la im­ma­gi­na­zio­ne del mon­do dei let­to­ri. Se ag­giun­gia­mo a que­sto tut­ta una se­rie di fe­no­me­ni, più o me­no am­plia­ti dal­la fan­ta­sia, pro­pri del Me­dioe­vo, il qua­dro ap­pa­re com­ple­to. Ma Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na at­tra­ver­so i Tem­pla­ri, ca­stel­li in­can­ta­ti, spa­de fa­ta­te, dra­ghi, la ri­cer­ca del Graal, drui­di, ca­va­lie­ri ne­ri, gab­ba­le mi­ste­rio­se, or­chi can­ni­ba­li, al­chi­mi­sti e ma­ghi, in­can­te­si­mi e pro­fe­zie, prin­ci­pes­se e guer­rie­ri, di­ce di un tut­to che pro­du­ce pau­ra ma, al­lo stes­so tem­po, ci ri­por­ta in un Me­dioe­vo oscu­ro e mi­ste­rio­so, ma nel con­tem­po di­ver­so sia per lin­guag­gio che per scrit­tu­ra. In­fi­ne, la ca­pa­ci­tà di tra­smi­gra­re è sen­za dub­bio quel­la più im­por­tan­te ai fi­ni di que­sta trat­ta­zio­ne fat­ta sul ro­man­zo l’Om­bra del Ca­va­lie­re do­ve, ogni nar­ra­to­re può sce­glie­re di am­bien­ta­re le sue sto­rie i suoi com­men­ti sull'uni­ver­so, nell'uno o nell'al­tro dei due re­gni dell'im­ma­gi­na­zio­ne. Il pri­mo è un mon­do in cui do­mi­na la real­tà, i fat­ti del­la per­ce­zio­ne di­ret­ta. Ta­le mon­do è l'im­ma­gi­ne mi­me­ti­ca dei luo­ghi no­ti e quo­ti­dia­ni che so­no co­no­sciu­ti a tut­ti i let­to­ri: la Ca­ver­na, o la Cit­tà, o il Vil­lag­gio Glo­ba­le. Il se­con­do è un mo­men­to al di là dei fat­ti, e in cui la fan­ta­sia spe­cu­la­ti­va cor­re li­be­ra­men­te: il Mon­do Ol­tre le Col­li­ne. Ec­co che Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na, sen­za vo­ler­lo, o for­se sì, si ri­fà ad Ari­sto­fa­ne, So­cra­te so­spe­so in un ca­ne­stro e le Al­le­gre co­ma­ri di Wind­sor, con Fal­staff in­fi­la­to nel­la ce­sta del bu­ca­to , al­la Nuo­va Com­me­dia, il Sa­ti­ri­con, Il Rac­con­to del mu­gna­io e Ro­bin Hood, all'Odis­sea, l'Ore­stei­de, Beo­wulf, Tri­stan, Par­zi­val, La Di­vi­na Com­me­dia, Mor­te D'Ar­thur, Gar­gan­tua e Pan­ta­grue­le, The Fae­rie Quee­ne, Doc­tor Fau­stus, Re Lear, La Tem­pe­sta e Pa­ra­di­so Per­du­to. Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na in que­sto suo ro­man­zo ria­bi­li­ta due fi­gu­re ‘mi­no­ri’ Ugo­ne dè Pa­ga­ni e il Con­te di Saint Ger­main _ Ca­glio­stro che dis­se : Io non so­no di nes­su­na epo­ca e di nes­sun luo­go, al di fuo­ri del tem­po e del­lo spa­zio, il mio es­se­re spi­ri­tua­le vi­ve la sua eter­na esi­sten­za e se mi im­mer­go nel mio pen­sie­ro ri­fa­cen­do il cor­so de­gli an­ni, se pro­iet­to il mio spi­ri­to ver­so un mo­do di vi­ve­re lon­ta­no da co­lui che voi per­ce­pi­te, io di­ven­to co­lui che de­si­de­ro. Par­te­ci­pan­do co­scien­te­men­te all’es­se­re as­so­lu­to, re­go­lo la mia azio­ne se­con­do il me­glio che mi cir­con­da. Il mio no­me è quel­lo del­la mia fun­zio­ne e io lo scel­go, co­sì co­me scel­go la mia fun­zio­ne, per­ché so­no li­be­ro; il mio Pae­se è quel­lo do­ve fer­mo mo­men­ta­nea­men­te i miei pas­si. Met­te­te la da­ta di ie­ri, se vo­le­te o riu­scen­do­vi, quel­la di do­ma­ni o de­gli an­ni pas­sa­ti, per l’or­go­glio il­lu­so­rio di una gran­dez­za che non sa­rà for­se mai la vo­stra. La pen­na raf­fi­na­ta di Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na cer­ca sem­pre di tra­spor­tar­ci in mon­di pa­ral­le­li, fa­cen­do­lo con at­ten­ta ri­cer­ca, cer­can­do sem­pre di nar­ra­ci even­ti in­tri­si tra dub­bio e mi­ste­ro.  Il Mon­do Ol­tre le Col­li­ne è sta­to il ter­ri­to­rio cen­tra­le del­la no­stra let­te­ra­tu­ra. Ad es­so ap­par­te­ne­va­no tut­te le no­stre sto­rie mi­glio­ri, le più si­gni­fi­ca­ti­ve. Fi­no a due­cen­to an­ni fa, c'era­no so­lo i com­me­dian­ti e co­lo­ro che scri­ve­va­no in­trat­te­ni­men­ti leg­ge­ri a rac­con­ta­re sto­rie fat­tua­li. Gli au­to­ri se­ri in­trec­cia­va­no so­gni. E que­sto non era un ca­so. La ra­gio­ne è sta­ta espo­sta da Ari­sto­te­le nel­la Poe­ti­ca, quan­do ha com­men­ta­to (a pro­po­si­to di tra­ge­die co­me l'Ore­stei­de, ch'egli chia­ma­va poe­sia): non è fun­zio­ne del poe­ta ri­fe­ri­re ciò che è ac­ca­du­to, ben­sì ciò che po­treb­be ac­ca­de­re: ciò che è pos­si­bi­le in ac­cor­do con la leg­ge di pro­ba­bi­li­tà o di ne­ces­si­tà. Il poe­ta e lo sto­ri­co non so­no di­ver­si tra lo­ro per­ché scri­vo­no in ver­si o in pro­sa. L'ope­ra di Ero­do­to po­treb­be es­se­re mes­sa in ver­si, e co­sti­tui­reb­be una spe­cie di sto­ria con il me­tro del­la poe­sia o sen­za di es­so. La ve­ra dif­fe­ren­za è che uno ri­fe­ri­sce ciò che è ac­ca­du­to, l'al­tro ciò che po­treb­be ac­ca­de­re. La poe­sia, per­tan­to, è più fi­lo­so­fi­ca e più al­ta del­la sto­ria: poi­ché in­fat­ti la poe­sia ten­de ad espri­me­re l'uni­ver­sa­le, la sto­ria il par­ti­co­la­re. Il ma­le oscu­ro che af­flig­ge l'uma­ni­tà dal­la fi­ne del XVIII se­co­lo si è, nell'ul­ti­mo pe­rio­do, an­co­ra più acui­to. Inol­tre, men­tre uno o due se­co­li or so­no il mon­do era an­co­ra ric­co di ter­re in­co­gni­te, ades­so ab­bia­mo co­strui­to un uni­co Vil­lag­gio Glo­ba­le; un mon­do do­ve le di­stan­ze geo­gra­fi­che so­no sta­te com­ple­ta­men­te an­nul­la­te e do­ve una no­ti­zia cor­re da un pun­to all'al­tro ad una ve­lo­ci­tà im­pres­sio­nan­te. Se vo­glia­mo so­prav­vi­ve­re, l'uni­ver­so men­ta­le in cui abi­tia­mo de­ve es­se­re ri­co­strui­to. Dob­bia­mo al­lac­cia­re nuo­ve con­nes­sio­ni nel­la no­stra men­te, nuo­ve con­nes­sio­ni tra di noi, e nuo­ve con­nes­sio­ni con il mon­do. Og­gi, co­me in pas­sa­to, la fan­ta­sia spe­cu­la­ti­va ci aiu­te­rà ad al­lac­ciar­le. Al di là del­le po­le­mi­che na­te tra di­ver­se con­ce­zio­ni del mon­do e del­le sue rap­pre­sen­ta­zio­ni, il Me­dioe­vo è l'ele­men­to che sen­za dub­bio of­fre più spun­ti per un'eva­sio­ne nell'im­ma­gi­na­rio. In­fat­ti, ol­tre al­le mo­ti­va­zio­ni espo­ste, i ca­rat­te­ri estrin­se­ci di que­st'epo­ca so­no in­tri­si di fan­ta­sti­co.

    L’Om­bra del Ca­va­lie­re, co­me nel­lo sti­le or­mai con­so­li­da­to del­lo scrit­to­re Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na, ha la ca­pa­ci­tà di ca­ta­pul­tar­ci in un so­gno che va ol­tre il so­gno, in una vi­sio­ne di uno dei pos­si­bi­li di­ve­ni­re, de­pu­ta­to co­me sem­pre al­la so­la e li­be­ra scel­ta dell’uo­mo.

    Pro­fes­sor Gio­van­ni Car­do­ne

    Sag­gi­sta, Scrit­to­re e Cri­ti­co d’Ar­te

    BREVE PREFAZIONE

    Per per­so­na­le an­che se sof­fer­ta scel­ta, mi so­no sem­pre aste­nu­to dal fa­re com­men­ti e/o per­der­mi in re­cen­sio­ni su al­trui scrit­ti, nel­la con­vin­zio­ne che ta­le eser­ci­zio, in qual­che mo­do, avreb­be te­so a va­lu­ta­zio­ni che a vol­te si al­lon­ta­na­no dal­le rea­li in­te­se de­gli au­to­ri, fi­no a stra­vol­ger­ne il sen­so del mes­sag­gio. Ma se a chie­der­me­lo è lo stes­so au­to­re, per­so­na con la qua­le ci si è co­no­sciu­ti sin dal­la te­ne­ra età, al­lo­ra non pos­so sot­trar­mi a quel­la che l’au­to­re stes­so in­ten­de co­me un’one­sta cri­ti­ca del te­sto, e que­sto, no­no­stan­te non mi re­pu­ti mol­to elo­quen­te e pro­lis­so.

    Ave­vo già let­to ope­re al­tre dell’au­to­re qua­li: L’an­ge­lo del­la Spa­da una qua­dri­lo­gia plu­ri­pre­mia­ta in cam­po Na­zio­na­le ed In­ter­na­zio­na­le, re­stan­do po­si­ti­va­men­te im­pres­sio­na­to per for­ma e con­te­nu­ti; il lin­guag­gio poi, mi ave­va let­te­ral­men­te con­qui­sta­to, ra­pi­to in un gio­co di ri­man­di di au­to­ri dell’ot­to­cen­to e ri­por­ta­to al­la men­te la flui­di­tà di­scor­si­va tut­ta Man­zo­nia­na, la for­za de­scrit­ti­va di Fo­gaz­za­ro e per­ché no, trat­ti noir tan­to ca­ri al mae­stro Ed­gar Al­lan Poe.

    Mi so­no co­sì ri­tro­va­to tra le ma­ni, con spe­cu­la­ti­va cu­rio­si­tà L’om­bra del Ca­va­lie­re, un qual­co­sa che già nel ti­to­lo in­tri­ga e coin­vol­ge; a pren­der­mi da su­bi­to nell’am­mis­sio­ne del Do­lo­res Scrip­tor, la con­fes­sa­ta emo­zio­ne di sen­tir­si or­fa­no dei tan­ti per­so­nag­gi che ave­va­no ac­com­pa­gna­to l’au­to­re nel lun­ghis­si­mo viag­gio de L’an­ge­lo del­la Spa­da, ol­tre che di una ispi­ra­zio­ne nuo­va che tar­da­va a ve­ni­re. Inol­tran­do­mi nel­la let­tu­ra, mi di­ce­vo: "La pen­na è quel­la, lo sti­le nel rac­con­ta­re l’av­ven­tu­ra an­che, cre­do sia una ca­rat­te­ri­sti­ca uni­ca di Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na, già ri­scon­tra­ta pe­ral­tro nel­la qua­dri­lo­gia dell’An­ge­lo del­la spa­da." Uno sti­le elet­triz­zan­te che con la sua nar­ra­zio­ne rie­sce ad ac­cat­ti­va­re e tra­sci­na­re il let­to­re in pri­ma per­so­na, por­tan­do­lo in un mon­do tra scien­za e ar­cheo­lo­gia, tra il rea­le e il sur­rea­le, la­scian­do lo stes­so, ma­gne­tiz­za­to e coin­vol­to nell’av­vi­cen­da­men­to del­le si­tua­zio­ni che man ma­no si ven­go­no a crea­re; il lec­tor in fa­bu­la, in­som­ma, per dir­la al­la Um­ber­to Eco. Gli in­tri­ghi in­trec­cia­no la sto­ria, fi­no a di­ven­ta­re ver­so la fi­ne del­la let­tu­ra, sem­pre più fit­ti ed enig­ma­ti­ci, a su­sci­ta­re bri­vi­di ine­brian­ti, a por­ta­re a nuo­ve emo­zio­ni, do­ve le con­vin­zio­ni del­la pa­gi­na pre­ce­den­te ven­go­no smen­ti­te in quel­la suc­ces­si­va. La tra­ma si ve­ste di pas­sio­ni e pe­ri­co­li in gui­sa di ele­men­ti chia­ve, che sus­se­guen­do­si e rin­cor­ren­do­si, fi­ni­sco­no per coin­vol­ge­re i no­stri eroi che, so­lo con astu­zia, in­tel­li­gen­za, per­spi­ca­cia e fe­de, riu­sci­ran­no a su­pe­rar­ne l’enig­ma­ti­ci­tà. L’An­kh, il no­do di Isi­de, la lan­cia di Lon­gi­no, i po­ten­ti sim­bo­li di un lon­ta­no pas­sa­to, ven­go­no ma­gi­stral­men­te e sa­pien­te­men­te amal­ga­ma­ti nel rac­con­to, su­pe­ran­do le na­tu­ra­li dif­fi­col­tà del­la coe­si­sten­za nel­lo spa­zio e nel tem­po, nel­la di­ver­si­tà di cre­do e di ci­vil­tà tan­to lon­ta­ne tra di lo­ro, dun­que un espe­ri­men­to da con­si­de­ra­re riu­sci­to.

    Ed è in que­sto che il no­stro Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na non fi­ni­sce mai di stu­pir­ci, po­nen­do­ci di fron­te a ri­svol­ti sem­pre più mac­chi­no­si che si in­trec­cia­no in una se­que­la Sto­ri­co - Leg­gen­da­ria, del tut­to im­pre­ve­di­bi­le.

    Quel che si per­ce­pi­sce tut­ta­via da un’at­ten­ta let­tu­ra, al di là dei mi­ste­ri, dell’av­ven­tu­ra, del­le leg­gen­de stes­se, è quel­la par­ti­co­la­re in­da­gi­ne por­ta­ta al cuo­re dei pro­ta­go­ni­sti stes­si, le lo­ro emo­zio­ni di fron­te al­le aber­ra­zio­ni sto­ri­che al­le qua­li l’au­to­re stes­so dà vo­ce: "un ten­ta­ti­vo di ta­ci­ta­re le tan­te in­giu­sti­zie e da­re un si­gni­fi­ca­to nuo­vo a leg­gen­de e sto­rie, spe­cial­men­te quel­le am­mae­stra­te da pae­si pre­do­ni, che con ogni mez­zo, ten­ta­va­no d’im­pos­ses­sar­si di fat­ti e per­so­nag­gi che con la lo­ro vi­ta, con la lo­ro cul­tu­ra, ave­va­no ten­ta­to di cam­bia­re un mon­do fi­glio le­git­ti­mo di quel Cai­no che per pri­mo ver­sò il san­gue del fra­tel­lo," un gri­do spa­ven­to­so que­sto, ur­la­to con­tro co­lo­ro che al sol­do di po­ten­ti e vit­to­rio­si han­no ad­do­me­sti­ca­to sto­ria e di­gni­tà d’in­te­ri pae­si. Non so­lo, a toc­ca­re la sen­si­bi­li­tà del let­to­re, ri­ma­ne quel­la in­con­fes­sa­ta ma pal­pa­bi­le ri­cer­ca dell’en­ti­tà su­pre­ma, ap­pa­ren­te­men­te in­vi­si­bi­le ma pre­sen­te, l’il­lu­so­rio mi­rag­gio dell’uo­mo e il suo cre­do nell’im­mor­ta­li­tà che l’au­to­re stes­so man­da in fran­tu­mi, quan­do al­la fi­ne gli vie­ne im­po­sto il no­me di Ae­nēās, quan­do cioè non si può non an­da­re ad un amo­re lon­ta­no, a una Di­do­ne dal­le fat­tez­ze di dea ca­pa­ce del sa­cri­fi­cio to­ta­le, su­pre­mo. L’amo­re dun­que qua­le ve­ra es­sen­za dell’im­mor­ta­li­tà; in que­sto si tro­va uno dei tan­ti mes­sag­gi che scon­vol­go­no l’ani­mo tec­no­lo­gi­co dei no­stri gior­ni.  Quin­di un amo­re fuo­ri dal tem­po, luo­ghi che per­ven­go­no da un lon­ta­nis­si­mo pas­sa­to; l’Egit­to e le sue pi­ra­mi­di, ca­stel­li stre­ga­ti da eso­te­ri­smo sfre­na­to, por­ta­no ef­fet­ti­va­men­te il let­to­re a con­tat­to con qual­co­sa di enig­ma­ti­co, se­gre­to, im­mor­ta­le. Da let­to­re cre­do che Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na sia sta­to bra­vis­si­mo nell’ad­den­trar­si nel­la co­no­scen­za di luo­ghi re­sti­tuen­do­ne una let­tu­ra nel­le tre di­men­sio­ni, ma sa­reb­be me­glio di­re nel­le quat­tro di­men­sio­ni, vi­sto che le sto­rie che vi si an­ni­da­no ven­go­no tra­spor­ta­te di là del tem­po; la fre­ne­ti­ca ri­cer­ca di do­cu­men­ti an­ti­chi, poi, la lo­ro dif­fi­ci­le tra­du­zio­ne, ren­do­no pa­le­se la pas­sio­ne, la de­di­zio­ne e la spe­cu­la­ti­va esplo­ra­zio­ne dell’igno­to di Ome­ri­ca me­mo­ria. Il ro­man­zo è af­fron­ta­to con un les­si­co con­so­no ed ap­pro­pria­to, aral­do di un abi­le rac­con­ta­re un’av­ven­tu­ra av­vin­cen­te, ori­gi­na­le e che so­prat­tut­to, si fa leg­ge­re tut­ta d’un fia­to. Una di quel­le sto­rie che ti ten­go­no sve­glio tut­ta la not­te per co­no­sce­re quel che suc­ce­de­rà nel­la pa­gi­na suc­ces­si­va.

    Poi vi so­no i per­so­nag­gi; la mia men­te va a ri­tro­so nel tem­po, ri­per­cor­re la vi­ta si­no agli an­ni dell’ado­le­scen­za per ar­ri­va­re ad un ra­gaz­zo spen­sie­ra­to che di­vo­ra­va fu­met­ti a rit­mo del­la ve­lo­ci­tà del­la lu­ce, dal Mo­nel­lo a Ca­pi­tan Mi­ke con i suoi Sa­las­so e Dop­pio Rum, a To­po­li­no e Pa­pe­ri­no, a Fla­sh Gor­don, Dia­bo­lik, Kri­mi­nal, all’Uo­mo ma­sche­ra­to, a Za­gor, Nem­bo Kid, Blek Ma­ci­gno, Man­dra­ke e il fi­do Lo­thar, e, chi più ne ha, ne met­ta. A ben ve­de­re que­sto tra­spor­to nel tem­po si tra­smu­ta in una sor­ta di ca­pa­ci­tà nar­ra­ti­va che non a tut­ti è con­ces­sa; è fa­ci­le in­fat­ti scri­ve­re al­la fred­da lu­ce del­la mo­der­ni­tà con­su­mi­sti­ca, mol­to più dif­fi­ci­le, se non qua­si im­pos­si­bi­le, nar­ra­re sto­rie ri­scal­dan­do­le con il ca­lo­re del cuo­re, per­ché i suoi mes­sag­gi giun­ga­no in­cor­rot­ti al for­tu­na­to e sen­si­bi­le let­to­re.

    Ka­leb, per­so­nag­gio di spic­co di que­st’av­ven­tu­ra, sem­pre pre­sen­te a pro­teg­ge­re e di­fen­de­re Ugo, il pro­ta­go­ni­sta chia­ve dell’av­ven­tu­ra da ogni si­tua­zio­ne di pe­ri­co­lo, fi­ni­sce per es­se­re l’emu­lo di un Lo­thar, qua­si un an­ge­lo cu­sto­de di quel Man­dra­ke pe­ren­ne­men­te vo­ta­to al­le giu­ste cau­se. Ma viep­più, nel mo­der­no in­ten­de­re, a pre­va­le­re non è più l’In­dia­na Jo­nes di tur­no, ma un in­sie­me di per­so­nag­gi che ne con­di­vi­do­no l’av­ven­tu­ra per pro­gre­di­re nel co­mu­ne viag­gio ver­so il sa­pe­re, la ve­ri­tà ve­ra, i va­lo­ri eter­ni del­la vi­ta. Un pa­ra­go­ne, quel­lo con quei fan­ta­sti­ci fu­met­ti, ve­nu­to spon­ta­neo, dal vo­lo nel tem­po che la sto­ria che strin­go tra le ma­ni mi ha pro­cu­ra­to in­si­nuan­do­si a pas­si si­len­ti nel­la mia ani­ma, e quan­do fi­nal­men­te mi son de­sta­to, ho ca­pi­to! Es­se­re ra­pi­ti da un rac­con­to per vo­la­re al­to, men­tre sto­ria e leg­gen­da scor­ro­no ar­mo­nio­sa­men­te in­sie­me; sen­tir­si pro­iet­ta­ti in di­men­sio­ne al­tra, do­ve l’im­pos­si­bi­le di­ven­ta so­gno dei tuoi gior­ni an­da­ti e spe­ran­za per quel­li a ve­ni­re, non può che de­cli­nar­si e co­niu­gar­si nel­la fol­lia vi­sio­na­ria di uno scrit­to­re, che col suo mo­do di scri­ve­re, all’an­ti­ca ma­nie­ra, all’om­bra di Mae­stri dell’ot­to­cen­to, sta pian pia­no ri­vo­lu­zio­nan­do, con­tro­cor­ren­te, l’at­tua­le fred­do les­si­co con­su­mi­sti­co. A Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na va per­tan­to il mio per­so­na­le gra­zie per le nuo­ve emo­zio­ni che ci ha sa­pu­to re­ga­la­re, ol­tre na­tu­ral­men­te agli au­gu­ri di un me­ri­ta­to suc­ces­so.

    La­scio ades­so ai let­to­ri il pia­ce­re di av­ven­tu­rar­si, but­tan­do­si a ca­po­fit­to, in que­sta coin­vol­gen­te ed en­tu­sia­sman­te av­ven­tu­ra.

    Del di lui Au­to­re e Poe­ta di­ce:

    Ve­trel­la Pro­fes­sor Ro­sa­rio

    Relazione critica

    Giovanni Antonio Gravina: L’ombra del Cavaliere

    L’ope­ra scrit­to­ria di Gio­van­ni An­to­nio Gra­vi­na si in­ne­sta be­ne nell’at­tua­le fi­lo­ne di film fan­ta­sy che trat­ta­no del be­ne e del ma­le, di an­ge­li e de­mo­ni, di one­stà eti­co-mo­ra­le e di spie­ta­to egoi­smo. Per que­sto si au­spi­ca vi­va­men­te che da que­sto ro­man­zo sia trat­to un film.

    Pe­rò, nel ca­so del no­stro au­to­re non si può non con­sta­ta­re una fon­da­men­ta­le dif­fe­ren­za: il re­gi­stro del lin­guag­gio let­te­ra­rio adot­ta­to, che ci sor­pren­de per l’al­tis­si­mo li­vel­lo di sti­le che tro­via­mo nel­le de­scri­zio­ni di pae­sag­gi di ogni do­ve, il de­ser­to, il ne­vo­so bo­sco del­la Gru­newald di una Ger­ma­nia dal­le or­ri­bi­li re­mi­ni­scen­ze, ma an­che ca­pa­ce di da­re al mon­do nuo­vi fi­gli, co­me Da­niel, pri­ma sfrut­ta­to con l’in­gan­no, poi de­di­to al la­vo­ro per un mon­do mi­glio­re, do­ve trion­fi il be­ne.

    Gra­vi­na sen­te for­te­men­te l’im­mi­nen­te pre­sen­za dell’Ar­ma­ged­don, ma co­me una pre­sen­za oscu­ra, non no­ta ai più.

    So­lo agli eroi de­sti­na­ti a com­bat­te­re per­ché ciò non av­ven­ga, è da­to di sa­pe­re di que­st’esi­sten­za pos­si­bi­le nell’im­me­dia­to.

    Tut­to il ro­man­zo è per­mea­to dal­la pre­sen­za di un’azio­ne del­le for­ze del be­ne, al­le qua­li si con­trap­pon­go­no le for­ze del ma­le, qui im­per­so­na­te dai con­ti­nua­to­ri del na­zi­smo.

    Ci im­bat­tia­mo du­ran­te la let­tu­ra in ci­ta­zio­ni di te­sti an­ti­chi ri­por­ta­ti me­ti­co­lo­sa­men­te in lin­gue ori­gi­na­li: la­ti­no, gre­co an­ti­co, ma an­che ge­ro­gli­fi­ci egi­zi e lun­ghe ri­ghe in ara­bo o in ebrai­co, per non tra­la­scia­re la pre­sen­za di pa­ro­le in san­scri­to evo­ca­te sem­pre a pro­po­si­to. Il ge­ne­ro­so au­to­re non man­ca di for­ni­re sem­pre la tra­du­zio­ne in Ita­lia­no, al­tri­men­ti po­trem­mo ben dif­fi­cil­men­te in­ter­pre­ta­re ta­li te­sti. Non c’è di­zio­na­rio che ten­ga in­fat­ti, al va­li­co di al­fa­be­ti co­sì an­ti­chi e co­sì di­ver­si.

    Per tor­na­re agli at­to­ri di co­tan­ta vi­cen­da, tro­via­mo schie­ra­ti tra le for­ze del be­ne, un col­tis­si­mo pro­fes­sor Ugo Pa­ga­no, che poi si sco­pri­rà es­se­re di­scen­den­te di­ret­to di quell’Hu­gues de Payns, ma sa­reb­be me­glio di­re Ugo­ne dè Pa­ga­ni, che era sta­to il fon­da­to­re dell’Or­di­ne dei Tem­pla­ri, a di­fe­sa del­la Cri­stia­ni­tà, il so­pra­ci­ta­to Da­niel, te­de­sco, ele­men­to nor­di­co del­la com­pa­gnia, e Ka­leb, l’im­man­ca­bi­le mu­sul­ma­no che non può non ap­pa­ri­re nel­le ope­re di Gra­vi­na, la cui ca­rat­te­ri­sti­ca, ol­tre all’ir­ri­nun­cia­bi­le co­rag­gio, che ap­par­tie­ne a tut­ti  lo­ro, è la fe­del­tà al­la cau­sa e al grup­po di ap­par­te­nen­za. Sem­bra che ci sia una ve­ra e pro­pria Koi­né di raz­ze di­ver­se che Dio ab­bia scel­to per­ché que­sti uo­mi­ni sal­vas­se­ro il mon­do: l’Ita­lia­no, il Nor­di­co, e il Me­di­ter­ra­neo Isla­mi­co, riu­ni­ti in un pat­to che via via si tra­sfor­ma in giu­ra­men­to di re­ci­pro­ca unio­ne, man ma­no che ognu­no di es­si cre­sce nell’azio­ne e ve­de cre­sce­re gli al­tri con sé.

    Per­ché L’om­bra del Ca­va­lie­re, for­se per­ché il pro­fes­so­re-ca­va­lie­re Ugo de’ Pa­ga­ni co­sì de­no­mi­na­to nel­la se­con­da par­te del rac­con­to, si sco­pre spie­ta­to quan­do vie­ne ra­pi­ta la sua don­na, si sco­pre ca­pa­ce di ri­gi­ra­re il col­tel­lo nel­le car­ni del ne­mi­co, per sa­pe­re do­ve si tro­vi Lu­cy, la sua ama­ta, o for­se an­che per­ché Hu­gues de Payns co­sti­tui­sce l’om­bra an­ti­ca, pri­mi­ge­nia di Ugo de’ Pa­ga­ni? Pro­ba­bil­men­te en­tram­be le co­se.

    Nean­che a dir­lo, in que­sto ro­man­zo

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