Portami con te: Harmony Jolly
Di Susan Meier
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Susan Meier
Americana dell'Iowa, riesce a conciliare i suoi interessi con la famiglia e l'attività di scrittrice.
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Anteprima del libro
Portami con te - Susan Meier
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Billionaire’s Baby Sos
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2013 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Alessandro Not
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-815-2
1
Tutte le porte decorate che aveva affrontato in vita sua non avevano mai spaventato Matt Patterson quanto quella semplice di fronte a cui si trovava in quel momento.
Agenzia Adozioni Dysart.
Sentì che le mani iniziavano a sudare e gli si seccò la bocca.
Ciononostante, non si sottraeva mai alle sue responsabilità. Aprì la porta ed entrò.
Lo accolsero muri perlinati, un banco d’accoglienza vuoto e l’odore di borotalco. Sentì una bambina ridere. Le risatine acute e deliziate riempivano il corridoio.
C’erano buone possibilità che fosse la sua bambina.
La sua bambina.
Avrebbe complicato la sua vita amorosa.
E i suoi viaggi.
E i rapporti con lo staff.
La signora McHenry, la sua governante, sarebbe impazzita quando le avrebbe detto di dover aggiungere una nursery e una tata alla sua già indaffarata abitazione.
Seguì il suono delle risatine fino a un ufficio alla fine di un breve corridoio. Una donna magra che gli dava le spalle teneva la bambina in braccio. I suoi capelli castani erano raccolti in uno chignon e un vestito rosso seguiva le sue curve alla perfezione.
Lui inarcò le sopracciglia. «Per qualche motivo mi sono sempre immaginato le donne che lavorano nelle agenzie di adozione come anziane cameriere in squallidi camici bianchi.»
La bambina smise di ridere e la donna si voltò.
Per la prima volta da che potesse ricordare, Matt rimase senza parole.
Il suo volto era illuminato da due grandi occhi marroni, zigomi alti evidenziavano un naso dritto e sottile e labbra piene.
«Posso aiutarla?»
Entrò lentamente nella stanza, incuriosito. Era esattamente il tipo di donna che invitava a cena, seduceva e abbandonava con un braccialetto di diamanti in regalo. Ma prima che potesse iniziare a flirtare con lei, la bambina strillò. Bella. La figlia di Ginny e Oswald. Ora era figlia sua perché aveva accettato di essere il padrino della figlia della sua ex moglie.
Fu assalito dalla tristezza. Una settimana prima Ginny lo aveva chiamato per organizzare una cena per il suo ritorno a Boston. Invece lei e Oswald non c’erano più. Non avrebbe più visto il sorriso di Ginny o sentito la buffa risata di Oswald. Aveva perso la ex moglie che amava e il suo nuovo marito che era diventato un buon amico.
Bella strillò di nuovo. La donna guardò la bambina, poi si voltò di nuovo verso di lui con sorpresa. «Sono Claire Kincaid, la responsabile del caso di Bella. Lei è Matt Patterson?»
Entrò nella stanza infilando le mani nelle tasche dei suoi pantaloni sartoriali. «Sì.»
«Santo cielo. In quattro giorni, Bella non ha interagito con nessuno. Non piange nemmeno. Mangia e dorme e ride quando le faccio il solletico. Ma lei è la prima persona con cui abbia parlato.»
«A me sembrava un verso.»
Lei rise. «È il modo di esprimersi dei bambini.»
Gli occhi le brillavano per il divertimento e lui provò una strana sensazione. Era davvero molto bella.
«Mi conosce» spiegò. «Un po’.»
«Perché era amico dei suoi genitori?»
Lui annuì e fece un altro passo verso di loro, con circospezione. La bambina, occhi azzurri e capelli scuri, si protese verso di lui, cercando di farsi prendere in braccio.
Colto di sorpresa, lui fece un passo indietro.
Claire Kincaid smise di sorridere. «Ma vuole lei.»
«Sì. E ho intenzione di occuparmi di lei, ma...» Fece un respiro profondo. Era tentato di flirtare con lei, ma sapeva che il suo non era un viaggio di piacere e che avrebbe dovuto concentrarsi. In qualche modo si era ritrovato con una bambina e non sapeva cosa fare. «Non posso tenerla.»
«Prego?»
Tolse le mani dalle tasche e le sollevò in cenno di resa. «Non so come.»
Lei fece un passo verso di lui. «È molto semplice.»
Il suono della sua voce gli fece provare una strana sensazione. Ma quando gli si avvicinò ancora, porgendogli la bambina, lui si tirò ancora indietro.
Lei aggrottò le sopracciglia. «La bambina è sua.»
«E mi occuperò di lei. La settimana prossima.» Scosse la testa. «No. Non posso neanche la prossima. Devo andare in Texas per una riunione di famiglia...»
Lei lo interruppe con un cenno della mano. «Non mi interessa se è il re del mondo. Deve occuparsi di Bella, adesso.» Accarezzò la schiena della bambina. «E poi non c’è niente di cui preoccuparsi. Occuparsi di lei le verrà naturale.» Gli porse la bambina, e ancora una volta Bella si sporse verso di lui.
Matt aveva i nervi a pezzi. Sapeva già da quattro giorni che la sua ex moglie era morta e che avrebbe dovuto occuparsi di Bella, ma non aveva provato timore. Aveva affrontato la situazione come affrontava ogni cosa in vita sua, un passo alla volta. Ma ora, di fronte alla bambina, la situazione si era fatta improvvisamente reale. Se ne sarebbe dovuto occupare per i successivi diciotto anni. Avrebbe dovuto crescerla. Portarla all’asilo, alla scuola materna, alle elementari, alle medie; gli anni dell’adolescenza.
«Non...» Voleva prenderla in braccio, davvero. Ma era la bambina di Ginny e Oswald. Era una bambina che meritava di essere amata e coccolata. Lui non ne era mai stato capace. Era per questo che aveva perso Ginny. Non era il tipo romantico. In più, tutte le persone che avrebbero potuto aiutarlo, ovvero i membri del suo staff, erano fuori città.
«Davvero, non posso prenderla ora. Sono stato a Londra per tre settimane. Quando ho saputo di Bella sono tornato in anticipo, ma avevo dato un permesso allo staff di casa mia per le sei settimane che avrei dovuto passare all’estero. Si stanno prendendo un meritato riposo in posti come Aruba. Anche se li richiamassi subito, non riuscirebbero a rientrare prima di venerdì. E io non ho idea di come prendermi cura di una bambina» spiegò, poggiandosi una mano sul petto.
«Non ha nipoti?»
«No, ma anche se ne avessi, diciamo che non sono proprio un uomo di famiglia.»
Claire si raddrizzò come per discutere con lui, ma si limitò a rassicurare Bella. «Ha acconsentito a occuparsi di una bambina senza esserne capace?»
«Ho acconsentito a farle da padrino. Non pensavo che avrebbe significato essere il suo tutore se fosse successo qualcosa ai suoi genitori.»
«Come faceva a non saperlo?»
«In molti casi il titolo di padrino è solo onorario.»
L’espressione di Claire Kincaid si ammorbidì un po’. «Evidentemente i suoi amici la prendevano molto sul serio, perché l’hanno nominato tutore di Bella nei loro testamenti.»
«Sì, ma non mi avevano avvisato, e non sono pronto.»
«Non importa, deve comunque prenderla.»
Incredulità e rabbia crebbero in lui. Ginny era morta e a Bella restava solo lui. Non aveva senso. Soprattutto perché non sapeva cosa fare. Non riusciva a prenderla in braccio, figurarsi cambiarle il pannolino. Ed era proprio l’ultima persona che avrebbe dovuto essere incaricata di volerle bene.
Bella iniziò ad agitarsi e Claire Kincaid le strofinò una guancia con la sua, calmandola.
Fu colto da un’ispirazione improvvisa. «Se la cava bene con i bambini. Che piani ha per stasera, signorina Kincaid?»
«Mi dia pure del tu.» Sistemò il vestito di Bella distogliendo lo sguardo dal suo. «E sono impegnata.»
Lui la studiò con curiosità. Era abbastanza bella da avere un appuntamento un lunedì sera, e se fosse riuscita a sostenere il suo sguardo le avrebbe creduto. «Quindi in realtà mi stai dicendo che non vuoi aiutarci? Ah, e dammi del tu.»
«Siamo un’agenzia di adozioni, non bambinaie.» Tornò alla sua scrivania e prese qualche biglietto da visita. «Qui ci sono i nomi e i contatti di alcune agenzie molto rispettate. Possono fornirti tutte un ottimo servizio.»
Mentre Claire gli passava i biglietti, Bella si mise a piangere, come se avesse capito che stava per essere passata di mano ancora una volta.
Matt provò comprensione per quello che lei stava passando. Quando era un bambino, forse a tre anni, aveva provato una strana sensazione su suo padre, come se lui e Cedric Patterson non fossero compatibili, come se una parte di lui avesse sempre saputo che Cedric non era suo padre e lui non faceva parte della famiglia Patterson. Anche se Bella era molto più piccola, era sicuro che il suo inconscio stesse registrando quello che le stava succedendo. Magari non riusciva a capirlo del tutto, ma era spaventata. Se non per altro, era una settimana che non vedeva i suoi genitori. Era sola e impaurita.
Anche se da un punto di vista pratico non aveva senso, improvvisamente la felicità della bambina divenne più importante della sua preoccupazione per i pannolini sporchi.
Infilò di nuovo le mani nelle tasche dei pantaloni. «Non voglio una bambinaia. Non ancora, almeno. Non voglio lasciarla con un’altra estranea.»
Claire Kincaid era l’unica persona che non fosse estranea a Bella.
La guardò negli occhi e le propose l’unica soluzione sensata. «Ti pagherò quello che vuoi per passare la prossima settimana con me.»
Claire sapeva che l’offerta era per i servizi da bambinaia, ma si sentì arrossire. Matt Patterson non sapeva occuparsi di un bambino, ma era un uomo attraente. Era alto circa un metro e ottanta e, anche se non torreggiava su di lei, era alto abbastanza da costringerla a piegare la testa per guardarlo. I suoi capelli erano di un castano chiaro luminoso, tagliati corti. I suoi occhi verdi si illuminavano quando sorrideva e diventavano freddi quando non otteneva ciò che voleva. Ma in ogni caso sembravano sempre attenti, come se ogni cosa che lei dicesse o facesse fosse di importanza vitale. E ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, lei provava un brivido di attrazione.
Non le succedeva da anni e all’improvviso reagiva in quel momento? E a quel tipo? Un uomo che aveva lasciato la sua bambina a un’agenzia di adozioni per quattro giorni? Che non sembrava volere Bella? Era impazzita?
«Mi spiace, ma come ti ho detto, siamo un servizio di adozioni, non bambinaie.»
Lui fece un passo verso di lei, facendole battere il cuore all’impazzata. Il suo aspetto, tutto ciò che faceva, era così mascolino. «Con lei te la cavi bene, però.»
Lei fece un passo indietro. «Sì, mi piacciono i bambini.»
«Non è solo per quello che sei brava.» La studiò con una smorfia. «Immagino che tu sia entrata in questa linea di lavoro perché hai fatto la babysitter.» La smorfia si approfondì. «Probabilmente mentre eri al college, che non è stato molto tempo fa.»
Claire provò un tremito. Lui era così vicino che le sarebbe bastato sollevare una mano per toccarlo, e per qualche strana ragione desiderava farlo. Toccare la sua pelle. Con tutta la sua attenzione su di lui, il suo corpo iniziò a vibrare.
Stupidi ormoni! Perché dovevano risvegliarsi in quel momento?
Deglutì e fece un altro passo indietro. «Mi sono pagata i primi tre anni di college in questo modo. Non c’è nessuno strano segreto.»
Lui sorrise. Le sue labbra piene si incurvarono e i suoi occhi verdi si illuminarono di piacere. «Peccato. Una bella donna come te dovrebbe avere un segreto. Ti rende misteriosa e... interessante.»
Lei arrossì. Brividi di attrazione le attraversarono la spina dorsale. Era davvero attraente. E affascinante. Ma ricordava cosa le era successo l’ultima volta che