L'Ombra Del Cavaliere
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Anteprima del libro
L'Ombra Del Cavaliere - Giovanni Antonio Gravina
Table of Contents
L’Ombra del Cavaliere: Tra Damnatio Memoriae, Spiritualità e Mistero Di Giovanni Cardone
BREVE PREFAZIONE
Relazione critica
Giovanni Antonio Gravina: L’ombra del Cavaliere
REMINISCENZE DAL VOLUME IV DE L’ANGELO DELLA SPADA
- Dolores Scriptor – (Gli affanni di uno Scrittore)
PROLOGO
CAPITOLO II – ABERRAZIONI
CAPITOLO III – IL NODO DI ISIDE
CAPITOLO IV – ANKH - (Il Simbolo della Vita)
CAPITOLO V – IL SEGRETO
(PALAZZO DE’ PAGANI)
CAPITOLO VII – UNIS IL FARAONE (يونس الفرعون)
CAPITOLO VIII – INTRIGHI
(القلب والعقل)
CAPITOLO X – IL SEPOLCRO MISTERIOSO
CAPITOLO XI – PAURA
CAPITOLO XII – L’OMBRA DEL CAVALIERE
CAPITOLO XIII – SVELAMENTI
CAPITOLO XIV – DEIR MAR GIRGIS (دير مار جرجس)
(Cantus Tenebris)
CAPITOLO XVI – IL SIMBOLO DELLA DEA
CAPITOLO XVII – GUERRIGLIA URBANA
CAPITOLO XVIII – IL SOLE NERO (الشمس السوداء)
CAPITOLO XIX – IL SACRO FUOCO DEL SAPERE
(Ignibus Imponit Sacris Imprudentia)
CAPITOLO XX – NEL COVO DEL MALE
CAPITOLO XXI – ECLISSI ANULARE
(DEFECTUS CIRCUMSCRIBO)
CAPITOLO XXII – ATHANASIUS
CAPITOLO XXIII – SOTTO IL CIELO DE IL CAIRO
(تحت سماء القاهرة)
CAPITOLO XXIV – LA PIETRA FILOSOFALE (PHILOSOPHI LAPIS)
CAPITOLO XXV – I NERI CIELI DELL’ABISSO
(سماء الهاوية السوداء)
CAPITOLO XXVI – ESPIAZIONE (EXPIATIO)
CAPITOLO XXVII – PER IPÀZIA
RINGRAZIAMENTI
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Antonio Gravina
L’Ombra
del Cavaliere
Titolo | L’Ombra del Cavaliere
Autore | Giovanni Antonio Gravina
ISBN | 979-12-20320-00-9
© 2020. Tutti i diritti riservati all'Autore
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"Così per li gran savi si confessa che
la fenice more e poi rinasce, quando
al cinquecentesimo anno appressa;
erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce."
Dante (Inf. XXIV 106-111)
TESTO DA ADOTTARE NEGLI ISTITUTI LICEALI E
NELLE UNIVERSITA’ PER TESI DI LAUREA
L’Ombra del Cavaliere: Tra Damnatio Memoriae, Spiritualità e Mistero Di Giovanni Cardone
Giovanni Antonio Gravina nel romanzo l’Ombra del Cavaliere usa i quattro sensi della scrittura medioevale o meglio letterale partendo dal senso Allegorico, Anagogico e Morale, cercando di unire due mondi quello egiziano fatto di alchimia e di mistero con la grande filosofia aristotelica e neoplatonica.
La morte è la più grande delle paure esistenziali con cui l'essere umano ha da sempre dovuto confrontarsi, da ciò è derivata la costruzione di una serie di formazioni difensive e reattive destinate a placare l'angoscia connessa col termine della vita biologica. La fine della vita umana viene vissuta come la sconfitta per eccellenza, Mors vitam vicit
La morte sconfigge la vita
.
Giovanni Antonio Gravina, a differenza dell’Angelo della Spada, ci porta in un mondo dove archeologia, storia, alchimia e mistero sono alla base identitaria del romanzo mal nel contempo vi è un dialogo tra l’essere e il divenire, tra bene e male cercando di raccontare ‘l’Uomo’. Fin dalle epoche più remote l'umanità ha quindi dovuto fare i conti con quella finitezza ed incertezza che è propria di ogni essere vivente e con i timori che da essa derivano. La morte diventa quindi un fatto d'importanza primaria nella vita sociale e porta con sé significati allegorici e simbolici. Il tentativo di esorcizzare tali paure e di gestire l'angoscia dell'incerto è alla base della nascita e dell'evoluzione della cultura intesa come produzione di idee, fantasie, miti, credenze, costumi. Due degli elementi religiosi principali utilizzati per sedare tali timori sono costituiti dall'ideazione di una vita post mortem in cui l'anima del defunto sopravvive e la creazione del rito del funerale, quale passaggio che sancisce il cambiamento di status. Inoltre diviene rilevante che il ricordo della persona resti presente tra chi sopravvive e nelle generazioni future. Si genera la necessità di lasciare un segno della propria presenza nella storia umana, motivo per cui si erigono monumenti e si creano segni e simboli funerari. La radice latina della parola monumento è moneo
il cui significato è appunto far ricordare
. Chi ha il suo nome e la sua storia ricordati nel tempo sfugge all'oblio e alla cancellazione di sé e della sua persona, all'eliminazione stessa della sua identità. Nel mondo, soprattutto in quello antico, si muore definitivamente allorquando si è abbandonati e dimenticati, quando non c'è più memoria di sé. Inoltre la memoria del singolo individuo e delle sue azioni possono con il tempo diventare parte della memoria culturale. Questa, composta dai ricordi delle situazioni passate, ha un ruolo centrale nella definizione dell'identità di un popolo. La scelta di cosa e chi far appartenere a questo patrimonio di memorie collettive è fondamentale quindi per definire l'identità di un popolo e la damnatio memoriae è certamente un ottimo strumento atto ad eliminare personaggi o situazioni scomode che non si vogliono ammettere all'interno della definizione identitaria della propria società. Giovanni Antonio Gravina in questo viaggio della damnatio memoriae cerca di dare una riabilitazione ai suoi personaggi quali Ugone dè Pagani e il Conte di Saint Germain _ Cagliostro e quel percorso che attraverso i templari ci porta alla scoperta del Santo Graal. La completa e totale distruzione della memoria dell'esistenza di una persona, sgomenta e atterrisce, viene percepita come una seconda morte. Quale punizione peggiore può quindi essere inflitta ad un essere umano se non quella di far avverare la sua più grande paura: essere dimenticato? Proprio su questa paura fa leva la pratica conosciuta come damnatio memoriae condanna della memoria
. Giovanni Antonio Gravina crea una macchina del tempo attraverso la sua scrittura, esercizio che unisce le gesta compiute dai suoi personaggi a quanto viene descritto nel Medioevo, da tempo in considerato nel nostro immaginario quotidiano
, come è capitato allo scrittore, quasi una sorta di scappatoia per evadere dalla monotonia della quotidianità. Il fenomeno si manifesta a più livelli come scrive Umberto Eco: A un certo punto mi sono detto che, visto che il Medioevo era il mio immaginario quotidiano, tanto valeva scrivere un romanzo che si svolgesse nel Medioevo
. Ma una lunga tradizione confortata dalla letteratura illuministica prima e da quella romantica poi, rinnovata negli ultimi tempi dai moderni mezzi di comunicazione, concorre a fornirci un'immagine del Medioevo buio
e profondo
che si addentra nell'età moderna: il Medioevo delle streghe, dell'Inquisizione, delle grandi paure collettive. Un Medioevo, insomma, che in realtà corrisponde a fenomeni di breve o meno breve durata presentatesi nella nostra Europa soprattutto nel periodo tra il XIV e il XVII secolo. A questo punto emerge una considerazione che il nostro scrittore all’interno di questo romanzo cerca di far emergere, la spiritualità che vive nei suoi personaggi, ma anche in ogni uomo, ecco perché il Medioevo, vero o falso, ci circonda: e, quando si parla di storia come di religione, di filosofia come di scienza, resta difficile fare un discorso compiuto senza chiamarlo direttamente o indirettamente in causa. Specie dopo la complessa rivisitazione ottocentesca e nelle nostre città, che hanno subito negli ultimi centocinquant'anni un bagno rimedievalizzante. Le scarse e frammentarie notizie che riguardano il Medioevo, inoltre, lasciano largo spazio all'immaginazione. Lo storico del Medioevo si trova davanti a problemi insormontabili. Scrive Georges Duby: Con il fissarsi dei Longobardi in Italia e la discesa dei Baschi in Aquitania, l'epoca delle grandi migrazioni di popoli si era in Occidente pressoché conclusa. Ma l'aspetto dell'Europa nei primi secoli del Medioevo, a causa di questo imbarbarimento, risulta estremamente confuso agli occhi degli storici. In quelle regioni in cui non molto tempo prima si era fatto largamente uso della scrittura, il suo impiego andava perdendosi. Altrove, esso progrediva molto lentamente. Le testimonianze giunte fino a noi sono perciò estremamente rare. Le fonti più esplicite sono quelle di tipo protostorico, fornite dalla ricerca archeologica
. Giovanni Antonio Gravina in questo romanzo si sente anche lui archeologo, cerca con le sue conoscenze di recuperare materiale documentario imperfetto, che nelle mani dei suoi personaggi sono per la maggior parte e palesemente di incerta datazione; per lo più essi sono esposti al rischio del ritrovamento casuale e la loro dispersa, frammentaria ripartizione, rende pericolosa ogni interpretazione d'insieme. L'importante, però, è sottolineare come il Medioevo che noi conosciamo, quello del nostro immaginario quotidiano
non sia affatto quello reale. Si è detto che il Medioevo immaginario
, oltre a quello dei cavalieri in armatura, è quello delle streghe e delle grandi paure; il Medioevo oscuro dei negromanti e degli alchimisti alla ricerca della pietra filosofale e dell'elisir di lunga vita. Con le parole di Howard Phillips Lovecraft, entriamo nel pieno della nostra considerazione: L'emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è quella dell'ignoto
. Gran parte della letteratura medievale, in versi o in prosa, è intrisa d'orrore. Le saghe scandinave sono ricchissime di elementi orrorifici, basti pensare alla figura del dio-demone Odino e al genuino terrore di Ymir, il gigante di ghiaccio e della sua progenie senza forma; l'anglosassone Beowulf e i successivi racconti dei Nibelunghi in Germania sono pieni di interventi soprannaturali. Lo stesso Dante Alighieri è un pioniere dell'atmosfera macabra e i versi di Spenser, nella sua Regina delle Fate, sono intrisi di terrore fantastico. La letteratura Arturiana, nella Morte d'Arthur di Mallory, ci offre molte situazioni spaventose prese da ballate ancora più antiche. Nel dramma elisabettiano, con il suo Dr. Faustus, le streghe di Macbeth, lo spettro di Amleto, e l'orribile macabro di Webster, possiamo facilmente rilevare la forte presa del demoniaco sulle menti della gente, una presa accentuata dalla paura della stregoneria vivente i cui terrori, all'inizio i più feroci in Europa, cominciano ad echeggiare fortemente nelle orecchie degli inglesi mentre le crociate per la caccia alle streghe prendono l'abbrivo con Giacomo I. Alla prosa misteriosa rimasta nei secoli, si aggiunge una lunga serie di trattati sulla stregoneria e sulla demonologia che valgono ad eccitare la immaginazione del mondo dei lettori. Se aggiungiamo a questo tutta una serie di fenomeni, più o meno ampliati dalla fantasia, propri del Medioevo, il quadro appare completo. Ma Giovanni Antonio Gravina attraverso i Templari, castelli incantati, spade fatate, draghi, la ricerca del Graal, druidi, cavalieri neri, gabbale misteriose, orchi cannibali, alchimisti e maghi, incantesimi e profezie, principesse e guerrieri, dice di un tutto che produce paura ma, allo stesso tempo, ci riporta in un Medioevo oscuro e misterioso, ma nel contempo diverso sia per linguaggio che per scrittura. Infine, la capacità di trasmigrare è senza dubbio quella più importante ai fini di questa trattazione fatta sul romanzo l’Ombra del Cavaliere
dove, ogni narratore può scegliere di ambientare le sue storie i suoi commenti sull'universo, nell'uno o nell'altro dei due regni dell'immaginazione. Il primo è un mondo in cui domina la realtà, i fatti della percezione diretta. Tale mondo è l'immagine mimetica dei luoghi noti e quotidiani che sono conosciuti a tutti i lettori: la Caverna, o la Città, o il Villaggio Globale. Il secondo è un momento al di là dei fatti, e in cui la fantasia speculativa corre liberamente: il Mondo Oltre le Colline. Ecco che Giovanni Antonio Gravina, senza volerlo, o forse sì, si rifà ad Aristofane, Socrate sospeso in un canestro e le Allegre comari di Windsor, con Falstaff infilato nella cesta del bucato , alla Nuova Commedia, il Satiricon, Il Racconto del mugnaio e Robin Hood, all'Odissea, l'Oresteide, Beowulf, Tristan, Parzival, La Divina Commedia, Morte D'Arthur, Gargantua e Pantagruele, The Faerie Queene, Doctor Faustus, Re Lear, La Tempesta e Paradiso Perduto. Giovanni Antonio Gravina in questo suo romanzo riabilita due figure ‘minori’ Ugone dè Pagani e il Conte di Saint Germain _ Cagliostro che disse : Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo, al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io divento colui che desidero. Partecipando coscientemente all’essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi circonda. Il mio nome è quello della mia funzione e io lo scelgo, così come scelgo la mia funzione, perché sono libero; il mio Paese è quello dove fermo momentaneamente i miei passi. Mettete la data di ieri, se volete o riuscendovi, quella di domani o degli anni passati, per l’orgoglio illusorio di una grandezza che non sarà forse mai la vostra
. La penna raffinata di Giovanni Antonio Gravina cerca sempre di trasportarci in mondi paralleli, facendolo con attenta ricerca, cercando sempre di narraci eventi intrisi tra dubbio e mistero. Il Mondo Oltre le Colline è stato il territorio centrale della nostra letteratura. Ad esso appartenevano tutte le nostre storie migliori, le più significative. Fino a duecento anni fa, c'erano solo i commedianti e coloro che scrivevano intrattenimenti leggeri a raccontare storie fattuali. Gli autori seri intrecciavano sogni. E questo non era un caso. La ragione è stata esposta da Aristotele nella Poetica, quando ha commentato (a proposito di tragedie come l'Oresteide, ch'egli chiamava poesia): non è funzione del poeta riferire ciò che è accaduto, bensì ciò che potrebbe accadere: ciò che è possibile in accordo con la legge di probabilità o di necessità. Il poeta e lo storico non sono diversi tra loro perché scrivono in versi o in prosa. L'opera di Erodoto potrebbe essere messa in versi, e costituirebbe una specie di storia con il metro della poesia o senza di esso. La vera differenza è che uno riferisce ciò che è accaduto, l'altro ciò che potrebbe accadere. La poesia, pertanto, è più filosofica e più alta della storia: poiché infatti la poesia tende ad esprimere l'universale, la storia il particolare. Il male oscuro che affligge l'umanità dalla fine del XVIII secolo si è, nell'ultimo periodo, ancora più acuito. Inoltre, mentre uno o due secoli or sono il mondo era ancora ricco di terre incognite
, adesso abbiamo costruito un unico Villaggio Globale; un mondo dove le distanze geografiche sono state completamente annullate e dove una notizia corre da un punto all'altro ad una velocità impressionante. Se vogliamo sopravvivere, l'universo mentale in cui abitiamo deve essere ricostruito. Dobbiamo allacciare nuove connessioni nella nostra mente, nuove connessioni tra di noi, e nuove connessioni con il mondo. Oggi, come in passato, la fantasia speculativa ci aiuterà ad allacciarle
. Al di là delle polemiche nate tra diverse concezioni del mondo e delle sue rappresentazioni, il Medioevo è l'elemento che senza dubbio offre più spunti per un'evasione nell'immaginario. Infatti, oltre alle motivazioni esposte, i caratteri estrinseci di quest'epoca sono intrisi di fantastico.
L’Ombra del Cavaliere
, come nello stile ormai consolidato dello scrittore Giovanni Antonio Gravina, ha la capacità di catapultarci in un sogno che va oltre il sogno, in una visione di uno dei possibili divenire
, deputato come sempre alla sola e libera scelta dell’uomo.
Professor Giovanni Cardone
Saggista, Scrittore e Critico d’Arte
BREVE PREFAZIONE
Per personale anche se sofferta scelta, mi sono sempre astenuto dal fare commenti e/o perdermi in recensioni su altrui scritti, nella convinzione che tale esercizio, in qualche modo, avrebbe teso a valutazioni che a volte si allontanano dalle reali intese degli autori, fino a stravolgerne il senso del messaggio. Ma se a chiedermelo è lo stesso autore, persona con la quale ci si è conosciuti sin dalla tenera età, allora non posso sottrarmi a quella che l’autore stesso intende come un’onesta critica del testo
, e questo, nonostante non mi reputi molto eloquente e prolisso.
Avevo già letto opere altre dell’autore quali: L’angelo della Spada
una quadrilogia pluripremiata in campo Nazionale ed Internazionale, restando positivamente impressionato per forma e contenuti; il linguaggio poi, mi aveva letteralmente conquistato, rapito in un gioco di rimandi di autori dell’ottocento e riportato alla mente la fluidità discorsiva tutta Manzoniana, la forza descrittiva di Fogazzaro e perché no, tratti noir tanto cari al maestro Edgar Allan Poe.
Mi sono così ritrovato tra le mani, con speculativa curiosità L’ombra del Cavaliere
, un qualcosa che già nel titolo intriga e coinvolge; a prendermi da subito nell’ammissione del Dolores Scriptor, la confessata emozione di sentirsi orfano dei tanti personaggi che avevano accompagnato l’autore nel lunghissimo viaggio de L’angelo della Spada,
oltre che di una ispirazione nuova che tardava a venire. Inoltrandomi nella lettura, mi dicevo: "La penna è quella, lo stile nel raccontare l’avventura anche, credo sia una caratteristica unica di Giovanni Antonio Gravina, già riscontrata peraltro nella quadrilogia dell’Angelo della spada." Uno stile elettrizzante che con la sua narrazione riesce ad accattivare e trascinare il lettore in prima persona, portandolo in un mondo tra scienza e archeologia, tra il reale e il surreale, lasciando lo stesso, magnetizzato e coinvolto nell’avvicendamento delle situazioni che man mano si vengono a creare; il lector in fabula, insomma, per dirla alla Umberto Eco. Gli intrighi intrecciano la storia, fino a diventare verso la fine della lettura, sempre più fitti ed enigmatici, a suscitare brividi inebrianti, a portare a nuove emozioni, dove le convinzioni della pagina precedente vengono smentite in quella successiva. La trama si veste di passioni e pericoli in guisa di elementi chiave, che susseguendosi e rincorrendosi, finiscono per coinvolgere i nostri eroi che, solo con astuzia, intelligenza, perspicacia e fede, riusciranno a superarne l’enigmaticità. L’Ankh, il nodo di Iside, la lancia di Longino, i potenti simboli di un lontano passato, vengono magistralmente e sapientemente amalgamati nel racconto, superando le naturali difficoltà della coesistenza nello spazio e nel tempo, nella diversità di credo e di civiltà tanto lontane tra di loro, dunque un esperimento da considerare riuscito.
Ed è in questo che il nostro Giovanni Antonio Gravina non finisce mai di stupirci, ponendoci di fronte a risvolti sempre più macchinosi che si intrecciano in una sequela Storico - Leggendaria, del tutto imprevedibile.
Quel che si percepisce tuttavia da un’attenta lettura, al di là dei misteri, dell’avventura, delle leggende stesse, è quella particolare indagine portata al cuore dei protagonisti stessi, le loro emozioni di fronte alle aberrazioni storiche alle quali l’autore stesso dà voce: "un tentativo di tacitare le tante ingiustizie e dare un significato nuovo a leggende e storie, specialmente quelle ammaestrate da paesi predoni, che con ogni mezzo, tentavano d’impossessarsi di fatti e personaggi che con la loro vita, con la loro cultura, avevano tentato di cambiare un mondo figlio legittimo di quel Caino che per primo versò il sangue del fratello," un grido spaventoso questo, urlato contro coloro che al soldo di potenti e vittoriosi hanno addomesticato storia e dignità d’interi paesi. Non solo, a toccare la sensibilità del lettore, rimane quella inconfessata ma palpabile ricerca dell’entità suprema, apparentemente invisibile ma presente, l’illusorio miraggio dell’uomo e il suo credo nell’immortalità che l’autore stesso manda in frantumi, quando alla fine gli viene imposto il nome di Aenēās, quando cioè non si può non andare ad un amore lontano, a una Didone dalle fattezze di dea capace del sacrificio totale, supremo. L’amore dunque quale vera essenza dell’immortalità; in questo si trova uno dei tanti messaggi che sconvolgono l’animo tecnologico dei nostri giorni. Quindi un amore fuori dal tempo, luoghi che pervengono da un lontanissimo passato; l’Egitto e le sue piramidi, castelli stregati da esoterismo sfrenato, portano effettivamente il lettore a contatto con qualcosa di enigmatico, segreto, immortale. Da lettore credo che Giovanni Antonio Gravina sia stato bravissimo nell’addentrarsi nella conoscenza di luoghi restituendone una lettura nelle tre dimensioni, ma sarebbe meglio dire nelle quattro
dimensioni, visto che le storie che vi si annidano vengono trasportate di là del tempo; la frenetica ricerca di documenti antichi, poi, la loro difficile traduzione, rendono palese la passione, la dedizione e la speculativa esplorazione dell’ignoto di Omerica memoria. Il romanzo è affrontato con un lessico consono ed appropriato, araldo di un abile raccontare un’avventura avvincente, originale e che soprattutto, si fa leggere tutta d’un fiato. Una di quelle storie che ti tengono sveglio tutta la notte per conoscere quel che succederà nella pagina successiva.
Poi vi sono i personaggi; la mia mente va a ritroso nel tempo, ripercorre la vita sino agli anni dell’adolescenza per arrivare ad un ragazzo spensierato che divorava fumetti a ritmo della velocità della luce, dal Monello a Capitan Mike con i suoi Salasso e Doppio Rum, a Topolino e Paperino, a Flash Gordon, Diabolik, Kriminal, all’Uomo mascherato, a Zagor, Nembo Kid, Blek Macigno, Mandrake e il fido Lothar, e, chi più ne ha, ne metta. A ben vedere questo trasporto nel tempo si trasmuta in una sorta di capacità narrativa che non a tutti è concessa; è facile infatti scrivere alla fredda luce della modernità consumistica, molto più difficile, se non quasi impossibile, narrare storie riscaldandole con il calore del cuore, perché i suoi messaggi giungano incorrotti al fortunato e sensibile lettore.
Kaleb, personaggio di spicco di quest’avventura, sempre presente a proteggere e difendere Ugo, il protagonista chiave dell’avventura da ogni situazione di pericolo, finisce per essere l’emulo di un Lothar, quasi un angelo custode di quel Mandrake perennemente votato alle giuste cause. Ma vieppiù, nel moderno intendere, a prevalere non è più l’Indiana Jones di turno, ma un insieme di personaggi che ne condividono l’avventura per progredire nel comune viaggio verso il sapere, la verità vera, i valori eterni della vita. Un paragone, quello con quei fantastici fumetti, venuto spontaneo, dal volo nel tempo che la storia che stringo tra le mani mi ha procurato insinuandosi a passi silenti nella mia anima, e quando finalmente mi son destato, ho capito! Essere rapiti da un racconto per volare alto, mentre storia e leggenda scorrono armoniosamente insieme; sentirsi proiettati in dimensione altra, dove l’impossibile diventa sogno dei tuoi giorni andati e speranza per quelli a venire, non può che declinarsi e coniugarsi nella follia visionaria di uno scrittore, che col suo modo di scrivere, all’antica maniera, all’ombra di Maestri dell’ottocento, sta pian piano rivoluzionando, controcorrente, l’attuale freddo lessico consumistico. A Giovanni Antonio Gravina va pertanto il mio personale grazie per le nuove emozioni che ci ha saputo regalare, oltre naturalmente agli auguri di un meritato successo.
Lascio adesso ai lettori il piacere di avventurarsi, buttandosi a capofitto, in questa coinvolgente ed entusiasmante avventura.
Del di lui Autore e Poeta dice:
Vetrella Professor Rosario
Relazione critica
Giovanni Antonio Gravina: L’ombra del Cavaliere
L’opera scrittoria di Giovanni Antonio Gravina si innesta bene nell’attuale filone di film fantasy che trattano del bene e del male, di angeli e demoni, di onestà etico-morale e di spietato egoismo. Per questo si auspica vivamente che da questo romanzo sia tratto un film.
Però, nel caso del nostro autore non si può non constatare una fondamentale differenza: il registro del linguaggio letterario adottato, che ci sorprende per l’altissimo livello di stile che troviamo nelle descrizioni di paesaggi di ogni dove, il deserto, il nevoso bosco della Grunewald di una Germania dalle orribili reminiscenze, ma anche capace di dare al mondo nuovi figli, come Daniel, prima sfruttato con l’inganno, poi dedito al lavoro per un mondo migliore, dove trionfi il bene.
Gravina sente fortemente l’imminente presenza dell’Armageddon, ma come una presenza oscura, non nota ai più.
Solo agli eroi destinati a combattere perché ciò non avvenga, è dato di sapere di quest’esistenza possibile nell’immediato.
Tutto il romanzo è permeato dalla presenza di un’azione delle forze del bene, alle quali si contrappongono le forze del male, qui impersonate dai continuatori del nazismo.
Ci imbattiamo durante la lettura in citazioni di testi antichi riportati meticolosamente in lingue originali: latino, greco antico, ma anche geroglifici egizi e lunghe righe in arabo o in ebraico, per non tralasciare la presenza di parole in sanscrito evocate sempre a proposito. Il generoso autore non manca di fornire sempre la traduzione in Italiano, altrimenti potremmo ben difficilmente interpretare tali testi. Non c’è dizionario che tenga infatti, al valico di alfabeti così antichi e così diversi.
Per tornare agli attori di cotanta vicenda, troviamo schierati tra le forze del bene, un coltissimo professor Ugo Pagano, che poi si scoprirà essere discendente diretto di quell’Hugues de Payns, ma sarebbe meglio dire Ugone dè Pagani, che era stato il fondatore dell’Ordine dei Templari, a difesa della Cristianità, il sopracitato Daniel, tedesco, elemento nordico della compagnia, e Kaleb, l’immancabile musulmano che non può non apparire nelle opere di Gravina, la cui caratteristica, oltre all’irrinunciabile coraggio, che appartiene a tutti loro, è la fedeltà alla causa e al gruppo di appartenenza. Sembra che ci sia una vera e propria Koiné di razze diverse che Dio abbia scelto perché questi uomini salvassero il mondo: l’Italiano, il Nordico, e il Mediterraneo Islamico, riuniti in un patto che via via si trasforma in giuramento di reciproca unione, man mano che ognuno di essi cresce nell’azione e vede crescere gli altri con sé.
Perché L’ombra del Cavaliere
, forse perché il professore-cavaliere Ugo de’ Pagani così denominato nella seconda parte del racconto, si scopre spietato quando viene rapita la sua donna, si scopre capace di rigirare il coltello nelle carni del nemico, per sapere dove si trovi Lucy, la sua amata, o forse anche perché Hugues de Payns costituisce l’ombra antica, primigenia di Ugo de’ Pagani? Probabilmente entrambe le cose.
Neanche a dirlo, in questo romanzo