Sordello da Goito e l’Italia peninsulare: Rapporti con l'Abruzzo e il territorio peligno
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Anteprima del libro
Sordello da Goito e l’Italia peninsulare - Comune di Civitella Messer Raimondo
moda.
LA VITA
In un giorno qualunque di un mese anonimo, genericamente individuabile tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII, nacque a Goito, nei pressi di Mantova, un tal Sordello, rampollo con ogni probabilità di una piccola famiglia nobiliare locale; il padre era forse un povero cavaliere chiamato, o soprannominato, Il Corto. La provenienza dalla suddetta cittadina si riscontra nella redazione breve dell’antica biografia occitana (Vida A), mentre nella sua versione estesa (Vida B) specificherebbe meglio il luogo di nascita individuandolo in una località del mantovano denominata Cereda o Cereta, Sereno oppure Serere[1].
Seguendo una tradizione consolidata per quel periodo, la Vida A riferisce che Sordello apprese le tecniche di composizione ed esecuzione dei poemi trobadorici (coblas e sirventesi), pertanto a scopo didattico iniziò a frequentare le corti dei signori circostanti tra i quali annoveriamo il marchese Azzo VII d’Este e in seguito Rizzardo di San Bonifacio. In questa prima fase compose coblas satiriche e forse anche canzoni d’amore, il che gli valse una menzione nel sirventese Li fol e·il put e·il filol composto nel 1220 da Aimeric de Peguilhan, il più famoso trovatore dell’Italia settentrionale all’inizio del XIII secolo. Quel componimento si scagliava contro i giullari dell’ultima ora, «i folli, i bastardi e i ruffiani» tra i quali Sordello non risulta annoverato, sebbene Aimeric pare alluda a una sua predisposizione per il gioco dei dadi.
La Vida B ci restituisce di Sordello un’immagine non proprio idilliaca, mettendone in risalto le doti amatorie e un certo gusto per l’inganno e la falsità nei confronti dei signori che l’ospitavano. Questa cattiva reputazione giunse, un secolo dopo, fino a Benvenuto da Imola, per il quale Sordello «quasi parum sordidus libidine»[2]. Tutto sembrerebbe discendere da un evento cruciale nella sua esistenza, il rapimento di Cunizza da Romano, che egli avrebbe compiuto su ordine del padre di lei, Ezzelino II da Romano (attorno alla cui corte il poeta gravitava) sebbene ella fosse già sposa di Rizzardo di San Bonifacio (1222). Come siano andate in realtà le cose non è determinabile e il primo dubbio risiede nell’incomprensibilità di un ratto commissionato dallo stesso padre a danno dello sposo, al quale aveva precedentemente dato in moglie la figlia. Altre testimonianze si limitano a qualificare Sordello quale semplice uomo di corte presso Ezzelino:
«[…] nobilis et prudens miles, et ut aliqui volunt, curialis, tempore Eccirini de Romano[3].»
Nella vicenda resta prevalente il ruolo di Sordello in base a quanto riportato dalla Vida A, secondo la quale il nostro prima si innamorò, ricambiato, di Cunizza; poiché i rapporti tra i fratelli di lei e il marito si raffreddarono, quest’ultimo si allontanò dalla moglie, e solo allora Ezzelino III e Alberico, fratelli di Cunizza, commissionarono il rapimento a Sordello, anche se altrove l’unico committente risulterebbe il solo padre Ezzelino II. Comunque sia rimane chiaro che la responsabilità del ratto non è ascrivibile al solo Sordello perché i committenti furono i da Romano; infatti alla base di questo atto risulta un peggioramento dei rapporti tra le due famiglie, nonostante il matrimonio tra Cunizza e Rizzardo.
Sulla fase successiva, piuttosto convulsa, tra le due stesure della Vida non vi sarebbe accordo perché mentre da una parte (A), dopo il rapimento Sordello, sarebbe rimasto nascosto presso i da Romano, dall’altra (B) si sostiene che egli soggiornò in Veneto presso i signori di Strasso, Guglielmo e Valpertino. Qui, avrebbe preso segretamente in moglie la sorella di Valpertino, Otta, anche se di tale matrimonio non risultano prove documentali. In ogni caso, si fa risalire a questo evento la fuga presso i da Romano, avendo alle calcagna le truppe dei San Bonifacio e quelle degli Strasso.
Sia le due versioni de la Vida che altre testimonianze sono invece concordi per quanto riguarda la fase successiva, ovvero la partenza per la Provenza, da collocarsi tra il 1228 e il 1229[4]. Ciò è avvalorato dallo stesso Peire Bremon Ricas Novas (En la mar major) per il quale l’abbandono dell’Italia da parte di Sordello dipese dal compimento di un certo atto scellerato, forse il rapimento di Cunizza. Sebbene ci siano altre prove in componimenti trobadorici del suo arrivo in Provenza[5], in altri casi il parallelismo dagli studiosi moderni non sempre è considerato automatico. Valga su tutti Peire Guillem de Luzerna il quale, in Qi na Cuniça guerreja tenta di preservare la reputazione di Cunizza, messa in forte discussione dopo che, superato l’episodio del ratto, si diede alla fuga con il cavaliere Bonio da Treviso; la sua perorazione sarebbe servita a scongiurare gli attacchi di un certo personaggio, per il quale è inutile andare «in Provenza a fare il galante».
Di certo, e ciò suscita alcune perplessità che in seguito approfondiremo, la Vida A riferisce che in Provenza Sordello riceverà un’accoglienza di segno del tutto opposto rispetto a quella che ci si attenderebbe avendo alle spalle la reputazione negativa che emerge dai componimenti trobadorici dei suoi colleghi. Infatti, il conte Raimondo Berengario IV e la sua consorte lo tennero nella massima considerazione:
«[…] ricevette grandi onori da ogni gentiluomo e da parte del conte e della contessa che gli donarono un buon castello e una nobile sposa. (Vida A)[6].»
La redazione B, inoltre, precisa che Sordello si sarebbe innamorato di una donna che lui avrebbe chiamato Doussa-Enemia (dolce nemica)[7]. Si tratta di un senhal che ritorna due volte nelle sue poesie.
Non si hanno notizie certe di un suo soggiorno antecedente in Spagna (presso Ferdinando III di Castiglia, re di Lèon dal 1230, e presso Savaric de Maulèon, siniscalco del Poitou) come affermato da Bremon (En la mar major) e come poi sostenuto da Marco Boni[8] e da altri studiosi in epoca attuale