Come diventare felici con la divina commedia - inferno
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Primo quaderno. Come riconoscere il male. L’Inferno
Quali sono i caratteri e i segni della perduta gente? Come si comportano, quali sono i modi di sentire e di pensare dei numerosi personaggi infernali? Come si presentano e quali argomenti portano per giustificare o abbellire la loro colpa? E soprattutto quanto ne sono consapevoli? A queste domande intende rispondere l’autrice, attraverso un’indagine psicologica e umana che viene di volta in volta estratta dal testo, dalle parole chiave, dalle corrispondenze interne all’opera e che non viene mai calata dall’alto o dall’esterno. In tal modo viene salvaguardata la storicità, ma viene anche esaltata la straordinaria attualità della prima cantica della Divina Commedia, il cui scopo nelle intenzioni del poeta era di illuminare le zone buie della coscienza per liberare il lettore da tutti gli errori, che a catena causano il male di vivere.
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Anteprima del libro
Come diventare felici con la divina commedia - inferno - Luisa Pinnelli
malato.
Prima parte
Smarrimento e ricerca di aiuto: Virgilio (canto I)
Il canto introduttivo ci racconta la storia di un uomo, che nel mezzo del cammino della sua vita smarrisce la diritta via e si trova all’improvviso in una selva oscura. Egli vede un colle illuminato dal sole e vorrebbe raggiungerlo, ma tre fiere selvagge si fanno avanti, sbarrandogli il passo: esse sono una lonza (felino maculato assimilabile al leopardo), un leone, una lupa. Quest’ultima è la più temibile e minacciosa. Egli è preso dal panico, ma ad un tratto scorge l’ombra di un grande saggio che gli si presenta e gli promette una via di salvezza, assicurandogli l’intervento tempestivo di un cane da caccia che disinfesterà il territorio.
L’uomo in questione è Dante, il saggio è Virgilio, il cane da caccia è il Veltro. Ma da quel nostra vita del primo verso si deduce che la storia riguarda tutti noi, quando all’improvviso entriamo in una crisi esistenziale profonda e cerchiamo disperatamente una soluzione. Cominciamo la nostra analisi dalle fiere, che rappresentano le tendenze inferiori che nei momenti di confusione si impadroniscono della mente umana, compromettendone la lucidità: il leopardo, col suo bel manto maculato, è simbolo anche oggi della seduzione, contro cui è difficile resistere, poiché porta con sé l’illusione del piacere. Il leone, con la sua enorme criniera, è simbolo della prepotenza che ci illude di essere più forti. La lupa, così magra e famelica, simboleggia da un lato l’avidità, dall’altro i marchingegni della mente che ci fanno credere di essere molto astuti.
Le illusioni sono accattivanti e procurano una temporanea soddisfazione. Alla lunga però ci conducono in un vicolo cieco. Possiamo avvertirle come forze oscure che non controlliamo: sono loro piuttosto che controllano noi e ci impediscono di avanzare. Cosa ci può salvare in quelle condizioni, se non una voce alta e autorevole che ci chiama in una direzione che sentiamo diversa? Virgilio, l’autore dell’Eneide, offre a Dante la via della salvezza: A te convien tenere altro viaggio…. se vuo’ campar d’esto loco selvaggio. Nei momenti più bui della vita non dobbiamo inutilmente sforzarci di andare avanti; al contrario dobbiamo accettare di tornare indietro, per ridiscendere negli abissi dell’anima e comprendere la radice del male che ci incatena al passato. Solo la comprensione del passato ci può liberare dalla coazione, che fa diventare la nostra vita un meccanismo a ripetizione.
In buona sostanza Virgilio propone a Dante la catàbasis eìs àntron ovvero la discesa nella caverna sotterranea. D’altro canto chi meglio dell’autore dell’Eneide poteva guidare un viaggio nei recessi oscuri della mente? Enea che lascia un mondo in fiamme, per creare a se stesso e alla sua gente un nuovo destino, era stato nella classicità il prototipo dell’uomo che accetta l’esplorazione dell’ignoto non per soddisfare una curiosità personale (come Ulisse), bensì per salvare il suo mondo. Se Virgilio rappresenta la competenza teorica e metodologica, necessaria per l’indagine del mondo inconscio, il Veltro, il cui avvento Virgilio profetizza, rappresenta una sorta di fiuto e orientamento pratico mediante i quali le tendenze negative vengono individuate, snidate e soppresse. Si potrebbe dire che Virgilio e il Veltro sono complementari, come il detective e il cane poliziotto di tanti telefilm del nostro tempo.
Sentimento di inadeguatezza e speranza di successo.
Le tre donne celesti (canto II)
L’impresa proposta da Virgilio a Dante è ardua ed è naturale che Dante non si senta all’altezza (Io non Enea, io non Paulo sono, me degno a ciò né io né altri ‘l crede). Egli si confronta con Enea che visitò l’Ade, o con San Paolo che salì fino al terzo cielo. Sia l’eroe troiano che l’apostolo delle genti avevano un grande compito, ma Dante si sente ancora un uomo qualunque senza una speciale missione da compiere. Virgilio dal canto suo lo incoraggia e lo rassicura: egli non è solo, qualcuno veglia su di lui. Di chi si tratta? Maria, Lucia e Beatrice sono le donne che dal cielo proteggono Dante e si interessano alla sua salvezza. Maria è generosa e compassionevole (donna è gentil nel ciel che si compiange); Lucia è forte e combattiva (nimica di ciascun crudele); Beatrice è sincera (loda di Dio vera) ed ama per davvero il suo Dante (l’amico mio e non de la ventura).
È stata Maria la prima ad accorgersi della crisi di Dante ed è stata lei a mettere in moto la macchina dei soccorsi. Infatti ha subito chiamato Lucia, che a sua volta ha sollecitato Beatrice a scendere nel Limbo, per contattare Virgilio e spedirlo da Dante (Io era tra color che son sospesi e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. Lucevan li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce in sua favella). Maria è la madre sempre presente in grado di percepire il pericolo prima che sia troppo tardi; Lucia è la coraggiosa alleata, pronta a lottare con i nemici; Beatrice è colei che indica a Dante la via della verità. Le tre donne evidentemente si contrappongono alle tre fiere; Maria alla lonza, Lucia al leone, Beatrice alla lupa, come la gentilezza al fare seduttivo, come il coraggio alla prepotenza, come la sincerità alla bugia. Vediamo già lo schieramento della battaglia: da un lato la selva buia e dall’altro il colle illuminato; in basso le fiere che simboleggiano la coscienza inferiore, in alto le donne del cielo che simboleggiano la coscienza superiore; in mezzo Virgilio che offre lo strumento necessario del metodo razionale. Vicino a lui il Veltro che rappresenta l’azione operativa coronata dal successo.
Ecco disegnata la mappa di una mente umana predisposta all’approfondimento psicologico che gli alchimisti chiamavano nigredo. La crisi più buia genera in noi il desiderio della salvezza; la sperimentazione del male ci fa conoscere le tendenze negative che ci impediscono un sano e naturale sviluppo; la ragione è la sola capace di attuare un serio esame per individuare i blocchi senza la rimozione dei quali non si ottiene nessun cambiamento. Infine serve la fiducia nelle tendenze positive che pure esistono nella natura al pari di quelle negative. Da questa prodigiosa miscela nasce la possibilità del successo dell’opera alchemica detta nigredo.
La paura di vivere e l’odio per la vita.
Ignavi e dannati (canto III)
Non appena Dante varca la porta dell’Inferno, per prima cosa sente il frastuono prodotto da un insieme disarmonico di sospiri, pianti, lamenti, voci alte e fioche, e suon di man con elle. Vede un’enorme moltitudine