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Se la scienza fosse un gelato avremmo tutti il mal di pancia: Parte prima- La scienza e la realtà
Se la scienza fosse un gelato avremmo tutti il mal di pancia: Parte prima- La scienza e la realtà
Se la scienza fosse un gelato avremmo tutti il mal di pancia: Parte prima- La scienza e la realtà
E-book491 pagine7 ore

Se la scienza fosse un gelato avremmo tutti il mal di pancia: Parte prima- La scienza e la realtà

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Info su questo ebook

Mentre miti e religione hanno sempre cercato di spiegare la realtà all'individuo, creare una visione della realtà che per quanto irreale fosse però comprensibile all'individuo, e all'interno di questa spiegazione far combaciare la realtà con la conoscenza e quindi con la responsabilità, cioè hanno sempre cercato di rendere intellegibile la realtà in modo che l'individuo potesse muoversi al suo interno in piena autonomia e consapevolezza e creare un sistema di valori e regole derivanti da questa visione della realtà, la scienza invece crea una spiegazione dalla realtà che essa sostiene essere vera ed esatta ma che risulta incomprensibile per l'individuo cosicché questo deve rinunciare alla conoscenza della realtà per demandarla alla scienza e farsi guidare da essa, senza che però essa indichi alcuna visione della realtà connessa a regole costanti, posto che principio primo della scienza è appunto il cambiamento continuo.
……possiamo anche dire che la scienza deve imporsi all’individuo esattamente come fa la sanguisuga, cioè da parassita e per lo stesso motivo.
La scienza attuale è un parassita che deve vivere in simbiosi con l’uomo.
L’uomo è l’ospite grazie al quale la scienza vive, e come la sanguisuga la scienza anestetizza lì dove si attacca.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2021
ISBN9791220275460
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    Anteprima del libro

    Se la scienza fosse un gelato avremmo tutti il mal di pancia - Mauro Toscano

    questione

    1)Preambolo lungo ma doveroso

    Mi accorgo solo ora di quanto il titolo di questo libretto possa risultare ambiguo.

    L'accostamento tra scienza e gelato potrebbe trarre in inganno e far pensare che si voglia dir bene della scienza.

    Come dire che come siamo tanto golosi di un buon gelato che ne mangeremmo a dismisura [1] , così siamo tanto golosi dei benefici e dei prodigi della scienza che ne vorremmo sempre di più, e se la scienza fosse come il gelato finiremmo con averne anche qualche dispiacere, dacché capita che a mangiare troppo gelato ci si procuri un brutto mal di pancia, ma la scienza, a differenza del gelato, non ha controindicazioni né mai effetti deleteri per quanto se ne usi; non ha conseguenze negative e non fa mai male e se ne può avere a iosa senza risentirne problema alcuno.

    Dunque in tale interpretazione del titolo l'accostamento tra scienza e gelato è dato dalla piacevolezza. Gelato e scienza hanno la stessa capacità attrattiva. Non però le stesse conseguenze, che sono negative per l’uno, a mangiarne troppo, e positive per l'altra in ogni caso.

    Si può anche dire: abbiamo tanta di quella scienza che se fosse un gelato ci farebbe sicuramente male e ci porterebbe alla nausea, ma poiché appunto è scienza ci fa solo bene, o più brevemente ancora se la scienza fosse un gelato ora avremmo mal di pancia, appunto il titolo, che però alla fine risulta ambiguo e non rende bene, o forse non rende affatto, ciò che si vuol significare.

    Chi leggerà questo libretto, che avverto va letto dotandosi di indulgenza e magnanimità, capirà ben presto che la corretta interpretazione del titolo è proprio l'opposto di quella accennata nelle righe precedenti.

    Nelle pagine che seguono si sosterrà con gran dovizia di particolari per lo più inutili, e profonde riflessioni di cui molte a casaccio, che la scienza è proprio fastidiosa né più né meno come il mal di pancia di un gelato mangiato in troppa quantità, anzi, molto di più, e per rincarare la dose, non ha proprio alcunché di piacevole.

    Un buon gelato gustato in spiaggia, o sulla panchina di un lungomare al tramonto [2], è un sicuro toccasana a qualsiasi malumore, credo sia un fatto palese. Eppure per lo stesso gelato a mangiarne troppo si può poi star male [3]; così allo stesso modo per quanto la scienza possa sembrar benefica e tonificante e giovevole all'uomo e ammicchi con le sue trovate, si rischia tutti una gran indigestione per la troppa che ormai ci circonda, con la differenza che il gelato è veramente buono e prelibato, la scienza no.

    Troverà quindi il Lettore in questo scritto null'altro che una critica ingenua quanto spietata e pervicace contro la scienza, e per tale critica pervicace verranno disseminate qua e là affermazioni di tal fatta che per certo molti riterrebbero più saggio e accorto non dichiarare, o comunque non così apertamente e con tanta foga.

    Giusto per darti un assaggio caro Lettore, sostengo che la scienza sia oggi oppio per i popoli come in passato lo fu la religione, addormenta i sensi e annebbia il cervello.

    Questa la anticipo qui per correttezza nei tuoi confronti, cosicché Ti sia un chiaro indizio di cosa Ti aspetta e Tu possa decidere se disfarti all’istante di queste paginette e dedicarti ad altro o continuare comunque nella lettura.

    E poiché di accortezza in questo libretto se ne userà sempre meno man mano che si avanza, e non sarà raro trovare corbellerie, stravaganze e spropositi tali da far accapponare la pelle al più navigato dei picari, voglio rassicurarti o Lettore che se affrontate con il giusto ottimismo e con l'aiuto di un buon boccale di birra da queste paginette non Te ne verrà comunque alcun nocumento, né alcunché di scandaloso, e tantomeno correrà pericoli la Tua visione del mondo. Al peggio Ti varranno una sonora risata di incredulità. Nulla si potrà invece per la reputazione di chi scrive.

    E se Tu ora, caro Lettore, già immagini che un argomento così importante prezioso e serio, quale è la scienza, sarà affrontato con toni rozzi, farneticanti e risibili argomentazioni, nonché ragionamenti tanto avventati da non reggere poche battute, ebbene ci hai preso in pieno, e aggiungo tra l'altro che non si troveranno, sparsi tra le righe, nemmanco plausibili motivi di qualsiasi genere a giustificazione di ciò che si sostiene, sebbene potrei imputare tale assenza al fatto che per statuto non vi è mai alcunché che si possa criticare in alcun modo alla scienza senza di uscirne bastonati, e qualsiasi argomento parte già sconfitto e scompare veloce, giusto o sbagliato che sia.

    Ma pensa caro Lettore che tutto ciò è ancor nulla; il peggio è che chi scrive non ha comunque qualità adeguate né conoscenze o competenze e tanto meno titoli e attestati validi, per sostenere le tesi che sostiene, sostenute senza corde né appigli, e tutto quanto cerca di reggersi e va avanti solo per l'ostinata accidiosa malafede dell'autore riguardo all'oggetto trattato.

    In sincerità, caro Lettore, qualora tu dovessi risultare dotato di tanta pazienza, magnanimità e indulgenza da arrivare fino in fondo, credo che alla peggio giudicherai questo libretto null'altro che una stramberia di poco conto, i cui soli effetti saranno di aver sottratto a Te tempo sicuramente prezioso, e rovinare il buon nome dello scrittore, come un triplo salto mortale rovinerebbe l'osso del collo di chi vi si accingesse senza aver mai fatto prima nemmanco una capriola sul letto, come quelle che trastullavano i bambini quando in casa non vi erano altri svaghi.

    Come ben intuisce circa i salti mortali chiunque sia dotato di normale buon senso, anche se mai ne abbia tentati, è opportuno e vantaggioso prima di apprestarsi a volteggiare per aria avere chiare le idee sul da farsi, nonché doti giuste e tecnica adeguata, e vieppiù essersi preparato per tempo alla prova, così da evitare dispiaceri e capocciate e poter riprovar una seconda e una terza volta e tutte le volte che garbano.

    Giusto il contrario di chi scrive, che pur non avendo alcuna preparazione confacente l'argomento si è incaponito a voler perorare a suon di chiacchiere questa sua convinzione, e forse di pochi altri incoscienti, che la Scienza sia alquanto insalubre e nociva per l'uomo e l'umanità.

    E’ però davvero molto probabile che proprio non ve ne siano altri che la pensino allo stesso modo.

    Pertanto senza alcuna valida ed evidente prova, e senza giustificazione o appoggio di alcuno, solo per una mia convinzione porterò avanti questo discorso, facendo voli pindarici e capriole per aria, senza saper di come fare riuscire queste capriole. Mosso da null'altro che dalla pungente sensazione di una qualche stonatura in tutta questa faccenda della scienza moderna, che come già accennai poche righe or sono, mi par proprio che la scienza oggi abbia preso il posto che fu della religione nei tempi passati e ora anestetizza le menti con la visione di un mondo che non esiste ma al solo pensiero già porta gran giovamento all'umanità; a prescindere da ciò che poi avverrà davvero.

    So bene che a dir così mi preparo per una comica quanto rovinosa caduta, e rischio davvero di finir a gambe per aria e rimetterci il collo. Pur tuttavia mi premeva dirlo.

    Però a riprova della mia buona fede, caro Lettore, non Ti chiedo alcun compenso per queste paginette, non per il momento almeno [4], che puoi prendere a piacimento senza versare alcun obolo, doblone o altra moneta corrente, e così a tua discrezione puoi dare un'occhiata veloce, o leggerle tutte se Ti aggradano, o buttarle via qualora le ritenessi troppo indegne e di poco conto. Senza per questo di aver subito danno economico ma al più aver perso qualche minuto del tempo di una tua giornata. Che se poi, come sempre consiglio a chiunque in qualsiasi occasione, sarà lì ad accompagnarti per questa sinecura una buona pinta di bionda o scura, sorseggiandola il tempo non sarà stato comunque sprecato e in aggiunta probabilmente avrai una visione più chiara e veritiera di quanto letto e dell'argomento trattato.

    Ecco però che altre poche righe sono trascorse, e già mi sento in terra immaginando di nuovo lo sguardo corrucciato e insieme mosso a burla del Lettore nell’apprendere che qui si parlerà male di scienza, e non per celia, ma con seria convinzione. E prevedo anche le smorfie che farà leggendo il resto, se mai gli fosse rimasta qualche rara curiosità e indugiasse ancora un po' nella lettura per vedere dove andranno a parare queste chiacchiere.

    E però voglio essere franco come si usa tra galantuomini; senza timore alcuno e costi quel che costi mi pongo da me in gogna riconoscendo appieno, a me solo, la responsabilità per le affermazioni fuor di senso, degne di un abitudinario di bettola che compongono questo libricino.

    E anche per quelle vuote di pensiero che hanno perso la via, e errabonde vanno per queste righe, me ne addosso la colpa. E non smentirò neppure chi mi farà notare stravaganti contraddizioni.

    Di tutto ciò sin d'ora mi prendo dunque la piena e totale responsabilità scagionando qualsiasi fonte, testimonianza, fatto o episodio che a sua insaputa possa venir impunemente usato [5] con subdola e furbesca intenzione per perorare a mio vantaggio questa malaugurata causa.

    E tuttavia, mi preme dirlo ancora, tutto ciò che sarà detto e scritto lo sarà senza alcuna pretesa di voler instillare strani convincimenti, o peggio strane idee di complotti, nel Lettore. Solo scopo e fine concreto di questo blaterare sarà di togliermi la briga di chiacchierare di scienza, per quanto sia una delle chiacchiere più difficili e dure di cui si possa chiacchierare. Per voler chiacchierar di scienza infatti occorre che si sia ben forniti di intelletto, e competenze e conoscenze tali che vanno ben al di là delle possibilità di qualsiasi cittadino medio e soprattutto delle mie, ché la scienza è un tabù [6] di cui non si può dire e criticare alcunché se non con modi e argomenti adeguati, propri degli uomini di scienza, e comunque lasciando di preferenza la parola a chi ne sappia in abbondanza e l'abbia praticata sin da giovine, appunto come fa il trapezista o il saltimbanco che si allena per anni prima di cimentarsi coi salti nel vuoto.

    A proposito di salti e di vuoto approfitto qui al volo per chiarire per bene ancora un altro punto che mi sovviene ma che credo il Lettore attento avrà già da sé compreso, ossia che in queste paginette non critico, non ne ho intenzione né capacità, le teorie e il sapere della scienza; oggetto del libretto è la scienza in quanto parte fondamentale e integrante della nostra società così come si è sviluppata oggigiorno; oggetto della pagina è l'aspetto sociale della scienza, non quello scientifico; l'idea che si ha della scienza e l'effetto che ne deriva sugli uomini, e soprattutto quest’ultimo.

    Ovviamente qualche accenno varrà anche per la sua compare, la tecnologia, ché le due, tecnologia e scienza, vanno sempre di pari passo, e camminano assieme, un po' come il gatto e la volpe, il capo e lo sgherro.

    La scienza sta a monte, è la parte pensante, la mente; la tecnologia è il braccio, ed è attraverso essa che la scienza si impone nella vita.


    [1] Inizia qui la sequela di affermazioni dettate solo dalla mia visione del mondo che cospargono queste paginette. Suppongo che il gelato piaccia a chiunque. Ovviamente se il Lettore che legge non fosse appassionato di gelati non tenga conto di questo esempio.

    [2] ...e lo so, sembra la pubblicità di un cornetto, ma non lo è, mi è scappata proprio così.

    [3] Che poi non so se mangiar troppo gelato faccia davvero male e ammetto per correttezza di non averne prove dirette, solo le indicazioni di mia madre che da piccolo alla richiesta insistente di un secondo cono con nocciola e panna mi chetava con la paura del mal di pancia, e anche in età adulta, forse per una paura ormai divenuta inconscia, raramente sono riuscito ad andare oltre le due brioches con gelato in una sola seduta, dunque ammetto di non aver prove e tutta la discriminatoria sul gelato nocivo potrebbe essere un errore, e può darsi invece che del gelato se ne possa prendere a dismisura senza avere ripercussioni di sorta, ciò sarebbe un notevole salto in avanti per l'umanità. Qualora tra i lettori vi fosse qualcuno che abbia prove in tal senso, scientifiche o reali, e possa dare delucidazioni in merito lo invito a farlo.

    [4] L'autore si riserva però, qualora nel frattempo non avesse trovato altra maniera di arricchirsi o quanto meno sbarcare il lunario, e comunque se costretto da necessità, di poter chiedere un compenso per una eventuale seconda edizione di questo libretto che fosse editata.

    [5] Qualora venga usata qualche fonte o fatto o episodio se ne darà menzione. Ma invero la profonda incultura dell'autore non presume conoscenza di fatti né permette la citazione di alcunché, se non di rado e in casi eccezionali.

    [6] Ed ecco che qui si inaugura la galleria delle stramberie, ma non a caso è stato usato il termine tabù. Si definisce la Scienza esattamente un tabù, nel senso antropologico di tabù, e faccio riferimento a quanto indicato in Enciclopedia Garzanti di Filosofia e.... - terza ed. 1983 pag. 916

    2) Si comincia. Circa la monotonia

    La differenza tra ciò che è conosciuto e conoscibile, e ciò che è sconosciuto

    Ora a proposito delle mie competenze inesistenti il Lettore mi dirà: se così stanno i fatti e pure ne sei consapevole, perché ti ostini per questa via invece di lasciar perdere questo scritto e pensare ad altro; dacché tu stesso ammetti, e senza che alcuno lo abbia chiesto, che non sussiste alcun valido motivo né giustificazione per andare avanti ad affrontare questo tema se non la testardaggine e l'arroganza, che detto tra noi non sono buone ragioni a far qualcosa, ché altrimenti saremmo bravi tutti a voler sempre far ogni cosa ci passi per la testa. E oltretutto sembra che tu neanche sappia come affrontarlo questo argomento che pure ti preme, tanto che è un bel po' che stai lì a menar il can per l'aia senza concluder nulla e men che meno cominciare. Dunque o cambi argomento e magari scrivi un trattato sulla birra che a quanto pare stimi non poco, o trovi qualcosa per dar inizio, una idea, una frasetta, una pinzillacchera, una quisquilia, una bagatella, così almeno partiamo e poi vediamo cosa ne viene.

    Tu caro Lettore dici giusto e bene cogli nel segno, e la birra sarebbe certamente argomento più consono, ma cosa dire ancora della birra se non le lodi già sentite e dette e ripetute cento e cento volte; bevanda che da millenni accompagna l'uomo in ogni parte del mondo sotto ogni sole e ogni cultura, facile a distillare [1] e più ancora a bere, semplice ed onesta come una giornata di primavera, sincera in ogni avventura e toccasana per la corteccia ceberale e l'ippotatalamo. Della birra non si possono che dir cose buone, ché di sicuro e per certo sempre migliora gli animi nobili accrescendone grazia e finezza e se talvolta peggiora gli animi bassi e cattivi non è sua la colpa giacché la cattiveria è vizio dell'uomo e gli animi cattivi ci vuol poco a peggiorarsi e non c'è nulla che li possa migliorare, e solo chi non sia in mala fede e mal disposto, ma di buon animo e allegro carattere, una buona chiara o scura semplice o rifermentata può condurre ad alti pensieri e giusti; ed ecco infatti che al solo menzionare la dorata bevanda, ma in verità anche per averne buttato giù qualche sorso dal boccale che mi accompagna in questa avventura, mi è sovvenuta a caso una facezia, arguta a parer mio, una frasuzza con la quale penso si possa dare un inizio adeguato a questo scritto e provare poi con forbiti argomenti a sostenere ciò che poi verrà sostenuto; riporto la facezia per come me ne è rimasto il ricordo dopo di aver posato il calice che me l’aveva suggerita, e più o meno suona così:

    è cosa buona fare qualcosa che non si sa fare e che non si potrebbe fare, e parlare di ciò di cui non si capisce nulla, se è quello che abitualmente si fa e si può fare, per quanto complicato o inutile sia, piuttosto che far abitualmente qualcosa che si sa fare e di cui si è esperti, se è quello che abitualmente non si fa per quanto semplice o utile sia.

    E con questa credo di aver colto nel segno per una volta, e mi pare che questa citazione sia un buon inizio e bene chiarisce cosa intendo quando dico che la scienza porta a cosa brutte, anche se forse lì per lì la citazione parrebbe risentire parecchio dell'effetto della birra e voler sostenere semplicemente che è cosa buona essere stolti.

    Invece assolutamente si intende questo, e non intendo dire che sia cosa buona essere stolti. Ma quest'osservazione è utile e la terremo da parte; e intanto chiariamo quella che di primo acchito sembra un'idiozia ma che ben serve per ben cominciare e vediamo poi cosa ne verrà.

    Questa affermazione che si possa fare ciò che non si sa fare, e parlare di ciò che non si sa, e che anzi sia cosa buona farlo, mentre è meglio non fare ciò che si sa fare, non si rifà ad un qualche ideale visionario o anarchico o titanico, e tanto meno nasce da velleità di imprese ardite e fuori dal comune, anzi parte e approda proprio nel voler rivalutare una particolare qualità e abitudine della vita, della quale a poco parleremo approfonditamente, che procura nell’animo una piacevole e particolare sensazione, e che contrasta parecchio con quell'altra sensazione, parecchio sgradevole, che mi induce a pensare che la scienza non sia così indolore e tanto meno benefica come si suole farla apparire.

    Tale qualità è la monotona rassicurante e ripetitiva quotidianità della vita del cittadino medio, che null'altro è se non la normalità della realtà, ossia la realtà [2] stessa, realtà che appunto la scienza vuole negare e sostituire con una di suo garbo che però non è per nulla confacente alla quotidianità dell'individuo e tanto meno all'individuo stesso.

    Ma per certo qui il Lettore nota una contraddizione, cioè che mentre sopra affermai che la scienza anestetizza ora invece invoco proprio la monotonia, che sa di sonnolenza, quale baluardo contro la scienza, e tra l'altro neppure si trova tale termine in quel pensierino dettatomi dalla bionda bevanda e che ho insignito di cominciamento e fondamento ufficiale di queste paginette. Ma più ancora, credo che il Lettore starà chiedendosi cosa c'entri la realtà e dove è mai che la scienza vuol sostituirla con altra.

    Ebbene spero di poter chiarire tutto tra breve o nel corso di queste paginette, man mano che il ragionamento procede, intanto prendo un sorso di birra.

    Riprendiamo, nessuna impresa ardita dunque e nessun appello a qualche follia visionaria, ma soltanto la monotonia; la bellezza della rassicurante monotonia di cose sempre uguali e ripetute, come prendere il caffè sempre allo stesso bar, fare due passi ai giardinetti con gli amici, riascoltare sempre le stesse canzoni di Dylan e rileggere Pirandello.

    Nessun cuore oltre il confine né oltre le Colonne ercoline.

    Nessuna sete di innovazione e tanto meno pruderie di agilità giovanile, né velocità di reti neurali su computer quantici o I.A. e tantomeno realtà aumentata, niente di tutto ciò, che son tutte cose che pretende la scienza.

    Per come la vedo io, e sostengo in questo libricino, meglio un solo neurone [3] purché faccia bene ciò che va fatto, con calma e semplicità.

    Questo in effetti potrebbe essere il motto e il sottotitolo di questo libretto: un solo neurone è più che sufficiente.

    E dopo questa uscita qualcuno dei già pochi lettori che forse avrebbero per bontà loro dato una possibilità a queste paginette sarà balzato su dalla poltrona e buttandole via avrà esclamato infastidito: "questo qui è una cariatide ottuagenaria, cosa mai crede si possa riuscire a fare senza computer, I.A, e realtà aumentata in questa nostra epoca iper-intelligente, altro che un neurone solo, queste son davvero baggianate!".

    Ebbene qui si sollevano appunto due questioni tanto importanti quanto comuni nella vita di tutti e con le quali prima o poi tutti si deve averci a che fare, ossia età e neuroni.

    Pare che al giorno d'oggi non vadano più tanto d'accordo, nel senso che quanto più una avanza tanto più gli altri s'addormono.

    Io però sono all'antica. Sono convinto che questo divario sia un fenomeno tutto nuovo e ci fu un tempo che andavano insieme a braccetto e di buon passo, sicché di quanto crescevano gli anni di tanto si chiarivano bene le idee.

    Forse per un motivo tutto personale, ma credo si dovrebbe sempre ritenere nella giusta misura e rispetto l'età e i pregi che porta quanto a saggezza pazienza e conoscenza del mondo, e d'altro canto per quanto riguarda i neuroni credo si possa concordare sul fatto che a parlarne ci voglia una certa ironia, considerando quanti ne sono necessari e sufficienti per riuscire a far ciondolare il pollice sul touch screen a cercare faccine, attività che mi pare, al giorno d'oggi, vada per la maggiore.

    E questo è un anticipo.

    A parer mio se la scienza non si intromettesse di continuo col suo piano di rincitrullir tutti, a lasciar fare a tempo ed età per certo con tempo ed età tutti si migliorerebbe.

    Basti pensare alla sapienza che ne viene dall'assaggiare e degustare per anni e anni con attenzione e rispetto la bionda bevanda, che non è cosa da poco. Sapienza che sicuramente non si può avere in giovine età, e richiede il suo tempo.

    Per quanto poi riguarda il neurone è mia seria convinzione che anche solo può far il suo degno lavoro laddove la realtà sia idonea all'individuo e non continuamente scombinata da scienza e tecnologia, che è quello di cui parleremo in queste paginette.

    Caro Lettore son questi argomenti, e altri c’è ne sono, che a trattarli in compagnia di birra e buoni amici si potrebbero passare intere serate, piacevolmente impegnati nella nobile arte del conversare senza dir nulla, arte e impegno tanto utile per il neurone di cui sopra quanto palestra, piscina o correr per campi sono utili ad articolazioni muscoli e cartilagini, e ognuno per certo ha un parer suo se sia meglio allenare il neurone comodamente seduto al bar con birra e amici e così lasciare ai posteri detti memorabili e idee senza tempo, o sudando per strade o palestre rinforzare muscoli e fibre comunque destinate a far concime.

    Io per parer mio devo dire che quell'unico neurone che mogio mogio mi si aggira solo soletto tra le sinapsi, non so come che sia, ma quando la nebbia di una buona birra sale e lo avvolge lo sento ringalluzzirsi, tanto che forse dimentico d'esser solo prende coraggio e allegria, il poverino, e forse convinto di aver da trovar altri parenti suoi si mette a cercarli per ogni dove e prende a correr con tanta frenesia nel vuoto che davvero pare siano diventati cento. Pertanto pur senza nulla ricavarne quanto a logica, scienza e sapienza, per far piacere al meschino mi è consono di trastullarmi spesso insieme agli amici al bar con chiacchiere e birra.

    E quindi chi ancora non lo abbia fatto si metta accanto una pinta di buona chiara o scura a piacimento; come fossimo in un caldo pub della campagna irlandese, con violino, cornamusa, zufolo, e verdi prati all'orizzonte [4]; lasciamo perdere l'età che tanto non ci possiamo far nulla, e andiamo avanti a parlar di neuroni e di realtà.

    Si è citata prima la monotonia, che non sapendo da dove sia venuta fuori pare essersi intrufolata di soppiatto tra le righe. E ti prevengo caro Lettore e io stesso mi domando perché mai la monotonia dovrebbe essere il punto di partenza di queste paginette laddove per molti, forse a ragione, monotonia significa null'altro che noia. E in verità ricorrendo al vocabolario [5], troviamo appunto che monotonia viene definita come noia tedio, e monotono è sinonimo di noioso; quindi non si scappa, la monotonia è una noia, e nulla ha a che fare con la scienza e tanto meno con un buon gelato assaporato al calar del sole sulla spiaggia, come ogni pubblicità che si rispetti suggerisce.

    E allora per cercare di capire meglio, è giocoforza andare a vedere cosa sia la noia, e senza di voler scomodare categorie esistenziali o filosofiche ricorriamo sempre allo stesso buon vocabolario che mi dice la noia essere " un senso di fastidio, di inerzia, di insoddisfazione a causa della mancanza di interesse o della ripetizione monotona delle stesse azioni. Ma qui la situazione parrebbe complicarsi, perché dovremmo analizzare in cosa sia il fastidio e inerzia o l'insoddisfazione, e soprattutto casca all'occhio ripetizione monotona, ossia l'uso del termine che dovevamo spiegare usato invece per spiegare il termine che avrebbe dovuto spiegare il primo; forse un aiuto può venir fuori dall'etimologia che dice annoiare derivare dal latino tardo inodiare, avere in odio". Bene qui possiamo soffermarci un attimo e mentre che zufolo e violino intonano una vispa ballata forse riusciremo a dare una svolta ad una situazione che pareva si stesse impantanando.

    Infatti alla luce dell'ultima citazione, ma possiamo tener presente anche la mancanza di interesse che abbiamo trovato prima, la noia è simile, almeno all'origine del termine, ad avere in odio, odiare, per cui la monotonia deriva dalla mancanza di interesse verso qualcosa ma persino avere in odio quel qualcosa, e quindi il senso di monotonia che qualcosa ci dà deriverebbe non tanto dalla cosa in sé ma dall'aver noi in odio quel qualcosa, per cui il proporsi e riproporsi di quel qualcosa diventa ovviamente fastidioso. E’ un dato soggettivo, più che oggettivo. E qui subito mi è facile notare che parrebbe proprio la scienza avere in odio molte cose che vuole trasformare, compreso l'uomo, e per questo è così avida di cambiamenti; e vale anche il contrario, ossia che forse è avida di cambiamenti perché " ha in odio", non perché vuol conoscere, ma ne discuteremo più avanti.

    Per il momento stando così le cose la matassa parrebbe sbrogliata, in quanto se non hai in odio ciò che fai, ma anzi apprezzi ciò che fai, la monotonia non è negativa e la ripetizione di ciò che fai diventa piacevole, non a caso sopra accennavo a risentirsi Dylan o rileggersi Pirandello, e per i più romantici potremmo anche dire riveder mille volte gli occhi della pulzella amata e ovviamente se vi fossero in ascolto lettrici possono volgere al maschile l'esempio.

    Traggo un primo risultato utile: parlando di monotonia io intendo quindi qualcosa di positivo, qualcosa di simile alla piacevole monotona tranquillità della vita degli Hobbits alla Contea, una ripetizione monotona della quotidianità che deriva dal piacere che si prova nel far alcune cose e volerle rifare [6].

    Quindi quando in queste paginette si parla di monotonia il senso del termine usato viene fuori quale risultato di una differenza, ossia la differenza tra una realtà rassicurante, conosciuta, agevolmente praticabile dalle persone, appunto la vita alla Contea, e una realtà varia e sconosciuta non facilmente definibile né praticabile, quasi pericolosa, quale quella fuori dalla Contea, pericolosa appunto perché sconosciuta; ma beninteso sconosciuta non significa che non la si possa affrontare ed uscirne addirittura vincitori, come appunto fanno Bilbo e Frodo e amici; infatti il nocciolo del discorso non è la pericolosità della vita fuori dalla monotonia della Contea, non è la pericolosità o i pericoli che fanno da discriminante. E mi spiego meglio dopo un sorsetto.


    [1] Lo so che la birra non si distilla, semmai si cuoce e si fermenta; mi si lasci passare la libertà

    [2] Ovviamente la nozione di realtà è quanto mai complicata da definire. Se ne parlerà continuamente, ma è ovvio che nel parlarne o citandola non mi rifaccio ad alcuna categoria filosofica o ufficiale. Man mano che si procede cercherò di chiarire la nozione di realtà per come la si intende in queste paginette e che secondo chi scrive è necessaria per il buon vivere, è ovvio che non è detto che vi riesca.

    [3] Da qui in avanti, tutte le volte che sarà menzionato, si deve intendere il termine neurone nel senso e con riferimento alla normale attività logica e intellettiva, non vi è ovviamente nessun riferimento a particolari conoscenze scientifiche biologiche mediche o neurologiche; è da considerare solo come ciò che rimane di quanto svogliatamente appreso sui banchi di scuola nei capitoli relativi al sistema nervoso, cervello e cose simili. In ogni caso è opportuno usare sempre nella lettura più che altro un tono sarcastico e ironico.

    [4] Ovviamente va anche bene qualsiasi bar o pub il lettore usi frequentare

    [5] Lo Zingarelli minore – Zanichelli; ed. Terzo millennio

    [6] Mi rendo conto che il Lettore dotato di sarcasmo e cultura qui potrebbe citarmi la coazione a ripetere e mi andrebbe anche bene ché temo di più una qualche uscita dei miei compagni di bevute con batture ben degne delle abitudini di bettola!

    3) Pericoli e consapevolezza

    La consapevolezza implica il conoscere ciò che si affronta, non tanto per evitarlo quanto per ben delimitare i confini dell’agire in modo da potersi collocare nell’agito

    Dunque, di per sé pericolo è un concetto neutro come ve ne sono molti, neutro e relativo. E’ un termine che da solo non dice nulla.

    Se troviamo su un cartello la parola pericolo saremo forse allertati, ma innanzitutto incuriositi, pericolo per cosa? che tipo di pericolo?, tant'è che in un secondo cartello potremmo anche trovare il chiarimento: pericolo, se assaggi questa birra non potrai più farne a meno.

    In pratica il pericolo va definito, infatti il buon vocabolario dice ...situazione che può provocare un danno, appunto può ma a certe condizioni.

    Il pericolo lo si può affrontare, almeno finché lo si può definire e conoscere, è come per il salto triplo con il quale abbiamo iniziato. Un pericolo tanto è più pericoloso quanto meno lo si conosce o lo si può conoscere, la pericolosità di un pericolo è inversamente proporzionale alla sua conoscenza o conoscibilità, dove con conoscere non si intende averlo presente, vederlo ma capirlo, cioé esserne consapevole. Si può fare un salto triplo se si sa cosa è, altrimenti ci si rompe l'osso del collo, a meno ovviamente di non essere dotati di gran fortuna.

    Intanto ecco comparire un termine che nel prosieguo sarà ripetuto sino alla nausea e che in effetti è uno dei protagonisti di questo libretto: consapevolezza.

    La consapevolezza è fondamentale per l'individuo, è ciò che permette la creazione della realtà che a sua volta, in un circolo virtuoso, rende possibile la consapevolezza.

    Ma ciò si verifica quando la realtà è reale e a misura di individuo, altrimenti si entra in un circolo vizioso in cui consapevolezza e realtà prendono strade diverse, cosa che appunto vuole la scienza e la tecnologia.

    Ma per ora torniamo alla Contea.

    Alla Contea si sa cosa si fa e cosa si ha intorno, fuori dalla Contea no. Si può imparare e conoscere ciò che è fuori, e Frodo, e prima Bilbo, lungo il cammino imparano ad affrontare i pericoli ed anche a conoscere la realtà che è là fuori dalla Contea. Ma ci vuole appunto quanto meno un cammino (lungo) che insegni a conoscere i pericoli [1] e la realtà. Questo perché la vita è fatta di consapevolezza che si acquisisce dalla realtà e insieme crea la realtà.

    Possiamo dire, dando un anticipo, che a rigor di logica la realtà non esiste, non essendoci alcun dato esterno ad essa che la possa confermare, l'unico dato che ci possa garantire qualcosa sulla realtà è appunto la consapevolezza (si vedrà meglio più avanti, spero). Quindi la differenza, come risultato, della quale più sopra abbiamo parlato, è data dalla differenza concreta [2], come operazione/sottrazione, tra una realtà della quale si è consapevoli e una realtà nella quale non si è consapevoli (non è un errore: della e nella) [3].

    La realtà della quale si è consapevoli è quella che si conosce dove quindi si può agire, la realtà nella quale non si è consapevoli è quella che ti disorienta, quella che non ti permette di sapere dove collocarti per poter muoverti, mancano i punti di orientamento e non si è consapevoli di Sé nello spazio, quindi si diventa nulla, oppure, per poter agire, si deve essere dipendenti da qualcos'altro, come appunto vuole la scienza.

    Fondamentale è la consapevolezza e dal confronto tra consapevolezza e non consapevolezza nasce la monotonia, qui quindi usata con un'accezione positiva, ossia il conoscere qualcosa. Ciò che conosci di per sé non è più una novità, è il contrario del nuovo, quindi è monotono, e puoi conoscere qualcosa solo praticandolo, la monotonia è appunto il muoversi in un territorio conosciuto, praticare questo territorio, e quindi conoscere.

    Il problema della conoscenza e vieppiù della consapevolezza è appunto quello che sollevo in queste paginette.

    Per conoscere devi praticare, essere consapevole di ciò che hai per le mani, e della realtà che ti circonda, e ciò si può ottenere solo con una pratica più o meno costante, e quindi monotona. La scienza invece, si diceva anche sopra, vuole soprattutto novità.

    Però la differenza, come risultato, tra consapevole e non consapevole che si ottiene dalla e nella pratica è maggiore della differenza concettuale dell'operazione logica. Nel senso che non si tratta di una semplice differenza o opposizione di significato, tra i termini consapevole e inconsapevole. L'operazione non è netta in quanto il non essere consapevoli di qualcosa ha implicazioni maggiori e ben più pesanti che esserne consapevoli. La sfera o il territorio del non conoscere, o meglio del non conosciuto, è sempre molto più vasto della sfera o territorio del conosciuto o del conoscere, in quanto il non conoscere quel qualcosa implica ovviamente il non poterlo circoscrivere né definire e quindi che quel qualcosa può essere tutto ciò che non sappiamo di quel qualcosa, appunto tutto. Solo conoscendo si restringe il campo a ciò che quel qualcosa è veramente, per cui la sfera del non conosciuto è per definizione sempre enormemente più vasta della sfera del conosciuto [4]. Questo vale innanzitutto concretamente, ma poi ha risvolti soprattutto concettualmente, cognitivamente; per cui torniamo ad essere consapevoli della realtà o non consapevoli nella realtà.

    Il non sapere ci pone in uno stato di spaesamento e dispersione tale che non ha alcuna corrispondenza uguale e opposta che si possa trovare nella condizione del sapere.

    Il non sapere è molto più deleterio di quanto possa essere proficuo il sapere in quanto il non sapere influisce su tutta la realtà che comunque l'individuo deve necessariamente creare, quindi anche i risultati saranno sconosciuti, a meno di non creare alcuna realtà, e allora si va verso l'insanità mentale [5], o l'automatismo (vedremo più avanti).

    L’individuo, comunque e in qualche maniera, deve pur agire nella realtà. Come può il non sapere influire sulla realtà, mi chiederai o Lettore; dacché se l’individuo agisce vuol dire che sta agendo in base ad una qualche sua conoscenza, quindi pare proprio che sia il contrario, cioè il non sapere non è mai presente nella realtà. Questo è appunto ciò che dovrebbe essere, cioè il non sapere non dovrebbe essere presente, o qualora presente, dovrebbe esserlo in misura minima e comunque gestibile, ossia poter trasformare il non sapere in sapere, e di questo pure si vedrà più avanti; infatti il problema nasce quando si è costretti a far qualcosa che non si sa fare, ciò di cui stiamo qua parlando; se si fa qualcosa che non si sa fare questo qualcosa influirà massimamente nella realtà, molto più che facendo qualcosa che si sa fare. Il gioco non è al cinquanta per cento. E il problema non è semplicemente di sbagliare, non riuscire a far qualcosa o farla male, dacché ovviamente ci si accorge di un errore sono nella condizione di sapere cosa si sta facendo o cosa si sarebbe dovuto fare, ossia quando si ha una nozione, minima o completa, di qualcosa, cioè quando i limiti di quel qualcosa sono conosciuti. Ovviamente se non conosco quello che sto facendo non posso neanche accorgermi di un errore. Se conosco come funziona un’automobile posso provare a ripararla, se non vi riesco posso provare a capire il perché non vi sono riuscito, se non ho conoscenze complete so che dovrò fermarmi ad un certo punto e rivolgermi a qualcuno più esperto di me. Se non ho la più pallida idea di come funziona un motore sarò costretto alla immobilità assoluta, prima ancora che immobilità fisica, cioè rimanere appiedato per strada, immobilità concettuale, ossia non potrò porre me stesso all’interno del territorio motore a scoppio e in quella circostanza non potrò proprio pormi in nessun territorio, sarò nel nulla; situazione che per fortuna si risolve facilmente chiamando il carro attrezzi, appunto perché potrò collocarmi in un territorio conosciuto che è quello del chiamare il soccorso o il meccanico di fiducia o qualsiasi altro amico di buona volontà.

    In ogni caso avrò bisogno di collocarmi in un ambito conosciuto, che però non è più l’ambito del motore a scoppio, all’interno del quale non ho avuto modo di collocarmi.

    Non è dunque un semplice problema di conoscere o non conoscere, vero falso.

    Consapevole è diverso da conoscere o conosciuto, l'essere consapevole è un'azione che torna sul molto più di quanto non torni conoscere; da cui essere inconsapevoli non è semplicemente la forma negativa o l'opposto dell'essere consapevoli, ma l'assenza del completamento del sé in base ad una data azione, o peggio un completamento non percepito o non voluto, o ancora un completamento diverso da quello per il quale si è iniziata un'azione.

    Appunto come chiamare un carro attrezzi che non ha nulla a che fare con il motore in panne. [6]

    Quindi se la consapevolezza ha una ricaduta sul sé che riguarda anche la realtà nella quale il sé agisce e che consiste appunto nell'essere consapevoli anche della realtà e poterla creare, l'essere inconsapevoli ovviamente avrà quale ricaduta l'essere inconsapevoli anche della realtà, quindi non capire la realtà, né poterla creare, e alla lunga anche essere inconsapevoli di e del Sé, ossia essere automi.

    Ora, abbiamo visto sopra, che nella sua accezione negativa la monotonia consiste nel riproporsi sempre di qualcosa ritenuta fastidiosa, qualcosa quindi che già si conosce o si ritiene di conoscere bene e si decide di evitare, pur non essendo di per sé nociva o pericolosa; la monotonia si può provare solo con qualcosa che si conosce, non

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