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Il Novecento - Scienze e tecniche (69): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 70
Il Novecento - Scienze e tecniche (69): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 70
Il Novecento - Scienze e tecniche (69): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 70
E-book1.108 pagine10 ore

Il Novecento - Scienze e tecniche (69): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 70

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Info su questo ebook

In questo ebook si illustra quell’imponente mole di conoscenze e gli straordinari avanzamenti metodologici e tecnici che hanno consentito di meglio definire o scoprire principi e meccanismi implicati nelle fenomenologie osservate e nella definizione degli strumenti logico-matematici usati per sviluppare tecnologie che hanno radicalmente cambiato la vita quotidiana dell’uomo occidentale. Nel corso del Novecento le tecnologie e le scienze diventano il motore e il carburante delle economie occidentali, ma il rapporto tra scienza e società si fa sempre più controverso alla luce dei risvolti devastanti che il progresso scientifico ha dimostrato: dai gas venefici della prima guerra mondiale alla bomba atomica della seconda alle dottrine eugenetiche del razzismo, ci si comincia a interrogare sul reale significato della parola progresso, sulle linee che la scienza deve tenere per giovare realmente alla natura umana e i risvolti etici che comporta. Grazie anche ad una crescente alfabetizzazione scientifica e ad una sempre maggiore specializzazione, il sapere tecnico scientifico ha indubbiamente conosciuto uno sviluppo sorprendente in ogni disciplina, offrendo all’umanità una conoscenza e una qualità della vita senza precedenti. La chimica dei polimeri, all’origine delle materie plastiche, le teorie fisiche unificate, l’elettrodinamica quantistica, le nanotecnologie, il nucleare, la cibernetica e le scienze dell’artificiale, internet, il digitale, la conquista del cosmo, e tutto l’ampio panorama delle scienze mediche coi progressi della biochimica, della biologia molecolare, della neurologia, i trapianti e la medicina rigenerativa, la chirurgia e la procreazione assistita: questi sono solo alcuni dei moltissimi aspetti affrontati in questo ebook, sia sul piano dei traguardi raggiunti, sia sui risvolti sociali e culturali che comportano.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2014
ISBN9788898828036
Il Novecento - Scienze e tecniche (69): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 70

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    Anteprima del libro

    Il Novecento - Scienze e tecniche (69) - Umberto Eco

    copertina

    Il Novecento - Scienze e tecniche

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Novecento

    Scienze e tecniche

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla scienza e tecnologia del Novecento

    Gilberto Corbellini e Pietro Corsi

    Nel corso del Novecento le tecnologie e le scienze diventano il motore e il carburante delle economie occidentali. Anche nei Paesi in via di sviluppo, in particolare quelli che nel corso degli anni Ottanta del Novecento assurgono al rango di Paese sviluppato, come per esempio la Cina o l’India, i miglioramenti dell’economia e della qualità della vita sono largamente dipesi dall’acquisizione passiva o attiva di competenze scientifiche e tecnologiche, anche se l’efficacia con cui il progredire della scienza e della tecnologia ha favorito un’equa distribuzione dei benefici è dipeso comunque dai livelli di democrazia e di partecipazione politica all’interno delle stesse nazioni.

    Paradossalmente, negli ultimi anni scienza e tecnologia sono state sempre più percepite, soprattutto nelle democrazie occidentali (nei Paesi cioè che più hanno goduto del benessere e dei livelli culturali sostenuti dallo sviluppo delle conoscenze) come una minaccia per l’ambiente, per la salute e per la libertà. In più occasioni gli scienziati si sono sentiti sottoposti a forti pressioni, e al rischio di non poter continuare liberamente il loro lavoro. Si tratta di un fenomeno rispetto al quale si è cercato di reagire con politiche culturali volte ad aumentare il tasso di alfabetizzazione scientifica dei cittadini e della società nel suo insieme. Si sconta al tempo stesso un ritardo culturale e formativo che scaturisce da una scarsa percezione storica del ruolo che la scienza ha svolto per lo sviluppo economico e civile dell’umanità. In tale situazione la storia della scienza e della tecnologia, e in particolare delle acquisizioni conoscitive e delle articolazioni socio-politiche della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica, può aiutare a capire cosa è accaduto e cosa sta accadendo. È chiaro però che le conseguenze di un rallentamento dei processi di innovazione scientifica e tecnologica nei Paesi occidentali sarebbero (e in parte già sono) devastanti dinanzi alla crescita esponenziale del megasistema tecnologico-produttivo dell’area cinese e indiana.

    Non si può non dar ragione a Gerald Holton, storico della scienza di Harvard, quando afferma che la scienza e la sua storia rappresentano l’unica vera dimostrazione della capacità dell’uomo di ragionare; più problematico, forse, è dar seguito al suo invito agli scienziati e agli storici affinché assumano come una sorta di dovere civile il compito di diffondere questa verità. Perché negli ultimi decenni – anche nell’ambito della stessa storia della scienza, e soprattutto a livello di storiografia della scienza contemporanea – si è affermata la tendenza a privilegiare la contestualizzazione socio-economica e istituzionale dell’attività scientifica, piuttosto che l’idea che la scienza possiede delle peculiarità dovute al fatto di fondarsi su una metodologia che produce risultati meglio controllabili e controllati rispetto a qualsiasi altra attività conoscitiva umana.

    Descrivere l’impresa scientifica prevalentemente in termini di rapporti tra persone, istituzioni, oggetti o apparati e asserti, ovvero ampliando i contesti di riferimento che gli approcci sociologici ritengono possano concorrere a costruire l’attendibilità di una teoria o di un programma di ricerca scientifico, non ha migliorato la comprensione di come funziona la scienza. Si è certamente arricchito l’apparato interpretativo storiografico e sono proliferate le interpretazioni critiche delle dinamiche sociali, economiche e culturali che si producono intorno e all’interno delle modalità concrete di produzione dei dati scientifici o delle valutazioni di pertinenza ed efficacia di particolari sviluppi tecnici; ma questo processo ha portato anche a relativizzare e marginalizzare la portata conoscitiva e metodologica dei risultati prodotti dalla ricerca di base.

    La scienza accelera: i nuovi sviluppi tecnologici e scientifici

    Nel contesto di questa opera sulla storia della cultura occidentale si è cercato di favorire una percezione articolata degli sviluppi del sapere scientifico, nonché degli strumenti, degli apparati, delle istituzioni e delle politiche che hanno alimentato le ricadute di quella che è stata chiamata la seconda rivoluzione scientifica, e che ha avuto luogo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Una rivoluzione che ha creato le condizioni affinché dopo la seconda guerra mondiale si realizzasse un’ulteriore accelerazione e radicale trasformazione dei modi e dei contenuti della pratica scientifica: forse una terza rivoluzione scientifica.

    Si è innanzitutto cercato di dare un’idea dell’imponente mole di conoscenze scaturita dalla ricerca di base, ovvero degli straordinari avanzamenti metodologici e tecnici che hanno consentito di meglio definire o scoprire principi e meccanismi implicati, a vari livelli di organizzazione e su differenti scale temporali, nella produzione delle fenomenologie osservate, nonché nella definizione degli strumenti logico-matematici utilizzati per strutturare i ragionamenti. E di descrivere come sono state sfruttare le spiegazioni e il controllo delle fenomenologie naturali per sviluppare tecnologie che hanno radicalmente cambiato la vita quotidiana dell’uomo occidentale. Gli avanzamenti a livello delle spiegazioni e delle tecniche vengono quindi contestualizzati in riferimento alle implicazioni filosofiche e alle interazioni che il sapere scientifico e tecnico ha stabilito durante il Novecento con le altre attività culturali umane.

    A partire dalla fine dell’Ottocento cambiano i rapporti tra scienza, potere politico, stato e industria, e ambiti e programmi di ricerca hanno sperimentato, in contesti geografici differenti, nuove forme di collaborazione. Ciò è avvenuto sotto l’impulso di eventi socio-politici che hanno mobilitato la scienza e gli scienziati (in particolare le due guerre mondiali, e soprattutto la seconda) sia in rapporto alle trasformazioni intervenute nel modo di produrre conoscenza scientifica, sia alla crescente sensibilizzazione sociale per i risvolti etici della ricerca scientifica e delle sue applicazioni. Non è ovviamente possibile analizzare in questa sede tutti i fattori e le scelte politiche che hanno concorso all’emergere delle differenti tipologie di sistemi scientifico-tecnologici che nei diversi Paesi, sulla spinta di istanze e condizioni locali, hanno consentito l’affermarsi dei programmi di ricerca più produttivi. Ci si è dunque limitati a illustrare alcuni momenti, per mettere in evidenza le differenti logiche e i diversi ruoli che hanno giocato in contesti e tempi diversi i finanziamenti pubblici e privati. Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno guidato la riorganizzazione della ricerca scientifica e tecnologica attraverso la creazione di complessi apparati in cui gli scienziati vengono impiegati in imprese e agenzie statali, in stretta connessione con il mondo universitario. Questa organizzazione della ricerca ne ha fatto anche lievitare i costi e ha determinato l’intervento massiccio di interessi commerciali che hanno imposto nuove strategie di collaborazione con l’industria; con la rivoluzione biotecnologica abbiamo assistito all’apertura dell’università stessa allo sfruttamento commerciale dei risultati della ricerca.

    I conflittuali rapporti tra scienza e società

    Nel corso del Novecento è anche cambiato il rapporto tra scienza e società; si sono succedute diverse rivolte culturali contro la scienza articolate in modi, in tempi e luoghi diversi. Mentre con la prima guerra mondiale entrava in crisi l’immagine della chimica come scienza dedicata al progresso umano e in grado di creare prodotti artificiali migliori di quelli naturali (dato che in quell’ambito erano stati messi a punto gli esplosivi e i gas venefici utilizzati come armamenti di distruzione), le scienze biologiche applicate all’agricoltura, all’igiene e alla medicina conservavano ancora tra le due guerre un valore positivo, e si riteneva che potessero svolgere una funzione importante per realizzare un progresso a misura d’uomo e rispettoso della natura. L’invenzione della bomba atomica e il contributo dei ricercatori allo sviluppo degli armamenti durante la guerra fredda, così come l’ingresso nei teatri di battaglia, durante la guerra del Golfo, di una raffinata tecnologia da tempo al servizio della guerra intelligente, hanno coinvolto la scienza e la tecnologia in quanto tali nella critica politica alle logiche di dominio sociale e internazionale. Lo sfruttamento civile dell’energia atomica è stato invece oggetto di critiche per i rischi ambientali e sanitari associati a una tecnologia ritenuta pericolosa. Una serie di incidenti, in particolare quelli alle centrali di Three Miles Island (USA) e di Cernobyl (Ucraina) hanno alimentato un’irrazionale paura, e favorito il proliferare di movimenti politici ambientalisti che attraverso la propaganda antinucleare prima e contro le biotecnologie poi, hanno guadagnato la scena e condizionato negativamente la percezione del ruolo della scienza e della tecnologia nella società.

    Con la fine della seconda guerra mondiale si scoprono anche gli abusi e le limitazioni delle libertà individuali perpetrate nell’ambito della medicina e delle scelte di sanità pubblica sulla base di pseudogiustificazioni scientifiche, come nel caso delle dottrine eugeniche o razziali.

    Le pressioni esercitate dalla nuova organizzazione della ricerca biomedica e dalla crescente domanda sociale di prestazioni e successi medici non hanno favorito l’emergere di un’etica medica professionale non più paternalistica, in grado di corrispondere ai nuovi valori delle democrazie occidentali. Sotto l’impulso di casi sensazionali o clamorosi e di riflessioni religiose, filosofiche, politiche e giuridiche si è affermata un’etica biomedica incentrata soprattutto sul riconoscimento dell’autonomia decisionale del paziente.

    La percezione sociale delle scienze biomediche nel secondo dopoguerra rimane a lungo ambivalente. Per cui se da un lato la scoperta e la produzione industriale degli antibiotici e lo sviluppo di nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche alimentano un’immagine ancora positiva delle scienze biomediche, la vicenda del DDT, l’insetticida largamente utilizzato per distruggere le zanzare portatrici dell’agente responsabile della malaria, mostra che quella che può inizialmente apparire come la soluzione di molti problemi sanitari può successivamente diventare l’emblema delle conseguenze avverse che possono scaturire dalla scienza applicata alla sanità pubblica. È questo il clima che prepara le controverse reazioni all’invenzione della tecnologia del DNA ricombinante e alle applicazioni della biotecnologie in campo agricolo e zootecnico.

    Questi fenomeni hanno prodotto a livello culturale la transizione da una ideologia del progresso a una ideologia del limite – per usare le espressioni di Gerald Holton – diffondendo per la prima volta l’idea che vi possa essere una contraddizione tra scienza e democrazia, tra avanzamento della scienza e miglioramento della qualità della vita umana. Con l’emergere delle istanze etiche, e in modo particolare della bioetica, soprattutto le scienze biologiche e mediche vengono percepite come una minaccia, fonti di catastrofi e attentati alla dignità umana. In Europa, in particolare, si è affermato, anche a livello normativo, un atteggiamento precauzionale rispetto alla politica della ricerca e dell’innovazione. Il principio di precauzione, formulato per la prima volta nel 1992 alla conferenza di Rio sulla biodiversità, è stato ripreso in uno specifico documento dalla Commissione Europea (2000). Tale principio sottomette l’applicazione delle tecnologie a un attento esame di valutazione – condotto su dati scientifici e statistici – che garantisca l’assenza di rischio a danno delle persone e dell’ambiente. Esso riflette certamente l’atteggiamento di una popolazione benestante desiderosa di fermare il tempo e ritiene che limitare la scienza e la tecnologia rappresenti una garanzia per mantenere le conquiste ottenute. Si tratta di un atteggiamento tutt’altro che sensato.

    Le risposte della comunità scientifica ai cambiamenti della percezione della scienza sono oggi lontane dall’idea, emersa negli anni Trenta del Novecento, che sia una precisa responsabilità sociale dello scienziato battersi perché gli avanzamenti scientifici si traducano rapidamente in progresso sociale, e che in questo senso sia un dovere morale e sociale per gli scienziati divulgare attivamente e direttamente il risultato del proprio lavoro, poiché questo rappresenta un livello di conoscenza fondamentale indipendente dal contesto sociale. Per cause complesse, non ultime quelle legate al coinvolgimento della scienza nella creazione degli armamenti atomici, e nella messa a punto di brevetti industriali o farmaceutici, negli ultimi tre decenni si è privilegiata una strategia volta a persuadere il pubblico sui benefici che la scienza può recare alla società.

    In realtà la comunità scientifica ha assunto acriticamente e unilateralmente l’esistenza di una domanda sociale di informazione e di un golfo di ignoranza da riempire, dando per scontata l’esistenza di un’audience passiva, pronta ad ascoltare con interesse. A partire dagli anni Ottanta – soprattutto in Gran Bretagna – si è assistito alla nascita del movimento del public understanding of science, che ha ben presto progressivamente modificato la propria filosofia comunicativa, orientandosi verso il public engagement with science and technology. In altre parole si è riconosciuto che la presente fase critica nei rapporti tra scienza e società dipende da una sostanziale mancanza di fiducia nella scienza e negli scienziati, una mancanza di fiducia che si esprime soprattutto quando entrano in gioco incertezza e rischio. Nel contesto delle moderne democrazie la scienza non può ignorare l’arena pubblica e i suoi valori, per cui diventa necessario promuovere e intensificare le occasioni di dialogo tra la comunità scientifica e la società, allo scopo di garantire che la scienza e la tecnologia continuino a essere riconosciute come fonti di benefici economici e sociali e di sviluppo civile e culturale. Al tempo stesso, la comunità scientifica deve riconoscere che timori ed esitazioni di parti consistenti dell’opinione pubblica non possono venire disattesi o considerati mero frutto di ignoranza e pregiudizio.

    In questa situazione un ruolo importante nella valorizzazione della portata culturale e civile della scienza può svolgerlo anche lo storico della scienza. Di fatto sia la formazione degli scienziati sia le argomentazioni prodotte nel corso delle controversie pubbliche sui temi scientifici mancano sempre più di spessore storico. E l’affermarsi di una percezione astorica della scienza può essere facilmente fonte di pregiudizi e determinare un’incapacità di collocare i problemi all’interno di una rete sufficientemente ampia di riferimenti puntuali capaci di favorire atteggiamenti più sobri e pragmatici.

    La ricerca e la formazione storica possono invece fornire le coordinate epistemologiche e socio-culturali per comprendere meglio i termini delle controversie in corso sui cambiamenti che stanno interessando all’alba dell’era genomica soprattutto la biologia e la medicina. Inoltre, una maggiore contestualizzazione storica dei temi che sono oggetto di comunicazione scientifica nei media può contribuire a collocare i problemi della scienza e della tecnologia in una prospettiva culturale più ampia, valorizzando le dimensioni conoscitive oltre che quelle applicative della ricerca. La formazione di aspettative meno estreme nei riguardi della scienza contemporanea, ovvero il superamento delle percezioni di minaccia o delle attese di traguardi sensazionali, a favore di prospettive ragionevolmente ottimistiche, passa probabilmente attraverso un’alfabetizzazione non solo scientifica ma anche storico-culturale della società.

    Scienza e società

    La storia della scienza

    Pietro Corsi

    Compito della storia della scienza è aiutare a tracciare i contorni di un universo di pratiche teoriche, sperimentali e tecnologiche che negli ultimi due secoli ha trasformato e sta trasformando l’umanità. L’approccio storico dei temi scientifici consente infatti di allargare la prospettiva di indagine e di studio, valorizzando anche la dimensione conoscitiva, oltre che quella applicativa propria della ricerca.

    Ambiti e obiettivi di indagine

    Thomas Kuhn

    Le rivoluzioni scientifiche: l’astronomia copernicana

    Si consideri innanzitutto un caso particolarmente famoso di mutamento di paradigma: la nascita dell’astronomia copernicana. Quando la teoria precedente, il sistema tolemaico, fu sviluppata per la prima volta nel corso degli ultimi due secoli prima di Cristo e dei primi due dopo Cristo, esso riusciva meravigliosamente a prevedere le mutevoli posizioni sia delle stelle che dei pianeti..[...] Fin dall’inizio del XVI secolo, i migliori astronomi d’Europa in numero sempre crescente riconoscevano che il paradigma dell’astronomia non era riuscito a risolvere i suoi problemi tradizionali. Questo riconoscimento preparò il terreno sul quale fu possibile a Copernico abbandonare il paradigma tolemaico ed elaborarne uno nuovo. La sua famosa prefazione costituisce ancor oggi una descrizione classica di uno stato di crisi.

    T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1969

    Al pari di altri termini che denotano ambiti di ricerca di notevole complessità (come ad esempio storia della letteratura o storia economica), storia della scienza sta a indicare una famiglia di imprese caratterizzata da profonde differenze metodologiche, e da diverse e spesso incompatibili priorità concettuali, aventi per ambizione comune l’illustrare e comprendere lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. Il problema di fondo sta ovviamente nel definire cosa indichi o abbia indicato il termine scienza: a un livello molto elementare, per alcuni il termine si applica solo a quelle discipline e scoperte che hanno portato un contributo alle conoscenze attuali, mentre per altri tale criterio è anacronistico, in quanto impedisce di comprendere come e per quali vie le nostre società abbiano elaborato complessi sistemi di interazione concettuale o strumentale con il proprio ambiente naturale e umano. Per fare un solo esempio, nel XX secolo diversi storici hanno prestato attenzione sistematica allo sviluppo di discipline quali l’alchimia o l’astrologia, considerate da una lunga tradizione settecentesca e ottocentesca di studi filosofici sulla scienza del passato come pratiche più legate alla magia che ai saperi positivi. Alchimisti e astrologi avevano elaborato procedure sperimentali e criteri di precisione nelle osservazioni che divennero patrimonio comune di chimici e astronomi. Infine, personaggi che hanno contribuito in modo fondamentale allo sviluppo delle scienze moderne, quali Keplero o Newton, avevano consacrato energie notevoli a pratiche astrologiche o alchemiche. Per dirla tutta, Newton avrebbe considerato l’appellativo di scienziato (un termine introdotto nella lingua inglese solo nel 1834) come fortemente riduttivo se non addirittura offensivo.

    In Italia, come in diversi altri Paesi, e in particolare nel mondo anglosassone, gli storici della scienza hanno dato vita a programmi di ricerca di grande respiro, che hanno trovato concreta espressione in decine di migliaia di monografie, contributi a riviste specializzate, edizioni critiche delle opere, dei manoscritti e degli epistolari di grandi scienziati del passato recente e remoto. Sono oggi attive al mondo più di 300 tra riviste, bollettini e newsletters dedicati ai vari aspetti e interessi disciplinari della storia della scienza, della medicina, della tecnologia e degli strumenti scientifici. In molti Paesi sono presenti società di storia della scienza, e sono anche numerose le organizzazioni che raccolgono studiosi di specifiche sotto-discipline (storia della chimica, della biologia o della matematica, ad esempio); l’insegnamento della storia della scienza è entrato a far parte di molti curricoli universitari, mentre a livello delle scuole secondarie elementi di storia della scienza affiancano talvolta la trattazione di tematiche filosofiche, storiche e scientifiche. Si sostiene da molte parti, e a ragione, che in società sempre più condizionate da importanti investimenti finanziari e umani nello sviluppo di nuove conoscenze e di nuove tecnologie, sarebbe importante integrare l’insegnamento di discipline storiche, filosofiche e scientifiche con elementi di storia delle scienze e delle tecniche.

    Molti gruppi di storici della scienza hanno utilizzato e utilizzano internet per diffondere i risultati delle proprie ricerche, e sono disponibili siti che offrono testi, manoscritti, ricostruzione di strumenti e di esperimenti, e informazioni bibliografiche pressoché esaustive.

    Nascita di una disciplina

    Nel corso dei primi tre decenni del Novecento, la storia della scienza conosce le sue prime forme di istituzionalizzazione, sia a livello nazionale sia internazionale, a opera soprattutto di scienziati-storici che si rifanno al pensiero positivista. Lo stesso Auguste Comte, fondatore della corrente filosofica nota col nome di positivismo, sostiene nel 1832 una sfortunata battaglia istituzionale per creare una cattedra di storia della scienza presso il Collège de France, a Parigi, una proposta ripresa nel 1863 dal suo discepolo Émile Littré. La cattedra di Histoire générale des sciences viene finalmente istituita nel 1892, per essere poi abolita nel 1923. All’insegnamento di Comte si rifà anche il belga Georges Sarton, che fonda nel 1913 la rivista Isis, in seguito organo ufficiale della History of Science Society americana, riunita per la prima volta nel 1924, e oggi la più numerosa e attiva. L’invasione tedesca del Belgio aveva infatti spinto Sarton a emigrare negli Stati Uniti; non senza difficoltà, era approdato ad Harvard, dove poi avrebbe posto le basi per l’istituzione del primo Dipartimento di storia della scienza in America e uno dei primi al mondo. L’esempio di Sarton viene seguito in Italia da Aldo Mieli, che nel 1919 dava alla stampa il primo numero dell’Archivio di storia della scienza. Nel 1926 veniva creata la prima cattedra inglese di storia della scienza, presso l’University College di Londra.

    A livello internazionale un importante stimolo a stabilire rapporti organici tra i pochi storici della scienza sparsi in diversi Paesi viene nel 1900, in occasione dell’Esposizione universale di Parigi. In questa occasione si tiene un congresso di storia comparata, che ospita, grazie all’impegno dello storico e filosofo positivista Paul Tannery, una sezione di storia della scienza. È tuttavia solo col Congresso di scienze storiche organizzato a Oslo nel 1928, che si giunge alla creazione di un Comitato internazionale di storia delle scienze, che darà poi vita all’Académie internationale d’histoire des sciences, una istituzione ancora esistente anche se scarsamente attiva.

    Tra la fine degli anni Venti e gli anni Ottanta, e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale sotto l’egida dell’UNESCO e delle Accademie delle Scienze di vari Paesi, vennero istituite l’International Union for the History of Science e l’International Union for the Philosophy of Science, che tengono ogni quattro anni dei congressi mondiali. Diverse ragioni di ordine politico e scientifico hanno nel corso degli anni affievolito l’efficacia dell’originario impeto cosmopolita; sono così sorte diverse organizzazioni internazionali, più specialistiche, autofinanziate e fondate su principi di democrazia partecipativa che ne hanno sancito il forte successo. Così, a titolo di esempio, molti storici delle scienze della vita si riconoscono in un organismo gestito direttamente dagli studiosi iscritti, che tiene convegni internazionali ogni due anni.

    Alcune imprese editoriali di grande respiro, dedicate alla riedizione di classici della scienza, hanno contribuito alla diffusione dell’interesse per la storia della scienza. Nel 1889 il fisico e filosofo tedesco Wilhelm Ostwald pubblica a Lipsia il primo di circa 250 volumi della collana Klassiker der Exacten Naturwissenschaften. Il suo esempio viene seguito nel 1910 da Karl Sudhoff (1853-1938) con i Klassiker der Medizin. Sudhoff, il cui insegnamento ha avuto un’importanza fondamentale nello sviluppo della storia della medicina, grazie anche ad allievi quali Walter Pagel (1898-1983), Henry Sigerist (1891-1957) e Owsei Temkin – emigrati in Inghilterra il primo, negli Stati Uniti gli altri due – è tra i fondatori della Deutsche Gesellschaft für Geschichte der Medizin, costituisce nel 1905 un importante Istituto per la storia della medicina a Lipsia, e nel 1908 dà vita alla rivista Archiv für Geschichte der Medizin, poi nota come Sudhoffs Archiv. L’esempio tedesco sarà seguito due anni dopo in Italia, con la fondazione della Rivista critica di storia delle scienze mediche e naturali.

    Tradizionalmente, eminenti rappresentanti della disciplina si sono consacrati all’edizione di opere di scienziati del passato, di corrispondenze e manoscritti. La tendenza, affievolitasi nel corso dei decenni che seguono la seconda guerra mondiale, anche a ragione dei rilevanti costi editoriali, conosce oggi una notevole ripresa grazie all’elettronica e alle tecnologie internet. Numerosi sono, infatti i siti web che mettono a disposizione degli internauti l’edizione digitale degli scritti di grandi scienziati del passato – da Galilei a Lamarck, da Ampère a Einstein – consentendo la facile consultazione di opere e manoscritti spesso molto rari o difficilmente reperibili.

    Modi di pensare, modi di fare: filosofi, storici, politici, sociologi

    Già ai suoi esordi istituzionali nei primi anni del Novecento, la storia della scienza si presenta come un ambito di studi su cui convergono contributi da diverse prospettive della ricerca filosofica, sociologica e storica, segnato da forti tensioni a livello del dibattito sui criteri di demarcazione della disciplina e sulle implicazioni sociali e politiche della scienza e della sua storia. La storia della scienza è spesso concepita come il terreno privilegiato su cui mettere alla prova tesi forti su cosa si debba intendere per scienza, elaborate da filosofi o sociologi, o motivate da polemiche culturali di vasto respiro. Così, ad esempio, tesi filosofiche formulate nell’ambito del neopositivismo di lingua tedesca, trapiantato poi, a causa del nazismo, in Inghilterra e negli Stati Uniti, invitano gli storici a esaminare la struttura logica delle teorie scientifiche nel loro succedersi storico; criteri ispirati alla filosofia della logica e della matematica delimitano il lavoro dello storico allo studio di un numero limitato di questioni, e restringevano rigorosamente, a volte dogmaticamente, il campo di ricerca. In ambito francese, filosofie di stampo idealistico invitavano anch’esse a considerare solo gli aspetti teorici delle scienze mature, essenzialmente le discipline fisico-matematiche, e in particolar modo le teorie destinate a grande successo nel mondo scientifico della prima metà del XX secolo. Lo storico deve affiancare le riflessioni del filosofo con opportuni esempi di come la scienza si sia sviluppata, e tracciare la strada spesso lineare che dal passato conduce al presente. Particolarmente importante in ambito francese è la tesi secondo cui le condizioni materiali, sociali, e persino strumentali dello sviluppo storico delle conoscenze scientifiche abbiano esercitato un’influenza del tutto trascurabile sulla storia delle teorie. Come affermava un grande storico francese, Alexandre Koyré , per altro attento ai rapporti tra scienza, filosofia e teologia, la storia della scienza è storia dell’elaborazione di grandi quadri concettuali di tipo matematico, ed esemplifica l’itinerarium mentis in veritatem dell’intelletto umano.

    A partire dalla fine degli anni Cinquanta, e fino a tutti gli anni Ottanta del Novecento, il processo di revisione e in molti casi di abbandono delle prospettive e delle priorità di ricerca dell’empirismo logico ha animato il dibattito interno alla filosofia della scienza. Tuttavia, è da notare che i dibattiti interni alla filosofia della scienza postempirista non hanno praticamente lasciato tracce sugli studi di storia della scienza. In un saggio del 1990 sui rapporti tra storia e filosofia della scienza, Larry Laudan – professore di filosofia della scienza all’università delle Hawaii e autore di numerosi articoli e libri sulla natura della conoscenza scientifica – lamenta: I filosofi della scienza, o almeno molti di loro, sono oramai convinti che la storia e la filosofia della scienza hanno senso solo se portate avanti di concerto. Al contrario, l’opinione prevalente tra gli storici della scienza è che le proposte di matrimonio del corteggiatore filosofo debbano essere sommariamente respinte.

    La pluralità di proposte epistemologiche attualmente discusse dai filosofi della scienza rivela la complessità del compito di fornire una descrizione accurata e perspicua dei meccanismi logici e degli apparati linguistici, delle dimensioni psicologiche e sociali che entrano a far parte del processo di costruzione e trasmissione di teorie e discorsi scientifici. È inoltre emersa con forza crescente la convinzione che sarebbe quanto meno fuorviante attribuire a tali controverse definizioni di scienza l’autorità di prescrizioni: è in effetti difficile sostenere, ad esempio, che modelli epistemologici sufficienti a render conto di aspetti particolari del discorso scientifico nelle discipline fisico-matematiche, possano costituire utili elementi di indagine se applicati alle scienze della vita, della Terra o della società. Infine, il fenomeno scienza, se esaminato dal punto di vista storico, non può certo venire descritto solo in termini di teorie o statuti di verificazione e falsificazione: la scienza moderna si presenta infatti come un fenomeno economico, politico, istituzionale, etico e sociale di notevole complessità.

    Gli storici della filosofia non attendono certo la crisi del neopositivismo per dar vita ad ambiziosi progetti di ricerca sulle relazioni tra pensiero filosofico classico e nascita della scienza moderna. Un interesse per la storia della scienza emerge ad esempio negli Stati Uniti nel circolo di studiosi riuniti nel 1922 da George Boas e Arthur Onken Lovejoy nell’History of Ideas Club. Lovejoy pubblica nel 1936 The great chain of being, letta da generazioni di studenti in tutto il mondo, e fonda nel 1940 l’altrettanto fortunato Journal of the History of Ideas. Gli storici della filosofia che si riconoscono nel programma di ricerca delineato da Lovejoy, riconoscono poi molti punti di contatto con l’analisi concettuale di Koyré.

    Diametralmente opposto è l’atteggiamento verso la storia della scienza di una scuola di pensiero filosofico e politico, il marxismo, la cui influenza sulla cultura mondiale tra gli anni 1920 e 1970 è oggi facile sottostimare. La storia della scienza marxista fa letteralmente irruzione in occasione del secondo Congresso mondiale della disciplina, tenutosi a Londra nell’estate del 1931, suscitando grande impressione tra i partecipanti. In quell’occasione i delegati sovietici, capeggiati dall’ideologo Nicolaj Bucharin, presentano 13 relazioni, riunite in un volume, Science at the croassroad, destinato a grande successo per circa un quarantennio. Le forze economiche e sociali che plasmano il divenire delle comunità umane determinano anche la costituzione di categorie concettuali che aprono nuove e diverse strade alle conoscenze scientifiche. Naturalmente, gli storici idealisti e positivisti insorgono, aiutati, nel dopoguerra, dal clima di contrapposizione generato dalla divisione in blocchi e dalla guerra fredda. Tuttavia, la storia della scienza marxista ha ispirato, soprattutto nel mondo inglese, progetti di ricerca di straordinaria importanza, come la colossale Storia della scienza in Cina edita dal 1954 al 1984 da Joseph Needham.

    Una terza componente teorica che ha influenzato con crescente successo la storia della scienza del XX secolo proviene dall’ambito della sociologia. La prima sistematica valutazione quantitativa e qualitativa di una comunità scientifica viene intrapresa nel 1936 dal sociologo americano Robert K. Merton in un saggio dal titolo Puritanism, pietism and science, seguito nel 1938 dal fondamentale Science, Technology and Society in Seventeenth Century in England. Più che concentrarsi su testi e teorie, Merton cerca di stabilire un legame tra l’ideologia puritana, responsabile – a suo vedere – della rivoluzione inglese di metà Seicento, e la forte crescita della comunità scientifica, che era proseguita anche nella seconda metà del secolo. Si interroga anche su chi e perché ci si dedica alla scienza, piuttosto che valutare il successo o l’impatto dell’opera di singoli individui.

    Una importante quanto originale rivalutazione del ruolo dei fattori sociologici nei processi scientifici viene elaborata da Thomas Kuhn, fisico e storico della scienza, nel suo The Structure of Scientific Revolutions (1962). La fortunata distinzione tra scienza normale – che si apprende sui libri di testo, e caratterizza il lavoro quotidiano di scienziati che aderiscono a uno stesso paradigma– e periodi di crisi che portano all’affermazione di un nuovo paradigma e all’affermarsi di una nuova fase di scienza normale, assegna a fattori descrivibili in termini sociologici un ruolo di grande rilievo. Le ragioni del mutamento scientifico non risiedono in astratte e improbabili procedure di falsificazione, quanto in dinamiche interne alla comunità scientifica.

    Lo stesso Kuhn, tuttavia, non segue sino in fondo i colleghi sociologi nella pretesa che il fenomeno scienza non si caratterizzi tanto per i suoi contributi alla conoscenza e all’innovazione tecnologica o biomedica, quanto per il suo impatto sulle società contemporanee, occidentali e non.

    Novità e polemiche

    Gli ultimi due decenni del XX secolo sono stati caratterizzati dal proliferare di posizioni metodologiche, spesso influenzate dalla science war scatenatasi tra esponenti della comunità scientifica e filosofi di stampo neopositivistico da una parte, e teorici del postmodernismo e della critica postheidegerriana alle scienze e alle tecniche contemporanee dall’altra. Sarebbe tuttavia limitante caratterizzare l’atteggiamento critico verso la scienza contemporanea dei secondi solo in termini di riferimenti filosofici o ideologici. Esponenti della corrente STS, ovvero Scienza, Tecnologia, Società, partono spesso dall’osservazione che la scienza degli ultimi tre decenni del XX secolo ha molto poco a che vedere con la scienza del passato. La composizione sociale della comunità scientifica attuale, le tensioni che la percorrono a livello di conflitti di genere, di interesse, di competizione, di legami più che organici con apparati industriali e militari, rendono la storia della scienza classica obsoleta, chiusa in una visione romantica e irrealistica di cosa significhi fare scienza nel mondo contemporaneo. Si sostiene da più parti – cosa non nuova, peraltro – che tutta la storia della scienza vada riscritta alla luce delle preoccupazioni del presente, se non addirittura scoraggiata per far posto a studi sulle scienze e le tecniche dell’ultracontemporaneo.

    Il succedersi di tesi forti, se non addirittura radicali, su cosa sia scienza ha da sempre caratterizzato gran parte della storia della scienza. Il che non impedisce né può impedire, naturalmente, la presenza contemporanea di una pluralità di stili di lavoro, di domande e di metodi messi all’opera per comprendere fenomeni tra i più disparati, dall’elaborazione di teorie al perfezionamento di strumenti e di tecniche di osservazione, dall’intrapresa di viaggi di esplorazione alla costruzione di legami forti tra concettualizzazioni dell’attività scientifica e forme di pensiero politico, economico, persino religioso.

    In quanto disciplina storica, la storia della scienza si rivolge sempre più alla comunità degli storici, professionalmente addestrati alla consapevolezza dei rischi di anacronismo in agguato in ogni ricerca che tenti di ricostruire complesse vicende del passato partendo dalle preoccupazioni del presente. La parola scienza indica una pluralità di attività, dalle più astratte e individuali alle più concrete e collettive, dalle più benefiche e utili alle più pericolose e potenzialmente dannose, come ad esempio il settore praticamente sconosciuto delle ricerche sulla guerra biologica. Compito della storia della scienza è aiutare a tracciare i contorni di un universo di pratiche teoriche, sperimentali e tecnologiche che negli ultimi due secoli ha trasformato e sta trasformando l’umanità. Che l’impresa si possa condurre seguendo metodologie e presupposti diversi appare non tanto una scelta, quanto una necessità imposta dalla complessità dell’oggetto di studio.

    Rimandi

    Volume 51: Giovanni Keplero

    Volume 51: Isaac Newton

    Volume 57: La storia delle scienze

    Volume 64: Nuove conoscenze per una nuova società

    Scienza e religione: la questione dell’autorità

    Ricerca, sviluppo e innovazione

    I laboratori di ricerca

    Storia e filosofia della tecnica

    Volume 70: L’eredità ottocentesca: neokantismo e neoidealismo a confronto

    Volume 70: Marxismi

    Volume 70: Filosofia della scienza

    Volume 70: La sociologia

    Scienza, politica e società

    Pietro Corsi

    I nessi tra scelte politiche (nel campo dell’istruzione, della ricerca di base e delle strutture amministrative e gestionali dei sistemi di ricerca), scienza e sviluppo tecnologico si fanno nel corso del secolo sempre più stretti e vitali per tutti i Paesi sviluppati e in via di sviluppo.

    Successi militari e ricerca scientifica

    Se per alcune teorie scientifiche o tradizioni disciplinari è possibile tracciare filiazioni e continuità con la scienza del passato, non vi è dubbio che il ruolo delle scienze e delle tecniche nella società contemporanea costituisce una novità assoluta nella storia dell’umanità. A partire dalla fine dell’Ottocento e attraverso tre fasi di accelerazione costituite dalle due guerre mondiali e dalla guerra fredda, il ruolo diretto o indiretto dello Stato e la forte sinergia tra ricerca avanzata e sistema industriale hanno prodotto mutamenti quantitativi e qualitativi di enorme portata nella pratica e nella dimensione sociale delle scienze.

    Una prima riflessione sistematica sul ruolo della ricerca scientifica nei destini delle grandi potenze è suscitata dalla travolgente vittoria delle armate prussiane sul ben più numeroso esercito francese intorno al 1870. Si constata allora che la vittoria tedesca è maturata nei laboratori di chimica organica e nel sistema di istruzione tecnica prevalente in molti Stati germanici. Negli stessi anni in Inghilterra una commissione parlamentare diretta da Lord Devonshire (un Cavendish, matematico lui stesso) suona un campanello d’allarme: lo stesso William Cavendish dà per primo il buon esempio, finanziando la costruzione del laboratorio di fisica di Cambridge, a lui intititolato, che nel volgere di alcuni decenni divenne fucina di premi Nobel.

    L’Inghilterra, tuttavia, non agisce con la solerzia che alcuni politici illuminati avevano suggerito. Le università tedesche continuano ad attirare talenti da tutto il mondo, soprattutto nelle discipline fisico-chimiche e biomediche. Allo scoppiare della prima guerra mondiale, la Germania vanta 16.000 studenti in ingegneria, l’Inghilterra solo 4.000. E solo nel 1915, a un anno dall’inizio del conflitto, si decide di non pagare più le royalties alle industrie tedesche per i brevetti degli esplosivi utilizzati per bombardare il nemico.

    La prima guerra mondiale mette in evidenza l’utilità dell’alleanza tra ingegneri, fisici e chimici, una alleanza che diventa programmatica a partire dalla seconda guerra mondiale e nel corso della guerra fredda. Nel conflitto del 1914-1918, i chimici dei due schieramenti gareggiano per produrre gas letali, i cui orribili effetti suscitano vivaci proteste internazionali; vengono mobilitati anche meteorologi, per studiare il regime dei venti affinché i gas non colpiscano le proprie linee, come pure geologi, per valutare dove scavare trincee, e ingegneri meccanici per adattare il sistema di trasporti alla necessità di muovere rapidamente decine di migliaia di uomini.

    La prima guerra mondiale mostra l’efficacia produttiva e distruttiva di ricerche scientifiche concentrate su obiettivi applicativi precisi, supportate da finanziamenti impensabili in tempo di pace. Convince anche alcuni grandi industriali, in Europa come negli Stati Uniti, che gli investimenti in ricerca sono certamente costosi, ma indubbiamente fruttuosi. Inoltre i massicci investimenti in tecnologie meccaniche e chimiche realizzati a spese dell’economia di guerra, contribuiscono alla costituzione di grandi gruppi industriali, o permettono a settori dell’industria di ampiare in modo considerevole i propri mercati.

    È tuttavia la seconda guerra mondiale a costituire una vera svolta: sostenere che a vincere sono gli Stati che più avevano investito in ricerca è senza dubbio una semplificazione, ma non un errore. Certamente molte tecnologie che poi caratterizzeranno la seconda metà del XX secolo, sono già in gestazione prima della guerra, ma è il conflitto a permettere una accelerazione negli investimenti e nello sforzo di innovazione tale da rendere concreti progetti ancora a livello di ipotesi da fantascienza. Radar, sonar e sistemi di comunicazione globali, computer e aviazione, medicine e trasporti sono rivoluzionati dagli investimenti bellici.

    Particolarmente efficace e foriero di problemi per la comunità scientifica è il Progetto Manhattan, che nel volgere di quattro anni dota gli Stati Uniti dell’arma atomica. Si è trattato senza dubbio del più importante esperimento di ricerca scientifica di punta, condotto da team di scienziati di livello mondiale, che lavorano fianco a fianco con ingegneri e tecnici per risolvere gli immensi problemi realizzativi che il progetto pone a ogni istante. Val la pena sottolineare come alcuni degli scienziati di punta del progetto, come Enrico Fermi o Hans Bethe, provengano dai Paesi nemici, cacciati dalla follia razzista di nazismo e fascismo.

    L’esempio americano viene subito seguito da altri Paesi, e ben presto la corsa alle armi atomiche suscita proteste a livello globale. Molti degli scienziati che hanno preso parte al Progetto Manhattan sono tra i primi a mettere in guardia sui pericoli dell’arma atomica. Diventa ben presto comune dire che con le esplosioni su Hiroshima e Nagasaki dell’agosto del 1945 la scienza ha perso la sua innocenza.

    I legami tra grande industria, ricerca scientifica e tecnologica e potere politico, che hanno mostrato la loro efficacia nel primo conflitto mondiale, diventano con la seconda guerra mondiale e con il conseguente equilbrio del terrore tra le due grandi superpotenze, America e Russia, un aspetto sostanziale della vita economica delle grandi potenze. Si ritiene che la guerra fredda in effetti sia stata combattuta sul fronte dei colossali investimenti in ricerca e in propaganda: solo economie sempre più solide, sostenute da politiche espansionistiche e neocoloniali, possono reggere il confronto sulla lunga durata. Parte di tali investimenti, come i viaggi spaziali, mirano più all’impatto sull’opinione pubblica, che non a indebolire militarmente l’avversario, anche se le ricadute militari dell’astronautica di esplorazione sono parte integrante dell’investimento.

    Con la fine della guerra fredda è cambiato il tipo di investimento, ma non l’importanza dello stesso. In particolare, l’elettronica o la linguistica applicata, essenziali per le operazioni di intelligence a livello globale – come il sistema Echelon che ascolta le conversazioni telefoniche e gli scambi elettronici di tutto il mondo – hanno beneficiato di investimenti massicci nell’ultimo decennio del XX secolo.

    Industrie meno direttamente beneficiarie di investimenti bellici, come le industrie farmaceutiche, hanno applicato il modello del finanziamento massiccio in ricerca reperendo risorse sul mercato azionario o procedendo a fusioni che hanno dato vita a giganti industriali che operano a livello globale.

    La scienza tra industria e politica

    Le vicende belliche che hanno permesso investimenti eccezionali in ricerca e sviluppo non sono fortunatamente eventi quotidiani; d’altra parte la politica globale impedisce il ricorso ad armi di distruzione di massa per risolvere i conflitti regionali innescati ufficialmente proprio per evitare l’uso di armi di distruzione di massa. Il che significa che persino le grandi potenze, o la potenza leader, gli Stati Uniti, non possono né vogliono garantire flussi finanziari a settori della ricerca che non rivestono più importanza strategica di primo piano. La comunità dei fisici americani, per esempio, ha lamentato la chiusura di progetti dell’importanza dell’acceleratore di particelle in costruzione nel Texas, che avebbe dovuto permettere una competizione più agguerrita con l’apparato europeo operativo a Ginevra presso il CERN. Il mutare della situazione geopolitica e dei livelli di tensione costringe molti conglomerati industriali che vivono di tecnoscienze e settori della comunità scientifica a essi legati, a mettere in atto forme di pressione sulla politica, al fine di ottenere un flusso di finanziamenti, anche se ridotti. Il Congresso degli Stati Uniti è periodicamente e notoriamente alle prese con scandali legati alle forniture militari e all’innovazione dei sistemi d’armi.

    Il settore industriale e l’economia di molti Paesi occidentali risentono in particolar modo dell’influsso della politica nelle scelte di investimenti in ricerca e sviluppo. Paesi come l’Inghilterra o l’Olanda e la Francia, che non hanno risorse né potere militare paragonabili a quelli degli Stati Uniti, perseguono tuttavia da tempo, non senza difficoltà e contraddizioni, politiche di investimento in ricerca e sviluppo che tengono alto il livelllo di preparazione tecnica e scientifica di quadri amministrativi e industriali, e producono al tempo stesso flussi costanti di innovazione. Così, l’industria farmaceutica inglese e francese beneficiano di costanti immissioni di danaro pubblico nella ricerca biomedica, mentre il CNR francese conduce ricerche di punta nell’aerospaziale, di cui benficia l’industria strategica dell’aviazione civile e militare. Tuttavia anche in questi Paesi le risorse vengono decise dalla politica e mutamenti importanti nella composizione dei governi possono produrre seri danni. In Olanda si assiste con preoccupazione all’arrivo nell’area governativa di forze ispirate a ideologie antiscientifiche, che potrebbero decidere di dirottare altrove fondi destinati alle ricerche pubbliche nei settori dell’elettronica o delle tecnologie laser, di cui beneficiano molte grandi industrie dei Paesi Bassi.

    In Paesi come l’Italia l’assoluta impreparazione della classe politica nel suo insieme alla gestione di complessi sistemi di ricerca produce sussulti temporanei, che non scalfiscono in alcun modo il declino scientifico e tecnologico del Paese, mentre favoriscono alti tassi di emigrazione di personale scientifico qualificato. In particolare gli investimenti in ricerca e sviluppo dal dopoguerra alla fine del XX secolo non sono stati in grado di garantire competitività e innovazione, costringendo l’economia nazionale a dipendere in misura sempre crescente da brevetti reperibili a caro prezzo sui mercati. Interi settori dell’industria, come ad esempio la farmaceutica o l’elettronica, sono stati assorbiti da grandi conglomerati mondiali o hanno semplicemente chiuso i battenti. Complessivamente i nessi tra scelte politiche (nel campo dell’istruzione, della ricerca di base e delle strutture amministrative e gestionali dei sistemi di ricerca), scienza e sviluppo tecnologico si fanno sempre più stretti e vitali per tutti i Paesi sviluppati e per quelli in via di sviluppo.

    Rimandi

    Volume 57: Scienza, Stato e rivoluzione

    Volume 68: Il fascismo

    Volume 68: Il nazionalsocialismo

    Volume 68: La seconda guerra mondiale

    Tecnica e guerra

    Ricerca, sviluppo e innovazione

    Organizzazione e finanziamento della ricerca

    I laboratori di ricerca

    Scienza, tecnica e industria: un connubio lungo un secolo

    Scienza e religione: la questione dell’autorità

    Pietro Corsi

    Più che di scienza e di religione, sarebbe opportuno parlare di gruppi di scienziati e di autorità religiose che ragioni particolari conducono a uno scontro, o a un incontro, in un dato luogo e tempo. Non pare davvero esistere un corpo univoco di pronunciamenti teologici concernenti la natura e i saperi, come non esiste una scienza che ovunque si presenta con gli stessi tratti, le stesse metodologie, gli stessi presupposti.

    Lo sviluppo dinamico delle scienze e la fissità dottrinale della religione

    Uno dei cavalli di battaglia di molte correnti della filosofia della scienza del XIX secolo è rappresentato dall’affermarsi di una differenza sostanziale tra progresso delle conoscenze scientifiche e religione. Grazie a rigorosi metodi d’indagine, e all’utilizzazione dello strumento matematico – si diceva – le scienze procedono per revisioni e ampliamenti successivi dei saperi, mentre la teologia non può che ribadire il corpo delle verità dottrinali affidato alla rivelazione o ai testi sacri delle singole fedi. La scienza scopre e si rinnova, la teologia elucida, spiega, vigila a che l’autorità (se non proprio i contenuti) del credo religioso non venga intaccata dal mutare dei tempi.

    Lo sviluppo sempre più accelerato della scienza moderna, sino ai trionfi delle tecnoscienze del XX secolo, è stato a lungo considerato il fattore chiave della progressiva secolarizzazzione delle società occidentali. Nel presente come nel passato, principi e convinzioni di ordine religioso avevano costituito un ostacolo fondamentale, a volte violento, all’affermarsi di teorie e concezioni che le autorità religiose percepivano come contrarie alla loro visione della natura e della creazione.

    Il XX secolo ha visto modificarsi in modo a volte drammatico gli assunti che abbiamo brevemente descritto, e che sono ancora condivisi da parte della comunità scientifica e dell’opinione pubblica, anche se i contesti entro cui questi processi sono avvenuti sono difformi e diversificati. Ad esempio, una ristretta maggioranza, ma pur sempre maggioranza, di cittadini americani ritiene oggi che la narrazione biblica della creazione sia scientificamente fondata, e una percentuale sostanziale di scienziati dichiara di avere profonde convinzioni religiose. Si è anche sostenuto che buona parte dei responsabili scientifici di punta della NASA condivide un messianesimo tecnologico intriso di riferimenti millenaristici tipici della tradizione protestante e dissidente.

    La questione del rapporto tra scienza e religione nel XX secolo si presenta dunque complessa e offre per molti versi, soprattutto per quel che concerne l’ultimo scorcio del secolo, delle novità importanti. Sarebbe tuttavia prematuro considerare tali novità come destinate a radicarsi nella cultura occidentale, costituendo così un vero e proprio mutamento di rotta. Come avremo modo di considerare in relazione al fondamentalismo creazionista americano degli ultimi due decenni del secolo, l’importanza di fattori politici e sociali contingenti invitano a una certa prudenza nel valutare le prospettive di medio e lungo termine del movimento. Inoltre, diversa si presenta la situazione in diversi Paesi: nell’Inghilterra anglicana e protestante il fondamentalismo americano è quasi sconosciuto, mentre in Cina o in India, due Paesi-continenti che hanno manifestato con massicci investimenti la loro chiara intenzione di entrare da protagonisti nell’arena della competizione scientifica e tecnologica mondiale, la piena autonomia della ricerca è ben lungi dall’essere messa in discussione.

    Scienza e religione in prospettiva

    Pochi sono oggi gli studiosi di storia della scienza pronti a difendere il credo positivista di una radicale dissonanza tra scienza e religione nel costituirsi della scienza moderna. Ricerche condotte a partire dall’inizio del XX secolo, spesso motivate da chiari intenti di apologia del cristianesimo, hanno in effetti fatto cadere una serie di miti positivistici o di credenze a lungo perpetuate. Contro i positivisti e i laici militanti del suo tempo, Pierre Duhem , noto fisico e filosofo della scienza della Francia della Terza Republica, ultra-cattolico e conservatore, sosteneva che la scienza moderna era figlia dell’insegnamento della Chiesa di Roma. La rivoluzione scientifica del XVIII secolo era il punto di arrivo di un plurisecolare appropriarsi della tradizione scientifica classica e araba, su cui i matematici di Oxford o i naturalisti di Parigi e di Padova avevano innestato i germogli del calcolo e della sperimentazione. Ripresa dallo storico australiano Alistair Crombie (1916-1996), nel suo fortunato Da Sant’Agostino a Galileo, la tesi ha prodotto polemiche e messe a punto, ma anche importanti studi sulla scienza medievale che tutto era meno che buia.

    Per quel che concerne la rivoluzione scientifica del XVIII secolo, la storiografia del XX secolo ha portato correttivi importanti sia al concetto stesso di rivoluzione sia al ruolo che ebbero concezioni filosofiche e teologiche di singoli scienziati nel promuovere il sorgere di nuove discipline e nuovi programmi di ricerca. A partire dagli studi di Alexandre Koyré, di Robert K. Merton, di Charles Webster fino alle recenti pubblicazioni di Rob Iliffe e della giovane generazione di studiosi della scienza inglese, si è disegnato il quadro di una presenza determinante di visioni bibliche e millenaristiche della natura e del sapere che stimola un forte orientarsi verso la ricerca sperimentale di intere generazioni di intellettuali inglesi tra 1630 e 1700. Lo stesso Newton dedicò un tempo ben maggiore agli studi biblici e alchemici che non all’astronomia o alle matematiche.

    Ricerche condotte su figure della scienza ottocentesca ha messo in luce altri aspetti del rapporto tra scienza e religione. Così, ad esempio, si è sottolineata l’importanza della teologia naturale inglese per i primi sviluppi delle teorie darwiniane, e si è fatta luce sull’importante debito di Michael Faraday verso le concezioni di natura e di creazione presenti nella teologia settaria e quasi segreta della Chiesa sandemanista, un piccolo gruppo dissidente uscito dalla Chiesa di Scozia che si rifaceva alla prime comunità cristiane e aspirava all’unità del mondo, di cui il fisico facava parte.

    Sarebbe tuttavia errato trarre la conclusione che le ricerche storiche condotte nel XX secolo hanno dimostrato – come voleva Duhem – che la religione cristiana è stata condizione necessaria e imprescindibile per la nascita della scienza moderna. Se infatti il crudo schema positivistico non ha retto alla prova degli studi, è altrettanto vero che quegli stessi studi hanno messo in evidenza il carattere altamente problematico del rapporto scienza e religione, che appare sempre più connesso a situazioni locali, fortemente condizionate dalle tensioni politiche e sociali del momento. Più che di scienza e di religione, sarebbe opportuno parlare di gruppi di scienziati (anche se il termine è anacronistico) e di autorità religiose che ragioni particolari conducono a uno scontro o a un incontro, in un dato luogo e tempo. Non pare davvero esistere un corpo univoco di pronunciamenti teologici concernenti la natura e i saperi, come non esiste una scienza che ovunque si presenta con gli stessi tratti, le stesse metodologie, gli stessi presupposti. Nella Roma e nella Firenze di Galileo Galilei, diversi ordini religiosi, come pure diverse fazioni interne alla Curia o alle strutture del potere ecclesiastico (sia civile sia religioso) erano portatori di diversi atteggiamenti verso la nuova scienza, atteggiamenti che mutavano col mutare delle circostanze politiche, del predominare temporaneo dell’una o dell’altra fazione all’interno della Curia. Se nel mondo cattolico l’autorità papale e il centralismo dottrinale permettono a volte di individuare tendenze di lungo periodo, nel mondo protestante lo scarso potere politico diretto di sette e chiese ha reso molto difficile la determinazione di una posizione maggioritaria capace di sopravvivere alle contingenze di breve periodo che l’avevano di volta in volta, e in termini diversi, resa possibile. Nel passato la Chiesa anglicana ha spesso cercato di stabilire dei limiti alla ricerca scientifica, attaccando con forza i dubbi scientifici sull’attendibilità della narrazione della Creazione contenuta nella Genesi, o scagliandosi contro le prime ipotesi evoluzionistiche avanzate nell’Inghilterra del primo Ottocento. Nel XX secolo, e in particolare negli ultimi due decenni, la Chiesa Anglicana ha dimostrato una considerevole apertura verso forme di sperimentazione e di pratiche scientifiche considerate come assolutamente inaccettabili dalle autorità cattoliche.

    Nuovi problemi: la vita e l’uomo

    Se Galileo visitasse oggi la Specola Vaticana constaterebbe con soddisfazione la sua vittoria. Si rammaricherebbe forse nel sentirsi accusato di superficialità epistemologica, di fideismo verso teorie per le quali non poteva avanzare prove convincenti, e ascolterebbe con stupore sostenere che bene fece la Chiesa, non tanto a condannarlo, quanto a non prenderlo troppo sul serio.

    Certo è che nel XX secolo la situazione è profondamente mutata, almeno per quel che riguarda le scienze fisiche e matematiche. In realtà, a parte qualche scaramuccia e titolo di vanto per questa o quella teoria fisica – dovuta a volte a esercizi non privi di un certo narcisismo da parte di scienziati che più realisti del re hanno cercato di argomentare che il principio di indeterminazione di Heisenberg dimostrebbe l’imprescindibile fondamento fisico del libero arbitrio o di sostenere che la fisica contemporanea è in grado di provare l’immortalità dell’anima – è la questione dell’evoluzionismo che crea ansie e suscita revanscismi d’altri tempi. E non è tanto l’evoluzionismo in sé e per sé che pone problemi, quanto le nuove frontiere della ricerca sull’evoluzione, che investono l’emergere dell’intelligenza, di forme di giudizio etico o estetico, le regole della sociabilità o persino l’emergere di sentimenti religiosi (tema caro allo stesso Charles Darwin).

    Evoluzione e Chiesa cattolica

    Nel corso della storia degli ultimi 150 anni, l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche romane nei confronti dell’evoluzionismo è improntato a prudenza e fermezza. Se Papa Pio IX afferma che l’opera di Darwin è da considerarsi demoniaca, lo fa solo in una lettera a un medico francese editore di una delle tante refutazioni dell’Origine delle specie. Dopo tutto, negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, proliferano dottrine evoluzionistiche di tipo spiritualista, alcune delle quali propugnate da credenti e da esponenti del clero regolare o di ordini religiosi. L’azione di contenimento dottrinale si ispira alla opportunità di evitare scandali, e si ricorre ad ammonizioni e a interdizioni disciplinari piuttosto che a condanne. Così, per citare un caso celebre, mentre papa Pio XII ammette nell’enciclica Humani generis (1955) la teoria dell’evoluzione a livello di ipotesi tra le tante, si impedisce la diffusione delle opere del gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, e si invitano, con una ammonizione pubblicata il 30 giugno 1962, docenti e sacerdoti a vegliare affinché i giovani non leggano le sue opere. L’ammonizione veniva reiterata sull’Osservatore Romano del 20 luglio del 1981.

    Più recentemente, molto si è parlato dell’indirizzo all’Accademia Pontificia delle Scienze letto da papa Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1996 (l’Osservatore Romano, 24 ottobre 1996), in cui si accetta che l’evoluzione non sia tanto un’ipotesi, quanto una teoria scientifica. Si precisa tuttavia che, essendo il campo delle teorie dell’evoluzione percorso da un insieme di dottrine, alcune delle quali ispirate a posizioni filosofiche o a concezioni di tipo spiritualistico o materialistico, spettava alla filosofia e alla teologia darne una valutazione. Inoltre, si condannano senza alcuna ambiguità le ricerche volte a comprendere l’emergere delle facoltà intellettuali umane, ricerche incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona, un’accusa tra le più gravi nel linguaggio della teologia cattolica.

    L’aspetto più preoccupante è l’insistere sul diritto della Chiesa non tanto di esprimere la propria opinione, diritto che nessuno mette in discussione, quanto quello di legiferare su cosa si possa o non si possa leggere o insegnare, su chi abbia competenza a esprimersi circa questioni scientifiche complesse. Ancora una volta, mutamenti di clima politico determinano i toni e la scelta del momento opportuno di rivendicare diritti di intervento su settori cruciali della cultura e della ricerca scientifica. Il recente dibattito sull’insegnamento delle teorie evoluzionistiche nelle scuole, con tanto di comitato ministeriale riunito per decidere in che modo teorie così teoriche debbano essere presentate ai giovani, fanno ben capire come la questione di fondo sia non tanto la religione quanto l’occupazione di spazi politici. È evidente che carriere e prospettive di lavoro di ricercatori e di insegnanti che la pensassero diversamente sono messe a rischio da pronunciamenti quali quelli che abbiamo brevemente indicato. In un clima che tende a favorire strutture private di insegnamento, le conseguenze di tali indicazioni porrebbero molti docenti di scienze biologiche nella condizione di rischiare il posto di lavoro, se impiegati in istituti o università cattoliche.

    In quanto studiosi del fenomeno, abbiamo sotto gli occhi un esempio classico di come, in condizioni locali particolari, le posizioni all’apparenza puramente dottrinali di una autorità religiosa rivestano caratteristiche squisitamente politiche, e tali da condizionare il livello culturale di un Paese, il formarsi di opinioni, la capacità delle giovani generazioni di confrontarsi con complesse questioni scientifiche su cui altri Paesi investono massicciamente, in un clima di piena libertà di dibattito.

    Evoluzione e creazionismo negli Stati Uniti

    A partire dagli anni Sessanta del XX secolo, il variegato mondo protestante evangelico degli Stati Uniti dà il via a una campagna sistematica e agguerrita contro l’evoluzionismo, che nell’ultimo decennio del secolo ha conosciuto importanti successi. Le ragioni sono complesse, ma gli studiosi del fenomeno non hanno dubbi sul suo carattere fondamentalmente politico, che si esprime con classici accenti populisti, e un linguaggio semplice e diretto, che individua nel ceto intellettuale liberale, scientista e ateo, la ragione di tutti i mali del Paese.

    L’attacco frontale all’evoluzionismo non è certo una novità. Negli anni Venti, i legislatori degli Stati del Tennessee, del Mississippi e dell’Arkansas dichiarano reato penale l’insegnamento delle teorie evoluzionstiche, mentre in Oklahoma vengono proibiti tutti i libri che trattavano di evoluzione. Nel 1925, l’arresto e il processo del professor John Scopes, colpevole di aver insegnato il darwinismo nella sua scuola di Dayton (Tennessee), provocano l’intervento delle autorità federali volto a limitare l’ingerenza di sette religiose nell’insegnamento.

    Intorno al 1970, la fondazione dell’Institute for Creation Science da parte di Henry M. Morris, ingegnere idraulico texano, costituisce una svolta organizzativa e politica di grande importanza. Il crescente successo del creazionismo trova ben presto imitatori e finanziatori, e a partire di primi anni Novanta si assiste al fiorire di musei della creazione, di siti internet e di case editrici che alimentano un forte mercato di pubblicistica creazionista. Al tempo stesso, a livello politico, le organizzazioni creazioniste ingaggiano una vera e propria guerriglia istituzionale cercando di assumere il controllo dei consigli di amministrazione del sistema scolastico di diverse città e Stati. Così, il Board of Education dell’Ohio decreta nel 2002 che l’insegnamento del darwinismo deve essere accompagnato da una discussione delle tesi creazioniste, mentre in Kansas decisioni a favore e contro il darwinismo si succedono a ritmo annuale.

    Le forme estreme di negazionismo evoluzionistico sono state sottoposte a censura da diversi pronunciamenti di tribunali di diverso grado, provocando così un aggiustamento di tiro che consiste nel richiedere che si insegni sia la complessità teorica dell’evoluzionismo contemporaneo, sia l’esistenza di testi biblici che offrono una spiegazione alternativa. I siti internet di diverse fazioni del movimento (spesso in forte concorrenza) rinviano sia ad altri siti creazionisti, sia a siti di rispettabili istituzioni come la Smithsonian o il Natural History Museum di New York, per affermare l’apertura mentale e la tolleranza del movimento, contro la chiusura oscurantista degli scienziati materialisti. Il proliferare di associazioni e di imprese commerciali creazioniste provoca il parallelo proliferare di interpretazioni e di dottrine, al punto che il termine creazionismo indica oggi una pluralità di posizioni spesso incompatibili.

    Più sofisticato è il movimento per l’Intelligent Design, che riprende temi classici della teologia naturale inglese e olandese, evita le grossolane mistificazioni del creazionismo americano, e utilizza le conoscenze scientifiche più aggiornate per mostrare come la scienza moderna sia giunta alla inevitabile conclusione che il cosmo e la natura vivente sono opera di un Creatore benevolo e intelligente.

    Rimandi

    Volume 51: Galileo Galilei

    Volume 51: Isaac Newton

    Volume 56: Chiesa e Repubblica entro i loro limiti

    Volume 57: Scienza, Stato e rivoluzione

    Volume 62: La Chiesa cattolica fra tradizione

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