Ad Occhi Chiusi
Di Paolo Servi
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Info su questo ebook
Il party dei clacson sta per cedere il passo alle luci e ai gorgoglii dell’acqua, mentre il grande fiume indossa il suo mantello serale dai riflessi ocra, sotto l’involucro grigio e rosso dell’ultimo cielo visibile . . . saranno stelle o nuvole ?
Tra i trentaquattro ponti sulla Senna, ho scelto il Petit Pont …
Immagini e fotografie dell’inconscio, tra Parigi e la Costa Azzurra, diventano le scenografie di un teatro un po’ surreale, dove la quotidianità di un gruppo di amici si mescola a sorrisi, fantasmi, amori e speranze, in uno shaker sfiorato dal ‘giallo’.
Recensione di Fabio Beccaccini
... “Ad Occhi Chiusi”, il romanzo breve di Paolo Servi, ha fatto la sua clamorosa irruzione tra piccoli indiani (non più di dieci) e treni in partenza da Damasco della mia scrivania. Immaginate una strada di una grande città, un viale alberato e un nugolo di persone che trasportano pacchi colorati da rito pre-natalizio. Immaginate un frate sostenitore di Caino, che si azzuffa per sostenere la sua causa contro la pena di morte. Immaginate Parigi e i suoi bistrot, la sua Senna silenziosa, il suo senno onirico di città del sogno. Di capitale dell’arte, della pittura, della bevuta e della chiacchiera condita dai saltimbanchi. La terra di Toulouse e di Bonaparte. Siori e siori venite a tirar tardi al cafè-chantant di Paolo Servi! Ha aperto da poco e non chiuderà tanto presto. La permanenza vale il prezzo del biglietto, la lettura allontana molto da tanta gente che si prende troppo sul serio e l’accoglienza è calorosa, ha il dono dello swing. Allora che aspettate miscredenti? Potrete gustare le istantanee di una prospettiva surreale, un balletto mechanique sulla piazza della vostra coscienza. Un gelato caldo. Un giallo che non è un giallo. Un storia di confusione shakerata, un ossimoro di intelligenza. Il teatro dei suoi personaggi ha messo i piedi sul palco del Loeuve come L’Ubu Roi, portando il suo carico di eversione. Un gruppo di amici tratteggiati con grande fantasia e amore per il gioco vi scarrozzerà piacevolmente tra Paris e la Costa Azzurra. Con la leggerezza degli elefanti di Dalì, dei pachidermi che riescono a stare su delle canne di bambù, e con il suo tempo di orologi liquefatti. Quest’opera di Servi ha il piacere della vitalità e di qualche onesta ingenuità. Ma fatevi questo cadeau, ve lo meritate ragazzi! Fidatevi di me, avete bisogno di una lettura intelligente e piacevole, avete bisogno di stare un po’ ad occhi chiusi.
[Fabio Beccacini]
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Anteprima del libro
Ad Occhi Chiusi - Paolo Servi
Servi
Paolo Servi
Ad Occhi Chiusi - ed. Ziller
a Mariapaola
19 dicembre.
Immaginate una strada di una grande città, un viale alberato e un nugolo di persone che trasportano pacchi colorati da rito pre-natalizio. In quel micro-universo metropolitano, fatto di sciarpe, cappelli, cappotti, nastri svolazzanti e aria gelida c’è una piccola nota stonata: un reggae jamaicano che avvolge un banchetto di legno, sepolto da chili di manifestini; tutti sputano in faccia ai passanti poche, pesantissime parole: NO ALLA PENA DI MORTE !
. Dietro al banchetto, come in un grottesco teatro di marionette, si agita un curioso personaggio; occhiali spessi e rotondi, il saio di una confraternita irriconoscibile, ibridato con spille e spillette che ripetono la frase dei manifestini e, sulla testa, pochi orgogliosi capelli che si ostinano a sopravvivere attorno alle orecchie, per non perdersi lo spettacolo del suo sorriso.
Questo personaggio da fumetto è il mio amico Louis e ha già raccolto almeno cinquanta firme di parigini sensibili al suo sforzo o, per lo meno, . . . alla sua musica. Louis guarda il pallido sole che sta scomparendo, estrae il cipollone di antica tradizione familiare dalla tasca del saio, verifica con un rapido colpo d’occhio che funzioni, lo fissa e decide che è ora di raggiungere gli amici per la festa di Charlie.
Sta già riponendo i manifestini dentro a vecchie scatole di cartone, quando una voce sostenuta e rabbiosa gli arriva direttamente allo stomaco, come un pugno imparabile:
Ma bene: adesso anche voi religiosi vi mettete a difendere la feccia umana !
.
Louis si volta appena e vede prima un giubbotto di pelle nera, poi un naso aquilino e, alla fine, due occhi di ghiaccio, resi ancora più torvi da una lunga cicatrice.
Ma . . .
prova a rispondere.
Se facessimo fuori qualche rifiuto della società vivremmo sicuramente meglio . . . già ma non bastavano negri, cinesi, puttane, anarchici e ladri . . . adesso incontro anche un prete fannullone
.
Non sono un prete . . . sono un frate
.
Oh ?
– un solo suono, un vocalizzo dal tono irritante e ‘occhi di ghiaccio’ si cristallizza in una posizione di sfida, in attesa di un seguito di chiacchiere melense sulla bontà e sulla fratellanza, ma quel suono sarà l’ultimo che le sue orecchie percepiranno per qualche minuto. Improvvisamente, sul suo naso aquilino s’abbatte un tremendo cazzotto che lo fa barcollare, mentre il frate sta già saltando il banchetto per volare come un falco sulla preda.
I due rotolano furiosamente sul marciapiede, in un turbinio di manifestini e prendono a lottare ansimando e sollevando qualche spruzzo di neve annerita dallo smog. Però . . . però è quasi Natale e, come da copione, da tradizione o da iconografia . . . (fate voi) accade qualcosa che interrompe quell’improbabile zuffa: una divisa da poliziotto, a un paio di metri da loro li fa desistere. E’ un corpo femminile, sinuoso e dolcissimo a riempire quella divisa; occhi scuri e profondi fissano i due e sono occhi bellissimi, incoronati ai lati del chepì da lunghi capelli neri.
Allora che succede ?
E’ stato questa specie di prete . . . di frate . . . è stato lui a cominciare
– ringhia ‘occhi di ghiaccio’ e indica un Louis un po’ barcollante che tenta di risistemarsi gli occhiali sul naso per guardare meglio la donna.
Mi faccia vedere i suoi documenti
.
‘ Occhi di ghiaccio’ obbedisce con un grugnito e mostra una patente logora, mentre col fazzoletto si tampona il naso: sul volto gli cola un leggero fiotto di sangue che gli ha già sporcato il giubbotto e le scarpe.
OK, se ne può andare . . . e lei invece
– dice rivolta al frate – ha un’autorizzazione per raccogliere le firme ?
Louis non dice una parola, mentre sul suo viso, sotto gli occhiali, finalmente tornati in vetta al naso, si disegna un sorriso a 180 gradi. ‘Occhi di ghiaccio’, disgustato, si allontana imprecando e bofonchiando qualcosa di poco lusinghiero sulle donne poliziotto; ora anche l’agente sorride e insiste:
Allora, Louis, ce l’hai l’autorizzazione ?
Sì, sì, certo
– Louis si fruga nelle tasche ed estrae un foglio spiegazzato, con un timbro del tribunale e il suo nome: gli ultimi residui di un lavoro burocraticamente perfetto, archiviato malamente nei meandri del saio, in mezzo a una fiaschetta di rhum, decine di foglietti illeggibili e mezzo panino addentato; il tutto cade a terra e, mentre lui si china per raccogliere, lei ride e dice:
Dovremmo già essere alla festa di Charlie, ricordi ?
Marie, io non dimentico mai gli amici
– e quel ‘mai’ riecheggia suonando d’un che di secolare, mentre i due ripongono le casse di Louis nel retro di un vecchio furgone scassato. Louis fa il giro del furgone, apre la porta del passeggero, con scarse probabilità di non scardinarla, e dice:
Posso offrirle un passaggio agente ?
Marie ride e sale sulla ‘limousine’:
Guida piano, però
. Lui annuisce col capo e parte tra strappi e sussulti. Il furgone si infila come un animale impazzito nel traffico degli Champs-Elysées e si lascia avviluppare da una colonna sonora che scala il crescendo di clacson rabbiosi e insulti silenziati dagli abitacoli sigillati per il freddo.
Sera.
Incastonato tra due palazzi avari di colore per passato austero, sotto una grande insegna blu dal sapore celtico, il pub di Charlie e Becky mostra la faccia a una strada da passeggio. E’ un pub di genesi lontana, figlio bastardo degli oscuri locali vittoriani che affondano i piedi nell’underground di Londra, ma si è staccato da quella tradizione cercando segni e colori più mediterranei.
Appena oltre la soglia, la luce è ancora viva e cola dalle grandi vetrate caleidoscopiche su tavolini in legno dai piedi d’ottone, coprendoli di riflessi azzurri, rossi e giallo uovo. Sulle pareti, molte insegne di birra, voci lontane e vibranti d’Irlanda, Germania, Danimarca, Olanda e Britannia, ma . . . una sola squadra, raccolta in un bel sorriso per fotografi: il Saint-Etienne, un look corale in bianco e blu, manifesto prodromo di discussioni pungenti e ironiche per linfa, un po’ come il proprietario del pub.
Questa sera, dall'interno, risuonano i colpi secchi di palle da biliardo che corrono e impattano lungo una ragnatela di percorsi invisibili, figli della tecnica sopraffina di Charlie. Gerome, reduce da un’aula di tribunale e vestito in modo impeccabile, col look appena inquinato da una cravatta slacciata, un boccale di birra e una stecca di legno, impersona il secondo giocatore . . . in teoria. In pratica, si limita ad osservare i colpi infallibili di Charlie, che,