Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Colpevole: Dottoressa Klein, #1
Colpevole: Dottoressa Klein, #1
Colpevole: Dottoressa Klein, #1
E-book359 pagine8 ore

Colpevole: Dottoressa Klein, #1

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Giorno dopo giorno Brenda Klein si reca felice nel suo ufficio, condivide riflessioni profonde con i suoi pazienti e torna da Max Brown, il marito che tutte sognano ma che poche riescono ad avere.

Bello, intelligente, architetto. Brenda ama Max e Max ama Brenda.

Una mattina la dottoressa si scontrerà con uno sguardo che la mette davanti ai suoi stessi timori. Akim è arrivato nella sua vita come una ventata d’aria fresca per dimostrarle che la perfezione non esiste.

Incalzata da suoi stessi consigli, Brenda dovrà affrontare i pregiudizi di una società in cui la differenza d’età, la passione e la lotta di classe non sempre sono ben accette.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita2 giu 2020
ISBN9781071550120
Colpevole: Dottoressa Klein, #1

Correlato a Colpevole

Titoli di questa serie (1)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Colpevole

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Colpevole - Diana Scott

    Prologo

    I giorni

    Se sapessi

    Sorpresa

    Il caos

    Un separé nella tua vita

    Il tempo

    Politicamente scorretto

    1ª seduta

    Siamo chi siamo

    Siamo incappati nella polizia

    Confessioni

    Visite personalizzate

    Sei tu

    Io potrei

    Questione di gelosia

    Ovunque tu sia

    Tornare

    Cercando, ma senza trovarti

    Non lo dire

    Preparativi

    La mostra

    Errori che fanno male

    Sei tu

    Desideri

    Un’altra opportunità

    Pensieri perduti

    Odore di pericolo

    Conto alla rovescia

    Guardami

    Scelgo te

    Non fare ciò che io

    Giorno dopo giorno

    Tu ed io

    Sogni

    Ti raggiungerò

    Sveglia

    Furto?

    Non posso

    Sei arrivata nella mia vita senza che ti aspettassi. Ho ricevuto sospettoso la tua consolazione, ma i tuoi sorrisi sono stati più forti di ogni mia promessa. I tuoi occhi color cioccolato sono arrivati lì dove nessuna aveva potuto ed oggi, schiavo del tuo profumo, mi chiedo quando tornerai...

    ––––––––

    Akim Dudaev

    Prologo

    La settimana era stata molto più dura del solito. Brenda era stanca. Il fine settimana non era andato meglio degli altri giorni. Il suo corpo reclamava il meritato riposo. La morbidezza del cuscino la avvolse nel suo dolce calore mentre organizzava sul suo iPhone gli appuntamenti della settimana successiva. Il lavoro e i pazienti la seguivano ovunque come formiche impazzite in cerca di riparo. Alcune giornate potevano sembrare lunghe, ma altre erano davvero estenuanti.

    Psicologa di professione e solidale nel cuore, le sue scrupolose terapie erano richieste dagli appartenenti dell’alta società londinese. Brenda adorava sentirsi apprezzata ed era orgogliosa di esserlo. Molte persone credevano di conoscerla, ma pochissime erano al corrente dei suoi segreti.

    Brenda Klein era molto di più di una dottoressa di alto lignaggio. Lei si sentiva bene quando collaborava con un’associazione per vittime di maltrattamenti. Lì si sentiva davvero viva. La dottoressa Klein offriva i suoi servizi in modo del tutto disinteressato e, nonostante molte volte Max avesse provato a convincerla di impicciarsi di meno, lei non si era lasciata convincere. In compagnia di quelle donne si sentiva utile e libera. Brenda le aiutava con la sua professionalità e con le sue terapie di auto-miglioramento, ma loro offrivano al suo spirito inquieto una sensazione di pienezza che non provava quasi mai.

    La freschezza della notte entrava dalle fenditure delle persiane semi aperte della sua stanza ordinata e la donna chiuse gli occhi, sospirando, per un lunedì frenetico che stava per arrivare. Bombon, la sua gattina color caramello, le leccò la mano prima di fare le fusa e accomodarsi accanto a lei, approfittando della morbidezza del materasso.

    Nelle ultime due ore aveva fatto un grande sforzo per restare sveglia, ma le palpebre delicate e insonnolite le si chiudevano stanche, lasciando spazio ad una notte sempre più scura. Voleva restare sveglia ma faceva sempre più fatica. Nella giornata odierna, nonostante fosse domenica, aveva ricevuto una chiamata da una voce autoritaria che era risultata essere, niente meno che quella del primo ministro. All’inizio aveva creduto che si trattasse di uno scherzo di Connor, ma la conversazione e la problematica della faccenda erano troppo ingarbugliate persino per quel pazzo scozzese del suo migliore amico e non aveva potuto far altro che arrendersi all’evidenza. Dall’altro capo del telefono c’era proprio il primo ministro in carne ed ossa.

    Con una richiesta che più che altro era una necessità, l’uomo le chiese un appuntamento per una persona molto vicina. Molto vicina?, pensò curiosa. Una consulenza privata, disse l’uomo, stuzzicando ancor di più la curiosità della dottoressa. Fin dall’inizio non aveva potuto negare che, nonostante fosse infastidita dalle imposizioni, il caso la stava interessando molto e per lei era stato impossibile rifiutare. La curiosità l’aveva dominata così tanto che era riuscita a trovare un buco nella sua agenda strapiena.

    L’indomani all’alba avrebbe ricevuto quel paziente tanto autorevole. Chiunque fosse stato.

    Brenda Klein era una grande professionista ma la curiosità era uno dei suoi grandi difetti, difficili da superare e quella domenica non era il giorno adatto per superarla, pensò divertita. Chi poteva catturare l’attenzione del primo ministro per cercarlo sul telefono e chiamarla di domenica pomeriggio? E perché con tutta quell’urgenza?

    Brenda, che aveva una grande esperienza nell’ascoltare delle vergogne inappropriate, all’inizio aveva intuito che si trattasse di un appuntamento per il ministro in carne ed ossa, ma questo l’aveva avvertita: domani all’alba, qualcuno sarebbe andato a suo nome all’appuntamento, ma chi? E perché tutta questa riservatezza?

    Il primo ministro aveva chiuso la chiamata con un secco grazie, mentre la donna assimilava le informazioni. Da poco più di un anno la sua vita era cambiata e si era riempita di fama, che non accennava a diminuire col tempo. Da quando aveva fatto parte della squadra incaricata di salvare un autobus pieno di bambini sequestrati da un padre che voleva farsi saltare in aria, la sua fama era aumentata a tal punto che oggi, il suo numero di telefono era scritto anche nell’agenda del primo ministro del Regno Unito. Wow! Mille volte wow! Pensò osservando l’orologio del suo computer e accorgendosi di quanto fosse tardi. Prima di tutto pensò di aspettare Max sveglia ma le sue buone intenzioni si vanificarono quando chiuse il portatile. Dormiva profondamente quando un corpo scolpito e caldo si sdraiò accanto a lei, che però non si svegliò.

    Max si infilò sotto le delicate lenzuola di cotone, felice di essere a casa. Brenda era tutto per lui. Il suo futuro, il suo inizio, la sua amica e la sua casa, la sua metà della mela. Sorrise immaginando cosa avrebbe pensato lei se avesse saputo quanto diventava poetico quando lei non era al suo fianco. Ovviamente non glielo avrebbe mai detto, loro erano molto di più di quelle banalità fatte di poesie sdolcinate e fiori avvolti da economico cellophane. Insieme formavano una coppia salda che non aveva bisogno di frivolezze per dimostrarsi a vicenda cosa significavano l’uno per l’altra.

    Con delicatezza si avvicinò per ammirarla grazie alla libertà che le stava offrendo Morfeo e, con grande rammarico, dovette ammettere di essere terribilmente eccitato. Erano giorni che non l’aveva accanto e si sentiva inebriato. Gli bastava vedere la sua lunga chioma color cannella sparsa sul cuscino o la morbidezza delle sue labbra carnose per capire che gli anni, per le donne come lei, non passavano. Se a vent’anni già la considerava bella, cosa avrebbe dovuto dire adesso? Gli anni le avevano regalato l’intelligenza dell’esperienza e le curve della maturità, cos’altro avrebbe potuto chiedere? Lei era una donna completa, speciale ed irresistibile. «Almeno per me», pensò libidinoso.

    Desiderosa di non svegliarsi, mormorò tra i denti un mi dispiace appena udibile e l’uomo sorrise all’istante pensando a come quella che di giorno era un’esigente dottoressa, di notte potesse trasformarsi in una delicata ninfa. Senza riuscire a contenersi un altro secondo, allungò timidamente le sue lunghe dita liberandole la faccia. Lei si mosse accomodandosi meglio sul suo morbido cuscino ma lui non smise. Con delle carezze delicate e provocanti la avvolse nel suo calore. La baciò teneramente sulla fronte mentre con la delicatezza dei polpastrelli delle dita le accarezzava dalla spalla fino a raggiungere l’orecchio, a cui dedicò un interesse speciale. Le sue mani la riconoscevano, lei era Brenda, la sua donna. La accarezzò ripetutamente, accompagnando le carezze con dei baci lasciati qui e lì. Lei sospirò e si rigirò tra i suoi sogni mentre Max fece delicatamente scorrere le lenzuola verso il basso, causando un delicato brivido sul suo tenero corpo, che si rizzò istantaneamente.

    Brenda era bellissima con quella delicata camicia da notte in seta con bretelle fine color champagne, che aveva scelto lui stesso. All’inizio l’attenzione di lei era caduta su una in raso celeste, ma questa, senza ombra di dubbio, era stata la scelta più adeguata, pensò mentre la accarezzava lentamente con due dita, per non svegliarla e facendola scivolare verso il basso.

    La freschezza della notte di primavera che era appena iniziata si fece sentire, e Brenda si lasciò accarezzare, godendosi quella passione che stava iniziando a svegliarsi.

    Le mani accarezzarono dei teneri e rosei seni, seducenti e della grandezza perfetta, come le più succose delle mele. E Max adorava le mele...

    Le sue dita, che si muovevano entusiaste sulla morbidezza della sua pelle, come se avessero acquisito vita propria, la accarezzarono disperate, ma con la prudenza di un uomo che non voleva svegliarla. Voleva prenderla così, addormentata, e farle balbettare tra i sogni il suo nome. Stavano insieme da anni ma adorava il modo in cui diceva il suo nome nei momenti in cui perdeva il controllo. L’intonazione che aveva quando pronunciava la M o il modo in cui, quando si arrabbiava, prolungava la lettera A. Sì, lei era così. Brenda Klein, la donna perfetta per lui.

    Lei allungò il collo all’indietro, sperando che quel sogno non finisse. Ne aveva bisogno. Dormiva da tempo e non a causa della stanchezza del lavoro. I mesi passavano e il suo corpo non si svegliava. Almeno non come avrebbe dovuto.

    Nella penombra cercò quella bocca che la divorasse e quelle mani che la facessero tornare al luogo da cui era scappata. Si era persa e cercava una mano che la guidasse, che la facesse tornare. Il suo corpo, ardente per il desiderio, sollevò i fianchi e si sfregò ansimante in cerca di ciò che non trovava. Si contorse mentre i fianchi si sollevarono, in attesa di saziare quella fame permanente. Con gli occhi ancora chiusi e avvolta nella nebulosa del suo sogno sollevò debolmente le braccia e si aggrappò alla forte schiena che iniziava a coprirla completamente. Il calore la avvolse e le sue unghie iniziarono a conficcarsi nella pelle ruvida mentre supplicava in silenzio di trovare ciò che cercava. Il suo corpo delicato si agitava sempre di più, desideroso di dire con i movimenti, quello che a parole non aveva il coraggio di pronunciare.

    Max reagì con prontezza alle sue richieste e, assetato del suo calore, si lanciò sull’umidità di un corpo che lo richiamava, come fa il miele con un’ape. Brenda lo ricevette con un piccolo gemito, desiderosa di trovare quel qualcosa che la facesse risvegliare. I suoi occhi chiusi, adesso con forza, si impegnavano a trovare la concentrazione necessaria.

    Devo riuscirci, devo farlo, si disse impaziente. Max mormorò due frasi tenere e lei lo strinse con forza. Era Max, la sua metà, il suo amico, il suo tutto. Lui l’avrebbe salvata. Affondando ripetutamente nel calore bruciante del suo peccaminoso corpo, lui riceveva tutto ciò che solo lei era in grado di offrirgli e lei si lasciò andare.

    Brenda si muoveva per il nervosismo e l’eccitazione. Lo cercava, lo desiderava, lo voleva, aveva bisogno di lui... Non ancora... non ancora... mormorò disperata, ma lui non l’ascoltava.

    Max si muoveva freneticamente dando il meglio di sé, ma Brenda era di nuovo persa. Disperata provò a muoversi, magari se avesse accompagnato il suo movimento, magari così... pensò entusiasta. Voleva seguirlo, lo voleva davvero, ma come? L’umidità del suo corpo le indicava che le sue intenzioni erano reali, allora perché non riusciva a recuperarla? La passione vagava perduta in un limbo in cui non riusciva ad accedere.

    Aveva bisogno che la mano di Max la salvasse, ma non ebbe il coraggio di dirlo. Come puoi spiegare ad un altro ciò che neppure tu capisci?

    L’uomo si mosse dentro e fuori, dentro e fuori, ripetutamente, estasiato da un’ondata di splendide sensazioni, facendo capire attraverso il suo corpo l’assoluto bisogno che aveva di lei, ma la sua donna non era lì. Magari il suo corpo stava godendo di un momento piacevole, ma nulla di più.

    Con i denti si morse le labbra per non parlare mentre la sua mente, ormai sveglia, vagava per chissà quali sentieri. Più volte provò a concentrarsi, ma tutti gli sforzi furono vani. Non valeva la pena lottare. Non ora. I pensieri, come dei turbini in tempesta provavano ad offrirle una consolazione, una soluzione o la semplice disperazione. Ma qualunque cosa fosse, lei non stava più facendo l’amore con il suo compagno.

    Max grugnì mentre un sonoro sì gli sfuggì dalle labbra. Delicatamente cadde sul suo corpo e lei lo coprì con un dolce abbraccio, molto tenero ma per nulla passionale.

    I giorni

    Max, in uno stato di totale sonnolenza, la abbracciò e la tirò contro il suo petto cercando di prolungare quei momenti, ma lei si allontanò delicatamente e, così, separati, finirono per addormentarsi.

    Era mattina presto e stava sorgendo il sole di un nuovo lunedì. Facendo molta attenzione a non svegliarlo, spostò le lenzuola e si alzò. Max era stanco e non era necessario svegliarlo così presto. Camminò in punta di piedi e facendo meno rumore possibile, si diresse in bagno.

    Stirò i muscoli ancora addormentati e regolò l'acqua alla temperatura esatta. Entrò nella magnifica doccia di pietra e cristallo che Max aveva disegnato esclusivamente per loro due. Le gocce tiepide percorsero dall'inizio alla fine il suo corpo, viaggiando indisturbate dal delicato collo fino al mignolo del suo piede. Con la sensazione di freschezza sulla pelle, sollevò il viso verso il cielo e i suoi folti capelli le scivolarono sulle spalle, in cerca del sollievo dato dall'acqua.

    I getti le scorrevano sul viso e lei respirava profondamente, cercando di non pensare. Il senso di colpa la dominava completamente. Le sue mani, appesantite dai dubbi, si appoggiarono contro la parete sperando che le goccioline lavassero via le sue stupide sensazioni. Senso di colpa, disagio e paura si impossessavano del suo cervello, ingarbugliando ancor di più quei pensieri, troppo confusi per essere schiariti.

    Ricordò amaramente il fallimentare incontro amoroso che aveva avuto con suo marito e provò a cercare un motivo logico per spiegare la sua apparente indifferenza, ma non lo trovò. Se c’era una persona che amava con tutta sé stessa, quella era Max. Allora cosa le stava succedendo? Ormoni, età, noia, monotonia... Qual era la risposta esatta? Si chiese stressata. E soprattutto, che fine aveva fatto la sua passione e come poteva recuperarla?

    Molte volte, nei suoi appuntamenti, aveva dedicato intere sessioni a pazienti che avevano gravi problemi di coppia, ma adesso questo dilemma così complesso riguardava la sua stessa realtà. Doveva applicare i suoi consigli e decifrare l’enigma per conto suo. Quando aveva a che fare con i suoi pazienti, lei era una fredda spettatrice che metteva al loro servizio le sue conoscenze, ma stavolta Brenda era la protagonista principale di quel film. Aveva tra le mani un copione di cui non conosceva il finale e che non sapeva se sarebbe stata capace di riscrivere in bella.

    Non è stato così male, pensò provando a consolarsi. Ho avuto un orgasmo, piccolo, ma comunque sempre un orgasmo. Questo doveva significare qualcosa.

    «Se l’atto mi fosse stato indifferente non lo avrei sentito. E poi di voglie ne ho, e molte, il problema è che...» si fermò, rimproverandosi per le stupidaggini che stava dicendo.

    Era da sola nella doccia e stava discutendo con i suoi stessi pensieri, ma questo non significava che fosse pazza o qualcosa del genere. Amava Max e questo non sarebbe cambiato.

    «C’è una soluzione a tutto», pensò ottimista, l’unico problema era trovarla. «Magari se ne parli con lui», provò a dirle la sua vocina interiore ma lei se ne liberò all’istante. Max la adorava e lei lo sapeva, non c’era motivo di farlo preoccupare. No, questo era un suo problema e lo avrebbe risolto da sola. Non per niente era Brenda Klein, una delle migliori psicologhe del paese. I suoi desideri e le sue passioni erano svaniti in una mattina e il suo dovere era quello di recuperarli. E lo avrebbe fatto.

    Chiuse gli occhi con forza e mosse le mani con eccessiva energia tra i suoi capelli schiumosi, desiderosa che i getti d’acqua trascinassero nel canale di scolo della doccia la sua preoccupazione.

    Qualche litro d’acqua e grandi quantità di sapone, erano riusciti nel miracolo di farla tornare al suo stato naturale. Quello dell’ottimismo. Quello che le diceva che era una prestigiosa professionista, che aveva una vita serena, organizzata ed equilibrata e che era pazzamente innamorata.

    Molto più allegra, si asciugò rapidamente il corpo, si avvolse in un delicato e morbido accappatoio e si incamminò per il lungo corridoio in cerca della sua immancabile dose di caffeina. La porta in legno massello cigolò un po’ prima di chiudersi e lasciarla al sicuro nella solitudine della cucina. Con la sua solita rapidità, accese la caffettiera, infilò il pane nel tostapane, scaldò il latte nel microonde e prese dal frigo burro e marmellata. Sistemò la delicata tovaglietta all’americana di colore rosa pallido e aspettò, mentre guardava l’orizzonte dall’immenso finestrone. Il giorno iniziava a svegliarsi. Era una bella mattina di primavera. L’allegria si notava nel volo degli uccellini, nell’elegante tonalità di verde dei prati e nella vita che fioriva nelle aiuole colorate. Bombon graffiò contro la porta e lei sorridente le aprì, mentre le offriva la tazza di latte che le piaceva tanto.

    L’aroma intenso dell’eccellente caffè sudafricano riempì la cucina e i ricordi di un’infanzia che non voleva ricordare comparvero senza che nessuno li avesse chiamati. L’immagine della piccola, che restava seduta senza disturbare ad osservare il duro profilo di suo padre che beveva un caffè forte dalla sua tazza di porcellana mentre leggeva il giornale, senza essere interrotto. Lui leggeva sempre quando beveva il caffè e, nonostante si sforzasse molto per non imitarlo, piccoli dettagli le facevano pensare che una parte di lui, seppur non volesse, avrebbe composto per sempre una parte della sua essenza.

    Lo stimato avvocato Oliver Klein viveva in Sudafrica da ormai più di cinquant’anni, precisamente a Città del Capo, capitale legislativa del paese e centro di grandi decisioni politiche. Come indiscutibile procuratore e come affamato despota e ancor di più come profondo egoista, non aveva mai tempo per la sua piccola e fastidiosa figlia, che lo faceva uscire dai gangheri molto più di quanto potesse ammettere.

    Da quando erano arrivati in Sudafrica, suo padre si era sentito come a casa. I paesi in cui le disuguaglianze si facevano palpabili e le differenze si definivano perfettamente attraverso l’etichetta della classe sociale, erano il luogo in cui Oliver Klein si sentiva l’essere più potente di tutti. Probabilmente per questo, e per qualche altra ragione non era mai tornato a Londra e Brenda non glielo aveva mai chiesto. Erano mesi che non avevano notizie l’uno dell’altra. Precisamente due, da quando con una fredda chiamata di cinque minuti aveva saputo che sua madre era morta a causa di un cancro in stadio terminale.

    Lei avrebbe potuto viaggiare, avrebbe potuto salutarlo ma lui non l’aveva considerato opportuno. Non potevi fare nulla, disse. E magari aveva ragione, ma perché non permettere a quegli occhi che l’avevano sempre guardato con tristezza e rassegnazione di salutarlo?

    Brenda bevve un sorso del suo caffè e provò a ricordare solo le cose belle, ma la verità era che quei momenti erano davvero pochi. Forse i pochi ricordi dei tempi felici risalivano al collegio per ragazze, quando Rachel, quel tornado dalle lunghe trecce rosse, era entrata nella stanza delle suore in cerca dei romanzi d’amore che nascondevano sotto il materasso o quando, le grida della timida Johana, che aveva dei riccioli enormi, quando trovava quegli esseri indesiderati, spietati e assassini chiamati ragni. Brenda sorrise ricordando quelle due, le sue migliori amiche, da cui ancora oggi era inseparabile. Loro erano tornate a Londra e attualmente erano un trio più che variopinto. Max non sopportava Rachel e sopportava a stento Johana, ma tutti si comportavano in modo educato e responsabile quando dovevano condividere lo stesso spazio. E per Brenda questo era più che sufficiente.

    Il tostapane lanciò in aria una croccante fetta di pane integrale riportando Brenda nel mondo reale. Guardò l’ora nell’orologio da parete e imprecò a bassa voce. Si sbrigò col caffè e morse frettolosa la deliziosa fetta di pane tostato bagnata con marmellata ai frutti rossi, desiderosa di iniziare la giornata e smetterla con quelle stupidaggini che non l’avrebbero portata da nessuna parte. Il passato era passato e la sua apatia attuale sarebbe svanita non appena avrebbe applicato su di lei una delle sue affermate terapie. Entusiasmata, guardò l’agenda del cellulare ed organizzò la sua settimana.

    Se sapessi

    Akim si asciugò il viso, appena rasato. Oggi avrebbe iniziato a lavorare in una nuova squadra e aveva davvero bisogno di quel cambiamento.  Era indispensabile per lui sparire dai lavori precedenti. Per un momento restò ad osservare il riflesso di un tonico corpo semi vestito e provò pena per sé stesso.

    «Non mi dispiace mettere paura». Pensò vedendo i tatuaggi che aveva sulle spalle e le cicatrici che portava sulle braccia o sulle mani, perché erano frutto del duro lavoro.

    Alcune donne consideravano le sue spalle larghe, la sua mandibola quadrata e le sue ciglia nere come un qualcosa di dannatamente virile e attraente, ma lei no. Lei non si sarebbe mai soffermata su un corpo rude come il suo. Lei era finezza, delicatezza, portamento, educazione mentre lui...

    Il bagno era illuminato solo da una piccola lampadina perché aveva quasi sempre il conto in rosso, ma anche così, nonostante le carenze, riusciva a vedere perfettamente ogni dettaglio che lo separava da lei. Braccia muscolose ottenute portando ingenti quantità di calcinacci, mani screpolate da materiali corrosivi, un petto troppo ampio per appagare gli attuali canoni di virilità e dei capelli ondulati che non erano ricci, ma semplicemente ribelli. Sbuffò cercando di sistemare con le dita quella chioma ondulata e ribelle, di un intenso color nero, ma si arrese. La chioma, proprio come chi la portava, si era svegliata dissidente e priva di speranze.

    Accarezzò la morbidezza del suo mento chiedendosi se a lei sarebbe piaciuto di più con o senza barba, ma scacciò immediatamente quel pensiero dalla sua mente accaldata. Lei non era sua, non doveva immaginarla, non doveva continuare a pensarla o sarebbe diventato completamente pazzo. Aveva ventisei anni, non poteva continuare a commettere errori e a subirne le conseguenze. Doveva andare avanti con la sua vita e dimenticarla. Sembrava possibile, dopotutto tra loro non era mai successo niente. Assolutamente nulla, pensò insoddisfatto.

    Scosse la testa umida cercando di eliminare le ultime gocce dovute alla doccia mentre con un movimento rapido delle braccia si infilò la maglietta, la sistemò sui jeans usurati e imprecò, sentendo il dolore provocato dalla nuova ferita che aveva sul polso e, senza volerlo, la ricordò. Quella ferita che iniziava a cicatrizzare era il fedele riflesso della sua distrazione ogni volta che la vedeva.

    Scosse due volte la testa, mentre supplicava che la sua mente lo aiutasse a dimenticarla. Lei era troppo, qualcosa di irraggiungibile che l’avrebbe solo fatto soffrire.

    «Non dovrei lamentarmi, ma cazzo...». Pensò sapendo che nonostante nel suo mondo fosse fortunato, non poteva evitare di provare pena per sé stesso.

    Appoggiò le mani sul lavabo e per la prima volta da quando aveva abbandonato la Cecenia si sentì privo di forze. Negli ultimi cinque anni aveva condotto una vita piuttosto diversa da quella di un normale giovane, ma lui non era un normale giovane.

    Quando gli altri avevano iniziato a divertirsi, lui era scappato da un paese in guerra con un bebè tra le braccia, un padre anziano e triste e una vita troppo dura per essere ammirata. Si guardò di nuovo nello specchio scolorito e imprecò ad alta voce, arrabbiato con la vita, col destino e con lei. Lei, che lo provocava pur non ammettendolo. Prima di lei non si sarebbe mai immaginato di dedicare neppure cinque minuti del suo tempo ad un passato che non poteva cancellare o a un maledetto presente che non poteva essere scritto, che avrebbe chiesto un trasferimento e che il cuore gli sarebbe andato in frantumi al solo pensiero di non vederla più. Nella sua vita difficile era la prima volta che soffriva per amore e sperava fosse l’ultima.

    Quegli occhietti color cioccolato lo avevano incantato e nonostante volesse cancellarla dai suoi ricordi, non poteva. Quella stessa notte, Lola, nel tentativo di conquistarlo, gli aveva dedicato la più prodigiosa delle attenzioni ma, a cosa servono delle belle scopate se poi quando ti infili il casco e sali sulla tua moto il suo sorriso si ripresenta più nitido di prima?

    Dal maledetto giorno in cui lei era entrata dalla porta per dirigersi nell’ufficio dell’architetto, indossando un impeccabile vestito nero e dei tacchi da capogiro che avrebbero fatto impazzire qualsiasi mortale, la sua immagine non aveva abbandonato i suoi pensieri.

    Il giovane infilò le mani sotto il rubinetto e si lavò di nuovo il viso con acqua ghiacciata. Cercava di dimenticare, cosa che a quanto pare era impossibile. Cosa aveva lei che, nonostante fosse tutto ciò che non avrebbe dovuto, era l’unica cosa che desiderava? Per giorni, come uno stalker impazzito, aveva sperato di vederla, aveva percorso corridoi, salito scale, scaricato calcinacci, si era persino offerto di pitturare i nuovi uffici. Tutto pur di rivederla. Nervoso, spostava il materiale da un piano all’altro in cerca

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1